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Anno XVII - n. 06 - Giugno 2025

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Delibera di negozio societario e pretermissione del parere della Corte dei conti ex art. 5 Tusp.

Di Giovanni Dalla Pria
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DELIBERA DI NEGOZIO SOCIETARIO E PRETERMISSIONE DEL PARERE DELLA CORTE DEI CONTI EX ART. 5 TUSP

 

Di Giovanni Dalla Pria*

 

ABSTRACT

L'articolo affronta la questione dei profili giuridici della permanenza (o meno) degli effetti della delibera di negozio societario ex art. 5 TUSP a fronte dell'assenza del parere della Corte dei conti. Tale assenza ricorre sia nel caso di mancata trasmissione dell'atto deliberativo alla Corte sia nel caso di esecuzione anticipata del contratto societario nelle more della emanazione del parere.

 

The article addresses the issue of permence (or not) of the effetcts of the corporate transaction resolution of art. 5 TUSP in case of absence of opinion of the Court of accounts. The absence it applies both in yhe case of failure to trasmit to the Court both in the case of early execution of the corporate contract, pending the issuing of the opinion.

SOMMARIO. 1) Problematica. 2) Natura del parere. 3) Procedimento. 4) Elusione della funzione consultiva. 3) Stipula in pendenza del parere. 

 

  1. Problematica

La questione riguarda il caso dell’amministrazione che dà esecuzione alla delibera, trasmessa alla Corte dei conti ai sensi dell’art. 5, comma 3,  D. Lgs. 175/2016 (di seguito TUSP), prima di acquisire il parere. L’esecuzione della delibera consiste nella stipula del negozio societario (di costituzione societaria o di acquisto di partecipazioni).  Si tratta di esaminare le conseguenza giuridiche dell’esecuzione anticipata.

Due risultano le fattispecie del caso. La prima fattispecie si riferisce all’inoltro della delibera alla Corte soltanto dopo la (precedente) stipula del contratto. In altri termini, l’amministrazione invia e la Corte riceve il provvedimento quando il contratto è già stato definitivamente concluso. Si tratta di una forma di sottrazione in radice alla funzione consultiva.[1] La seconda fattispecie riguarda la circostanza in cui l’amministrazione stipuli il contratto dopo di aver trasmesso la delibera alla Corte, ossia nelle more della decisione consultiva.

La questione è rilevante se si pensa, in senso più generale, al principio elaborato dalla giurisprudenza contabile per cui in considerazione della natura necessaria del controllo preventivo, le eventuali clausole contenute in un atto amministrativo che prevedano un’esecuzione anticipata dell’atto in attesa della conclusione del procedimento di controllo sono nulle[2].

  1. Natura del parere

L’art. 11 della L. 5 agosto 2022 n. 118 aggiornava nell’attuale formulazione il commi 3 e 4 dell’art. 5 del TUSP.

La precedente formulazione del comma 3 prevedeva un obbligo di comunicazione dell’atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta alla Corte dei conti a fini conoscitivi. Non si trattava di mera trasmissione, poiché la espressa previsione normativa dell’inoltro implicava l’instaurazione di uno specifico rapporto giuridico tra l’ente deliberante e la magistratura contabile. Il contenuto di tale rapporto consisteva in un riscontro successivo di legittimità finanziaria, non fine a se stesso, ma preordinato sia alle funzioni generali di controllo della Corte in relazione al combinato disposto degli artt. 148 bis D. Lgs. 267/2000 e 21 D. Lgs. 175/2016 sia a quelle più specifiche di referto in ambito societario[3]. In tal senso, si esprimeva la funzione consultiva del Consiglio di Stato[4] per la quale l’atto deliberativo suddetto si connotava come un tipico atto di organizzazione di natura discrezionale, sottoposto al controllo della Corte dei conti.

Rispetto alla originaria formulazione, il riscontro consultivo della Corte dei conti sull’atto deliberativo non risulta più ancillare rispetto a forme più estese di controllo quali quella dell’art. 148 bis D. Lgs. 267/2000 bensì autonomo e separato perché segnatamente volto a verificare l’intrinseca legittimità finanziaria del provvedimento versato a tale riscontro. Detta verifica risponde alla ratio, propria del TUSP, di assicurare concretamente l’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, la tutela e promozione della concorrenza e del mercato e la riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica (art. 1, comma 2).

