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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Temi e Dibattiti



Impianti di produzione di energie rinnovabili e tutela paesaggistica in zona «A» dello strumento urbanistico o comunque tutelata la giurisprudenza amministrativa nelle more dell’attuazione dell’art. 20, comma 1, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199. Il recentissimo decreto ministeriale attuativo n. 236 del 21 giugno 2024: perplessità e scenari.

Di Filippo Blasi
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T.A.R. Umbria, Perugia, sentenze nn. 211, 212 e 515 del 2024 

Impianti di produzione di energie rinnovabili e tutela paesaggistica in zona «A» dello strumento urbanistico o comunque tutelata la giurisprudenza amministrativa nelle more dell’attuazione dell’art. 20, comma 1, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199. Il recentissimo decreto ministeriale attuativo n. 236 del 21 giugno 2024: perplessità e scenari.

 

Di Filippo Blasi

 

Indice: 1. Abstract. - 2. Introduzione. Obblighi di derivazione eurounitaria e semplificazioni procedimentali. - 2.1. La localizzazione degli impianti. - 3. L’orientamento prevalente, rectius precedente. - 4. L’interpretazione restrittiva del T.A.R. Umbria, Perugia, sentenze nn. 211, 212 e 515 del 2024. - 4.1. Sull’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28: una lettura restrittiva dell’ambito oggettivo dei procedimenti semplificati. Le attribuzioni della Soprintendenza fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica-valutativa. - 4.2. Segue: la mappa satellitare (Google Earth) e l’area di interesse presunto ma chiusa al pubblico come punti di osservazione, quindi «spazio pubblico esterno» ex art. 7-bis, comma 5, ultimo periodo. - 5. Il decreto “aree idonee”. Conclusioni.

 

  1. Abstract.

Intervenendo sul potere discrezionale-tecnico delle Soprintendenze con riferimento alla installazione di impianti solari fotovoltaici in area vincolata ex art. 136, lettera c) del codice del paesaggio (centri storici), con le sentenze nn. 211, 212 e 515 del 2024, il T.A.R. per l’Umbria ha reinterpretato l’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, (i) da un lato restringendo l’orientamento secondo cui la procedura autorizzatoria semplificata si applicherebbe, con ogni conseguenza, in presenza di vincolo altresì quando l’intervento comporti una modificazione dell’assetto del paesaggio, e (ii) dall’altro estendendo la visibilità dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici - che, ove sussistente, impedisce la realizzazione dell’intervento - ai casi di accessibilità al pubblico solo eventuale e futura ancorché non prevista al tempo del procedimento (campanile al momento chiuso al pubblico) nonché di fruizione del patrimonio culturale con strumenti di visualizzazione dall’alto o satellitare (Google Earth), altresì offrendo in tal modo importanti spunti di riflessione sull’attuazione dell’art. 20, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199, il che consente di cogliere le importanti criticità del D.M. n. 236, nel frattempo intervenuto, il 21 giugno scorso, il quale demanda alle regioni, previa fissazione di principi generali omogenei, l’individuazione delle aree idonee, non idonee, vietate e “ordinarie” per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.

 

The Administrative Tribunal for the Umbrian Region, with Judgements nos. 211, 212 and 515 of 2024, has reinterpreted the Article 7-bis, paragraph 5, of the Legislative Decree no. 28 of March 3rd, 2011, after the examination of the discretionary-technical power of the Governmental Department for Landscape Protection regarding the installation of photovoltaic solar systems in restricted areas pursuant to Article 136, letter c) of the “Landscape Code” (historic centers):

(i) firstly, by restricting the former case law according to which the simplified authorization procedure would apply when facing cultural heritage constraints and also when the installation reshapes the landscape, and

(ii) then, by extending the concept of “visibility from the external public spaces and panoramic points of view” (which, when existing, prevents the intervention): (1) to the case of eventual future public access, even if not foreseen at the time of the procedure (bell tower currently closed to the public) as well as (2) to the exploitation of cultural heritage which can be viewed from above or from the satellite (Google Earth).

The Judgements offer research material for the implementation of Article 20 of the Legislative Decree no. 199 of November 8th, 2021, allowing us to capture any critical issues that may arise from Ministerial Decree no. 236, which, in the meantime, intervened on June 21st, 2024, establishing homogenous general principles, and delegating to the Regions the identification of suitable, unsuitable, prohibited and “ordinary” areas for the installation of electricity production systems from renewable sources.

 

  1. Introduzione. Obblighi di derivazione eurounitaria e semplificazioni procedimentali.

Con tre sentenze di certa portata innovativa, due di rigetto e una di accoglimento, il T.A.R. per l’Umbria è intervenuto, in via piuttosto restrittiva rispetto ad altro orientamento, sul tema della ponderazione dei contrapposti interessi economico e ambientale all’installazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile - segnatamente, da fonte fotovoltaica - e paesaggistico di conservazione e tutela dell’aspetto originario dei centri storici, nonché, più o meno collateralmente, su un’altra serie di temi connessi.

