Giurisprudenza Amministrativa

La distinzione tra “lavoro autonomo” e “lavoro parasubordinato”.
Di Emanuela Porcelli
Nota a sentenza Consiglio di Stato, sezione quinta, n. 1514 del 24 febbraio 2025
La distinzione tra “lavoro autonomo” e “lavoro parasubordinato”.
Di Emanuela Porcelli
Abstract
“Il lavoro parasubordinato è una forma di lavoro autonomo, caratterizzato, anche in caso di natura prevalentemente personale della prestazione, dalla collaborazione continuativa e coordinata. Quest’ultima è l’elemento effettivamente distintivo rispetto alla prestazione d’opera autonoma, in quanto postula che la prestazione d’opera o di servizio, a carattere personale, si svolga continuativamente in connessione o in collegamento con il preponente/committente, per contribuire alle finalità cui esso mira.”
The parasubordinate work is a form of self-employed work, characterized, even in the case of a predominantly personal nature of the service, by continuous and coordinated collaboration. The element that is actually distinctive compared to the autonomous provision of work, as it postulates that the provision of work or service, of a personal nature, is carried out continuously in connection or in connection with the principal/client, in order to contribute to the purposes it aims for.
Sommario: 1. Le forme di lavoro; 2. la questione sottoposta al Consiglio di Stato.
- Le forme di lavoro.
La libertà di organizzazione imprenditoriale è tutelata ex lege ed è principio espressamente previsto a tutela dei privati nella nostra Carta Costituzionale. La stazione appaltante deve riconoscere all’operatore economico concorrente, vigendo nel settore dei pubblici appalti, il principio di autonomia dell'imprenditore (che discende direttamente dal principio costituzionale della libera iniziativa privata di cui all'art. 41 Cost.), il quale organizza e predispone autonomamente le risorse e i mezzi idonei e necessaria ad adempiere alle obbligazioni contrattuali oggetto dell'appalto (v. Cons. Stato, V, 31maggio 2021, n. 4150).
Le formule adesso previste dal diritto del lavoro nonché il tipo di mansioni e di organizzazione aziendale richiesti dalla legge di gara (“lavoro in team”) consentono di dare ingresso anche a tipologie contrattuali diverse rispetto a quella del lavoro subordinato in senso stretto (es. co.co.co, lavoro etero direzionato, etc.). Il tutto non senza trascurare la libertà imprenditoriale e la discrezionalità organizzativa di cui godono i soggetti appaltatori nella scelta del proprio “modello di organizzazione del lavoro”. In tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l’organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un’attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sè compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest’ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività. (v. Cass. lav. n. 1717 del 23 gennaio 2009). Quanto allo schema normativo di cui all’art. 2094 c.c., costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. La vexata quaestio della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato in una fattispecie che, per alcuni versi, presenta dei connotati peculiari. Deve, del resto, prendersi atto che oggi i due cennati tipi di rapporto non compaiono che raramente nelle loro forme e prospettazioni “primordiali” e più semplici, in quanto gli aspetti molteplici di una vita quotidiana e di una realtà sociale in continuo sviluppo e le diuturne sollecitazioni che ne promanano hanno insinuato in ognuno di essi elementi per così dire perturbatori che appannano, turbano, appunto, la prirnigenia simplicitas del “tipo legale” e fanno dei medesimi, non di rado, qualcosa di ibrido e, comunque, di difficilmente definibile. Per cui la qualificazione sub specie di locatio operis o locatio operarum e la sua sussunzione sotto l’uno o l’altro nomen iuris diventa più delicata e richiede una più approfondita opera di accertamento della realtà fattuale e di affinamento di quei momenti che la teoria ermeneutica caratterizza come subtilitas explicandi e, soprattutto, come subtilitas applicandi. Soccorre, peraltro, in questa actio finium regundorum tra lavoro autonomo e subordinato l’insegnamento della giurisprudenza che, intervenendo con molta consapevolezza sul tema, ha dato alla dibattuta questione una soluzione che può, nei principi, ormai dirsi consolidata. E’ noto, difatti, l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l’inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell’attività (v. Cass. Civile, sez. lav., 26 giugno 2020, n. 12871). Diversamente, il lavoro subordinato si caratterizza per la soggezione del dipendente alla direzione costante e cogente del datore di lavoro, il quale si esprime a sua volta attraverso ordini (oggetto della prestazione sono dunque le “energie lavorative” del dipendente), nel lavoro autonomo lo stile direzionale è quello più flessibile del coordinamento che si esprime attraverso direttive di carattere generale (in siffatto contesto, oggetto della prestazione è dato più propriamente dal risultato che scaturisce dalla prestazione lavorativa stessa). Allorché si tratti di organizzazione il riferimento può essere a diverse opzioni che, secondo la scienza aziendalistica, possono variare come visto da modelli “funzionali” e “divisionali” (i quali presuppongono stili direzionali di natura