Analizzando la novella, sembrerebbe cogliersi una discrasia tra la funzione di controllo lato sensu ascrivibile alla fattispecie dell’art. 5, comma 3, e la dicitura parere di cui parla il successivo comma 4, nel secondo e terzo periodo. Infatti, il controllo rivestirebbe, in generale e a prescindere dai relativi effetti giuridici (di legittimità, di gestione, concomitante etc.), la funzione di riscontro di correttezza legale e, ove afferente la legittimità o il merito, dovrebbe collocarsi nella fase integrativa d’efficacia del procedimento. Diversamente, al parere corrisponderebbe un atto di accertamento quale dichiarazione di scienza necessaria ad illuminare l’amministrazione ricevente in ordine all’applicazione di discipline specialistiche[5] e troverebbe allocazione nella fase istruttoria del procedimento.

Tuttavia, in sede nomofilattica si è ritenuto non qualificare espressamente la funzione di che trattasi, ritenendola perciò figura eterogenea, atteso che non può essere trascurato che l’espressa qualificazione della pronuncia della Corte dei conti, da parte del legislatore, quale “parere” ha conferito una fisionomia atipica ad una funzione di controllo su un atto specifico e concreto, di cui la norma individua anche i parametri di riferimento[6].

Non aiuta, del resto, ad inquadrare con sicurezza la fattispecie in esame quale parere neppure la previsione dell’art. 5, comma 4, terzo periodo, TUSP la quale contempla la possibilità per l’amministrazione omnimodo factura di discostarsi dalla pronuncia consultiva della Corte, adeguatamente motivandone le ragioni. Infatti, sebbene tale accezione sia tendenzialmente propria della funzione consultiva (vedasi ad esempio l’art. 49, comma 4, D. Lgs. 267/2000)[7], la stessa non è estranea anche alla funzione di controllo (ved., in generale,  artt. 25 R.D. n. 1214/1934 e 127, comma 2, terzo periodo, D. Lgs. 267/2000). Ove peraltro si acceda alla tesi del parere, esso dovrebbe qualificarsi obbligatorio, in quanto la legge impone espressamente all’amministrazione  di richiederlo, ma non vincolante sia perché tale specificità non è prevista dalla legge sia per il suddetto potere di discostarsi[8].

Sembra, allora, opportuno valorizzare l’aspetto, rilevante anche nel caso di specie, che accomuna la funzione consultiva e quella di controllo. Esso è dato, secondo la dottrina[9], dal fatto che entrambe non gravitano nell’orbita dell’amministrazione, non costituendo propriamente atti amministrativi, bensì della giurisdizione. Infatti, tanto la funzione di controllo quanto quella consultiva non sono finalizzate a perseguire l’interesse pubblico nel senso dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97, comma 2, Cost. segnatamente proprie dell’amministrazione attiva, ossia di pura gestione. Diversamente, esse sono connotate da quella neutralità di giudizio che caratterizza, in generale, la terzietà del giudice e rientrano perciò, richiamando la summa divisio, non nel concetto di amministrazione attiva bensì in quello di amministrazione di controllo. Tale comunanza è rimarcata dall’attribuzione della funzione di cui all’art. 5, comma 3, al giudice contabile.

 

  1. Procedimento

In ambito procedimentale rilevano le seguenti sequenze: a) l’invio della delibera consiliare dall’amministrazione e l’acquisizione da parte della Corte dei conti; b) lo spatium deliberandi che ha due sbocchi alternativi: il rilascio del parere o il silenzio-assenso in caso di mancato rilascio nei sessanta giorni dall’acquisizione c); l’obbligo di trasmissione del parere della Corte dei conti e quello di pubblicazione dell’amministrazione richiedente (art. 5, comma 4, secondo periodo, TUSP); d) l’obbligo di motivare e pubblicare il contrario avviso dell’amministrazione richiedente, in caso di parere negativo (art. 5, comma 4, terzo periodo, TUSP).

In ordine all’invio e all’acquisizione [punto sub a)], essi rappresentano la fase d’iniziativa del procedimento di controllo. La stessa deve ritenersi, perciò rigorosamente formale talchè il primo periodo del comma 3 correla espressamente l’invio (“invia”) dell’atto deliberativo (da parte dell’amministrazione richiedente) al corrispondente “ricevimento” da parte della Corte. E’ quanto meno auspicabile, dunque, che l’amministrazione richiedente specifichi espressamente le ragioni giuridiche dell’inoltro ossia che esso si riferisce alla funzione dell’art. 5, comma 3, TUSP cui consegue l’obbligo di versare l’atto al riscontro consultivo.