In tutti i tre casi, i ricorrenti, intenti a installare impianti fotovoltaici di modeste dimensioni, a uso domestico o comunque privato, impugnavano il diniego esitato dalla procedura di autorizzazione per effetto del parere negativo o condizionato della locale Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio[1], l’ufficio del Ministero della Cultura competente territorialmente.

Nelle decisioni, ancorché di accoglimento (la n. 515), relative a interventi nell’area omogenea «A» del P.R.G. di alcuni comuni umbri, emerge quello che inizialmente potrebbe ritenersi un favor indiscriminato per la tutela del paesaggio, pur a fronte del sentito tema dell’energia rinnovabile, per poi comprendere come in realtà esse risultino da una complessa valutazione del giudice amministrativo, operata perdipiù “malvolentieri”, poiché in assenza dell’auspicato intervento attuativo del legislatore.

La vicenda è vittima di un intreccio di normative statali e regionali. Il precetto reinterpretato dalle decisioni, di portata nazionale, è il dispositivo dell’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28. La norma, sebbene introdotta in sede di novella[2], fa parte del decreto attuativo della Direttiva (CE) 2009/28 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, finalizzato al raggiungimento degli “obiettivi 2020” di cui alla medesima direttiva eurounitaria che ha fissato la quota di produzione da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia[3]. Dato il favor ordinamentale di cui beneficiano le fonti energetiche rinnovabili, di derivazione sovranazionale[4], la disciplina riceve una particolare considerazione: in particolare, il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, all’art. 12, qualifica i relativi impianti come «opere […] di pubblica utilità»[5] e prevede l’autorizzazione unica “acceleratoria”. Per via dei molteplici e contrapposti interessi coinvolti, su tale previsione si è accumulata copiosa giurisprudenza, in particolare sull’applicazione del silenzio-assenso cd. orizzontale nelle procedure autorizzatorie che pur coinvolgano interessi paesaggistici[6], nonché proprio sul “bilanciamento fra paesaggio e ambiente”, sovente con certa attenuazione delle rigidità tradizionali tipiche della tutela dei beni culturali[7].

Nello specifico, la disposizione dell’art. 7-bis, d.lgs. cit. predispone un generale esonero dai controlli paesaggistici per l’installazione di impianti solari fotovoltaici «anche nelle zone A degli strumenti urbanistici comunali» in quanto «considerat[e] interventi di manutenzione ordinaria e non [sono] subordinat[e] all’acquisizione di permessi […] ivi compresi quelli previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio», tuttavia stabilendo un’eccezione per i casi in cui l’impianto si trovi «in aree o immobili di cui all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c) del [citato] codice», fra cui i centri storici, nei quali prevede una “riserva d’intervento” della Soprintendenza[8]. Altro momento critico del disposto è l’ultimo periodo, in cui si dice che quanto sopra riportato si applica «anche in presenza di vincoli ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettera c), del medesimo codice […] ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici, eccettuate le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale».

È sull’effettiva portata di questo comma il principale focus delle esaminande sentenze, che non senza entrare in conflitto, almeno apparentemente, con alcuni precedenti giurisprudenziali, ne hanno data un’interpretazione parzialmente limitativa o quantomeno “severa” nella lettura dei requisiti per l’applicazione della semplificazione procedimentale, rispetto tanto a quello generale della presenza del “vincolo” (primo periodo), quant’anche a quello più specifico della “accessibilità” o “visibilità dall’esterno” (terzo periodo).

 

2.1. La localizzazione degli impianti.

In un quadro sovranazionale che, stabilendo una quota molto elevata di produzione di energia da fonte rinnovabile sul totale prodotto, indirettamente impone l’installazione di un numero considerevole di impianti (fotovoltaici), quello della loro localizzazione è un problema di considerevole rilevanza, specialmente in un contesto paesaggistico come quello italiano, facilmente suscettibile d’essere violato e fortemente tutelato dalla legge[9].

Il legislatore non ha ancora operato un bilanciamento ex ante dei due principali interessi pubblici coinvolti nei procedimenti per l’installazione di tali impianti quando questi si trovino in area soggetta a vincolo: quello alla tutela dell’ambiente, perseguito tramite la produzione di energia cd. pulita, e quello alla tutela dei beni culturali e del paesaggio. Ciò determina che sul punto s’instauri un contraddittorio procedimentale (reso piuttosto sterile dalle Soprintendenze, le quali non fuoriescono volentieri dalle proprie attribuzioni e competenze tecniche) e poi il processo dinanzi al giudice amministrativo, costretto a un giudizio ex post che, auspicabilmente, dovrebbe spettare ex ante neppure all’amministrazione, quanto piuttosto ai legislatori nazionale e regionale, con predisposizione di un’idonea pianificazione che “guidi” il singolo procedimento autorizzatorio.

