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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Giurisprudenza Amministrativa



Nota a Corte di Cassazione, Sezione Unite Civili - Sentenza n. 11180 del 2018

A cura di Ludovica Costanzo
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La sentenza delle Sezioni Unite oggetto di questo commento trae origine dal ricorso presentato da X e Y relativamente alla pronuncia n. 1768/2015 del Consiglio di Stato, con la quale riconosciuta l’illegittimità dell’espropriazione dei fondi di loro proprietà ed conseguente diritto al risarcimento del danno nei confronti di Alfa S.P.A. e Beta S.P.A., agiscono per l’attuazione del giudicato amministrativo.

Era stato, altresì statuito, in accoglimento del ricorso incidentale dei Signori X e Y che il prezzo dovesse essere determinato sulla base del valore venale dei bene, conformemente a quanto statuito all’articolo 42 bis del D.P.R. n. 327/2001.

La P.A. decideva di ottemperare al giudicato mediante il procedimento di acquisizione sanante, conseguentemente, i ricorrenti con ricorso in ottemperanza denunciavano i procedimenti adottati poiché ritenuti elusivi del giudicato. Il Consiglio di Stato, con la pronuncia ex articolo 362 c.c. per motivi inerenti alla giurisdizione declinava la propria giurisdizione al giudice ordinario. A sostegno della decisione del Consiglio di Stato intervenivano i più recenti orientamenti delle Sezioni Unite fondati sull’articolo 133 lettera g) del d.lgs. n. 104/2010 rubricato “Atti riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa od ablativa).

Infine il Consiglio di Stato ammetteva la legittimità del procedimento di acquisizione sanante evidenziando che il tema dell’acquisizione parziale non aveva formato oggetto del giudizio di merito, con la conseguenza che in ordine ad esso non poteva denunciarsi violazione od elusione del giudicato.

Ai fini della nostra analisi occorre approfondire il tema del governo del territorio. Da sempre, infatti, Enti locali ma in primo luogo i Comuni sono chiamati a governare le trasformazioni sul loro territorio 1]. Usualmente ciò avviene a due livelli: una prima fase vede la programmazione e la pianificazione, mediante la predisposizione degli strumenti urbanistici di dettaglio; una seconda fase attuativa, mediante la realizzazione delle opere pubbliche programmate, la regolazione dell’attività edilizia dei privati, il controllo delle attività umane in relazione al loro impatto sull’ambiente.

La funzione essenziale della disciplina urbanistica è quella di favorire lo sviluppo del territorio e con esse la comunità che ivi è radicata al fine di garantire una crescita complessiva ed euritmica con le proprie finalità economico-sociali.

L’urbanistica, dunque coinvolge una pluralità di valori da tutelare, attraverso il delicato compito del governo del territorio che si estrinseca nella pianificazione, affidata oggi, ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione, in modo più accentuato agli Enti esponenziali più vicini alla comunità, in attuazione del principio di sussidiarietà. Non a caso, il legislatore costituzionale, nel novellare l’articolo 117 della Costituzione[2], ha sostituito il termine “urbanistica”, con l’espressione “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità che oggi devono essere ricomprese nel citato concetto di “urbanistica”.

Pertanto, l’urbanistica 8 come definita dal Consiglio di Stato) rappresenta il mezzo attraverso il quale garantire uno sviluppo del territorio che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli in relazione alle effettive esigenze sia di valori ambientalistici e paesaggistici di salute e vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico-sociali della comunità

Commento Sentenza Sezioni Unite Numero 11180/2018

 La sentenza delle Sezioni Unite oggetto di questo commento trae origine dal ricorso presentato da X e Y relativamente alla pronuncia n. 1768/2015 del Consiglio di Stato, con la quale riconosciuta l’illegittimità dell’espropriazione dei fondi di loro proprietà ed conseguente diritto al risarcimento del danno nei confronti di Alfa S.P.A. e Beta S.P.A., agiscono per l’attuazione del giudicato amministrativo.

Era stato, altresì statuito, in accoglimento del ricorso incidentale dei Signori X e Y che il prezzo dovesse essere determinato sulla base del valore venale dei bene, conformemente a quanto statuito all’articolo 42 bis del D.P.R. n. 327/2001.

La P.A. decideva di ottemperare al giudicato mediante il procedimento di acquisizione sanante, conseguentemente, i ricorrenti con ricorso in ottemperanza denunciavano i procedimenti adottati poiché ritenuti elusivi del giudicato. Il Consiglio di Stato, con la pronuncia ex articolo 362 c.c. per motivi inerenti alla giurisdizione declinava la propria giurisdizione al giudice ordinario. A sostegno della decisione del Consiglio di Stato intervenivano i più recenti orientamenti delle Sezioni Unite fondati sull’articolo 133 lettera g) del d.lgs. n. 104/2010 rubricato “Atti riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa od ablativa).