La legge non prevede un termine entro il quale l’amministrazione deve trasmettere la delibera consiliare alla Corte, donde dovrebbe valere il principio per cui quod sine die debetur, statim debetur. Non essendo però prevista alcuna decadenza sia dell’obbligo di invio sia implicante l’eventuale inefficacia sopravvenuta del provvedimento consiliare inoltrato tardivamente, deve ritenersi che l’amministrazione non consumi in alcun modo il potere/dovere di azionare la funzione consultiva della Corte.

Relativamente allo spatium deliberandi [punto sub b)], il termine di sessanta giorni deve ritenersi perentorio perché al corrispondente inutile decorso in assenza di una pronuncia della Corte consegue il silenzio-assenso, al cui maturarsi l’amministrazione è facultata a procedere in ogni caso. Il silenzio-assenso importa, in altri termini, l’esaurimento della funzione della Corte (si veda più in generale l’art. 2, comma 8 bis, L 8 agosto 1990 n. 241)[10]. Lo spatium deliberandi presuppone una cognizione sommaria (hic et nunc) almeno nel limite in cui non è prevista l’interruzione o la sospensione del procedimento per finalità istruttorie con conseguente ri-decorso del termine, rispettivamente, per intero o nella porzione temporale residua. L’interruzione e la sospensione rispondono, infatti, a norma di diritto speciale non suscettibile di estensione analogica (art. 14 Preleggi): si veda, in proposito, l’art. 3, comma 2, secondo periodo, L. 20/94 che consente l’interruzione. Perciò, eventuali integrazioni istruttorie potranno essere senz’altro acquisite ma nel termine perentorio dei sessanta giorni, non oltre: in tal senso è l’orientamento nomifilattico di cui si dirà.

Relativamente all’obbligo di trasmissione e pubblicazione (del parere quanto delle motivazioni del contrario avviso ex art. 3, comma 4, secondo e terzo periodo) [punto sub c)] esse costituiscono indefettibili strumenti di pubblicità-notizia, il primo dei quali (la trasmissione) non profila la matrice ricettizia del parere atteggiandosi a comunicazione (cfr., in generale, artt. 58, 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c)

In ordine all’imposizione di motivare il contrario avviso [punto sub d)], si è detto che esso è in generale consustanziale ai pareri obbligatori. Per essi ricorre il dovere giuridico di richiederli ma non quello di uniformarvisi salva l’esternazione delle motivazioni del dissenso. Va specificato che l’obbligo di motivazione del dissenso rispetto al parere obbligatorio ha costituito un principio prevalentemente giurisprudenziale e l’ordinamento ha positivizzato tale principio nel caso di specie, anche sulla falsariga del precedente legislativo del richiamato art. 49, comma 4, D. Lgs. 267/2000.

Ove l’amministrazione sia omnimodo factura senza assolvere tale adempimento, ossia senza motivare le ragioni del dissenso rispetto al parere sfavorevole, il regime dell’atto è senz’altro quello della illegittimità per eccesso di potere, alla stregua delle considerazioni che precedono (vedasi nota n. 7). Ma chi può farlo valere e in quale sede processuale?

Si ritiene rispondere al primo quesito con un esempio. Si supponga che l’amministrazione attivi un procedimento di evidenza pubblica per l’acquisto di specifiche quote societarie, procedimento che si conclude con l’aggiudicazione tra più partecipanti. La delibera è inviata alla Corte per il parere. La Corte dà parere sfavorevole. L’amministrazione porta a compimento l’operazione societaria senza motivare le ragioni del dissenso rispetto al parere. Non sembra peregrino l’interesse del secondo classificato nella graduatoria di merito ad impugnare l’originaria delibera non legittimamente confermata al fine della riedizione del procedimento[11].

Quanto al secondo quesito, la sede processuale si ritiene essere il giudice amministrativo per cui l’art. 244, co. 1, d. lgs. N. 163/2006, in cui è confluito l’art. 6, l. n. 205/2000, applicabile ratione temporis (ora art. 133, co. 1, lett. l), c.p.a.), assegna alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversi inerenti le procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, ivi comprese quelle relative alla scelta del socio.[12]

 

  1. Elusione della funzione consultiva

La stipula del contratto precedente all’invio dell’atto deliberativo alla Corte ai fini del rilascio del parere rappresenta una sequenza procedimentale esaurita sul piano degli effetti materiali: la stabilità di quelli giuridici può conseguire solo all’esito del parere, per quanto si dirà. In tal senso, pur essendo la Corte ritualmente investita dell’atto deliberativo, questo, a seguito dell’avvenuta conclusione del contratto prima dell’invio, non soggiace a monte (per motivi strutturali) alla preclusione dell’art. 5, comma 3, secondo periodo, TUSP, ossia al divieto di stipula finchè non matura il silenzio-assenso. Infatti, il contratto è stato concluso del tutto al di fuori dell’arco temporale del silenzio-assenso che perciò non può, geneticamente, applicarsi. Ne deriva l’esaurimento degli effetti materiali. Si rimarca che trattasi di sottrazione in radice alla funzione consultiva, salvo il profilarsi, secondo la richiamata nomofilachia, della eventuale responsabilità erariale o l’assoggettamento dell’operazione alle altre funzioni di riscontro previste dalla legge.