Tanto emerge anche dalla lettura dell’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011. Dal citato disposto emergono almeno due questioni estremamente problematiche, ed entrambe relative al “bilanciamento” fra i due interessi di cui sopra: anzitutto, se la semplificazione procedimentale ivi prevista si applichi in area paesisticamente vincolata anche laddove l’intervento modifichi l’assetto esteriore complessivo del luogo, e inoltre se la “visibilità” dell’installando impianto dagli «spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici» ricomprenda la vista area e satellitare e non solo quella da terra, nonché se ricomprenda quella dai circostanti edifici seppur momentaneamente chiusi al pubblico: questi i principali quesiti interpretativi che hanno investito il giudice nelle esaminande sentenze.

 

  1. L’orientamento prevalente, rectius precedente.

Negli ultimi anni la giurisprudenza amministrativa ha mostrato, correttamente interpretando la sensibilità collettiva e in piena coerenza con gli obiettivi sovranazionali di decarbonizzazione, una certa flessibilità e apertura rispetto all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, pur in presenza in contrapposti interessi forti quali la tutela dei beni culturali e la conservazione del paesaggio e degli immobili di interesse architettonico.

Emblematiche sono alcune pronunce che, anche in presenza di vincolo, hanno ammesso l’installazione di siffatti impianti su coperture di edifici storici: il T.A.R. di Salerno nel 2022 ha affermato che «la presenza di impianti fotovoltaici sulla sommità degli edifici - pur innovando la tipologia e morfologia della copertura - non è più percepita come fattore di disturbo visivo, bensì come un’evoluzione dello stile costruttivo accettata dall’ordinamento e dalla sensibilità collettiva, - quest’ultimo il passaggio cruciale, n.d.r. - purché non sia modificato l’assetto esteriore complessivo dell’area circostante, paesisticamente vincolata»[10].

Sulla medesima fattispecie il Consiglio di Stato ha affermato che «la produzione di energia pulita è incentivata dalla legge in vista del perseguimento di eminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’eco-sistema»[11]. E ancora, di recente, richiamando e confermando la n. 1201/2016, ha rimarcato che «le motivazioni di un diniego di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili “devono essere particolarmente stringenti, non potendo più a tal fine ritenersi sufficiente che l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica” (anche perché, se il giudizio di compatibilità paesaggistica si limitasse a rilevarne l’impatto nel contesto, “ogni nuova opera, in quanto corpo estraneo rispetto al preesistente quadro paesaggistico, sarebbe di per sé non autorizzabile”) e occorre quindi “una più severa comparazione tra  i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi - ivi compreso quello paesaggistico - alla realizzazione [...] di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile (nella specie da fonte solare)”, ricordando anche che “la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici”»[12].

Tale sentenza del 2016, insieme ad altre[13], condensa l’opinione giurisprudenziale prevalente: entro certi limiti l’immagine paesistica può essere violata laddove interessi superiori quali la produzione di energia pulita non siano altrimenti suscettibili di soddisfazione.

Ricorda altresì Palazzo Spada che la Corte costituzionale ha in più occasioni[14] sostenuto che «la tutela dei diritti e dei valori riconosciuti e garantiti dalla Costituzione deve essere “sistemica e non frazionata”, evitando che uno di essi si erga a “tiranno” nei confronti degli altri [...], specialmente quando [...] si tratta di beni - l’ambiente e il paesaggio - aventi entrambi il medesimo rango di principi fondamentali, ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione come integrato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, rilievo dal quale consegue che la Soprintendenza, nel perseguire la missione attribuitale dalla legge, non può esprimere una posizione “totalizzante” che sacrifichi interamente l’interesse ambientale indifferibile alla transizione ecologica»[15].

Concentrando ora maggiori attenzioni sull’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, che qui ci occupa, merita menzione una recente pronuncia dello stesso T.A.R. di Salerno relativa all’installazione di pannelli fotovoltaici (sebbene non su una copertura) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico puntuale, in cui si richiama «un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato» per cui «la mera visibilità di pannelli fotovoltaici da punti di osservazione pubblici non configura ex se una ipotesi di incompatibilità paesaggistica, in quanto la presenza di impianti fotovoltaici sulla sommità degli edifici - pur innovando la tipologia e morfologia della copertura - non è più percepita come fattore di disturbo visivo [...]»[16].

Il Collegio salernitano ha costruito un orientamento per cui «il favor legislativo per le fonti energetiche rinnovabili richiede [...] di concentrare l’impedimento assoluto all’installazione [...] in zone sottoposte a vincolo paesaggistico unicamente nelle “aree non idonee” espressamente individuate dalla regione, mentre negli altri casi, la compatibilità [...] deve essere esaminata tenendo conto della circostanza che queste tecnologie sono ormai considerate elementi normali del paesaggio»[17].