gerarchica e verticistica) a modelli “a matrice” oppure “a rete” che privilegiano stili direzionali e decisionali più collegiali e dunque di natura orizzontale. Onde poter configurare la presenza di un effettivo rapporto di subordinazione, e ciò sulla base di un certo orientamento giurisprudenziale secondo cui: “caratteri dell’attività lavorativa … come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell’impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 224 del 2001 e Cass. Civile, sez. lav., 24 luglio 2020, n. 15922). Ergo, l’elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa; mentre altri elementi, come l’assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione , possono avere solo valore indicativo e non determinante (v. Cass. n. 7171/2003), costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l’una che con l’altra qualificazione del rapporto stesso. onde pervenire alla identificazione della natura del rapporto come autonomo o subordinato, non si può prescindere dalla ricerca della volontà delle parti, dovendosi tra l’altro tener conto del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell’esercizio della loro autonomia contrattuale: pertanto, quando i contraenti abbiano dichiarato di voler escludere l’elemento della subordinazione, specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili sia con l’uno che con l’altro tipo di prestazione d’opera, è possibile addivenire ad una diversa qualificazione solo ove si dimostri che, in concreto, l’elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo. Il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non è quindi vincolante per il giudice ed è comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione. La Corte di legittimità ha avuto, altresì, modo di ribadire che, ai fini della individuazione della c.d. “natura giuridica del rapporto” il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall’effettivo svolgimento del rapporto, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c.c.), ma anche ai fini dell’accertamento di una nuova e diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, da autonoma a subordinata; con la conseguenza che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli di fatto emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente nell’ambito di una richiesta di tutela formulata tra le parti del contratto (v. Cass. n. 4770/2003) In particolare, con la sentenza n. 7024/2015, la Suprema Corte ha ribadito che gli indici di subordinazione sono dati dalla retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l’orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l’inserimento nell’organizzazione aziendale.
Occore precisare che il lavoro subordinato, ai sensi del D.Lgs. n. 81/2015, costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, trova la sua disciplina nel V, Titolo, II del codice civile, nonché in numerose leggi speciali. L’articolo 2086 del codice civile, stabilisce che “l’imprenditore” è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori., mentre l’articolo 2094 del codice civile definisce “lavoratore” subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Ciò che emerge da questa definizione è che la caratteristica essenziale del lavoro subordinato è l’eterodirezione dell’attività, nel senso che la prestazione lavorativa deve essere svolta nel modo imposto dal datore di lavoro, mediante ordini che il lavoratore è obbligato a rispettare. L’eterodirezione della prestazione lavorativa avviene, dunque, mediante specifiche direttive e controlli sulle modalità di esecuzione. Come confermato dall’articolo 2104, comma 2, che specifica che il lavoratore subordinato deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. Invero, secondo la novella ex art. 2222 del codice civile, si considera autonomo il lavoro svolto senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. È evidente come il criterio distintivo rispetto alla fattispecie del lavoro subordinato sia quello dell’assenza di eterodirezione dell’attività lavorativa, che è dunque liberamente organizzata dal lavoratore autonomo. Altra caratteristica fondamentale del lavoro autonomo, è che deve trattarsi di lavoro prevalentemente proprio, così distinguendo i lavoratori autonomi, ed i piccoli imprenditori (come i coltivatori diretti, piccoli artigiani e commercianti) dall’imprenditore vero e proprio, che è colui che organizza il lavoro altrui. Nella zona di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo si colloca la fattispecie del lavoro autonomo cosiddetto “parasubordinato”. Il lavoro parasubordinato trova la sua definizione nell’articolo 409 numero 3, del codice di procedura civile, che estende il processo del lavoro ai rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa. In questo caso si parla di prevalenza e non di esclusività, dell’attività personale, che è dunque compatibile con l’utilizzazione di mezzi tecnici e di collaboratori, purché l’opera diretta dell’interessato resti decisiva e non limitata alla organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. L’altro elemento tipico di questa fattispecie è quello della continuatività dell’attività della collaborazione, che non richiede necessariamente una ripetizione ininterrotta di incarichi, potendo bastare anche un unico contratto, purché di apprezzabile durata. Ma il requisito di più difficile interpretazione è sicuramente quello relativo al coordinamento dell’attività che va distinto dalla eterodirezione tipica del lavoro subordinato. È evidente che la differenza tra coordinamento ed eterodirezione non può essere solo di tipo quantitativo. Possiamo dire che il coordinamento si può estrinsecare nei modi più svariati, anche in relazione al tempo ed al luogo dell’attività lavorativa, senza mai sconfinare nella eterodeterminazione della prestazione mediante ordini penetranti e controlli sulle modalità di esecuzione della prestazione, che se non sono consensuali devono restare nell’autonomia del
lavoratore. A tale proposito l’articolo 15 della legge 81 del 2017 ha modificato l’articolo 409 numero 3, affermando espressamente che il coordinamento non è un potere del committente, ma deve essere realizzato di comune accordo, sempre che il collaboratore organizzi autonomamente l’attività lavorativa. In caso contrario il rapporto sarà qualificato come di lavoro subordinato. Un tipico esempio di lavoratore parasubordinato è quello dell’agente o del rappresentante di commercio, che si caratterizza per la continuatività della prestazione dipesa dalla stabilità dell’incarico, e dal coordinamento, derivante dall’obbligo di conformarsi alle istruzioni ricevute. Il termine stesso “parasubordinazione” è indicativo della natura ibrida dei contratti ad essa afferenti che, per certi aspetti, sono riconducibili al rapporto di lavoro autonomo mentre, per altri, sono del tutto assimilabili a quello subordinato. L’elemento che li differenzia maggiormente dal contratto di lavoro autonomo è il necessario coordinamento dell’attività lavorativa con la struttura organizzativa del committente, da cui si origina quella particolare condizione di debolezza e soggezione economica del prestatore nei confronti del committente, tipica del lavoratore subordinato. Ciò che invece rende i contratti parasubordinati accostabili al lavoro autonomo è l’assenza di un vincolo di subordinazione vero e proprio, in quanto, al pari del prestatore autonomo, il lavoratore parasubordinato si obbliga a compiere un’opera o un servizio a favore del committente senza alcun vincolo effettivo di subordinazione. Il problema sorge dal fatto che non è possibile qualificare un rapporto di lavoro a priori, in base, cioè, al tipo di mansioni assegnate; è quindi necessario verificare in concreto, a posteriori, come una certa attività venga effettivamente svolta dal lavoratore. Allo stato attuale, a seguito di un’evoluzione normativa complessa, sono sostanzialmente rinvenibili due aree contrattuali ascrivibili alla parasubordinazione il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co) e il contratto di prestazione occasionale (CpO). Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) rappresenta la prima forma di lavoro parasubordinato introdotta nel nostro ordinamento con la legge 533/1973 che, modificando l’articolo 409 cpc, ha esteso l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro anche ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, nonché a tutti gli altri rapporti di collaborazione che si concretizzano “ in una prestazione d’opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato. Al fine di assicurare una tutela minima al collaboratore, che si viene a trovare in una condizione di debolezza socio-economica equiparabile a quella del lavoratore subordinato, al co.co.co sono state estese, a più riprese, alcune misure proprie del rapporto di lavoro subordinato. Il primo intervento legislativo si è avuto con il D.Lgs 276/2003, in attuazione della cosiddetta Legge Biagi, con il quale si giunge a stabilire che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per essere legittimi, debbano essere riconducibili ad uno o più “progetti specifici” consistenti in programmi di lavoro (o singole fasi di esso) determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato (cosiddetti co.co.pro). Tuttavia, dall’entrata in vigore del D.Lgs 81/2015 non è più possibile stipulare i cosiddetti mini co.co.co o contratti di collaborazione occasionale. Il mini co.co.co era un contratto avente natura meramente “occasionale e saltuaria” e le cui finalità erano quelle di assicurare al lavoratore le tutele minime previdenziali e di contrastare eventuali forme di lavoro non regolare. Per sopperire al sostanziale vuoto normativo, il legislatore, con legge n. 96 del 2017, ha introdotto il contratto di prestazione occasionale (CpO). Tale contratto è stipulato esclusivamente per l’esecuzione di attività svolte non abitualmente e di carattere subordinato, ossia legato ad un committente. Attraverso tale tipo di contratto, i lavoratori possono effettuare prestazioni del tutto occasionali (o comunque marginali rispetto alla loro occupazione principale) senza però incorrere nel rischio di elusione degli obblighi fiscali. La prestazione occasionale è di tipo parasubordinato in quanto non è svolta in totale autonomia ma il lavoratore deve comunque relazionarsi rispetto ad un committente, particolarità questa che lo distingue dal lavoro autonomo occasionale.
Per quanto riguarda il settore pubblico, il lavoro parasubordinato è stato vietato ed il lavoro autonomo è stato fortemente limitato, essendo ammesso solo per esigenze dell’Amministrazione riferite a progetti specifici non fronteggiabili con il personale già in servizio.
Nelle gare pubbliche, la scelta contrattualistica può andare ad inficiare circa la scelta dell’aggiudicatario di una gara ed in particolare influire sulla scelta più vantaggiosa per la stazione appaltante ledendo in un certo senso la concorrenza e creando una anomala offerta economica apparentemente vantaggiosa. Qualora l’Amministrazione consideri congrua l’offerta sulla base delle spiegazioni fornite dal concorrente in sede di verifica dell’anomalia, la sua valutazione deve ritenersi sufficientemente motivata con richiamo “per relationem” ai chiarimenti ricevuti, tanto più che la verifica delle offerte anomale non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando invece ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile e, dunque, se dia o non serio affidamento circa la corretta esecuzione” (così Cons. St. , V, n. 4450/11 cit.). Il giudizio di anomalia dell’offerta richiede una motivazione rigorosa ed analitica solo ove si concluda in senso negativo mentre, in caso positivo, non occorre che la relativa determinazione sia fondata su un’articolata motivazione ripetitiva delle medesime giustificazioni ritenute attendibili, essendo sufficiente anche una motivazione espressa “per relationem” alle giustificazioni rese dall’impresa vincitrice, sempre che queste, a loro volta, siano state congrue ed adeguate (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6154). Un simile giudizio circa l’incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal giudice amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di palese erroneità (ex multis, Cons. Stato, III, 6 febbraio 2017, n. 514; Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4755): di qui l’impossibilità di censurare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità nonché l’evidente insostenibilità dell’offerta e delle relative giustificazioni. Con la conseguenza che, ove non emergano evidenti travisamenti o irrazionalità ma solo margini di fisiologica opinabilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non potrebbe in alcun caso sovrapporre la propria valutazione a quella del competente organo della stazione appaltante, né potrebbe parimenti procedere ad una autonoma verifica di congruità dell’offerta medesima e delle sue singole voci. In sede di valutazione della non anomalia dell’offerta i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta: per tali ragioni, l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima un giudizio di anomalia o di incongruità in quanto occorre, affinché possa dubitarsi della congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata.
L’applicazione dell’accordo per la regolamentazione delle collaborazioni esclusivamente personali nel settore delle ricerche di mercato presuppone oneri precisi in capo all’imprenditore che sono incompatibili con l’occasionalità della prestazione del lavoratore. Esso è stipulato in attuazione dell’articolo 2 comma 2 lettera a del dlgs n. 81/15 al fine di regolare una particolare forma di rapporto riconducibile alle collaborazioni organizzate dal committente, come da titolo dell’articolo 2. Il primo comma di quest’ultima disposizione ha assimilato ex lege al rapporto di lavoro subordinato i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, però la disposizione non si applica nei casi previsti dal secondo comma. Tra questi ultimi vi è quello della lettera a relativo alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, vigente in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.
Ciò posto, occorre chiarire che l’art. 54 bis del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito dalla legge 21 giugno 2017 n. 96 vieta il ricorso alle prestazioni occasionali nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere e servizi. La differenza tra lavoro autonomo e parasubordinato, ritenendo che quest’ultimo è pur sempre una forma di lavoro autonomo, caratterizzato, anche in caso di natura prevalentemente personale della prestazione, dalla collaborazione continuativa e coordinata. Quest’ultima è, in casi quale quello di specie, l’elemento effettivamente distintivo rispetto alla prestazione d’opera autonoma, in quanto postula che la prestazione d’opera o di servizio, a carattere personale, si svolga continuativamente in connessione o in collegamento con il preponente/committente, per contribuire alle finalità cui esso mira (cfr. Cass. sez. II, 6 maggio 2004, n. 8598, nonché, tra le altre, Cass. 25 giugno 2007, n. 14702). In particolare, nel settore delle indagini statistiche di durata medio-lunga e ad ampio raggio commissionate in ambito pubblico, quali quelle di specie, per evitare la cesura tra la committenza -che persegue l’obiettivo di avere un quadro completo ed omogeneo del panorama che intende monitorare- e il personale incaricato di effettuare tale monitoraggio, è necessario da parte dell’appaltatore l’utilizzo di forme contrattuali del rapporto di lavoro con i soggetti incaricati delle rilevazioni che consentano direzione e coordinamento. Il contratto d’opera disciplinato dal codice civile presuppone il “lavoro prevalentemente proprio” del prestatore del servizio, che è giuridicamente, prima ancora che concretamente, incompatibile col servizio di indagini statistiche quale delineato sia nella lex specialis che nella stessa offerta tecnica.
- La questione sottoposta al Consiglio di Stato
Di recente, il Consiglio di Stato è intervenuto poiché sollecitato da parte di un privato che proponeva appello avverso la sentenza breve del Tar della Campania contro il ricorrente di primo grado e il Consorzio UnicoCampania.
L’appellante impugnava la sentenza di primo grado poiché aveva accolto il ricorso dell’appellato per l’annullamento dell’aggiudicazione della procedura per l’affidamento del servizio di indagini statistiche di frequentazione ed evasione/utilizzo, condotte con la metodologia Unico Campania, volte alla raccolta dei dati di traffico passeggeri, di possesso ed utilizzo del titolo di viaggio, relative agli utenti delle aziende di trasporto pubblico locale, sul territorio della Regione Campania, appartenenti alla Comunità tariffaria UnicoCampania da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’appalto era ripartito per due attività da svolgersi sull’utenza del trasporto pubblico, ossia attività di frequentazione e attività di evasione, con un forte ribasso dell’importo. Quella di frequentazione consiste nella conta numerica dei passeggeri che utilizzano il trasporto pubblico e viene effettuata dai rilevatori a bordo vettore contando ad ogni fermata i saliti e i discesi da ciascuna porta, mentre quella di evasione consiste nella esecuzione di interviste faccia a faccia agli utenti del trasporto pubblico in discesa dai vettori. L’oggetto dell’appalto faceva sì che l’offerta economica coincidesse integralmente con il costo del personale impiegato nello svolgimento dell’attività, costituito da rilevatori esterni, il cui rapporto di lavoro era regolato dall’accordo ASSIRM.
Il Tar della Campania, ha ritenuto che a seguito dei chiarimenti richiesti dal Consorzio nella fase di verifica dell’anomalia dell’offerta, emergessero le criticità evidenziate dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso, tali da inficiare l’offerta economica nel suo complesso rendendola globalmente inadeguata e da escludere in applicazione del comma 5 dell’articolo 110 dlgs 36/23. Il Tribunale si soffermava sulla mancanza di giustificazioni in merito alla tipologia di contratto che sarebbe stata applicata ai lavoratori coinvolti nella fase di evasione ed in merito al costo orario, compreso il salario per l’attività svolta nei giorni festivi, con conseguente incertezza sull’applicazione di un certo costo orario sia sulla ricomprensione nel costo degli oneri previdenziali.
Senonchè, l’appellante proponeva appello muovendo varie censure sia circa l’attività di analisi di evasione, sia l’analisi della attività di frequentazione. In particolare, secondo l’appellante sulla base delle valutazioni quali-quantitative e tenendo conto dell’arco temporale di diciotto mesi in cui saranno poste in essere le attività di ricerca dedotte nell’appalto. Sotto il profilo della natura giuridica del rapporto dei rilevatori esterni, si espresso riferimento ai contratti di collaborazione autonoma occasionale e/o contratti di collaborazione coordinata e continuativa in linea con quanto previsto dall’attuale normativa in materia assistenziale e previdenziale. Veniva dichiarato di applicare le disposizioni contenute nell’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione delle collaborazioni esclusivamente personali nel settore delle ricerche di mercato sottoscritto tra ASSIRM e le Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative in data 24 luglio 2017. In tale accordo il compenso orario con riferimento ai collaboratori era pari ad €. 8,33/ora. Nonostante l’appellante facesse riferimento al costo complessivo di €. 9,00 per i rilevatori esterni occorrono delle precisazioni. Ed infatti, dai giustificativi emerge che i 9,00 euro/ora indicati rappresentano un compenso orario omnicomprensivo per il prestatore. Tale compenso non tiene conto degli oneri contributivi, assicurativi, e fiscali e disattende le previsioni dell’accordo ASSIRM. Inoltre, nessun riferimento veniva fatto riguardo le criticità evidenziata dall’appaltante circa i festivi. Dunque, il ricorso di primo grado veniva accolto non perché la aggiudicataria non avrebbe fornito le giustificazioni dovute o perché la stazione appaltantesi sarebbe accontentata di chiarimenti insufficienti, ma perché, in ragione dei chiarimenti avanzati nel corso del subprocedimento di verifica di anomalia e dei giustificativi forniti dalla società, il tribunale ha ritenuto che l’offerta economica di quest’ultima violasse il trattamento salariale minimo previsto per legge ex art. 110, comma 4 lettera a e 5 del dlgs n. 36/23. Secondo il Collegio, il provvedimento di aggiudicazione è stato annullato non perché sia stata ritenuta carente o incompleta l’istruttoria compiuta dalla stazione appaltante, ma perché il tribunale ha ritenuto che dai giustificativi si traesse positiva conferma della violazione dei minimi inderogabili del costo di lavoro e della non emendabilità dell’offerta economica in relazione a questi ultimi, senza che di ciò il Consorzio avesse tenuto conto. Inoltre, copiosa giurisprudenza ammette il sindacato della valutazione discrezionale di anomalia dell’offerta da effettuarsi ripercorrendo il ragionamento seguito dall’amministrazione al fine di verificare la ragionevolezza e la coerenza dell’iter logico-giuridico, il giudice non può comunque sovrapporre la sua idea tecnica al suo giudizio non contaminato da profili di erroneità e di illogicità formulato dall’organo amministrativo, vale a dire che il giudice non può certo sostituirsi alla pubblica amministrazione delle valutazioni ad ess riservate deve perciò ordinare alla medesima la riedizione del potere, pur nel rispetto dei limiti e dei criteri individuati dalla pronuncia di annullamento (cfr., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n. 10131/22) . Tuttavia, detto orientamento presuppone che residui in capo alla pubblica amministrazione un margine di discrezionalità nella valutazione di sostenibilità dell’offerta. Sebbene quest’ultima sia la fattispecie più frequente nella casistica giurisprudenziale in tema di verifica di anomalia, vanno tenuti presenti i limiti posti dall’articolo 110, comma 4, del dlgs n. 36 del 2023, alla possibilità di giustificare l’offerta che appaia anomala, dato che non sono ammesse giustificazioni né in relazione ai trattamenti salariali minimi inderogabili dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge né in relazione agli oneri di sicurezza di cui alla normativa vigente. Il Tar ha ritenuto che nel caso di specie ricorresse la prima delle due situazioni essendo stata presentata un’offerta nella quale il costo del lavoro indicato comportava la violazione dei detti trattamenti salariali minimi inderogabili. Non si è ritenuto possibile operare correttivi dell’offerta, rispetto al detto fondamentale profilo, mediante rinnovo del subprocedimento di verifica di congruità, dal momento che la società originaria aggiudicataria ha calcolato il costo del lavoro prevedendo lo svolgimento di una delle due attività principali della commessa (indagine di evasione d in parte di frequentazione) con personale da assumere occasionalmente, quindi privato delle necessarie tutele previdenziali ed assistenziali, laddove sarebbe stato necessario prevedere gli oneri “indiretti” per l’instaurazione quanto meno di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tali oneri avrebbero poi dovuto essere sommati a quelli inerenti il costo del lavoro per i dipendenti già assunti dell’organico e per i dipendenti previsti come da assumere part-time per lo svolgimento dell’altra attività oggetto di commessa (indagine di frequentazione). L’appellante sosteneva che quanto al costo orario del personale impegnato nella commessa per tutte le attività di indagine, indicando il CCNL applicato con la specificazione dei livelli di riferimento era stato individuato con precisione nelle tabelle di cui ai primi giustificativi ed era stato evidenziato che per i dipendenti della società sarebbe stato applicato il CCNL del Commercio e Servizi, mentre peri contratti di collaborazione da attivare sarebbe stato considerato il costo orario stimato a partire dalle tariffe previste nell’accordo ASSIRM- Organizzazioni sindacali. Nei terzi giustificativi poi era stato fornito il prospetto del costo dettagliato del personale dipendente, precisando figure e livelli di riferimento delle relative tabelle rinviando per quanto riguarda i contratti di collaborazione da attivare il costo orario applicato dalla ricorrente 9,00 euro/h sarebbe stato superiore a quello previsto dall’accordo 8,52 euro/h. L’appellante circa la differenziazione tra il profilo professionale dei “rilevatori” per l’indagine di frequentazione di quello degli “intervistatori face to face” per l’indagine di evasione, nei terzi giustificativi era stato specificato che per entrambe è stato considerato il profilo di rilevatore statistico-scientifico. Sarebbe dunque errato, secondo l’appellante che non vi fosse specificata la tipologia del collaboratore/rilevatore tra quello senior junior indicate nell’accordo ASSIRM. Sarebbe anche errata, secondo l’appellante, la forma contrattuale per i collaboratori esterni (cioè il contratto d’opera e/o prestazione occasionale ex art. 2222 c.c.) Orbene, il Consiglio di stato esaminato l’appello e tutti gli atti e verbali di causa, ha ribadito che è emersa la non congruità dell’offerta economica per il calcolo del costo del lavoro del personale non legato da rapporto di lavoro subordinato. Infatti l’appellante, dal momento che l’indicazione di un costo orario di 9 euro avrebbe potuto essere considerato inferiore al minimo se riferito al rilevatore statistico-scientifico, ha esplicitato nel corso del giudizio che avrebbe inteso riferirsi al profilo junior. Va però evidenziato che per il profilo professionale “rilevatore statistico-scientifico” non è prevista dall’Accordo la distinzione tra “senior” e “junior” e che per i compensi si rinvia all’articolo 5.3. ai minimi lordi fissi e omnicomprensivi indicati nella parte fisso più variabile mentre per Senior nella tabella indicata nell’articolo 5.1. Il Collegio ritiene che l’offerta economica continua ad essere calibrata su una tipologia di attività non adeguata al tipo di servizio, così come concluso dal giudice di primo grado relativamente al fatto che il costo del lavoro dei rilevator/intervistatori esterni venga giustificato con l’utilizzo della forma contrattuale del lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. Il riferimento all’accordo Assirm appare incompatibile con la pretesa dell’appellante, sviluppata nel secondo grado di giudizio, di ascrivere al lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. il rapporto di instaurare con i rilevatori esterni. La forma del rapporto trova disciplina dell’articolo 2 del dlgs n. 81/15 ed in particolare una eccezione è rappresentata dall’articolo 2 comma 2 lettera a.
L’accordo Assirm del 22 gennaio 2014 è stato ricondotto alla previsione dell’articolo 2 lettera a del dlgs n. 81/15 con ratifica del 6 novembre 2015 e successivamente aggiornata il 24 luglio 2017. L’art. 1, comma 2, dell’Accordo intitolato rapporti di lavoro parasubordinato: ambito di applicazione precisa che le parti concordano che la condizione affinché il presente Accordo abbia il valore indicato dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2015, come soprarichiamato, è che l’azienda lo applichi nel suo complesso e non solo parzialmente, in quanto le norme del medesimo sono tra loro correlate e inscindibili, sia nell’ambito dei singoli istituti che nel loro complesso.
L’art. 3 comma 1 lettera b) del medesimo Accordo precisa inoltre che per tutta la durata del contratto di collaborazione, nell’esercizio degli incarichi a lui affidati e al fine del loro migliore e utile svolgimento, il Collaboratore si coordina con i referenti del Committente che gli verranno indicati oltre a poter accedere ai locali aziendali e utilizzare la strumentazione aziendale necessaria (lettera a) e a dover agire coerentemente con gli specifici regolamenti (procedurali, di sicurezza, etc.) e/o col codice etico eventualmente adottati dal committente (lettera c). L’art. 14, infine, demanda ad ulteriori incontri l’eventuale definizione di altre tipologie contrattuali (prestazioni d’opera tramite partita IVA, collaborazioni occasionali autonome ex art. 2222 c.c., collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 c.p.c.). La stessa ricorrente nei giustificativi ha per un verso ribadito che soltanto l’applicazione integrale dell’Accordo consente di sottrarre le collaborazioni personali nel settore delle ricerche di mercato alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato (che costituirebbe invece la regola ex art. 1 del d.lgs. n. 15 del 1981, secondo cui il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, per altro verso che la forma della collaborazione occasionale autonoma ex art. 2222 cod. civ. è incompatibile con la scelta di applicare l’Accordo ASSIRM nella versione del luglio 2017 richiamata. Dunque, i lavoratori hanno diritto al trattamento economico e normativo previsto dal medesimo Accordo, quindi, tra l’altro, alle tutele previdenziali, assistenziali ed infortunistiche stabilite per le collaborazioni continuative e coordinate. Sgomberato, infatti, il campo, come riconosciuto dalla stessa appellante dal ricorso alle prestazioni occasionali di cui all’art. 54 bis del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito dalla legge 21 giugno 2017 n. 96 che prevede ben determinati presupposti soggettivi e oggettivi e che vieta l’impiego di tale forma contrattuale nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere e servizi – residua il contratto d’opera disciplinato dal codice civile. Esso presuppone tuttavia il “lavoro prevalentemente proprio” del prestatore del servizio, che è giuridicamente incompatibile col servizio di indagini statistiche oggetto dell’affidamento quale delineato sia nella lex specialis che nella stessa offerta tecnica dal momento che quanto alla prima, l’attività di rilevamento dei dati rappresenta l’unico oggetto della commessa, sia per l’indagine di frequentazione che per l’indagine di evasione, da svolgersi, per l’una e per l’altra, secondo un “piano di campionamento” contenente i dati richiesti dalla stazione appaltante e col rilevamento di circa 15.500 corse, la prima, e la conduzione di circa 105.000 interviste in contesti determinati, la seconda; per un periodo di ben diciottomesi e nell’ambito dell’intera Regione Campania, per entrambe (art. 5 del bando di gara e artt. 2 e 3 del disciplinare di gara). Sebbene, correttamente, la stazione appaltante abbia rimesso a ciascun operatore economico concorrente l’organizzazione delle risorse lavorative prevedendo quale contenuto dell’offerta tecnica e sub criterio di relativa valutazione, tra l’altro, soltanto la organizzazione delle risorse impiegate nelle rilevazioni: descrizione ed esperienza dell’organico che sarà impiegato nello svolgimento del Servizio (numero, qualifica, riferimenti e area di specializzazione del personale che sarà impiegato); possibilità di richiedere l’esecuzione di un turno di lavoro, non precedentemente programmato, fino a 12 ore prima dell’inizio dello stesso; possibilità di rimodulare il turno di lavoro in funzione di fattori contingenti non previsti; l’attività oggetto dell’affidamento presuppone, oltre alla specifica formazione dei rilevatori, la gestione di turn idi servizio ed il controllo del loro operato (essendo tra l’altro previsto dal bando un referente per ciascuna delle due indagini che dovrà interfacciarsi con il Consorzio per gli aspetti operativi e la soluzione delle criticità estemporanee quindi la stabilità dell’impiego del personale e la continuità delle relative prestazioni. Tali caratteristiche sono incompatibili con la sporadicità delle prestazioni che caratterizza i contratti autonomi disciplinati dall’art. 2222 cod. civ.; s’impone piuttosto l’inserimento della rete dei rilevatori in un contesto organizzativo che non può essere assicurato chiamando volta a volta diversi collaboratori occasionali poiché è necessario programmarne l’impiego ed organizzarlo, fornendo direttive e sovrintendendo alle indagini, come è tipico della collaborazione continuativa personale nel settore delle indagini di mercato regolata dall’Accordo ASSIRM; la relazione tecnica inserita dalla ricorrente nella Busta B è d’altronde coerente con le richieste del bando e del disciplinare di gara, prevedendo, quanto al sub criterio della organizzazione delle risorse impiegate nelle rilevazioni il ricorso al gruppo di intervistatori/rilevatori costituito dalla “rete” facente capo alla società, che in Campania è indicata come composta da 500 rilevatori con l’impegno a fare in modo che il gruppo di lavoro degli intervistatori/rilevatori sia stabile in modo tale che le rilevazioni vengano effettuate sempre dalle stesse persone in modo tale da incidere positivamente sulla qualità del lavoro. Giova sottolineare che la quaestio iuris oggetto del caso di specie trattato dal Consiglio di Stato non attiene alla distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato (per la quale cfr. Cons. Stato, V, 24 gennaio 2023, n. 783), bensì a quella tra lavoro autonomo e lavoro c.d. parasubordinato, che è pur sempre una forma di lavoro autonomo, caratterizzato, anche in caso di natura prevalentemente personale della prestazione, dalla collaborazione continuativa e coordinata. Quest’ultima è, in casi quale quello di specie, l’elemento effettivamente distintivo rispetto alla prestazione d’opera autonoma, in quanto postula che la prestazione d’opera o di servizio, a carattere personale, si svolga continuativamente in connessione o in collegamento con il preponente/committente, per contribuire alle finalità cui esso mira (ex multis, Cass.civ. sez. II, 6 maggio 2004, n. 8598, e Cass. Civ. 25 giugno 2007, n. 14702). Rilevano le esigenze rappresentate dalla stazione appaltante nella legge di gara, cui il modello organizzativo delle risorse da parte dell’imprenditore deve fornire riscontro. Nel settore delle indagini statistiche di durata medio-lunga e ad ampio raggio commissionate in ambito pubblico, quali quelle di specie, per evitare la cesura tra la committenza -che persegue l’obiettivo di avere un quadro completo ed omogeneo del panorama che intende monitorare e il personale incaricato di effettuare tale monitoraggio, è necessario da parte dell’appaltatore l’utilizzo di forme contrattuali del rapporto di lavoro con i soggetti incaricati delle rilevazioni che consentano direzione e coordinamento (come affermato già nella decisione del Tar del Lazio n. 10123/2022. Secondo il Collegio, la breve digressione di stampo concettuale per chiarire le caratteristiche della prestazione d’opera occasionale ex art. 2222 c.c. contenuta nell’atto di appello conferma le conclusioni appena raggiunte, laddove individua nell’organizzazione da parte del committente le collaborazioni di lavoro continuative non riconducibili alla disposizione del codice civile (ed in proposito pare opportuno sottolineare come costituiscano forme di “organizzazione” del lavoro altrui le attività di “consegna e di illustrazione delle attività da svolgere”, con indicazione di tempi e luoghi, e di “successivo controllo finale”. Al fine di distinguere tra collaborazioni autonome occasionali e collaborazioni coordinate e continuate rilevano piuttosto il coordinamento e la continuità, che sono incompatibili con la prestazione di lavoro autonomo “occasionale”. La natura meramente esecutiva e standardizzata delle prestazioni da affidare ai rilevatori “esterni” avvalora il ragionamento, poiché ben lontana dalla natura delle prestazioni che giustificano il ricorso al prestatore d’opera autonomo ex art. 2222 c.c. Tuttavia, il comprovato mancato rispetto delle altre previsioni dello stesso Accordo, in relazione al trattamento economico minimo del personale da assumere per le collaborazioni nel settore delle ricerche di mercato rende la corrispondente deduzione carente di interesse. Pertanto il Consiglio di Stato ha respinto definitivamente l’appello proposto.
Nel caso che ci occupa, il Consiglio di Stato ribadisce che il lavoro “parasubordinato” è una forma di lavoro autonomo, caratterizzato, anche in caso di natura prevalentemente personale della prestazione, dalla collaborazione continuativa e coordinata. Quest’ultima è l’elemento effettivamente distintivo rispetto alla prestazione d’opera autonoma, in quanto postula che la prestazione d’opera o di servizio, a carattere personale, si svolga continuativamente in connessione o in collegamento con il preponente/committente, per contribuire alle finalità cui esso mira.