La predetta fattispecie, secondo la giurisprudenza contabile in sede nomofilattica[13], determina la consumazione del potere consultivo della Corte  (che deve perciò pronunciare il non luogo a provvedere). Invero, risulta estranea al disposto normativo di cui al novellato art. 5 del TUSP la fattispecie dell’invio alla Corte di un provvedimento perfetto e già eseguito, mediante la stipula dell’atto negoziale. Infatti, l’invio di un provvedimento di acquisizione di partecipazione societaria già eseguito (con la stipula del negozio civilistico di costituzione) integra (…) una fattispecie eccentrica rispetto al modello prefigurato dal legislatore, che non consente l’esercizio dei poteri di verifica, da parte della Corte dei conti, secondo la procedura ed i tempi prescritti dall’art. 5, commi 3 e 4, né l’esito di questi può sfociare, in caso di valutazione negativa, nell’onere per l’Amministrazione di motivare analiticamente le ragioni per le quali intenda discostarsi dal parere, avendo quest’ultima già stipulato il negozio di costituzione o acquisto.

Nemmeno può ammettersi che il parere intervenga anche sulla delibera mandata in esecuzione anticipata sul pretesto che l’amministrazione sarebbe tenuta, in caso di parere sfavorevole, a rimuoverla in autotutela[14]. Ciò contrasterebbe, infatti, anche solo in linea teorica con l’impediente principio per cui l’amministrazione può discostarsi dal parere sfavorevole adeguatamente motivando (art. 5, comma 4, terzo periodo, TUSP): possibilità che esclude in radice l’annullamento doveroso, trattandosi di un provvedimento che l’amministrazione può quindi assolutamente conservare. Ma almeno questa prerogativa di conservazione (superando la rigidità nomofilattica) pare operare ove si ritenga ammissibile il parere anche quando il contratto sia concluso prima dell’invio della delibera alla Corte. Infatti, in tale situazione, mentre l’eventuale parere positivo confermerebbe la legittimità della delibera, quello sfavorevole potrebbe essere segnatamente disatteso da adeguata motivazione, conservandosi la delibera stessa e la conseguente stipula.[15]

 

  1. Stipula in pendenza del parere

Veniamo al caso in cui l’amministrazione stipuli il contratto dopo l’invio della delibera consiliare alla Corte, ossia nelle more della decisione consultiva. Al momento dell’invio alla Corte e della ricezione da parte di questa, l’amministrazione non ha ancora stipulato il contratto[16]: lo stipula mentre la Sezione sta per decidere.

Si tratta di fattispecie senz’altro assimilabile a quella sovra descritta sotto il profilo della ratio legis[17] per cui, nella riferita sede nomofilattica, la funzione consultiva non può portare ad avallare ex post scelte già compiute, estrinsecantesi in atti già perfezionati o contratti già stipulati. Solo sul piano strutturale sembra cogliersi l’asimmetria precedentemente esaminata: tale fattispecie, rispetto alla prima, risulta strutturalmente permeabile al dettato dell’art. 5, comma 3, secondo periodo, TUSP per cui “Qualora la Corte non si pronunci entro il termine di cui al primo periodo (sessanta giorni, NDR), l’amministrazione può procedere alla costituzione della società o all’acquisto della partecipazione di cui al presente articolo”.

Leggendo a contrariis la disposizione, durante la pendenza del silenzio-assenso, l’amministrazione non può in assoluto rendere operativa la delibera stipulando il contratto perché si tratta di preclusione derivante da norma imperativa o di assetto: lo sono tendenzialmente tutte quelle di diritto pubblico in quanto inderogabili[18]. Anche in sede nomofilattica si valorizza l’effetto bloccante, parlandosi, al riguardo, di esame incentrato su un atto già perfetto ed efficace per il quale sussiste, nel lasso temporale concesso alla Corte per l’esame, e al massimo per sessanta giorni, un impedimento temporaneo alla sua esecuzione (stipula del contratto di costituzione societaria o acquisto di partecipazioni) in conformità al principio generale di cui all’art. 21-quater, c. 1, della legge 241 del 1990.