I giudici salernitani richiamano indirettamente l’analizzata sentenza del Consiglio di Stato, n. 1201/2016, tuttavia aggiungendo che, nel caso, la Soprintendenza avrebbe motivato apoditticamente «senza operare alcun bilanciamento», come volendo attribuire al Ministero della cultura un dovere di pesa e contemperamento degli interessi, di valutazione comparativa. Ciò naturalmente desta perplessità, poiché non risulta essere competenza del Soprintendente ai beni culturali la valutazione dell’interesse “ambientale”, e la partecipazione dell’ente al procedimento in questione è preposta (esclusivamente) alla tutela del paesaggio che sì, è parte dell’ambiente lato sensu, ma ne costituisce (solo) l’«aspetto visivo»[18], non avendo competenze, né nel senso giuridico di attribuzione né in quello tecnico di capacità di giudizio, in materia di inquinamento[19].

Ciononostante, poco dopo nella sentenza di Salerno si legge che «la tipologia di installazione non prevede effetti conseguenti sull’area tutelata, in quanto trattasi di installazione che andrà collocata in modo coerente con l’orografia del terreno [...]», lasciando quindi il dubbio se la violazione di legge commessa dal Ministero sia consistita nell’omissione del “bilanciamento” (violazione procedurale), come detto poche righe sopra, ovvero nella valutazione di un nocumento al paesaggio in realtà insussistente (violazione sostanziale, che riaprirebbe il dibattito attorno alla discrezionalità, di cui sopra).

Contrapponendovisi, le sentenze di Perugia in commento sottolineano tuttavia come gli orientamenti del Consiglio di Stato richiamati dal T.A.R. Campania[20] siano anzitutto «non prevalenti», nonché come «i pannelli fotovoltaici non possono essere considerati alla stregua di un’evoluzione dello stile costruttivo, la cui indubbia utilità (e crescente diffusione) conduca per ciò solo a farli considerare un “elemento normale del paesaggio”, tendenzialmente irrilevante ai fini della tutela»[21].

 

  1. L’interpretazione del T.A.R. Umbria, Perugia, sentenze nn. 211, 212 e 515 del 2024.

Le sentenze in commento, pubblicate fra marzo e luglio 2024, brevemente si soffermano sulla discrezionalità della Soprintendenza nel procedimento di autorizzazione (problema che non trova ancora una soluzione): dalla definizione dei poteri valutativi ministeriali discende la questione se essa sia o meno tenuta al bilanciamento dell’interesse paesaggistico con l’interesse ambientale. Quindi, analizzano i confini posti dall’ultimo periodo dell’art. 7-bis alle semplificazioni procedurali dallo stesso previste, con esiti restrittivi rispetto all’orientamento sopraesposto, e denunziando l’omessa o timida attuazione dell’art. 20 sulle cd. “aree idonee”.

 

4.1. Sull’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28: una lettura restrittiva dell’ambito oggettivo dei procedimenti semplificati. Le attribuzioni della Soprintendenza fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica-valutativa.

In un quadro già confuso e - a causa della disomogeneità fra i territori, i cui livelli di governo conservano importanti poteri in materia nonostante l’attribuzione statale di cui all’art. 117, lettera s), Cost. - altresì variegato, si inseriscono le sentenze qui in esame, che intervengono sull’art. 7-bis, comma 5, con un taglio filopaesaggistico.

Si tratta di un’interpretazione non propriamente restrittiva dell’orientamento precedente quanto piuttosto limitativa del suo ambito applicativo oggettivo: diversamente dalle sentenze di Salerno, che applicano l’art. 7-bis, comma 5, solamente alle zone “non idonee” a norma della disciplina regionale, per il T.A.R. Umbria la disposizione si riferisce a tutte le zone vincolate.

Con la prima sentenza in esame, la n. 211 pubblicata il 26 marzo scorso, il collegio perugino, richiamando l’esaminato orientamento e direttamente citando la decisione salernitana[22], risponde che «tale affermazione di principio, lungi dal costituire un orientamento prevalente, è accettabile se riferita al territorio non vincolato; se riferita al territorio vincolato paesaggisticamente, può esserlo solo se non si oblitera la condizione finale della massima suindicata: “purché non sia modificato l’assetto esteriore complessivo dell’area circostante”».

