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Anno XVI - n. 12 - Dicembre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Sulla questione di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 186bis della legge fallimentare

Di Francesco Giunta.
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUINTA

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE,

12 giugno 2019, n. 3938

Di FRANCESCO GIUNTA

Sulla questione di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 186bis della legge fallimentare

 

Con l’Ordinanza in esame, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 186bis della legge fallimentare, nella parte in cui vieta all’impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo, qualora sottoposta alla procedura di concordato con continuità aziendale, di poter partecipare alle gare per l’affidamento di appalti pubblici.

Ai fini di una migliore intelligibilità del provvedimento giudiziario in commento, occorre rassegnare alcune brevi premesse.

I Raggruppamenti temporanei di imprese

Preliminarmente, si rappresenta che le controparti contrattuali della pubblica amministrazione sono i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento del contratto; tali soggetti sono definiti come operatori economici.

Il codice dei contratti pubblici del 2016 conferma l’impostazione duale, già fatta propria dal codice previgente, che individua, da un lato, la categoria degli operatori economici “singoli”, i quali acquisiscono appunto singolarmente la qualificazione e la relativa idoneità a divenire controparti contrattuali della P.A., e, dall’altra, quella dei concorrenti in forma “plurisoggettiva”, che possono invece avvantaggiarsi della verifica collettiva di alcuni requisiti di partecipazione alla procedura.

Nell’ambito di quest’ultima categoria rientra il cd. raggruppamento temporaneo di imprese, noto anche con l’acronimo di R.T.I.

Il raggruppamento temporaneo di imprese –da questo momento R.T.I.– ricorre quando più soggetti danno luogo a un unico operatore economico allo scopo di offrire sul mercato la realizzazione di lavori od opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

In particolare, attraverso il R.T.I., due o più soggetti, anziché concorrere alla costituzione di una nuova persona giuridica, si limitano a presentare un’unica offerta, obbligandosi congiuntamente alla prestazione oggetto di appalto, conferendo un mandato collettivo speciale con rappresentanza a una di esse.

Si tratta, quindi, di uno strumento giuridico “pro-concorrenziale” in quanto consente agli operatori economici, che singolarmente non possiedono i requisiti di qualificazione richiesti per poter partecipare autonomamente a un determinato procedimento a evidenza pubblica, di unirsi tra loro allo scopo di poter partecipare e presentare un’offerta unica.

La ratio è quella di favorire una maggiore apertura del mercato dei contratti pubblici.

L’effetto che il R.T.I. produce è quello di generare una soggettività unitaria, senza personalità giuridica, limitatamente alla singola gara, con la conseguenza che il destinatario delle prescrizioni formali è il R.T.I. nel suo complesso, anche se il rapporto contrattuale si svolge essenzialmente tra stazione appaltante e impresa capogruppo (mandataria).

La conseguenza di tale peculiarità, ossia la creazione di una soggettività unitaria priva di persona giuridica autonoma rispetto alle sue componenti, è alla base della discussione giurisprudenziale, volta a individuarne la natura giuridica.

L’accordo tra i soggetti che compongono il raggruppamento è stato qualificato in diversi modi: a) contratto associativo tipico; b) contratto di cooperazione con comunione di scopo, in considerazione dell’assenza dei tratti caratterizzanti la categoria generale dei contratti associativi; c) fattispecie contrattuale complessa di collegamento negoziale caratterizzata dalla rilevanza, nei rapporti esterni, del mandato e dalla sostanziale indifferenza per la struttura sottostante nei rapporti interni.

La soluzione dogmatica più lineare[1] è quella di considerare il raggruppamento come un istituto tipico, in quanto definito e disciplinato dal legislatore, non riconducibile tout court ad altri istituti tipici dell’ordinamento giuridico.

Sicché, nella prima fase di partecipazione alla procedura di gara, se il R.T.I. non è ancora costituito, i soggetti assumono tra di essi, e nei confronti della stazione appaltante, l’obbligo a conferire mandato con rappresentanza a uno di essi: sorge, per effetto di tale obbligo, un accordo riconducibile nell’ambito dei cd. contratti associativi funzionalmente condizionato all’aggiudicazione del contratto di appalto; nella successiva fase, invece, ed esattamente dopo l’aggiudicazione e prima della stipula del contratto di appalto, i soggetti si costituiscono in raggruppamento.