Ciò posto e per quanto precede, soltanto al primo caso (stipula del contratto in pendenza della decisione della Corte), e non al secondo (stipula antecedente alla trasmissione della delibera consiliare alla Corte per l’acquisizione del parere) si presta l’applicazione del silenzio-assenso. Infatti, esso matura a decorrere[19] dall’acquisizione da parte della Corte della delibera ma, soprattutto, presuppone non stipulato il contratto in ragione del divieto normativo. Al contrario, come già rilevato, la stipula antecedente l’invio importa una sottrazione in radice (sul piano ontologico/strutturale) all’osservanza del divieto, essendo definitivamente concluso il contratto prima del periodo del silenzio-assenso.

Guardando al mero congegno della disposizione, si pongono le questioni allora seguenti: a) quale sia il regime dell’operazione societaria adottata in divieto della norma imperativa; b) se, conseguentemente, la Corte consumi il potere di pronunciarsi.

In relazione al primo quesito, va premesso che la delibera versata al riscontro consultivo è senz’altro perfetta ed efficace, secondo la decisione nomofilattica, ma gli effetti sono latenti proprio in ragione della suddetta preclusione derivante da norma cogente. Più precisamente, si tratta di effetti preliminari prodottisi ma non ancora stabilizzati[20]: lo potranno divenire soltanto all’esito del parere positivo nel termine di sessanta giorni o al maturare del silenzio assenso. La fattispecie è perciò inquadrabile nel primo comma dell’art. 21 quater, richiamato in sede nomofilattica, per cui “i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. Nel caso di specie, è evidente, per quanto precede, l’impedimento giuridico alla eseguibilità della delibera consiliare nelle more del rilascio del parere. Al concetto di eseguibilità, implicitamente contemplato dalla disposizione, la dottrina[21] riconduce la condizione del provvedimento del quale sia possibile la concreta attuazione in assenza di impedimenti materiali o giuridici ossia la possibilità di portare il provvedimento a immediata esecuzione, a meno che la legge o l’atto non stabiliscano diversamente. Si tratta della possibilità legale e giuridica che gli effetti del provvedimento possano prodursi, a seguito dell’assenza delle predette preclusioni.

Se perciò l’amministrazione esegue la delibera stipulando il contratto societario, gli effetti della delibera stessa non potranno ritenersi giuridicamente stabilizzati né si verificherà il conseguente consolidamento della operazione societaria. Infatti, si può qualificare la fase del parere come sostanzialmente integrativa d’efficacia della delibera[22]: difettando tale fase, gli effetti dell’atto rimangono interlocutori. A supporto di tale assunto, non sembra peregrino richiamare il principio dell’art. 121, comma 1, lett. d), D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 per cui il giudice dichiara l’inefficacia del contratto se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione[23].

Il delineato contesto consente di rispondere al secondo quesito, ossia se la Corte dei conti consumi la funzione consultiva[24], in senso possibilista. Infatti, a fronte di effetti giuridici non consolidati ma soltanto in fieri perché non definitivi, la funzione non può considerarsi esaurita perché, una volta esercitata, interviene su una realtà quanto meno giuridicamente interinale, quindi idonea ad essere concretamente incisa dalla relativa decisione[25].  E residuerebbe, anche in tal caso, sempre il potere confermativo a fronte di parere sfavorevole. Peraltro, se la preclusione dell’art. 5, comma 3, secondo periodo, fosse soltanto eventuale, arrestandosi la funzione consultiva davanti alla stipula nelle more della decisione, la disposizione si presterebbe a verosimile disapplicazione.

 

 

 

 

 

* Magistrato, Primo Referendario della Corte dei Conti

[1]In tale prospettiva, la primitiva forma di radicale sottrazione è senz’altro costituita  dalla stipula contrattuale a fronte dell’inesistenza dell’atto deliberativo comunale su cui si è pronunciata Corte dei conti, sez. controllo Emilia-Romagna, Deliberazione 39/2024/VSGO. Al riguardo, si veda ampiamente BENDOTTI, Profili di irritualità e inefficacia nel procedimento di acquisizione di quote societarie, in MANAGENT PUBBLICO, n. 3, 2024, pp. 5 ss. La questione esula dalla presente problematica perché l’inesistenza dell’atto deliberativo implica il mancato inoltro alla Corte e, quindi, l’assenza del suo coinvolgimento diretto.