Per giungere a tale principio, la sentenza parte dal presupposto che non possano accomunarsi sotto un unico criterio di tutela e bilanciamento le diverse sensibilità di tutela paesaggistica e i diversi «paesaggi vincolati (rectius: beni paesaggistici)» esistenti, pertanto occorrendo «valutare se, in relazione alle caratteristiche di ciascuno, l’introduzione dei pannelli fotovoltaici sulle coperture degli edifici sia compatibile o meno con la tutela dei valori che il vincolo è destinato ad assicurare». Non può prescindersi, nel fare ciò, dall’esaminare il tenore del decreto di apposizione del vincolo, poiché ove emerga per esempio, come nel caso della 211, che la copertura degli edifici - nello specifico, nel borgo secentesco e in parte medievale di Torgiano - sia essenziale per l’immagine che ne risulta del paesaggio come commistione fra opera della natura e opera dell’uomo, allora l’installazione del fotovoltaico, per quanto nobile nei fini, costituirebbe un’inaccettabile intrusione[23].

Pertanto - e contrariamente da quanto affermato nella giurisprudenza sopracitata a proposito di certo “dovere di bilanciamento” in realtà non pretendibile - laddove il competente Ministero della cultura, nell’esercizio del potere ampiamente discrezionale che gli è attribuito dall’ordinamento[24], fornisca all’istante una valutazione analitica del diniego, questa risulta incensurabile, quindi anche il sindacato del giudice, per Palazzo Spada, non potrà spingersi a «valutazioni che si sovrappongono a quelle dell’amministrazione attraverso la prospettazione di una valutazione alternativa [...]»[25].

Tale ultimo aspetto merita una considerazione ulteriore: nell’ultimo giudizio citato del 2023, il Consiglio di Stato ha censurato la decisione del T.A.R. per il Veneto che ancora una volta faceva leva sul predetto “contemperamento” degli interessi, evidenziando che «l’impiego di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è qualificato dalla legislazione vigente come opera di pubblica utilità ed è incentivato dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’ecosistema»[26], su tale base ritenendo le pur copiose e chiare motivazioni addotte dall’amministrazione insufficienti a sorreggere il diniego.

È per le suesposte ragioni, secondo le decisioni nn. 211 e 212, che l’art. 7-bis, comma 5 limita l’operatività della semplificazione procedimentale all’«installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici» e comunque con l’esclusione delle «coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale» le quali, come si è detto, assumono una diversa importanza a seconda del tenore del vincolo[27].

 

4.2. Segue: la mappa satellitare (Google Earth) e l’area di interesse presunto ma chiusa al pubblico come punti di osservazione, quindi «spazio pubblico esterno» ex art. 7-bis, comma 5, ultimo periodo.

Le sentenze in esame non esauriscono in quanto si è detto la loro novità. L’ultimo periodo dell’art. 7-bis, comma 5 stabilisce, come detto, che le semplificazioni si applichino «anche in presenza di vincoli ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettera c), del [...] codice […], ai soli fini dell’installazione di pannelli integrati nelle coperture non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici [...]». Il requisito dell’accessibilità, si legge però nelle decisioni, «deve essere inteso in senso adeguato alla realtà contemporanea, e quindi comprensivo di tutte le opportunità di fruizione da parte della collettività oggi disponibili e destinate ad avere in futuro sempre maggiore diffusione», risultando «erroneo limitare il significato della previsione normativa sull’accessibilità a una visione dall’intorno e da breve distanza, escludendo la rilevanza di una visibilità-percepibilità satellitare o dall’alto, già da tempo diffusa quale forma di conoscenza preliminare di un territorio»[28]. I giudici hanno condiviso con la Soprintendenza di Perugia che «[...] “nel caso dei tessuti urbani storici tale visione dall’alto consente di ‘leggerne’ la struttura urbana nelle sue stratificazioni […]. Tale visione è dunque non solo significativa, ma sostanziale per la conservazione dell’immagine consolidata di un tessuto urbano storico, in particolare ove il vincolo di tutela paesaggistica sia ex art. 136, co. 1, lett. c) [...]”»[29].

Un’ulteriore estensione del confine dello «spazio pubblico esterno» è operata dai giudici a proposito di un campanile costituente bene culturale presunto ma momentaneamente inaccessibile per ragioni manutentive o di opportunità, in quanto «l’accessibilità al pubblico che oggi non è garantita, ben potrebbe esserlo domani». Ove quindi la chiusura al pubblico sia dovuta a «ragioni […] avulse da una considerazione del valore paesaggistico o culturale della cosa, e legate invece alla necessità di manutenzione ed alla indisponibilità delle relative risorse», il bene «potrebbe tornare ad esser[lo] [fruibile] in futuro, in coerenza con l’obbligo generalizzato di conservazione (art. 1 del Codice) e la naturale destinazione alla pubblica fruizione (art. 3, comma 1) connaturati ad ogni componente del patrimonio culturale»[30].

