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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Giurisprudenza Amministrativa



Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 aprile 2018, n. 3

A cura di Giulia Russo
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Il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale - in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica amministrazione - e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto - persona fisica o giuridica - è precluso avere con la Pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.”

L’art. 67, comma 1, lett. g),  d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa, riconosciutigli da una sentenza passata in giudicato.

La questione.

La vicenda posta all’attenzione dell’Adunanza Plenaria dal Cons. St., Sez. V, ord., 28.08.2017, n. 4078 ha avuto ad oggetto la questione concernente la possibilità da parte della P.A. di erogare somme di denaro, spettanti a titolo di risarcimento danno, in favore di un soggetto che sia stato destinatario - ancor prima della definizione del giudizio risarcitorio - di una informativa interdittiva antimafia, conosciuta solo successivamente alla formazione del giudicato e taciuta dal soggetto stesso; ovvero se il giudicato favorevole, una volta formatosi, obblighi in ogni caso la P.A. a darvi corso e a corrispondere, quindi, la somma accertata come spettante.

Il fatto.

Nel caso di specie, i giudici amministrativi, Cons. St., Sez. V., sent., 11.02.2014, n. 644, riconoscevano alla società ricorrente il diritto al risarcimento del danno composto dal mancato utile derivante dalla negativa aggiudicazione dell’appalto e dal danno all’immagine.

Tuttavia, soltanto in epoca successiva alla suddetta pronuncia, si apprendeva che nel 2013 la società ricorrente era stata destinataria di una informativa interdittiva antimafia ex artt. 84, comma 3, e 91, comma 6, d.lgs. 159/2011.

Pertanto, la stazione appaltante proponeva ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 644 del 2014, poi respinto dal Consiglio di Stato, Sez. V., con sentenza del 16.03.2016, n. 1078.

In particolare, i giudici rimettenti riscontravano un problema circa l’effettiva eseguibilità della sentenza, dal momento che era emerso a carico dell’impresa vittoriosa in giudizio una informativa interdittiva sfavorevole, stante la preclusione di cui all’art. 67, comma 1, lett. g), d.lgs. 159/2011, in base al quale “le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”.

L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di   Stato.

Cosicché, i giudici rimettenti sollevavano due questioni di diritto:

  1. se la previsione di cui al comma 1, lettera g), dell’articolo 67 d.lgs. 159/2011 possa essere intesa anche nel senso di precludere il versamento in favore dell’impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in relazione a una vicenda sorta dall’affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto;
  2. se osti a tale prospettazione il generale principio dell’intangibilità della cosa giudicata.

In relazione alla prima questione di diritto prospettata, affermavano che “la problematica risiede nel fatto che la previsione normativa espressamente richiama “altre erogazioni dello stesso tipo”, concetto generale ed al tempo stesso generico che non consente di stabilire con ragionevole certezza se vi rientri anche un credito di natura risarcitorio, definitivamente accertato in sede giurisdizionale (nel caso di specie conseguenza dell’illegittima mancata aggiudicazione di un appalto).

Mentre un’interpretazione di carattere letterale (compatibile con il carattere evidentemente afflittivo della disposizione in esame) condurrebbe ad escludere che il risarcimento del danno presenti una eadem ratio rispetto “[ai] contributi, finanziamenti o mutui agevolati” di cui è menzione nell’ambito della stessa lettera g), dall’altra parte un’interpretazione logico – sistematica (capace di valorizzare la funzione dalla norma e l’obiettivo con essa perseguito di contrasto a fenomeni di criminalità su base associativa) dovrebbe condurre a ritenere che il ‘catalogo’ delle ipotesi di cui alla lettera g) sia ‘aperto’ e che la locuzione “altre erogazioni dello stesso tipo”, lungi dal ‘chiudere’ l’elencazione, presenti piuttosto una valenza – per così dire – ‘pan-tipizzante’, volta ad impedire nella sostanza l’erogazione di qualunque utilità di fonte pubblica in favore dell’impresa in odore di condizionamento malavitoso, a prescindere dalla fonte e dal tipo di tale utilità”.

A tal fine, veniva richiamato quanto già affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la propria decisione del 05.06.2012, n. 9, la quale, analizzando l’art. 4 d. lgs. n. 490/1994 (coincidente con il vigente art. 67 d.lgs. 159/2011), ha affermato che “l’ampia clausola di salvaguardia contenuta nella citata prescrizione è idonea a ricomprendervi quelle . . . in cui la matrice indennitaria sia più immediatamente percepibile rispetto a quella compensativa sottesa ad ogni altra tipologia di erogazione”. D’altra parte, affermano i giudici rimettenti, “non si vede perché nella suddetta ratio dovrebbero rientrare unicamente le erogazioni dirette ad arricchirlo (l’imprenditore colpito da interdittiva, ndr) e non anche quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita sussistendo per entrambe il pericolo che l’esborso di matrice pubblicistica giovi ad un’impresa soggetta ad infiltrazioni criminali”.

Ciò posto, con riferimento, poi, alla seconda questione, i giudici rimettenti sostenevano che “occorre stabilire  se (i)  il giudicato formale, in qualsiasi modo formatosi, impedisca in ogni caso all’amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascente di corrispondere una somma di denaro a titolo risarcitorio ad un soggetto attinto da un’informativa interdittiva antimafia mai entrata nella dialettica processuale, anche se precedente alla formazione del giudicato (ii) oppure se le finalità e la ratio dell’informativa interdittiva antimafia diano vita ad una situazione di incapacità legale ex lege (tendenzialmente temporanea e capace di venir meno con un successivo provvedimento dell’autorità prefettizia) che produca corrispondente sospensione temporanea dell’obbligo per l’amministrazione di eseguire quel giudicato”.

La decisione adottata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

A fronte delle prospettate questioni da parte dei giudici rimettenti, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha preliminarmente ricostruito la natura e la ratio dell’istituto dell’interdittiva antimafia.

Sul punto, l’Alto Consesso ha chiarito che l’interdittiva antimafia è un provvedimento amministrativo - adottato all’esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale vi è previsione delle indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario - al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost..

Il provvedimento in questione è finalizzato a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, che possano condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione. Pertanto, l’interdittiva antimafia si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

L’interdittiva esclude, dunque, che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, ora titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni; ora destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati; ora (come ricorre nel caso de quo) essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.

Sulla base dei rilievi svolti, l’interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica, consistente nella inidoneità del soggetto destinatario ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione[1].

In particolare, l’interdittiva prefettizia antimafia si caratterizza in quanto (i) parziale, ossia limitata ai rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione, con riferimento a precisi casi espressamente indicati dalla legge (ex art. 67 d.lgs. 159/2011); (ii) tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente, il Prefetto.

Fermo tutto quanto già dedotto, ad avviso dell’Adunanza, anche sulla scorta della propria precedente decisione n. 9 del 2012, l’espressione usata dal legislatore nell’art. 67 d.lgs. 159/2011 e concernente il divieto di ottenere da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali” deve essere intesa nel senso che ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa.

Ed invero, a parere dell’Alto Consesso, la ratio della norma si rinviene nel fatto che con essa il Legislatore intende impedire ogni attribuzione patrimoniale da parte della Pubblica Amministrazione in favore di tali soggetti ritenuti “inaffidabili”, di modo che l’art. 67, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 159 del 2011 deve essere interpretato nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A..

In particolare, l’effetto prodotto dall’interdittiva antimafia in termini di “incapacità” rende possibile comprendere come non assuma rilievo il problema della “intangibilità del giudicato”.

Ed infatti, con riferimento alla seconda delle questioni prospettate dall’ordinanza di rimessione concernente l’intangibilità del giudicato, ad avviso dell’Adunanza Plenaria, se il soggetto destinatario dell’interdittiva antimafia ha una particolare forma di incapacità ex lege, il problema non è più rappresentato dalla intangibilità (o meno) del giudicato che sarebbe “vulnerato” dalla ritenuta impossibilità per la Pubblica Amministrazione di corrispondere le somme al cui pagamento è stata condannata con la sentenza passata in giudicato. E ciò perché l’impossibilità di erogazione non consegue ad una “incisione” del giudicato, bensì consegue alla incapacità del soggetto (che astrattamente sarebbe) titolare del diritto da esso nascente a percepire quanto spettantegli.

Ma vi è di più.

L’effetto dell’interdittiva non è quello di “liberare” la Pubblica Amministrazione dalle obbligazioni (risarcitorie) per essa derivanti dall’accertamento e condanna contenuti nella sentenza passata in giudicato; né tantomeno quello di modificare la sussistenza del diritto di credito definitivamente accertato, né ancora di incidere sull’actio judicati.

Dunque, l’interdittiva antimafia non incide sull’obbligazione della Pubblica Amministrazione, bensì sulla “idoneità” dell’imprenditore ad essere titolare (ovvero a persistere nella titolarità) del diritto di credito.

Ed invero, il destinatario della misura interdittiva, titolare in astratto dei diritti riconosciutigli dalla sentenza passata in giudicato, risulta tuttavia essere, per ragioni diverse ed esterne, incapace ad assumere o a mantenere (per il tempo di durata degli effetti dell’interdittiva) la titolarità non già dei soli diritti accertati con la sentenza, ma, più in generale, di tutte le posizioni giuridiche comunque riconducibili all’ambito delineato dall’art. 67 d.lgs. 159/2011.

A ciò si aggiunga, da ultimo, che l’inidoneità ad essere (seppure temporaneamente) titolare del diritto di credito comporta anche l’impossibilità di farlo valere in sede giurisdizionale nei confronti del debitore.

Di contro, nel caso in cui venga meno l’incapacità determinata dall’interdittiva, quel diritto di credito, riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato, “rientra” pienamente nel patrimonio giuridico del soggetto, con tutte le facoltà ed i poteri allo stesso connessi, e ciò non in quanto una “causa esterna” (il provvedimento di interdittiva antimafia) ha inciso sul giudicato, ma in quanto il soggetto che è stato da questo identificato come il titolare dei diritti ivi accertati torna ad essere idoneo alla titolarità dei medesimi.

Gli istituti rilevanti.

La questione oggetto della presente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, involge, in particolare, l’istituto della informativa prefettizia antimafia.

Sul punto, occorre precisare come l’informativa prefettizia antimafia costituisca una delle misure di prevenzione amministrative previste dal Codice antimafia (d.lgs. 159/2011).

In particolare, la documentazione antimafia, ex art. 84 d.lgs. 159/2011[2], ha ad oggetto la distinzione tra le comunicazioni antimafia e le informazioni antimafia e si fonda sull’obiettivo teso alla prevenzione dalle infiltrazioni mafiose nelle attività economiche sia nei rapporti dei privati con le Pubbliche Amministrazioni (contratti pubblici, concessioni e sovvenzioni), mediante lo strumento delle informazioni antimafia (art. 90-95 d.lgs. 159/2011), sia nei rapporti tra i privati stessi al fine di inibire l’esercizio dell’attività economica, mediante lo strumento delle comunicazioni antimafia (artt. 87-89 d.lgs. 159/2011), richieste per l’esercizio di qualsivoglia attività soggetta ad autorizzazione, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi, o anche alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a) e alla disciplina del silenzio assenso.

Le suddette misure di prevenzione amministrative si differenziano dalle misure aventi carattere penale sia dal punto di vista formale, in quanto regolate da differenti libri del Codice antimafia, sia dal punto di vista sostanziale.

Invero, da un lato, le comunicazioni antimafia presentano un contenuto vincolato, in quanto il presupposto della loro emissione consiste nell’attestazione che a carico di determinati soggetti, individuati dall’art. 85 d.lgs. 159/2011, non siano state emesse dal Tribunale misure di prevenzione personali definitive; dall’altro, le informazioni antimafia presentano un contenuto discrezionale, poiché ben possono prescindere dagli esiti del giudizio penale, in quanto il Prefetto ha il dovere di esaminare in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4, d.lgs. 159/2011), sebbene non siano vincolanti, al fine di formare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza del rischio di condizionamento mafioso.

Tali istituti della legislazione amministrativa antimafia derogano alle regole generali sul procedimento amministrativo ex l. n. 241 del 1990, dal momento che, per la loro emissione, non sono previsti né la comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 della l. 241/1990, né le ordinarie garanzie partecipative, né i relativi vizi sortiscono alcuna efficacia invalidante ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della stessa l. 241/1990, a fronte del contenuto vincolato dei provvedimenti stessi.

Con riferimento alla tutela giurisdizionale, è bene rilevare come la competenza spetti al giudice amministrativo e, in particolare, al Tribunale Amministrativo Regionale, ove ha sede la Prefettura che ha emesso il provvedimento antimafia, anche nell’ipotesi in cui siano impugnati diversi atti di revoca/recesso/decadenza, e come, inoltre, sul piano processuale si osservino le regole del giudizio ordinario, anche quando siano impugnati atti di revoca e/o di recesso, adottati dalle stazioni appaltanti, senza che alcuna possibilità di applicare la dimidiazione dei termini prevista dall’art. 119, comma 2, c.p.a. per il rito degli appalti pubblici[3].

Ciò posto, in relazione alle differenze strutturali tra comunicazione antimafia e informativa antimafia, occorre precisare quanto segue.

La comunicazione antimafia.

Ai sensi dell’ art. 84, comma 2, d.lgs. 159/2011, la comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 d.lgs. 159/2011 e, cioè, nell’applicazione, con provvedimento definitivo, non impugnato né impugnabile, di una delle misure di prevenzione personali previste dal libro I, titolo I, capo II, d.lgs. 159/2011 e statuite dall’autorità giudiziaria.

In altri termini, la comunicazione antimafia ha un contenuto vincolato, di tipo accertativo, che attesta l’esistenza, o meno, di tale situazione tipizzata nel provvedimento di prevenzione da parte del Tribunale che ha applicato la misura.

Gli effetti che la comunicazione suddetta è tesa a produrre hanno valenza interdittiva nei confronti di tutte le iscrizioni e i provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, nonché di tutte le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.) e a silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e b), d.lgs. 159/2011) e comportano, altresì, il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera (art. 84, commi 1 e 2, d.lgs. 159/2011).

Da ultimo, occorre rilevare come le comunicazioni antimafia abbiano validità semestrale ai sensi dell’art. 86, comma 1, d.lgs. 159/2011.

La informativa antimafia.

Ai sensi dell’art. 84, comma 3, d.lgs. 159/2011, l’informativa antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 d.lgs. 159/2011, nonché nell’attestazione della sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare la scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate.

Inoltre, ai sensi dell’art. 86, comma 2, d.lgs. 159/2011, le informazioni antimafia hanno validità annuale.

Ebbene, la misura in questione presenta un duplice contenuto:

  1. un contenuto di tipo vincolato e analogo a quello della comunicazione antimafia, nella parte in cui attesta o meno l’esistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione personale emesso dal Tribunale;
  2. un contenuto di tipo discrezionale, nella parte in cui, invece, il Prefetto ritenga la sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nell’art. 84, comma 4, lgs. 159/2011, o dai provvedimenti di condanna anche non definitiva per i reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali.

Con riferimento agli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa da porre a base dei provvedimenti interdittivi prefettizi, il Consiglio di Stato, Sez. III, 03.05.2016, n. 1743 ha fornito alcune indicazioni interpretative.

In particolare, i giudici amministrativi hanno chiarito come le situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, si caratterizzino per la mutevolezza della fenomenologia mafiosa nello spazio e nel tempo, e, pertanto, costituiscano un catalogo “aperto” al costante “aggiornamento” della prassi.

Ed invero, il Consiglio di Stato ha comunque precisato come sia estranea al sistema delle informative antimafia, che non hanno natura sanzionatoria ma cautelare, la logica penalistica di certezza probatoria, occorrendo valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso, sulla base dei quali il giudice amministrativo possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste.

Alla luce dei rilievi svolti, il criterio di probabilità logica deve misurarsi con il quadro indiziario, eterogeneo e mutevole nel tempo, del fenomeno infiltrativo mafioso nel mondo imprenditoriale, dovendo porsi al passo con la rapida evoluzione dell’economia nell’ambito di un sistema ormai improntato alla globalizzazione e alla dimensione internazionale dei flussi finanziari e degli scambi economici.

Ciò posto, gli effetti delle informazioni antimafia si dipanano solo con riferimento ai contratti pubblici, alle concessioni e alle sovvenzioni, non anche nei confronti delle autorizzazioni, così come invece accade a seguito di comunicazione antimafia.

Ad oggi, tale rigida tradizionale ripartizione degli effetti interdittivi è stata in parte superata dal Legislatore con il d. lgs. n. 153 del 2014 che ha introdotto l’art. 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011, estendendo l’efficacia interdittiva delle informazioni antimafia anche alle autorizzazioni e, dunque, anche ai rapporti tra privati.

Si ricorda, infine, come sul punto, sia stata sollevata questione di costituzionalità, dal T.A.R. Sicilia, respinta dalla Corte Costituzionale, la quale ha chiarito, nella recente sentenza n. 4 del 18.01.2018 che “nel contesto del d.lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza quindi a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l’informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all’art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito” e che “a fronte di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il legislatore, rispetto agli elementi di allarme desunti dalla consultazione della banca dati, reagisca attraverso l’inibizione, sia delle attività contrattuali con la pubblica amministrazione, sia di quelle in senso lato autorizzatorie, prevedendo l’adozione di un’informazione antimafia interdittiva che produce gli effetti anche della comunicazione antimafia”.

Conclusioni.

Fermo tutto quanto sopra argomentato, è possibile riassumere le principali direttrici ermeneutiche espresse del Consiglio di Stato in tema di documentazioni antimafia.

In primo luogo, è bene chiarire, ancora una volta, la natura formalmente e sostanzialmente preventiva di tali misure, finalizzate ad arginare la minaccia dell’infiltrazione mafiosa, e la loro peculiare struttura, parzialmente derogatoria rispetto alle regole generali del procedimento amministrativo e anche rispetto ad alcuni principî processuali in tema di giurisdizione, competenza territoriale e rito applicabile.

In secondo luogo, si conferma l’estraneità delle misure amministrative antimafia a logiche repressive, di stampo penale, anche in ragione, quanto alle informazioni antimafia, dell’apprezzamento discrezionale, da parte del Prefetto, di un complessivo quadro indiziario che, alla stregua della logica del “più probabile che non”, lasci ritenere concreto, e attuale, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Di recente, come visto, si ricorda l’intervento legislativo ad opera dell’art. 89-bis d. lgs. 159/2011, con cui è stata disposta l’applicazione delle informazioni antimafia anche alle attività economiche tra privati e non solo ai rapporti, contrattuali o concessori, con le pubbliche amministrazioni.

Da ultimo, la recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 06.04.2018, n. 3, con cui è stato escluso che il destinatario di una misura interdittiva antimafia possa ricevere il risarcimento del danno riconosciuto dal giudicato formatosi dopo l’informativa.

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[1] Cons. St. sez. IV, 20.07.2016, n. 3247.

[2] Massimo Noccelli, I più recenti orientamenti della giurisprudenza sulla legislazione antimafia, 2018, in www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Cons. St., sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754.