[2] Corte dei conti, sez. contr., 10 febbraio, n. 14; in tal senso anche Corte dei conti, sez. controllo Lazio, deliberazione n. 10/2020/PREV che, rilevando l’illegittimità di clausola contrattuale che obliteri la tempistica del procedimento di controllo preventivo di legittimità, ritiene il vizio tale da comunicarsi al decreto sottoposto a controllo nella misura in cui lo stesso ha dato integrale esecuzione al contratto prescindendo dalla tempistica del controllo preventivo di legittimità.

[3] Cfr. Corte dei conti, contr. Veneto, Delib. 97/2022/GEST.

[4] Parere del Consiglio di Stato n. 968/2016. Più in generale, GRIBAUDO/PATUMI/CENTRONE, I controlli della Corte dei conti sugli enti territoriali e gli altri enti pubblici, Maggioli editore, 2022.

[5] Ved., in generale, FRANCAVIGLIA/BRANDOLINI, Il ritiro del parere di legittimità (Corte dei conti sez. giurisdizionale Marche n. 338/2004), in Diritto & Diritti – rivista giuridica, dicembre 2004.

[6] Si ritiene utile riportare l’argomento di Corte dei conti, Sez. Riun., n. 16/SSRRCO/QMIG/2022 per cui “mentre il novellato comma 3 dell’art. 5 ha qualificato l’esito finale dell’esame effettuato dalla Corte dei conti come “pronuncia” (aderente alla proposta effettuata da queste Sezioni riunite nella deliberazione n. 1/2022/AUD), il comma 4 fa riferimento ad un “parere”, accentuando la natura consultiva, piuttosto che di controllo, della funzione affidata alla Corte./ L’art. 5, comma 3, invero, prevede che la Corte dei conti si pronunci “in ordine alla conformità dell’atto” ai parametri individuati dal legislatore (commi 1 e 2 del medesimo articolo 5, nonché dagli articoli 4, 7 e 8, con particolare riguardo alla sostenibilità finanziaria ed alla compatibilità con i principi di efficienza, efficacia e economicità dell’azione amministrativa), richiamando elementi propri del controllo successivo su un provvedimento specifico, già evidenziata, anche con riferimento ad altre funzioni attribuite dal Testo unico delle società pubbliche, dalle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione (sentenze n. 16/2019/EL, n. 17/2019/EL e n. 25/2019/EL) e, in seguito, anche da queste Sezioni riunite in sede di controllo (deliberazione n. 19/2020/REF, nonché deliberazione n. 12/2021/PARI, approvativa della relazione allegata al giudizio di parifica del rendiconto dello Stato per l’esercizio 2020)./ (…) Tuttavia, in assenza di una chiara ed espressa previsione in tal senso, non appare possibile ricondurre la nuova funzione al controllo preventivo di legittimità, puntualmente disciplinato in ordine a tipologia di atti assoggettati, autorità emanante, procedura istruttoria, termini ed esiti dall’art. 3 della legge n. 20 del 1994 e norme ivi richiamate (su tutte, quelle degli artt. 17, e seguenti, del regio decreto n. 1214 del 1934). Peraltro, il controllo preventivo di legittimità interviene su un atto già perfetto, ma non efficace, mentre, nel caso di specie, l’esame appare incentrato su un atto già perfetto ed efficace, per il quale sussiste, nel lasso temporale concesso alla Corte per l’esame, e al massimo per sessanta giorni, un impedimento temporaneo alla sua esecuzione (stipula del contratto di costituzione societaria o di acquisto di partecipazioni) in conformità al principio generale di cui all’art. 21-quater, c. 1, della legge n. 241 del 1990./ Nel senso dell’attrazione alla funzione di controllo sembrano concorrere vari elementi. In primo luogo, può richiamarsi la rubrica dell’art. 12 della legge n. 118 del 2022 che ha introdotto la disciplina qui all’esame. Tale norma è intitolata “Modifica della disciplina dei controlli sulle società a partecipazione pubblica” e in tali termini si  esprime anche la relazione illustrativa all’iniziale disegno di legge, esplicitando la voluntas del legislatore in questa direzione. In secondo luogo, in base alla novella normativa, il pronunciamento della Corte dei conti interviene non prima (come per l’attività consultiva), ma dopo che l’Amministrazione abbia perfezionato l’atto deliberativo di costituzione o di acquisizione della partecipazione (diretta o indiretta), per la traduzione del quale nelle forme del diritto societario, tuttavia, la legge richiede il decorso di un predeterminato lasso temporale, sessanta giorni, funzionale all’esame da parte della Corte dei conti./ (…) In conclusione, la pronuncia esitante nel parere previsto dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2016 postula l’espletamento di una peculiare attività di controllo di cui il legislatore individua i tempi, i parametri di riferimento e gli esiti”. In senso più generale, in materia di controlli, si veda BRANDOLINI, La contabilità pubblica, 2010, pp. 240 ss.