In conclusione, risulta pertanto dall’interpretazione evolutiva e adeguatrice data dal Collegio, che dell’“accessibilità” debbano estendersi tanto la portata temporale quanto quella oggettiva, altresì contemplando nella valutazione d’impatto paesaggistico di un impianto fotovoltaico:

  1. i. l’accessibilità da strumenti di visualizzazione del territorio dal satellite, quali per esempio Google Maps nella modalità “satellite” (Google Earth) nonché tutte le altre mappe satellitari o fotografie aeree disponibili in internet o comunque accessibili per fini di esplorazione del territorio, in quanto ritenute modalità di fruizione del patrimonio paesaggistico locale;
  2. ii. l’accessibilità futura potenziale-eventuale, quindi la visibilità dell’installazione da spazi esterni attualmente chiusi al pubblico ma che per il loro valore culturale, consacrato dal vincolo, potrebbero essere aperti e fruiti in futuro.

 

  1. Il decreto “aree idonee”. Conclusioni.

L’art. 20, d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199 concepisce un saggio meccanismo di livellamento di interessi costituzionali pari ordinati, tuttavia “tradito”, lasciato in potenza dal decreto interministeriale n. 236 del 21 giugno scorso, il quale avrebbe dovuto risolvere i problemi che in questo commento si sono trattati. Attesissimo per l’elemento innovativo che avrebbe dovuto portare nelle politiche energetiche del Paese, il decreto si è mostrato debole nel delegare alle regioni l’individuazione delle aree senza tuttavia operare un vero bilanciamento ex ante degli interessi in gioco[31]. Tale modalità attuativa lascia aperti i più problematici interrogativi. Primo fra tutti l’aver concepito, oltre alle aree “idonee”, “non idonee”, e di divieto assoluto, delle aree “ordinarie” rispetto alle quali, in presenza di vincolo, è ragionevole attendersi che la giurisprudenza esaminata in questo commento non avrà, purtroppo, vita breve.

Si deve temere che le lungimiranti previsioni dell’art. 20, comma 8, non riceveranno la giusta risonanza nelle disposizioni regionali attuative del D.M. n. 236, data la ampia discrezionalità lasciata da quest’ultimo ai legislatori del territorio. Il d.lgs. del 2021 immaginava infatti un’Italia capace di sfruttare, ai fini dell’installazione degli impianti solari fotovoltaici, aree industriali in uso o abbandonate o da riqualificare, o in generale superfici inutilizzate lontane dalle aree più sensibili, come ve ne sono moltissime nelle quali tali impianti non arrecherebbero il benché minimo danno al paesaggio.

In mancanza di una seria attuazione dell’art. 20, all’esito di queste decisioni il paesaggio appare sicuramente come un bene non sacrificabile: è in effetti proprio questo il senso della disposizione, dal momento che l’individuazione delle aree idonee e non idonee è finalizzata proprio a evitare il sacrificio, su determinate zone e superfici, dell’estetica del paesaggio e dei beni architettonici e culturali in genere. Si deve temere che continuerà a prevalere un’instabile e “ribaltabile” gerarchia dei principi, contraria alla certezza del diritto e che vanifica il postulato - sancito dalla Consulta - per cui l’ordinamento degli stessi è sistemico e non frazionato.

Quanto infine alla possibilità di utilizzare rimedi alternativi in zona vincolata quali per esempio le cd. tegole fotovoltaiche, che la Soprintendenza in più occasioni prescrive al fine di ridurre l’impatto estetico dell’impianto[32] col fine di tutelare «le coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale» (art. 7-bis, comma 5, ultimo periodo), non costituisce una vera soluzione dato il costo elevatissimo e l’inferiore rendimento, pur a fronte di un impatto visivo sicuramente mitigato.

 

 

[1] D’ora in avanti solo “la Soprintendenza”.

[2] Art. 30, comma 1, legge 11 agosto 2014, n. 116 di conversione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela ambientale […] nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (G.U. n. 192 del 20 agosto 2024).

[3] All’art. 3, comma 1 del decreto, il legislatore italiano aveva fissato la quota al 17%. Nel frattempo, tuttavia, le istituzioni dell’Unione europea, poste di fronte alla irrealizzabilità degli obiettivi fissati per il 2020, hanno posposto il termine al 2030, modificando la quota nella misura del 42,5% di energia da rinnovabili sul totale consumato, con “invito” al più ambizioso target del 45%. Si veda, infra, al § 6, l’art. 3, Direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, attuata in Italia con d.lgs. 8 novembre 2021, n. 199.

[4] Vedi fra i vari il Regolamento (UE) 2022/2577 del Consiglio del 22 dicembre 2022, che istituisce un quadro normativo diretto ad accelerare la diffusione delle energie rinnovabili.

[5] Tale previsione è in verità orientata a facilitare le eventuali necessarie operazioni di esproprio delle proprietà insistenti sull’area di progetto. Il sacrificio dell’interesse privato alla proprietà privata contempera l’opportunità di una localizzazione dell’impianto che sia migliore per effetto del bilanciamento degli interessi pubblici coinvolti.