Nel caso in cui, invece, la costituzione del raggruppamento avvenga prima della partecipazione alla gara di appalto, il R.T.I. si basa su un mandato[2] collettivo con rappresentanza.

Ai fini della costituzione del R.T.I., infatti, gli operatori devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza a uno di essi, detto mandatario (art. 48, co.12, del codice dei contratti pubblici).

Il mandato è gratuito ed irrevocabile e la sua revoca, anche per giusta causa, non ha effetto nei confronti della stazione appaltante (art. 48, co. 13, del codice).

In coerenza con la disciplina del mandato, al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva dei mandanti nei confronti della stazione appaltante, per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto.

 

Il contratto di mandato

Acclarata la natura giuridica del R.T.I., occorre, ancora, soffermarsi sull’istituto giuridico del mandato al fine di meglio comprendere la ratio sottesa alla norma di cui all’art. 186-bis del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui esclude che il R.T.I. possa concorrere in una procedura di gara allorquando sia l’impresa mandataria a essere assoggettata a un concordato preventivo con continuità aziendale.

Preliminarmente, il mandato[3] è una delle forme attraverso la quale si attua la cooperazione giuridica, mediante sostituzione di un soggetto (mandatario) a un altro (mandante) nel compimento di un’attività giuridica.

Il mandatario esercita l’attività per conto del mandante, curandone gli interessi: l’alienità dell’interesse rispetto al soggetto agente costituisce il momento tipizzante del mandato.

L’art. 1703 c.c. definisce il mandato come il contratto con il quale il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante; deriva, quindi, un obbligo del mandatario di compiere una determinata attività nell’interesse del mandante.

Il mandato può essere conferito con il potere di agire in nome e per conto del mandante; in questo caso, si definisce mandato con rappresentanza.

A tal riguardo, la legge prevede che le fonti primarie del mandato devono essere integrate con le fonti in tema di rappresentanza, contenute negli artt. 1387 -1400 c.c.

La rappresentanza è un negozio che si aggiunge al mandato e che ne influenza gli effetti, quanto al modo di prodursi, ma non è un elemento che fa parte della struttura del contratto di mandato.

Con la rappresentanza, il mandato si arricchisce sul piano degli effetti, acquistando efficacia esterna diretta, che altrimenti non avrebbe.

E si arricchisce nel nel senso che gli atti giuridici compiuti dal mandatario, nei limiti dei poteri attribuitigli dal mandante, sono immediatamente riferibili a quest’ultimo e producono direttamente i loro effetti nei confronti del mandante stesso.

In ciò, si ritiene, sussiste la principale atipicità del negozio di mandato sussistente tra le imprese nel R.T.I.: l’impresa mandataria, infatti, non persegue esclusivamente un interesse altrui, consistente nella partecipazione alla gara, e un interesse proprio, definibile come indipendente dal primo, consistente nell’ottenere il corrispettivo, pattuito per l’adempimento dell’obbligo previsto nel contratto di mandato; ma, viceversa, un interesse proprio comune a quello posto a base del mandato.

E’ innegabile che l’impresa mandataria, alla luce della funzione del R.T.I., abbia un interesse diretto a partecipare alla gara, conseguendo le utilità scaturenti dalla futura ed eventuale aggiudicazione.

 

Il concordato preventivo con continuità aziendale

Acclarata la natura e la funzione del R.T.I., nonché lo strumento giuridico attraverso il quale detta funzione viene conseguita, occorre soffermarsi, alla luce delle norme sulla rappresentanza, sull’efficienza del concordato preventivo con continuità aziendale a elidere la capacità giuridica dell’impresa mandataria, atteso che solo una siffatta conclusione potrebbe porre al riparo da una declaratoria di incostituzionale la norma che distingue, ai fini dell’esclusione, tra impresa mandataria e impresa mandante.

In via generale, il concordato preventivo è uno strumento di controllo della crisi economica in stato avanzato, volto a evitare gli effetti che sull’impresa scaturirebbero da una dichiarazione di fallimento.

Attraverso la previsione della cd. continuità aziendale si consente al debitore di continuare a esercitare la propria attività di impresa, pagando regolarmente i creditori per come stabilito nell’accordo di concordato.

Il concordato[4] con continuità aziendale, quindi, è destinato al debitore intenzionato a superare una fase di crisi economica o d’insolvenza.
L’istituto non era disciplinato nel previgente Codice del 1889, poiché all’epoca il Legislatore ancora non aveva maturato la necessità di tutelare la par condicio creditorum e la posizione debitoria.

È stato necessario attendere il Regio Decreto del 1942 nr. 267 per poter fare in modo che il concordato fosse positivizzato.
Com’è noto, l’articolo 186 bis L. Fall. dispone che quando il piano di concordato di cui all’art. 161 co 2 lett. e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio di una o più società anche di nuova costituzione, a questo debbano applicare le disposizioni della norma in esame.

Inoltre, il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.
Giova precisare che il concordato con continuità aziendale si connota soprattutto per la presenza di due elementi: uno oggettivo, ossia la possibilità per l’interessato di pro- seguire l’attività economica ab origine intrapresa; uno soggettivo, cioè la volontà del debitore di riportare in bonis l’impresa con soluzione di continuità aziendale.

Il concordato in esame assolve, dunque, la funzione di ristrutturazione della società, determinando, in conseguenza di ciò, un vantaggio economico, non solo al singolo debitore, ma all’intero sistema imprenditoriale.

Data la finalità del concordato con continuità aziendale, la questione oggetto di attenzione giurisprudenziale, che si pone fisiologicamente alla base della questione di costituzionalità sollevata, consiste nel comprendere se il “vincolo di credito”, ossia l’obbligazione che l’impresa assume con la stipula del concordato, influisca, scemandola, sulla capacità di agire dell’impresa stessa, tanto da impedirle di contrattare liberamente con la P.A. ovvero se i due profili, concordato e capacità di agire, sia indipendenti.

Sul punto vi è una querelle interpretativa, diffusamente rappresentata dal provvedimento giudiziale in commento.

Un primo orientamento ritiene che la stipula di un concordato con continuità aziendale, specie a seguito del decreto di omologa, restituisca all’impresa la possibilità di disporre del proprio patrimonio e, all’imprenditore, la facoltà di gestire l’azienda, compiendo gli atti ordinari e straordinari previsti dal piano, senza necessità di autorizzazione, ferma restando la vigilanza degli organi della procedura.

La ratio sottesa all’indirizzo in esame è quella di garantire l’effettività dello strumento del concordato, consentendo all’azienda di operare sul mercato, obbligandola, al tempo stesso, ad adempiere all’obbligazione assunta con la stipula del predetto atto.

Viceversa, un secondo orientamento ritiene che la capacità d’agire dell’impresa non sia piena in costanza di concordato, salvo che nella fattispecie non si versi già  in una ipotesi in cui l’obbligazione posta alla base del concordato sia stata quasi interamente compiuta; si evidenzia, in particolare, che “non comporta (salvo che alla data dell'omologazione il concordato sia stato già interamente eseguito) l'acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio, che resta vincolato all'attuazione degli obblighi da lui assunti con la proposta omologata, dei quali il Commissario Giudiziale, come espressamente stabilito dall'art. 185, è tenuto a sorvegliare l'adempimento, "secondo le modalità stabilite nella sentenza (o nel decreto) di omologazione”.

Sotteso a questa corrente di pensiero è l’evidente intento del legislatore di tutelare la ragione creditoria, consentendo, da un lato, all’imprenditore di continuare la propria attività di impresa, ma dall’altro, destinando i frutti di siffatta attività alla soddisfazione esclusiva dei creditori.

L’impresa, in questi termini, verserebbe in una situazione idonea a incidere, restringendola, la propria capacità di agire.

L’esercizio dell’impresa, infatti, non sarebbe libero, ma vincolato a un dato scopo: pagare i creditori.

 

La pronuncia

Inquadrato sistematicamente il tema in commento, il Consiglio di Stato, nel rimettere la questione alla Corte Costituzionale, ritiene che la non manifesta irragionevolezza possa essere riprovata con una pluralità di argomenti.