[7] Cfr. GALLI, Corso di diritto amministrativo, 1994, p. 409; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo I, NAPOLI, 1984, p. 620; CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, parte generale e speciale, 2022, p. 1138; CARINGELLA/DELPINO/DEL GIUDICE, Diritto amministrativo, 2003, p. 463; più in generale, TAR Campania, Napoli, 554/85.

[8] Cfr. GALLI, cit., 1994, p. 409 per cui in caso di parere obbligatorio la PA potrà discostarsi dal parere, ma dovrà adeguatamente motivare per non incorrere in eccesso di potere; SANDULLI, cit., NAPOLI, 1984, p. 620; CARINGELLA, cit., p. 1315 ss.; più in generale, TAR Veneto, sez. III, 3049/2003; Cons. St. 836/71; 18/64.

[9] FERRARI, Gli organi ausiliari,  MILANO, 1956, pp.177 ss

[10] Cfr., sempre più in generale, Cons. st. sent. 30 novembre 2023 n. 10383.

[11] Ved., più in generale,  ex multis, Cons. St., sent. 16 aprile 2018 n. 2258. Sui vizi di legittimità, CARAPELLUCCI, Il parere ex art. 5 Tusp è un controllo di legittimità?, in Rivista Corte dei conti, n. 2/2023, p. 157 secondo cui il giudice amministrativo potrà annullare la deliberazione, viziata da eccesso di potere, per il solo fatto che il supplemento di motivazione non è idoneo a superare i rilevi della Corte dei conti, mentre la totale inerzia a fronte del parere negativo potrebbe addirittura integrare il vizio di violazione di legge: l’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 l. n. 241/90, nel caso di specie, si sostanzia infatti in due atti successivi.

[12] Cons. St., Ad. Plen., 3 giugno 2011 n. 10.

[13] Corte dei conti n. 16/SSRRCO/QMIG/2022, cit.; in tal senso, Sez. Riun. Contr., 22 dicembre 2022, n. 45/2022/PASP.

[14] Ved. SANDULLI, cit., p. 710 per cui “Quello di annullare gli atti amministrativi invalidi viene configurato come un vero e proprio dovere giuridico dell’autorità che abbia posto in essere gli atti stessi (…) e così giungiamo all’ultima all’ultima figura di annullamento d’ufficio -, allorquando l’invalidità sia dichiarata in una sentenza passata in giudicato (a. 4 l. cont. amm.) oppure sia stata (legittimamente) dichiarata da un’autorità di controllo senza che, rispettivamente, l’autorità giudiziaria  (come è la regola per i giudici ordinari:…) o quella di controllo (come avviene  ex a. 8 l. 21-3-1958 n. 259 nel caso in cui al Corte dei conti formuli “rilievi” nei confronti di enti nei quali lo Stato contribuisce in via ordinaria: …) dispongano esse stesse del potere di annullare l’atto amministrativo. In simili casi l’autorità amministrativa è obbligata all’annullamento indipendentemente da qualsiasi istanza degli interessati”; DURANTE, L’autotutela doverosa, in Giustizia Amministrativa, 2022; CARAPELLUCCI, cit., pp 155 ss. Cfr. Cons. St., Ad. Plen. 17/10/2017, n. 8, punto 9.2.

[15] Ved. SANTORO, Manuale di contabilità pubblica, 2015, pp. 548 ss. Cfr., più in generale, TAR Toscana, sent. 7055/2006 per cui “atteso il controllo non è atto costitutivo del provvedimento che vi è soggetto, ma attiene esclusivamente alla sua efficacia, in presenza di un provvedimento inefficace ma egualmente eseguito dall’Amministrazione (…) deve escludersi che possa verificarsi la conversione del mancato controllo in vizio dell’atto”.

[16] Ved. Corte dei conti n. 16/SSRRCO/QMIG/2022, cit., punto 4.2, per cui “Altro aspetto oggetto di dubbio interpretativo riguarda i casi in cui l’attivazione della funzione di cui all’art. 5 TUSP avvenga dopo che l’acquisto della partecipazione (o la costituzione societari) sia stato definito in sede negoziale (…)”. Al riguardo, “Risulta, pertanto, estranea al disposto normativo di cui al novellato art. 5 del TUSP la fattispecie dell’invio alla Corte di un provvedimento perfetto e già eseguito, mediante la stipula dell’atto negoziale”.