[6] Si è ormai giunti infatti ad affermare che, nei rapporti fra amministrazioni, il silenzio-assenso orizzontale (in particolare, nella conferenza di servizi) sia applicabile al parere paesaggistico della Soprintendenza: sul punto vedi, ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610, che ha applicato l’istituto del silenzio-assenso ai procedimenti autorizzatori in cui si tutelino interessi paesaggistici, riconoscendo alla Soprintendenza un ruolo propriamente co-decisorio, con la conseguenza che l’eventuale silenzio serbato dall’autorità procedente, ritenuta comunque dotata di competenza in materia; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 22 aprile 2024, n. 500, che tanto dal d.lgs. n. 387 quanto dalla normativa di rango sovranazionale ha tratto la conclusione dell’illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, che non aveva concluso il procedimento in conseguenza del silenzio del Ministero della cultura, qualificato dai giudici come assenso nel procedimento di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un parco eolico.

[7] Vedi ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2024, n. 667, per il quale è illegittima la determinazione conclusiva della conferenza di servizi ostativa al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12, d.lgs. n. 387/2003, motivata genericamente sulla base del parere negativo della Soprintendenza, dal momento che la decisione deve formarsi sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza e considerando, inoltre, che la diffusione degli impianti per produzione di fonti rinnovabili è posta a tutela di uno specifico e rilevante interesse pubblico.

[8] Tanto prevedono il primo e il secondo periodo dell’art. 7-bis, comma 5, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28.

[9] L’art. 136, comma 1, lettera c), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) sottopone alle tutele del Titolo I della Parte III del codice medesimo «i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici». Non sussiste, in fase procedimentale, dubbio interpretativo a proposito della sussistenza di detto vincolo, in quanto apposto con provvedimento puntuale regionale o statale di apposizione del vincolo mediante dichiarazione di notevole interesse pubblico (il vincolo sull’agglomerato urbano storico ex art. 136 non opera automaticamente, ex lege, ma è subordinato all’adozione di un provvedimento regionale (art. 138) o ministeriale (artt. 138, comma 3 e 140) di dichiarazione di notevole interesse pubblico a norma del successivo art. 139 del codice dei beni culturali e del paesaggio). Normalmente, poi, tali aree vengono “ricalcate” nei Piani Regolatori Generali degli enti locali: infatti, quale più pronto strumento di ricognizione e verifica della sussistenza di tale tipo di vincolo, gli operatori si affidano alla classificazione, parzialmente sovrapposta a quella del codice, delle aree urbanistiche operata dal P.R.G. tenendo conto dei criteri di cui all’art. 2, D.M. 2 aprile 1968, recante limiti […] da osservare ai fini della formazione degli strumenti urbanistici, e che prevede l’istituzione, fra le altre, nei Piani Regolatori, di zone omogenee classificate come «A», ovverosia «le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi».

[10] T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 18 novembre 2022, n. 3104.

[11] Cons. Stato, Sez. VI, 23 marzo 2016, n. 1201.

[12] Cons. Stato, Sez. II, 5 giugno 2024, n. 5046.

[13] Nel filone anche Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167 e altre ancora.

[14] Corte cost., sentenze nn. 264 del 2012, 85 del 2013, 10 del 2015, 58 del 2018, e infine 2, 27 e 54 del 2022, sebbene tutte precedenti alla riforma dell’art. 9 Cost. e cui sarebbe opportuno aggiungere la n. 106 del 2020, anch’essa ante riforma, ma esplicitamente espressiva del favor che l’ordinamento riserva all’allestimento delle fonti energetiche rinnovabili.

[15] Cons. Stato, Sez. II, 5 giugno 2024, n. 5046.

[16] T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 8 aprile 2024, n. 1258: la motivazione richiama la succitata giurisprudenza in punto di mutate sensibilità sociali e bilanciamento degli interessi; si dà conto che è pendente giudizio di appello sul caso a seguito di impugnazione da parte del Ministero della cultura (cautelare accolta).

[17] T.A.R. Campania, Salerno, 28 febbraio 2022, n. 564; 4 novembre 2022, n. 2945; 18 novembre 2022, n. 3104 (citata sopra); 5 dicembre 2022, n. 3285; 8 aprile 2024, n. 1258 (esaminata poco sopra). Sulla stessa linea, cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, 9 marzo 2017, n. 357, nonché T.A.R. Sicilia, Catania, 19 giugno 2017, n. 1459, e altre ancora.

[18] Corte cost., 14 novembre 2007, n. 367, § 7.1; e altre.

[19] T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212, § 14.5: «mancherebbero, a tal fine, in capo alle Soprintendenze, la relativa competenza amministrativa, ma anche le indispensabili capacità tecniche, trattandosi di apprezzare le implicazioni ambientali ed economiche delle decisioni sulle soluzioni energetiche alternativamente percorribili (a livello del singolo impianto, e tanto più in un’ottica territoriale complessiva)».

[20] Segnatamente, Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3696; e 23 marzo 2016, n. 1201.

[21] T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212, § 14.4.2.

[22] La quale, come visto, considerando i pannelli fotovoltaici ormai «elementi normali del paesaggio», asserisce che la loro installazione «non è più percepita come fattore di disturbo visivo [...]» (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 18 novembre 2022, n. 3104).

[23] Ma anche in T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212, ai §§ 14.2.1 e 14.4.3.

[24] Art. 146, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio).

[25] Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2023, n. 9778, sulla scia di Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2015, n. 1000, § 15.2. Sulla discrezionalità tecnica della Soprintendenza torna poi T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 211, § 14.1: «Tradizionalmente, le valutazioni operate dalle Amministrazioni in materia di tutela dei beni del patrimonio culturale sono qualificate come espressione di discrezionalità tecnica, più di recente definita anche come tecnico-valutativa (per evidenziare l’ampia soggettività del parametro decisionale), mentre una qualificazione in termini di discrezionalità amministrativa vera e propria è rara, e riguarda appunto i casi in cui l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale entra in conflitto, oltre che con l’interesse del privato, con l’interesse pubblico alla tutela ambientale» (analogamente, T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212, § 14.3, con l’unica differenza che, nel caso, erano state imposte prescrizioni e non vi era stato un radicale diniego). Nella 211 si fa riferimento all’orientamento che qualifica la discrezionalità della Soprintendenza come “amministrativa” e non “tecnico-valutativa”, estendendone il sindacato: tale impostazione è applicabile nei «casi in cui l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale entra in conflitto, oltre che con l’interesse economico del privato, con quello alla tutela ambientale ([...] progressivo incremento della quota di energia pulita sui fabbisogni complessivi)» (§ 17.1): in tal caso, comunque, avendosi riguardo per le prescrizioni della Soprintendenza sull’uso di un particolare tipo di pannello, rispettoso del colore della copertura soggetta a tutela, pur appunto ammettendo il più ampio sindacato sulla discrezionalità amministrativa, esso è stato ritenuto correttamente esercitato: «non uno straripamento di potere [...] bensì un supporto motivazionale, a dimostrazione della idoneità e necessarietà della valutazione effettuata» (§ 17.2).

[26] Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2023, n. 9778.

[27] Per completezza, si specifica che in T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212, al § 14.2.2, s’evidenzia come nella disciplina regionale dell’Umbria i manti dei tetti ricevano una particolare tutela da parte del vincolo di talché qualsiasi loro modificazione merita l’attenzione particolare che gli è stata infatti riservata in queste due sentenze; T.A.R. Umbria, Perugia, 1° luglio 2024, n. 515, ha poi, previo richiamo alle due “gemelle”, ribaditi gli stessi principi, sebbene la pronuncia concluda per l’accoglimento poiché - diversamente da quanto accertato nelle due precedenti - la Soprintendenza avrebbe dovuto in tale ultimo caso motivare in maniera più precisa e puntuale il carattere di tutela della zona poiché nel caso, sita sul margine dell’area “A” del P.R.G.; l’edificio era di moderno rifacimento e sito a distanza di poche decine di metri da un edificio dal tetto completamente rivestito da pannelli (quest’ultimo stesso argomento era stato utilizzato ai fini del rigetto del ricorso in T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212 § 14.3.2, mentre in questo caso il gravame è stato ritenuto fondato). Invece, nell’ultima decisione, la n. 515, additivamente il T.A.R. formalizza un elemento di riespansione dell’ambito dell’installazione del fotovoltaico, o meglio di flessibilità rispetto all’ubicazione del fabbricato su cui voglia eseguirsi l’intervento di installazione pur in zona “A” del P.R.G.: la circostanza che esso si trovi nel centro storico «non può di per sé precludere» l’opera, occorrendo una stringente motivazione della Soprintendenza rispetto al «tipo di vincolo» e al «valore storico-artistico degli edifici» (non quindi solo a quello dell’area intera), di talché se ne «appare indimostrata l’effettiva alterazione sostanziale dello stato dei luoghi», l’intervento dovrà essere approvato.

[28] T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 211, § 14.4.

[29] T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 211, § 14.4.

[30] T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 211, § 14.3, conclude: «l’impostazione che lega l’intervento pubblico anche e soprattutto alla necessità di consentire la fruizione del bene tutelato a beneficio delle generazioni future, espressamente scandita per l’ambiente dalla nuova formulazione dell’art. 9, comma 3, Cost., non assume minor significato se riferita alla tutela del patrimonio culturale».

[31] Ciò sfruttando in termini minimi le attribuzioni statali in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali di cui alla lettera s) dell’art. 117, comma 1, Cost., per contro privilegiando un’ampia lettura dell’attribuzione della potestà concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 177, comma 2, Cost.

[32] Vedi fra le altre proprio la sentenza T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 26 marzo 2024, n. 212.