  1. Argomento della ragionevolezza esterna: con riguardo al confronto con altri tertia comparationis, il Consiglio di Stato ha osservato che nessuna differenza si ravvisa rispetto all’impresa mandataria di consorzio ordinario di cui all’art. 45, comma 2, lettera e), del Codice appalti, per la quale non è prevista, nell’ipotesi di concordato di questo tipo, analoga forma di esclusione dalla pubbliche gare; l’impresa che partecipa singolarmente all’appalto, se sottoposta ad un simile concordato, non ne viene esclusa. Ora, considerato che vige il principio della responsabilità solidale dal lato passivo dell’obbligazione (per cui la stazione appaltante, in caso di inadempimento della mandataria, potrebbe rivolgersi a ciascuno degli altri mandanti per l’esecuzione dell’intera prestazione oggetto del contratto), nell’ipotesi del raggruppamento la garanzia dell’esecuzione si rivelerebbe addirittura maggiore rispetto all’ipotesi di partecipazione uti singuli;
  2. Argomento della ragionevolezza interna: lo stesso principio della responsabilità solidale dal lato passivo eliminerebbe ogni sostanziale differenza tra la posizione dell’impresa mandante e quella dell’impresa mandataria;
  3. Argomento della ragionevolezza intrinseca: se da un lato l’obiettivo della norma di cui alla legge fallimentare (art. 186-bis) è la “tutela dei creditori” e, dall’altro lato, la finalità della disposizione contenuta nel codice dei contratti (art. 80, comma 5) è di ottenere il più possibile flussi di denaro a beneficio dell’impresa in crisi, non vi sarebbe dunque ragione per elidere una simile chance di maggiori entrate finanziarie per l’impresa prima e per i creditori dopo;

La conclusione

Alla luce di quanto in precedenza rappresentato, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 186-bis della legge fallimentare nella parte in cui vieta all’impresa mandataria di un raggruppamento temporaneo, qualora sottoposta alla procedura di concordato con continuità aziendale, di poter partecipare alle gare per l’affidamento di appalti pubblici.

E’ di tutta evidenza, tuttavia, che la risoluzione di una siffatta questione imporra alla Corte Costituzionale un vaglio degli orientamenti giurisprudenziali tesi a individuare la natura del concordato preventivo con continuità aziendale.

Soltanto laddove, infatti, si accedesse alla tesi “liberista”, che suole riconoscere all’impresa, in stato di concordato preventivo con continuità aziendale, piena disponibilità dei propri beni, si dovrebbe ritenere incostituzionale la norma di cui all’art. 186-bis della legge fallimentare.

Sulla valutazione della questione, peraltro, insistono elementi di respiro sovranazionale, quale il principio pro-concorrenziale posto a fondamento del codice dei contratti pubblici, che dovrà, necessariamente, dialogare con l’obiettivo primario dell’azione amministrativa: il perseguimento dell’interesse pubblico.

 

Note:

[1] Fratini M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, 2018, Dike giuridica editore, 939 p.

[2] ll contratto di mandato soddisfa l'interesse del mandante al compimento dell'atto giuridico che egli stesso non può o non vuole compiere e quello del mandatario, se oneroso, a ricevere un compenso per tale attività.

In particolare, il mandato collettivo non si perfeziona per il mero fatto che l'incarico venga conferito da più persone per il medesimo atto, ma richiede anche che il conferimento congiunto venga disposto per un affare d'interesse comune. Tale requisito non può farsi derivare dalla mera presenza di un unico atto di conferimento dell'incarico, ma è necessario dimostrare che la volontà di ciascun mandante sia legata alla volontà degli altri e che, di conseguenza, ognuno di essi si sia determinato al conferimento dell'incarico in ragione dell'adesione degli altri, in vista del compimento dell'affare unico, indivisibile ed indistinto.

Ne consegue che, in conformità alla previsione dell'art. 1726, ove manchi la prova di tale unicità di interessi, la revoca del mandato non deve necessariamente provenire da tutti i mandanti (Cass. n. 20482/2011).

[3] Fratini M., Il sistema del diritto civile, vol. 5, edizione II, anno 2017, Dike giuridica editore, pp. 143 ss.

[4] Rocca G. - Acciaro G., Il concordato con continuità aziendale, I quaderni n. 75, Fondazione commercialisti ODCEC di Milano.