[17] In tal senso, Corte dei conti, sez. controllo Veneto, deliberazione n. 29/2023/PASP.

[18] Cfr. CARINGELLA, cit., p. 1289; più in generale, BIANCA, Il contratto, MILANO, 1987, p. 582 ss.

[19] La decorrenza del termine opera ai sensi dell’art. 155, comma 1, c.p.c.

[20] Ved., in ambito più generale, GAZZONI, Manuale di diritto privato, NAPOLI, 1992, p. 816 secondo cui il rifiuto eliminativo rimuove con effetto retroattivo effetti che si sono già prodotti ma non si sono ancora stabilizzati (ad esempio, c.d. rinunzia al legato)

[21] CARINGELLA, cit., p. 1232. Con riferimento al concetto di eseguibilità si veda anche l’art. 134, comma 4, D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 per cui “Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti”. Cfr. Tar Piemonte, sez. I, sent. n. 2584/2007; Cons. St., sez. IV, sent. n. 1070/2009 per cui la dichiarazione di immediata eseguibilità rimuove ogni impedimento estrinseco alla produzione degli effetti di detto atto (ovvero alla sua temporanea inefficacia o -meglio - inoperatività in pendenza dell’affissione”.

[22] Cfr. SANDULLI, cit., p. 636 per nella fase di integrazione di efficacia il procedimento amministrativo si completa di quegli atti e operazioni che di volta in volta occorrono alla fattispecie perché l’effetto giuridico che si collega agli elementi “costitutivi” possa diventare operante.; GIANNINI, Diritto amministrativo, MILANO, 1993, p. 482 ss.; GALLI, cit., 414; CORSO, Efficacia del provvedimento amministrativo, MILANO, 1969; CARINGELLA, cit., p. 1139. In ambito più generale, va ricordato che è auto-esecutiva e non necessita del giudizio di ottemperanza la sentenza di annullamento di un atto negativo di controllo preventivo di legittimità, determinando l’automatica revivescenza dell’atto controllato invalidato all’esito del controllo preventivo (Cons. St, Ad. Plen, 4 dicembre 1998 n. 8).

[23] Cfr. CARAPELLUCCI, cit., p. 153 che, con riguardo alla disposizione in esame del TUSP, richiama espressamente l’istituto dello standstill; più in generale, DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice degli appalti e nel codice del processo amministrativo, in Giurdanella.it, 25 settembre 2010.

[24] In proposito, SANDULLI, cit., p. 399, per cui con riferimento ai casi in cui l’Amministrazione, in pendenza della procedura volta a ottenere la registrazione (da parte della Corte dei conti, NDR) abbia dato esecuzione all’atto poi non registrato, CdS, VI, 22-12-1966 n. 985, ha affermato che l’Amministrazione è tenuta a comparare l’interesse pubblico concreto a eliminare l’atto, della cui illegittimità si sia essa convinta, con l’interesse inerente alle posizioni giuridiche eventualmente consolidatesi: ciò in applicazione dei principi in materia di annullamento d’ufficio. La soluzione appare però scorretta, essendo destinata a frustrare gli effetti della funzione di controllo, i quali non possono essere pregiudicati dalla anticipata esecuzione del provvedimento. In tal senso, Corte dei conti, SCCLEG/10/2009/PREV per cui atteso che l’atto non può essere posto in esecuzione prima che si concluda il procedimento di controllo, posto che lo stesso manca del requisito dell’efficacia, ne consegue che resta comunque ferma la … competenza (della Corte dei conti, NDR) a pronunciarsi malgrado l’atto abbia ormai esaurito i propri effetti. Contra, Corte dei conti, SCCLEG/16/2010/PREV per cui, a seguito della normativa che esclude la colpa grave a fronte di atti vistati e registrati in sede di controllo preventivo della Corte, si rafforza il principio (di per sé ovvio) secondo cui il controllo preventivo deve necessariamente aver luogo prima che l’atto venga posto ad esecuzione.

[25] Quanto alla sorte del contratto, ricorrerebbe la nullità ove si assuma stipulato in violazione di norma imperativa, per l’appunto l’art. 5, comma 3, secondo periodo, TUSP, la quale può essere letta in combinato disposto con l’art. 1418, commi 1 (il contratto è nullo quando è contrario a norma imperative…) e 2 (il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge).