ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Giurisprudenza Amministrativa



In caso di incarichi professionali conferiti da enti pubblici, non sono ammessi compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M. n. 55/2014

Di Giovanni Rea
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Nota a sentenza T.A.R. di Napoli, n- 469 del 17 gennaio 2025 

In caso di incarichi professionali conferiti da enti pubblici, non sono ammessi compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M. n. 55/2014 

Di Giovanni Rea 

 

Abstract

Con la recentissima sentenza n. 469/2025, pubblicata lo scorso 17 gennaio, il T.A.R. Napoli si è espresso sul ricorso proposto dall’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata, che denunziava l’illegittimità dell’avviso pubblico con il quale un Comune campano indiceva procedura ad evidenza pubblico per l’affidamento di un incarico legale avente ad oggetto la difesa in giudizio, la gestione della fase stragiudiziale e l’attività di consulenza, da espletare tramite la redazione di pareri, proposte e provvedimenti, a fronte di un compenso pari ad euro 10.005,00 (oltre IVA e CAP) per il primo anno, con progressivo decremento per i due anni successivi, rispettivamente del 10% e del 15%; in particolare, il ricorrente evidenziava come tale compenso si ponesse in violazione del cd. equo compenso di cui alla legge n. 247/2017 e al DM n. 55/2014 e del principio di buon andamento ex art. 97, comma 2 Cost.

Ebbene, il T.A.R. Napoli ha statuito che, pur potendo l’Amministrazione derogare all’applicazione rigida dei parametri del D.M. n. 55/2014 secondo una maggiore flessibilità legata, tra l’altro, anche ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, non può negarsi che questi parametri vadano comunque presi in considerazione, non potendosi certamente ammettere compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M.

 

Through the decision no. 469/2025, T.A.R. Naples accepted the appeal proposed by the Bar Association of Torre Annunziata, stating that it’s certainly not possible to admit compensations that are completely detached in terms of those that can be paid on the basis of the D.M. no. 55/2014.

 

Sommario: 1. I fatti di causa - 2. La decisione del T.A.R. Napoli

 

  1. I fatti di causa

Il caso nasceva dal ricorso proposto al T.A.R. Napoli dall’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata, che chiedeva l’annullamento dell’avviso pubblico di indizione di “procedura aperta ad evidenza pubblica per l'affidamento di un incarico finalizzato all’individuazione di un legale al quale affidare, l'incarico di patrocinio legale tramite rapporto convenzionale per il contenzioso attivo e passivo amministrativo, civile e tributario di competenza del Giudice ordinario e delle magistrature speciali/superiori (compresi procedimenti monitori, di opposizione, etc), la gestione della fase stragiudiziale (compresa assistenza nei casi di mediazione obbligatoria e di negoziazione assistita), nonché l'assistenza e la consulenza legale agli Uffici e Organi dell'Amministrazione e, in generale, monitoraggio del contenzioso, chiarimenti di natura giuridica e processuale anche nella redazione di pareri, proposte e provvedimenti” adottato da un Comune campano, unitamente agli atti presupposti e conseguenti, ivi compreso l’affidamento dell’incarico; nello specifico, la parte ricorrente sosteneva che il compenso posto a base della procedura selettiva - pari ad euro 10.005,00 (oltre IVA e CAP) per il primo anno, con progressivo decremento per i due anni successivi, rispettivamente del 10% e del 15% - si ponesse in violazione del cd. equo compenso di cui alla legge n. 247/2017 e al DM n. 55/2014, applicabili alla PP.AA. in forza del richiamo di cui all’art. 19 quaterdecies”, del D.L. n. 148/2017, che, introdotto, al comma 1, l’art. 13 bis (“Equo compenso e clausole vessatorie”) nella legge sulla professione forense n. 247/2012, ne ha poi esteso, al successivo comma 3, l’applicazione anche alle Pubbliche amministrazioni, nonché del principio di buon andamento sancito dall’art. 97, comma 2, della Costituzione.

In particolare, a fronte del pagamento del suindicato importo annuale onnicomprensivo, il professionista incaricato avrebbe dovuto:

- subentrare in tutti i giudizi pendenti alla data di indizione della procedura, pari a circa 61 (di cui 6 dinanzi alla Corte d’Appello, 24 dinanzi al T.A.R. Napoli, 2 dinanzi al Consiglio di Stato);

- assumere la difesa del Comune in tutti i giudizi sorti a seguito dell’indizione della gara;

- svolgere attività stragiudiziale (mediazione obbligatoria e di negoziazione assistita) e di assistenza/consulenza legale (chiarimenti di natura giuridica e processuale, redazione di pareri, proposte di provvedimenti).

Oltre a lamentare l’illogicità, l’irrazionalità e la sproporzionalità della determinazione degli onorari effettuata da parte dell’Amministrazione comunale, la parte ricorrente censurava l’illegittimità dell’avviso pubblico laddove prevedeva, al punto 5 delle condizioni, in dedotta violazione delle previsioni di cui all’art. 13 bis, comma 5, lett. g) della legge n. 247/2012, che in caso di condanna della controparte al pagamento delle spese di lite,  l’avvocato fosse autorizzato al recupero esigendone il pagamento nella misura del 30%, nonché la vessatorietà della clausola di chiusura, che prevedeva che l’importo di affido nell’arco del triennio avrebbe subito una decurtazione nel caso di formali rinunce per dichiarata incompatibilità, conflitti d’interessi etc., ovvero ulteriori ipotesi tali da impedire la difesa dell’Ente, per un importo corrispondente al controvalore di affido per utilizzo della short list.

Dal canto suo, l’Amministrazione comunale sollevava eccezione di inammissibilità del gravame per carenza di interesse concreto ed attuale in capo all’Ordine professionale.

 

  1. La decisione del T.A.R. Napoli

Ebbene, nella decisione in commento, il T.A.R. Napoli, dopo aver preliminarmente disatteso l’eccezione di rito sollevata dalla parte resistente - chiarendo che: «gli ordini professionali sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa, potendo, nel secondo caso, sia reagire alla violazione delle norme poste a tutela della professione, sia perseguire vantaggi, anche strumentali, riferibili alla sfera della categoria nel suo insieme (cfr. ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10), con il solo limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli ordini medesimi. Nel caso, poi, di ordini professionali individuati su base territoriale (come nel caso in esame) la legittimazione al ricorso va ricondotta all'ambito territoriale nel quale il provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti (cfr., Cons. di St., sez. V, 28 marzo 2017, n. 1418; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 26 novembre 2018, n. 11447; T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 27 settembre 2018, n. 568). In particolare, “sussiste la legittimazione dell'Ordine professionale ad agire contro procedure di evidenza pubblica ritenute lesive dell'interesse istituzionalizzato della

categoria da esso rappresentata anche nell'ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto d'interessi fra esso Ordine e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell'atto impugnato” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 25 agosto 2015, n. 2647; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 18/02/2022, n. 1114)» - ha accolto il ricorso per le seguenti motivazioni.

L’art. 4 del D.M. n. 55/2014, quale regola generale per la quantificazione del compenso dell’avvocato, statuisce che occorre tenere conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, e l’art. 13 bis della Legge professionale n. 247/2012 chiarisce il compenso si considera “equo” quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6” (comma 2, dell’art. 13 bis, citato), ovvero dall’attuale D.M. n. 55/2014; al contrario, il corrispettivo unilateralmente fissato dal Comune, come dedotto, non teneva conto di alcuno di questi criteri ovvero degli elementi e dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, disponendo una determinazione forfettaria dei compensi a prescindere dalla materia oggetto della controversia, dalla specifica tipologia di attività, dal valore della controversia, dalla complessità, dall’Autorità Giudicante. Inoltre, tale corrispettivo unico annuale, oltre che in violazione del D.M. n. 55/2014, accorpava irrazionalmente ed illogicamente una pluralità di categorie diverse di attività non solo giudiziarie ma anche stragiudiziali (consulenze e pareri).

Particolarmente interessante la parte della sentenza che ha chiarito che l’ente pubblico è obbligato non determinare il compenso in base ai parametri del D.M. n. 55 del 2014, ma a ragguagliare lo stesso al contenuto della prestazione, e in particolare all’impegno quali-quantitativo che essa richiede e implica, tenuto conto che il riferimento a un criterio di proporzionalità rispetto a qualità e quantità del lavoro si ritrova anche nell’articolo 36 della Costituzione; dunque, pur potendo l’Amministrazione derogare all’applicazione rigida dei parametri del D.M. n. 55/2014 secondo una maggiore flessibilità legata, tra l’altro, anche ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, non può negarsi che questi parametri vadano comunque presi in considerazione, non potendosi certamente ammettere compensi che risultino completamente sganciati in peius rispetto a quelli liquidabili in base al D.M.

In conclusione, ha chiosato il T.A.R. Napoli, tali principi non trovano eccezione neppure nell’ipotesi in cui il professionista incaricato abbia liberamente accettato il compenso, atteso che la circostanza che il singolo professionista resti libero di valutare la convenienza dell’incarico e di rifiutarlo nel caso in cui ritenga non equo il compenso non rileva, dato che ciò non esclude la violazione dell’articolo 19-quaterdecies, comma 3, cioè la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di garantire un compenso equo; in altri termini, la disposizione violata impone all’amministrazione di prevedere compensi equi e non consente la previsione di compensi non equi, anche se – ovviamente – il singolo professionista non è certo obbligato, ove inserito nell’elenco, a accettare l’incarico e quindi a beneficiare di un compenso non equo.