Infine il Consiglio di Stato ammetteva la legittimità del procedimento di acquisizione sanante evidenziando che il tema dell’acquisizione parziale non aveva formato oggetto del giudizio di merito, con la conseguenza che in ordine ad esso non poteva denunciarsi violazione od elusione del giudicato.

Ai fini della nostra analisi occorre approfondire il tema del governo del territorio. Da sempre, infatti, Enti locali ma in primo luogo i Comuni sono chiamati a governare le trasformazioni sul loro territorio[1]. Usualmente ciò avviene a due livelli: una prima fase vede la programmazione e la pianificazione, mediante la predisposizione degli strumenti urbanistici di dettaglio; una seconda fase attuativa, mediante la realizzazione delle opere pubbliche programmate, la regolazione dell’attività edilizia dei privati, il controllo delle attività umane in relazione al loro impatto sull’ambiente.

La funzione essenziale della disciplina urbanistica è quella di favorire lo sviluppo del territorio e con esse la comunità che ivi è radicata al fine di garantire una crescita complessiva ed euritmica con le proprie finalità economico-sociali.

L’urbanistica, dunque coinvolge una pluralità di valori da tutelare, attraverso il delicato compito del governo del territorio che si estrinseca nella pianificazione, affidata oggi, ai sensi del novellato articolo 117 della Costituzione, in modo più accentuato agli Enti esponenziali più vicini alla comunità, in attuazione del principio di sussidiarietà. Non a caso, il legislatore costituzionale, nel novellare l’articolo 117 della Costituzione[2], ha sostituito il termine “urbanistica”, con l’espressione “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità che oggi devono essere ricomprese nel citato concetto di “urbanistica”.

Pertanto, l’urbanistica 8 come definita dal Consiglio di Stato) rappresenta il mezzo attraverso il quale garantire uno sviluppo del territorio che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli in relazione alle effettive esigenze sia di valori ambientalistici e paesaggistici di salute e vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi.

Emerge da quanto detto che il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il loro fondamento in valori costituzionalmente garantiti[3].

Alla base, infatti, delle scelte urbanistiche e del contemperamento dei principi da soddisfare si pone sia il principio di uguaglianza formale, che trova applicazione negli istituti di perequazione urbanistica, sia il principio di uguaglianza sostanziale, di cui all’articolo 3 comma 2, Costituzione, che trova applicazione negli istituti incentivanti e premiali. La collocazione, poi, degli articoli 42 e 44 Cost. nel titolo che regola i rapporti economici e non già tra i principi generali, mette in evidenza come il Costituente abbia inteso valorizzare l’aspetto economico dell’istituto rispetto a quello giuridico.

Come è stato affermato dal Giudice amministrativo, “il potere di pianificazione urbanistico del territorio - la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex articolo 117, comma terzo, Cost. e il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al comune –non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse.[4]

L’esercizio i pianificazione urbanistica è riconducibile, quindi, sia alla disciplina coordinata delle edificazioni dei suoli e dell’edilizia sia all’utilizzo delle aree per finalità economico sociali del territorio nel quadro del rispetto dei valori costituzionalmente tutelati di cui agli articoli 32, 44, 47, comma secondo, Cost..

Altro aspetto da analizzare è quello relativo ai poteri oblatori della Pubblica Amministrazione che le consentono di incidere sulla sfera giuridica del destinatario determinando unilateralmente effetti sfavorevoli. I provvedimenti oblatori possono essere di tre tipi: obbligatorio, i quali determinano la nascita di un obbligo in capo al destinatario e a favore della P.A.; personali determinano la contrazione di un diritto o di una libertà personale del soggetto; reali determinanti una diminuzione o una caducazione di un diritto reale del soggetto.

Tra i più importanti atti ablativi e anche tra i più regolati dalla legge è l’espropriazione per pubblica utilità. In virtù di tale istituto la P.A. ha il potere di sacrificare, nel pubblico interesse e dietro indennizzo, diritti reali altrui.

In particolare, l’articolo 834 c.c. definisce l’espropriazione come quell’istituto di diritto pubblico in base al quale un soggetto, previo pagamento di una giusta indennità, può essere privato in tutto o in parte, di uno o più beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata.

L’istituto rinviene la sua ragion d’essere nella funzione sociale della proprietà: l’interesse pubblico che presiede il fenomeno espropriativo, non opera come mero limite esterno del diritto di proprietà, ma arriva a costituire parte rilevante del suo contenuto.[5]

Punto di equilibrio tra l’interesse sociale all’acquisizione del bene alla mano pubblica e quello del proprietario contrapposto di vedere tutelato il proprio diritto dominicale è costituito dall’indennità spettante al proprietario: se l’indennizzo rompe questa lineare armonia dei rapporti tra poteri pubblici e interessi privati, l’indennizzo costituisce l’elemento risolutore del contrasto.

L’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità è stato regolato per lungo tempo da una molteplicità di esti legislativi prima dell’entrata in vigore del T.U. n.327/2001, il quale rappresenta un importante coordinamento delle numerose materie vigenti in materia espropriativa.

Ai sensi dell’articolo 8 del Testo Unico sulle espropriazioni sono quattro le fasi del procedimento espropriativo:

  • L’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, il quale deve essere imposto in sede di programmazione urbanistica e deve essere previsto o dallo strumento urbanistico generale o da un atto di natura equivalente;individua in modo puntuale il luogo interessato dalla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità. Esso costituisce condizione di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e decade dopo cinque anni. Una volta decaduto, in vincolo può essere reiterato motivatamente, rinnovando la procedura di approvazione degli strumenti urbanistici[6].
  • La dichiarazione di pubblica utilità, con la quale la P.A. individua l’opera da realizzare, le ragioni di pubblico interesse che giustificano tale realizzazione, le risorse necessarie per la costruzione e il termine entro cui deve essere emanato il decreto di esproprio. La stessa si configura come atto presupposto rispetto al successivo decreto di esproprio e deve prevedere il termine finale e deve prevedere il termine finale per l’emanazione del decreto di esproprio. In mancanza, il termine è fissato dall’articolo 13, co. 4, D.P.R. n. 327/2001, in cinque anni.

Il termine previsto dall’atto, e in mancanza, quello legale possono essere prorogati, per un periodo di tempo non eccedente i due anni, dalla stessa autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni.

  • Determinazione dell’indennità di esproprio[7], è proposta dal promotore dell’espropriazione ai proprietari interessati ottenuta la dichiarazione di pubblica utilità, che possono presentare osservazioni scritte e presentare documenti. L’ente procedente elabora il piano particolareggiato di esecuzione, in cui vengono specificatamente individuati i terreni da espropriare per la realizzazione dell’opera, e redige un elenco dei vari proprietari dei terreni con l’indicazione dell’indennità[8] offerta a ciascuno di essi.
  • Emanazione del decreto di esproprio. Entro il termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità deve essere emanato il decreto di esproprio con cui la proprietà passa all’espropriante, che può occupare i terreni ed iniziare i lavori per l’esecuzione dell’opera; la sua efficacia è subordinata al prodursi di una duplice condizione legale, costituita dalla sua notifica e dalla sua esecuzione. Competente a emanare il decreto di esproprio è il soggetto espropriante. Il decreto di esproprio svolge, dunque, una funzione di riepilogo dell’intera vicenda espropriativa.

In particolare, la disciplina dell’indennità di espropriazione è stata a più riprese incisa dal legislatore e dalla giurisprudenza, italiana ed europea. Giova, pertanto, passare in rassegna i diversi criteri adottati dal legislatore e plasmati dalla giurisprudenza nel corso degli anni, con l’intento di ricostruire la disciplina oggi vigente.

  • Il criterio del valore venale nella l. n. 2359 del 1865. Originariamente, l’articolo 39, l. 25 giugno 1865, n. 2359 commisurava l’indennità dell’esproprio al a valore venale del bene, stabilendo che al proprietario spettasse un indennizzo pari al prezzo che l bene avrebbe avuto in una libera contrattazione di compravendita. Con riferimento a tale disciplina è intervenuta la Corte Costituzionale la quale ha rilevato che l’indennizzo non può essere stabilito in misura simbolica, pur non dovendo necessariamente consistere nell’integrale risarcimento del danno.
  • Il criterio del valore agricolo nella l. n. 865 del 1971. La legge 22 ottobre 1971, n. 865, la c.d. “legge sulla casa”, così come modificata dalla l. n, 10 del 1977, (c.d. legge Bucalossi), ha commisurato l’indennizzo dovuto ai proprietari delle aree edificabili espropriate al valore agricolo e allo stato dei suoli in relazione alle colture effettivamente praticate. Tuttavia anche in relazione a tale disciplina, si è abbattuta la declaratoria di incostituzionalità, infatti, l’adozione del valore agricolo medio come criterio per la determinazione dell’indennità di esproprio delle aree edificabili conduceva alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell’area da espropriare[9].
  • Il criterio della media tra il valore venale del bene l reddito dominicalerivalutato nella l. n. 359 del 1992. L’articolo 5 bis, 8 agosto del 1992, n. 359, ha introdotto una rigida bipartizione nella determinazione dell’indennizzo tra i suoli agricoli ed edificabili. Per i suoli agricoli e per quelli non classificabili edificabili è stato riproposto il criterio del valore agricolo; per le aree edificabili si è fatto riferimento alla media aritmetica tra il valore venale del terreno ed il reddito domenicale ridotta del 40 per cento in caso di mancato accordo con il proprietario. Il criterio di calcolo previsto dall’articolo 5 bis, d. l. 11 luglio 1992 n. 333 convertito il l. 8 agosto 1992, n. 359 ha superato il vaglio di costituzionalità posto che la Corte ha ritenuto la sufficienza dell’indennizzo parametrato al valore venale del bene; ha legittimato la rigida bipartizione tra aree edificabili e non, ritenendola non affetta da irragionevolezza e, comunque, inidonea a pregiudicare di per se il serio e effettivo ristoro del proprietario ed ha, infine, avallato l’agevolazione economica consistente nel mancato abbattimento del 40 per cento[10].

Tuttavia, la Corte EDU che ha ritenuto non ragionevole ed iniqua l’indennità stabilita in applicazione del criterio di cui all’articolo 5 bis, d. l. 11 luglio 1992 n. 333 convertito in l. 359 del 1992, riprodotto nell’articolo 37, d. p. r. n. 327/2001 per le aree edificabili.

Infatti, nella causa Scordino c. Italia si ribadisce che “l’indennizzo non è legittimo, se non consiste in una somma che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene (…) misure di giustizia economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo”.

La Corte Costituzionale con sentenza 24 ottobre 2007 n. 348 ha affermato che l’indennità di cui all’articolo 5 bis che oscilla, in concreto, tra il 50 e il 30 per cento del valore del mercato del bene, si rivela invece priva di un ragionevole legame con il valore venale del bene e, quindi, inidonea ad assicurare quel “serio ristoro” richiesto dalla Corte Costituzionale. Con l’articolo 2 della Legge Finanziaria del 2008 ha previsto che l’indennità di espropriazione dei suoli edificabili deve essere commisurata al valore venale del bene. Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, è previsto, inoltre, un aumento dell’indennità del 10 per cento.

Pertanto il quadro complessivo può essere così sintetizzato: per le aree edificabili, l’indennità di espropriazione va tendenzialmente commisurata al valore venale del bene; per le aree agricole, resta invariato il criterio del valore agricolo (mentre per le aree non coltivate, il riferimento al valore agricolo medio è stato ritenuto incostituzionale da Corte costituzionale 10 giugno 2011 n. 181; per le aree edificate si applica ancora il criterio del valore venale, mentre per le espropriazioni finalizzate ad opere private di P.U. rimane invariato il criterio del valore venale. Si segnala, inoltre, che l’articolo 53 co. 2, D. p. r. n. 327/2001, nel testo sostituito dall’articolo 3, co.9, d.lgs. n. 104/2010, devolve alla giurisdizione del G.O. le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione dell’indennità dovuta in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

Altro argomento imprescindibile ai fini della nostra disamina è quello relativo alle forme di occupazione del bene[11] nella procedura espropriativa e quello della cosiddetta acquisizione sanante.

Nel tentativo di adeguarsi ai principi della CEDU che escludono la configurabilità di un’espropriazione “indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo titolo legale il Legislatore del Testo Unico ha disciplinato la c. d. occupazione provvedimentale o acquisizione sanante. All’occupazione usurpativa ed a quella acquisitiva ha sostituito l’occupazione provvedimentale, con la quale si attribuisce all’amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell’interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto. Difatti, ai sensi del co. 1 dell’articolo 43 D.P.R. n. 327/2001 la P.A. che utilizzi un’area in assenza di titolo valido ed efficace, può acquisirla al suo patrimonio indisponibile adottando apposito provvedimento previa valutazione degli interessi in conflitto: Nella ponderazione degli interessi in gioco la P.A. può stabilire di restituire al privato ovvero acquisirlo al proprio patrimonio indisponibile; in quest’ultimo caso è tenuta al risarcimento del danno.

Rispetto al passato, non è più quindi il proprietario a doversi attivare in sede giudiziale per ottenere il risarcimento, ma è la P.A., in via amministrativa, a dover offrire un ristoro[12] al danneggiato. Il risarcimento è determinato, dunque, essenzialmente con riguardo al valore del bene, da valutare al momento in cui il fondo è stato occupato sine titulo, con l’aggiunta degli interessi moratori aventi analoga decorrenza.

L’approfondimento pretorio, in particolare, si è concentrato sull’interesse pubblico all’acquisizione del bene quale indefettibile presupposto per l’acquisto ex articolo 42 bis, al fine di affrontare e risolvere taluni problemi applicativi. Nello specifico, la giurisprudenza è stata chiamata a verificare se, in sede di giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di un giudicato di annullamento di una procedura espropriativa privata, il giudice amministrativo dell’esecuzione possa imporre alla P.A. l’adozione di un provvedimento di acquisto in sanatori ex articolo 42 bis.

Secondo una prima ricostruzione, che valorizza la centralità dell’interesse pubblico, il giudice dell’ottemperanza non può imporre alla P. A. l’adozione del provvedimento di acquisto in sanatoria; con la conseguenza che l’amministrazione occupante non può essere coartata dal giudice dell’esecuzione all’adozione del provvedimento di acquisto.

Tale ricostruzione non ha trovato piena condivisione da altra parte di giurisprudenza amministrativa, che invece, a fronte di un petitum rappresentato dalla domanda di risarcimento del danno commisurato al valore venale del bene e, in subordine, tramite un’interpretazione sistematica dell’articolo 42 bis e la valorizzazione del potere di condanna atipico del G. A. di cui all’articolo 34 c. p. a.: detta disposizione, invero, attribuisce al g. a. un potere di condanna atipico consentendogli di esplicitare già in esito al giudizio di cognizione la portata conformativa e ripristinatoria del giudicato, incluso l’ordine di restituire il bene occupato sine titulo.

Secondo una ricostruzione ancora più radicale, infine, il G.A. venuta meno il titolo espropriativo a seguito della caducazione degli atti della procedura, pur tenendo in considerazione gli interessi del privato, può valutare direttamente ex novo gli interessi che hanno determinato l’amministrazione ad avviare la procedura espropriativa. Secondo la ricostruzione in parola, in tal modo si rende effettivamente satisfattiva la tutela giurisdizionale del ricorrente: diversamente opinando, invece, il proprietario, che ha visto accolta la propria domanda di annullamento degli atti della procedura espropriativa, ina balia del comportamento dell’Amministrazione, la quale, anche a seguito della formazione del giudicato, nonché dl ricorso in ottemperanza, continui a non ripristinare la situazione di legalità.

Sulla base di quanto finora esplicitato vediamo come al primo e secondo motivo, i ricorrenti, contestavano, infatti, il deprezzamento dei beni residuati all’espropriazione, sia per il danno da occupazione illegittima e illecita dei beni, successivamente acquisiti all’Amministrazione come disposto da citato articolo 42 bis comma 3 d.lgs. n. 104/2010, rinvenendo il fondamento di tali conclusioni nella natura indennitaria e non risarcitoria di quanto dovuto all’esito dell’ acquisizione sanante secondo quanto statuito dalle recenti Sezioni Unite della Corte e in virtù delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 71/2015.

Al contrario, però, essere ritengono che l’acquisizione sanante sia un’attività che pone fine ad una situazione di illeceità dovuta all’occupazione e trasformazione abusiva dei fondi altrui che si fonda sul pregresso cattivo uso de potere amministrativo espropriativo. Ne consegue che lo strumento normativo ha una funzione rimediale riparatoria che radica la giurisdizione del giudice amministrativo. Ne segue che, l’ordinanza n. 22096 del 2015 può essere superata sia perché non è il frutto di un orientamento consolidato sia perché la natura sanante dell’acquisizione[13] non riguarda soltanto la riparazione per l’acquisizione del bene ma dispone al suo interno anche il necessario risarcimento per l’occupazione illecita pregressa, così eliminando il danno prodotto dall’illecito che, comunque, costituisce il cuore dell’istituto. Per di più, la funzione riparatoria, non soltanto del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale dell’acquisizione sanante, conferma il rilievo dell’illeceità da sanare e non consente di aderire alla giurisprudenza di legittimità secondo la qual tale voce di danno sarebbe accessoria poiché determinata in misura fissa sulla base del valore venale del bene, non potendosi confondere la natura giuridica del rimedio con le tecniche quantificatorie del credito.

Con il secondo motivo, infatti, è stata ribadita la natura risarcitoria della statuizione di merito e la giurisdizione del giudice amministrativo. La sentenza impugnata ha specificato come l’acquisizione sanante non solo è un parametro volto ad indicare il criterio del valore vanale ma anche il procedimento attuativo del giudicato, risultando così estraneo all’ambito dell’ottemperanza il giudicato amministrativo e il ricorso doveva presentarsi davanti al giudice amministrativo[14] di primo grado.

La sentenza impugnata aveva specificato che l’acquisizione sanante era indicata non soltanto come parametro volto ad indicare il criterio del valore venale del bene ma anche come procedimento attuativo del giudicato risultando così estraneo qualsiasi profilo d’illegittimità o di cattivo esercizio del potere amministrativo da parte della p. a. all’ambito dell’ottemperanza al giudicato amministrativo; dovendo così presentarsi il ricorso davanti al giudice di primo.

Infatti, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, l’acquisizione sanante ha natura coattiva e costituisce una sorta di procedimento espropriativo esemplificato che s’innesta su un precedente irrimediabilmente viziato. Con l’adozione di tale atto, la p. a. riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in considerazione degli scopi di pubblica utilità perseguiti anche se emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni di un privato cittadino. Il procedimento di acquisizione sanante, in conclusione, è dotato di autonomia rispetto alla precedente fase procedimentale all’esito della quale sono stati emessi provvedimenti illeciti. Tale illiceità non riverbera sul successivo procedimento ex articolo 42 bis, dal momento che, come affermato dalle S.U. di questa Corte nell’ordinanza n. 22096 del 2015 ove il provvedimento acquisitivo sia stato adottato in conformità agli altri presupposti normativi, l’indennizzo previsto per le perdita della proprietà non ha natura risarcitoria ma indennitaria[15] e, la controversia sulla sua determinazione e corresponsione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’articolo 53 del D. P. R. n. 327/2001 e dell’articolo 133, lettera g, c. p. a..

In definitiva, stando a quanto emerge dalla nuova normativa, l’acquisizione ex articolo 42-bis costituisce una delle possibili cause legali di estinzione di un fatto illecito.

Come sottolineato anche da giurisprudenza recente, in linea generale quale che sia la sua firma di manifestazione la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex articolo 2043 c. c., con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra iusche viene a cessare solo in conseguenza della restituzione del fondo, di un accordo transattivo o della rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo, o ancora, di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’articolo 1 del Protocollo addizionale della CEDU.

Pertanto la predeterminazione legislativa del parametro quantitativo della pretesa relativa all’occupazione senza titolo, induce ad escluderne la natura risarcitoria e ne consente l’attrazione al giudice ordinario.

Allo stesso modo non risultano concepibili due distinti crediti, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e l’altro a titolo di risarcimento del danno per deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che questa seconda voce è da considerare ricompresa nella prima, che per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo[16].

Ne segue che la natura risarcitoria[17] è da escludersi oltre che per tutte le ragioni finora illustrate, anche, concretamente dalla mancata indicazione di criteri puntuali sulla base dei quali determinare il valore venale[18] del bene.

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[1] Il concetto di “territorio” ha subito, specialmente negli ultimi decenni, una trasformazione radicale: da semplice risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, da spazio controllabile nel quale le differenziazioni sono viste come resistenza alle trasformazione, si è giunti ad un’interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio del sistema complesso.

[2] Sul punto la Legge Costituzionale 18 ottobre del 2001 n. 3.

[3] Consiglio di Stato, Sez. IV 10 maggio 2012, n. 2710.

[4] Sul punto, il Consiglio di Stato chiarisce come “il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità, ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti”.

[5] Le scelte di pianificazione urbanistica e di concreta relativa attuazione sono espressione di ampia discrezionalità della Pubblica Amministrazione; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 22 aprile 2015, n. 2261.

[6] A tal proposito Cons. Stato, sez. I, 7 luglio 2014, n. 3436 ove il Collegio ha sottolineato: 1) la necessità che, nell’ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità implicita derivante dall’approvazione del progetto, l’Amministrazione proceda alla comunicazione di avvio del procedimento di approvazione; 2) la circostanza che nell’ipotesi di mancata comunicazione di avvio del procedimento il provvedimento può salvarsi da una declaratoria di illegittimità solo se l’amministrazione dimostri, ex articolo 21 octies, che gli apporti partecipativi degli interessati non avrebbero mutato il contenuto delle scelte operate dall’Amministrazione. Negli stessi termini, Consiglio di Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3291 e Consiglio di Stato, sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1671.

[7] Per determinare l’indennità di espropriazione è tenuto in considerazione il valore di edificabilità dell’area (attribuito direttamente dalla legge ovvero dagli strumenti urbanistici), il quale può variare da un minimo (tendente a zero) a un massimo, con una vasta gamma di situazioni quantitative intermedie su cui incide in maniera determinate proprio l’edificabilità effettiva, quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori. Tale edificabilità effettiva può essere ridotta o addirittura esclusa, non soltanto per via delle sue caratterizzazioni morfologiche, ma anche da altre ragioni ostative di fatto a realizzazioni edilizie. A titolo esemplificativo basti pensare che ciò avviene quando le stesse realizzazioni edilizie siano precluse dall’insufficiente dimensione dell’area, dall’esaurimento per le costruzioni realizzate, degli indici di fabbricabilità della zona resa perciò “satura”, dalla distanza da opere pubbliche limitrofe, ovvero da costruzioni su fondi vicini, e più in generale da altre condizioni o limiti che proprio per la carenza del requisito delle “possibilità effettive di edificazione” ne riducono fortemente o addirittura escludono la commerciabilità sul mercato come aree edificatorie.

[8] Interessante Cass. 21 ottobre 2011, n. 21886: “La nota sentenza della Corte costituzionale 22 febbraio 1990, n. 67, ha attribuito all’espropriando, a seconda che sia stata calcolata o meno da parte della commissione provinciale l’indennità definitiva di cui all’articolo 16 della legge n. 685 del 1971, una duplice azione al fine di richiedere la determinazione della giusta indennità spettante per l’avvenuta espropriazione dell’immobile. Nel caso in cui la Commissione provinciale abbia proceduto al calcolo dell’indennità definitiva, l’apposizione della stima suddetta deve essere proposta nel breve termine di decadenza stabilito dall’articolo 19 della stessa legge. Diversamente qualora sia stata soltanto offerta dall’espropriante l’indennità provvisoria, all’espropriando è consentito chiedere, nel termine prescrizionale di dieci anni decorrente dalla data del decreto di esproprio, la determinazione giudiziale del giusto indennizzo, indipendente dall’emissione, ancorché tardiva, del provvedimento di stima da parte della commissione”.

[9] Sentenza del 30 gennaio 1980 n. 5

[10] A tal riguardo sentenze 11 luglio 2000, n. 262 e 19 luglio 2000, n. 300.

[11] La P.A. può occupare temporaneamente beni immobili anche diversi da quelli da espropriare per esigenze connesse al procedimento espropriativo, dando luogo alla cosiddetta occupazione strumentale o in caso di forza maggiore e di assoluta urgenza previa compilazione dello stato di consistenza dei fondi da occuparsi, per l’esecuzione delle opere necessarie, integrandosi la cosiddetta occupazione d’urgenza destinata all’espropriazione.
L’occupazione strumentale in cui l’autorità può disporre l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo, ai fini dell’esecuzione di lavori concernenti altro suolo da espropriare. Al proprietario deve essere corrisposta l’indennità di occupazione, pari, per ogni anno, ad un dodicesimo dell’importo che gli sarebbe spettato se fosse intervenuta l’espropriazione dell’area.
L’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione opera in casi in cui l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire il preventivo perfezionamento dell’intero iter espropriativo ordinario. Anteriormente all’emanazione del t. u. presupposto essenziale dell’occupazione preliminared’urgenza era costituito dalla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza. Nel corso del tempo, la portata del predetto requisito è stata svilita, al punto da ritenere sufficiente una normale urgenza, per la cui dimostrazione si è ritenuta sufficiente inadeguata. Il t. u. recepisce la suddetta evoluzione obliterando la previsione formale della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza, prescrivendo però la necessità di un’urgenza particolare che non consenta di attendere la fase della determinazione e dell’offerta dell’indennità provvisoria ex articolo 20, co. 1 e 2 in presenza di tale presupposto, l’autorità espropriante può emanare decreto motivato che determini in via provvisoria l’indennità di espropriazione e disponga contestualmente l’occupazione anticipata dei beni mobili necessari. La funzione dell’istituto dell’occupazione d’urgenza di cui all’articolo 22 bis, d. p. r. n. 327 del 2001 è quella di consentire il legittimo spossessamento dell’immobile a favore dell’amministrazione procedente, nelle more dell’adozione del provvedimento di esproprio.

[12] Consiglio di Stato, Sezione IV- sentenza 25 ottobre 2016 n. 4457. “L’indennità ex articolo 24 bis del d. p. r. n. 327/2001, deve essere computata con riferimento alla data di emissione del provvedimento di acquisizione sanante, fermo restando che il valore di mercato del bene va determinato tenendo conto delle caratteristiche attuali di quest’ultimo e, quindi, anche dell’irreversibile trasformazione del fondo nel frattempo intervenuta.
Ai fini della determinazione dell’indennità di cui all’articolo 42 bis del D.P.R. 327/2001, l’Amministrazione –in sede di emissione di un provvedimento di acquisizione sanante- deve prevedere: a) una somma costituita dal valore venale del bene calcolato al momento dell’emanazione del provvedimento  de quo; b) in aggiunta, deve prevedere una somma pari al 10% del valore venale per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale; c) infine, deve prevedere una somma pari al 5% annuo sul valore venale per il periodo di occupazione illegittima.
Sebbene l’articolo 42 bis del D. P. R. n. 327/2001 non espliciti la regola per cui il computo dell’indennità va riportato al valore del bene al momento dell’acquisizione sanante, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso che la norma prevede la corresponsione di un indennizzo determinato in misura corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicché non vengono in considerazione somme che necessitano di una rivalutazione. L’indennità spettante ex articolo 42-bisdel D. P. R. n. 321/2001 deve pertanto essere computata con riferimento alla data di emissione del provvedimento, ferma restando la precisazione per cui il valore di mercato va determinato tenendo conto delle caratteristiche attuali del bene e, quindi anche dell’irreversibile trasformazione del fondo nel frattempo intervenuta.

[13] Cassazione civile, sez. I sentenza 7 marzo 2017, n. 5686: “L’emanazione da parte della p.a. di un provvedimento di acquisizione sanante ex articolo 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001 determina l’improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione ad esse, salva la formazione del giudicato non solo sul diritto del privato alla restituzione del bene, ma anche sulla illeceità del comportamento della p.a. e sul conseguente diritto del primo al risarcimento del danno.
Il provvedimento di acquisizione previsto dall’articolo 42 bis D.P.R. n. 327/2001può determinare l’improcedibilità delle domande restitutorie o risarcitorie proposte dal privato qualora venga adottato tempestivamente, e, comunque, prima che si formi un giudicato anche solo sull’acquisizione del bene o sul risarcimento del danno; in presenza di un tale giudicato, infatti, viene meno il potere attribuito dalla norma all’amministrazione.”

[14]Cassazione civile, S. U., ordinanza 23/01/2017, n. 1643. In tema di espropriazione per pubblica utilità, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lettere g, ultimo periodo, c. p. a. la controversia concernente il risarcimento dei danni conseguenti all’adempimento di un contratto di transazione di liti promosse dinanzi al g. a., avente ad oggetto la parziale cessione di un immobile e la determinazione delle indennità spettanti, rapportate anche all’entità, rapportate anche all’entità della diminuzione di valore della parte residua dell’immobile, in quanto tutte le controversie attinenti alla determinazione delle indennità di espropriazione, anche quando conseguenti a cessione volontaria, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e in quanto, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, non sono concepibili due distinti credit, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e  l’altro a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che questa seconda voce è da considerare ricompresa nella prima che, per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo.
Rientra nella giurisdizione del G. A. un’azione con la quale gli ex proprietari di un terreno che non era stato utilizzato dalla P. A. per un’opera pubblica, ma che, dopo essere stato sdemanializzato, era stato venduto ad una società a partecipazione pubblica per la costruzione di un centro commerciale, hanno chiesto di accertare l’avvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità del bene, la condanna delle Amministrazioni e delle società convenute al pagamento dell’equivalente monetario del terreno e dunque della differenza tra il suo valore venale e il minore importo dell’indennità di espropriazione a suo tempo versata ai proprietari, nonché in subordine l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento delle Amministrazioni e società convenute ai sensi dell’articolo 2041 c. c. 

[15] Cassazione civile, sez. I, sentenza 28 settembre 2016, n. 19195.“Ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, l’articolo 5 bis del d. l. 11 luglio 1992, n. 333, ha definito che l’unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato è quello dell’edificabilità legale, per cui un’area va ritenuta edificabile quando /e per il solo fatto che) essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata da un utilizzo meramente pubblicistico ( verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente.”
“In tema di espropriazione per pubblica utilità, rispetto al decreto di espropriazione il decreto di occupazione è un provvedimento formalmente e sostanzialmente autonomo. Ne consegue che gli eventuali vizi vanno ad inficiare la validità del decreto di occupazione non incidono sulla validità del decreto di espropriazione che, se intervenuto nei termini stabiliti dalla dichiarazione di pubblica utilità, deve ritenersi validamente emanato indipendentemente dalla scadenza del termine di occupazione legittima, si è verificata la cosiddetta “occupazione acquisitiva” in favore dell’ente espropriante.”

[16] Cassazione sentenza n. 6926 del 2016, conforme a Cassazione sentenza n. 1643 del 2017.

[17]Consiglio di Stato, sez. IV sentenza 18 maggio 2016 n. 2012.  “Nel caso in cui alla sentenza di condanna al risarcimento del danno per occupazione usurpativa faccia seguito l’emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante ex articolo 42-bis D.P.R. 327/2001, ferma l’esigenza di portare ad esecuzione il quantum previsto dal giudicato, quest’ultimo andrà ad integrarsi con il provvedimento ex articolo 42-bis citato, nel senso che l’amministrazione dovrà integrare la somma riconosciuta in sede provvedimentale sino a raggiungere quella portata dal giudicato.”

[18]L’indennizzo assicurato all’espropriato dall’articolo42, terzo comma, Cost.,se non deve costituire una integrale riparazione del danno per la perdita subita non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro, sulla base del valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso , secondo legge. Esclusa, dunque, la necessaria coincidenza tra il valore di mercato e indennità espropriativa resta fermo che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato, in modo da assicurare un ristoro economico che abbia un ragionevole legame con tale valore.