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Anno XVI - n. 12 - Dicembre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Lo “scudo erariale” alla luce della sentenza n. 132/2024 della Corte costituzionale

Di Giovanni Rea
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Lo “scudo erariale” alla luce della sentenza n. 132/2024 della Corte costituzionale

 

Di Giovanni Rea

 

 

Abstract

Il presente elaborato analizza l’impatto sul regime della responsabilità erariale dell’art. 21, comma 2, del decreto semplificazioni, che ne ha previsto una temporanea esclusione limitatamente alle condotte commissive gravemente colpose; dopo l’esposizione delle principali perplessità sollevate dalla dottrina, si pone l’attenzione sulla sentenza n. 132 del 6 giugno 2024, con cui la Consulta si è espressa su molteplici questioni di legittimità costituzionale della norma in esame promosse dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania.

 

The paper analyses the temporary limitation of treasury liability introduced by the decreto semplificazioni, exposing the main doubts raised by the doctrine and focusing, in particular, on the decision no. 132/2024 of the Constitutional Court.

 

Sommario: 1. Introduzione – 2. Le critiche della dottrina e l’opinione della Corte costituzionale: la sentenza n. 132/2024 – 3. Le prospettive future della responsabilità erariale.

 

  1. Introduzione

Come noto, l’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ha inciso in maniera estremamente significativa sul regime della responsabilità erariale, escludendola – seppur temporaneamente – per le sole condotte commissive connotate da colpa grave[1]; il termine ultimo di vigenza di tale norma – inizialmente previsto per il 31/07/2021 – è stato più volte prorogato, e, salvo ulteriori proroghe, scadrà il prossimo 31 dicembre[2].

Tale previsione mira a combattere la cd. “burocrazia difensiva” – anche nota come “timore della firma” -, ossia quel fenomeno cresciuto a dismisura negli ultimi anni che spinge i dipendenti pubblici dotati di poteri decisionali ad astenersi dal “fare” per evitare di incorrere in responsabilità erariale e, di conseguenza, di essere condannati al risarcimento danni; a tal proposito, dunque, è stata delineata una netta scissione tra dolo e colpa grave, stabilendo che, mentre a titolo di dolo sono punibili sia le condotte commissive che quelle omissive, a titolo di colpa grave sono punibili solo le condotte omissive[3]. Riprendendo le parole usate nella relazione illustrativa, il decreto semplificazioni vuol far sì che: «i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni o inerzie) rispetto al fare». Tuttavia, è da evidenziare che non si tratta della prima volta in cui il Governo avverte la necessità di prevedere un’attenuazione di responsabilità per scardinare atteggiamenti eccessivamente prudenti; nello specifico, per combattere l’analogo problema della c.d. “medicina difensiva”, il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 58, convertito nella legge 8 novembre 2012, n. 189 – meglio noto come decreto Balduzzi – ha escluso la responsabilità a titolo di colpa lieve per l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Sulla scia del decreto Balduzzi, la successiva legge Gelli-Bianco (L. 08/03/2017, n. 24) ha introdotto l’art. 590-sexies c.p. che, al secondo comma, esclude la punibilità dell’esercente la professione sanitaria che abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali ma che, per imperizia, abbia cagionato lesioni personali o la morte del paziente.

 

  1. Le critiche della dottrina e l’opinione della Corte costituzionale: la sentenza n. 132/2024

Ciò detto, la norma introdotta dal decreto semplificazioni ha dato adito a perplessità e profonde riflessioni in dottrina e giurisprudenza, sia sotto il profilo della legittimità costituzionale che sotto quello della sua concreta efficacia. In primo luogo, in molti ritenuto errato lo strumento di normazione utilizzato, essendo sottese a tale previsione esigenze ormai note da tempo che collidono con i requisiti di straordinaria “necessità” e “urgenza” che giustificano, ex art. 99 Cost., il ricorso alla decretazione d’urgenza; al contrario, è stato osservato che sarebbe stato più opportuno seguire l’iter ordinario di produzione legislativa, in grado di garantire una regolamentazione più puntuale e articolata della materia[4]. In secondo luogo, è stato rilevato che, non essendo stata estesa anche al settore civile, la limitazione della responsabilità ha paradossalmente alimentato condotte omissive da parte dei dipendenti pubblici; infatti, non disponendo, il giudice ordinario, del potere riduttivo riconosciuto al giudice contabile dall’art. 83, co. 1, R.D. 18/11/1923, n. 2240, generalmente l’azione esperita in sede civile conduce a condanne risarcitorie più gravose. Pertanto, messi alle strette, i dipendenti pubblici hanno mostrato di “preferire” di incorrere in responsabilità erariale piuttosto che in responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Quanto alla legittimità costituzionale della norma in esame, la Consulta, con la sentenza n. 132 del 6 giugno 2024, ha eliminato – almeno in parte – i dubbi; nel caso di specie, con ordinanza del 18 dicembre 2023, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2024, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della suddetta norma in riferimento agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 della Costituzione. La Procura regionale della Corte dei conti evocava in giudizio i militari dell’Arma dei carabinieri T. T., M. V., V. C., V. L., F. B. e S. R., per sentirli condannare, in favore del Comando Legione carabinieri Campania, al risarcimento del danno erariale quantificato in complessivi euro 2.413.150,00 per il primo, convenuto in via principale a titolo di dolo, ed in euro 2.013.350,00 per gli altri, convenuti in via sussidiaria a titolo di colpa grave, «in conseguenza di un ammanco di cassa dovuto a plurime riscossioni» di settantotto assegni non autorizzati, avvenute tra il 7 maggio 2010 e il 20 gennaio 2021; dunque, veniva addebitata una condotta dolosa al brigadiere T.T. – che, in quegli anni, aveva ricoperto il ruolo di cassiere e non aveva riversato le somme riscosse con i menzionati assegni nelle casse del servizio amministrativo del Comando – e condotte a titolo di colpa grave agli altri militari che, nel periodo in esame, avevano svolto i ruoli di capi del servizio amministrativo e della gestione finanziaria, sia commissive - per la firma degli assegni - che omissive - per il mancato controllo sulla documentazione contabile e sui conti-. Nel chiedere la condanna dei convenuti, la Procura regionale eccepiva l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76/2020 in quanto «norma di presumibile applicabilità nella vicenda ma irragionevolmente limitatrice della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi di condotte commissive dolose», colpevole di ingenerare una «irrazionale disparità di trattamento, priva di qualsiasi valida giustificazione ed al di fuori della stessa ratio che la disciplina intende perseguire»; emblematica, in tal senso, era la disparità di trattamento riservata ai convenuti autori di condotte commissive gravemente colpose, dal momento che, in applicazione del decreto semplificazioni, sarebbero incorsi in responsabilità erariale solo quelli le cui condotte erano anteriori alla sua entrata in vigore.

In data 19 marzo 2024, interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri che, eccependo l’infondatezza delle questioni sollevate, chiariva che il decreto semplificazioni, al fine di favorire la ripresa economica a seguito della grave crisi provocata dall’emergenza epidemiologica, ha inteso: «corrispondere alla necessità e urgenza di assicurare la semplificazione delle procedure amministrative in materia di contratti pubblici, di edilizia e di responsabilità del personale delle amministrazioni, nonché di introdurre misure di semplificazione in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione, ambiente e green economy».

La Corte costituzionale, dopo aver preliminarmente ricostruito la nascita e l’evoluzione della responsabilità erariale ed averne delineato le caratteristiche, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate, ribadendo che la disciplina della responsabilità amministrativa deve sforzarsi di trovare un punto di equilibrio che, da un lato, faccia sì che i dipendenti pubblici si astengano dal tenere comportamenti lesivi dei principi sanciti dall’art. 97 Cost. e che, dall’altro, non li conduca ad un immobilismo tale da congestionare l’azione amministrativa. Tuttavia, tale punto di equilibrio non può essere fissato dal legislatore una volta per tutte, ma va: «modulato in funzione del contesto istituzionale, giuridico e storico in cui opera l’agente pubblico, e del bilanciamento che il legislatore medesimo – nel rispetto del limite della ragionevolezza – intende effettuare, in tale contesto, tra le due menzionate esigenze»; è proprio in quest’ottica che va analizzato e valutato l’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, emanato nel bel mezzo dell’emergenza da Covid-19 e con il chiaro obiettivo di dare nuova linfa all’economia nazionale[5].

Ne consegue che la previsione del c.d. scudo erariale è legittima se e nella misura in cui è temporanea e strumentale a fronteggiare esigenze straordinarie di necessità ed urgenza[6].

 

  1. Le prospettive future della responsabilità erariale

Nel respingere le questioni di legittimità costituzionale, la Consulta ha manifestato la necessità di una riforma complessiva della responsabilità erariale, sollecitando il legislatore a provvedere:

-ad un’adeguata tipizzazione della colpa grave (come già fatto dall’art. 2, comma 3 del nuovo Codice dei contratti pubblici)[7];

-all’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno resta a carico dell’Amministrazione, senza gravare sul dipendente;

-alla tipizzazione dei casi in cui il giudice contabile è obbligato ad esercitare il suo potere riduttivo;

-all’ampliamento dei poteri di controllo della Corte dei conti e alla previsione dell’esclusione della responsabilità colposa per coloro i quali si adeguino alle sue indicazioni;

-alla previsione di specifiche ipotesi di esclusione della responsabilità colposa per i pubblici dipendenti chiamati a svolgere funzioni particolarmente delicate;

-ad introdurre il principio secondo il quale il dipendente pubblico non possa, per lo stesso fatto, incorrere in più responsabilità.

Altrimenti, in mancanza di una complessiva riforma della responsabilità amministrativa, al venir meno dello “scudo erariale” la “burocrazia difensiva” tornerà inevitabilmente a regnare sovrana e comprometterà – forse irrimediabilmente - il principio di buon andamento.

 

 

[1] La norma recita testualmente: «Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente».

[2] Tale norma si riflette sull’art. 1 della legge 14 febbraio 1994, n. 20, che oggi recita testualmente: «La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso. In ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall'emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell'esercizio del controllo. La gravità della colpa e ogni conseguente responsabilità sono in ogni caso escluse per ogni profilo se il fatto dannoso trae origine da decreti che determinano la cessazione anticipata, per qualsiasi ragione, di rapporti di concessione autostradale, allorché detti decreti siano stati vistati e registrati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità svolto su richiesta dell'amministrazione procedente. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi».

[3] E. AMANTE, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa nella prospettiva delle scienze comportamentali, in Rivista della Corte dei conti – n. 3/2022, definisce la colpa grave per la responsabilità amministrativa come: «l’inosservanza delle più elementari regole di buon senso e prudenza», o «la sprezzante trascuratezza dei propri doveri».

[4] Sul punto, G. GARGIULO, Aspetti critici della riforma della responsabilità erariale, in rivista Il diritto amministrativo - n.11/2024.

[5] La Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale dell’utilizzo della decretazione d’urgenza per la modifica del reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., con la sentenza n. 8 del 18 gennaio 2022, ha statuito che: «Benché l’esigenza di contrastare la “burocrazia difensiva” e suoi guasti, agendo sulle cause del fenomeno, fosse già da tempo avvertita, la scelta di porre mano all’intervento è maturata solo a seguito dell’emergenza pandemica da COVID-19, nell’ambito di un eterogeneo provvedimento d’urgenza volto a dare nuovo slancio all’economia nazionale, messa a dura prova dalla prolungata chiusura delle attività produttive disposta nella prima fase acuta dell’emergenza. Si allude al d.l. n. 76 del 2020, correntemente noto come “decreto semplificazioni”. Il provvedimento si occupa, in un apposito capo (il Capo IV del Titolo II), intitolato «[r]esponsabilità», delle due principali fonti di “timore” per il pubblico amministratore (e, dunque, dei suoi “atteggiamenti difensivistici”): la responsabilità erariale e la responsabilità penale. Entrambe vengono fatte oggetto di modifiche limitative e all’insegna della maggiore tipizzazione. Quanto alla responsabilità penale, l’art. 23 del decreto-legge in esame – norma oggi censurata, rimasta invariata all’esito della conversione operata dalla legge n. 120 del 2020 – ridefinisce per la terza volta, nel suo unico comma, il perimetro applicativo del delitto di abuso d’ufficio: nell’occasione, però, senza riscrivere per intero la disposizione del codice penale, ma incidendo in modo “mirato” sulla prima delle due condotte tipiche, rappresentata dalla «violazione di norme di legge o di regolamento» (mentre quella alternativa dell’inosservanza di un obbligo di astensione resta invariata). La modifica consiste, in specie, nella sostituzione della locuzione «di norme di legge o di regolamento» con l’altra «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». In negativo, dunque, la recente novella estromette il riferimento ai regolamenti; in positivo, richiede che la violazione abbia ad oggetto regole specifiche previste in modo espresso da fonti primarie e che non lascino al funzionario pubblico spazi di discrezionalità. Particolarmente su questo secondo versante, risulta

trasparente l’intento di sbarrare la strada alle interpretazioni giurisprudenziali che avevano dilatato la sfera di operatività della norma introdotta dalla legge n. 234 del 1997: la puntualizzazione che l’abuso deve consistere nella violazione di regole specifiche mira ad impedire che si sussuma nell’ambito della condotta tipica anche l’inosservanza di norme di principio, quale l’art. 97 Cost.; richiedendo che le regole siano espressamente previste dalla legge e tali da non lasciare «margini di discrezionalità» si vuol negare rilievo a compimento di atti viziati da eccesso di potere. Si è, dunque, al cospetto di una modifica di segno restrittivo dell’area di rilevanza penale – specie nel raffronto con la “norma vivente” disegnata dalle ricordate interpretazioni giurisprudenziali – con conseguenti effetti di abolitio criminis parziale, operanti, come tali, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, cod. pen., anche in rapporto ai fatti anteriormente commessi (quali quelli oggetto del giudizio a quo)».

[6] L’art. 1 del decreto semplificazioni, a tal proposito, individua la ratio dello stesso nella: «straordinaria necessità e urgenza di realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, operando senza pregiudizio per i presidi di legalità».

[7] La norma recita testualmente: «ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza».