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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Prime considerazioni sul d.d.l. “sburocratizzazione” per la Regione siciliana.

Di Pietro Maglione.
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Prime considerazioni sul d.d.l. “sburocratizzazione” per la Regione siciliana

 

 

Di Pietro Maglione

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il dimezzamento dei termini di conclusione del procedimento – 3. Digital first… but non certified – 4. Autocertificazioni omnibus – 5. Alcune (primissime) riflessioni conclusive

 

  1. Premessa (e delimitazione dell’oggetto)

Lo scorso 1 maggio la Commissione Affari istituzionali[1] dell’Assemblea regionale siciliana ha licenziato un disegno di legge[2] recante “Disposizioni per l’accelerazione delle procedure autorizzatorie e di spesa e della realizzazione di interventi infrastrutturali urgenti”, apertamente ispirato all’esigenza di snellire i procedimenti di competenza delle amministrazioni siciliane per far fronte, in modo più efficace di quanto fatto sin qui, alla situazione di emergenza determinata dalla pandemia da Covid-19[3]. Sulla proposta, malgrado le turbolenze che negli ultimi tempi attraversano l’Assemblea regionale siciliana, si è registrata da subito un’ampia convergenza tra le forze politiche, testimoniata dalla firma apposta dai capigruppo dei principali partiti rappresentati al suo interno.

Il d.d.l., il cui esame in aula ha avuto inizio nella giornata di lunedì 11, trae le mosse dall’assimilabilità – ritenuta dai suoi promotori – dell’epidemia in atto alla situazione calamitosa che nell’agosto 2018, a seguito del crollo del Viadotto Polcevera (meglio noto come Ponte Morandi) nel territorio comunale di Genova, aveva giustificato l’introduzione di consistenti deroghe alla vigente normativa, specie in materia di procedure per l’affidamento di contratti pubblici.

Il clamore mediatico sollevato in piena emergenza sanitaria dalle inefficienze emerse nella gestione di talune pratiche seriali di fondamentale rilevanza sociale e strategica ha così dato impulso ad una proposta di riforma più volte annunciata nel recente passato. Tale proposta, per vero, appare alla luce dei suoi contenuti volersi spingere ben oltre l’intento di apprestare rimedio ai contingenti “intoppi” della macchina burocratica regionale, mirando piuttosto ad innovare in via stabile – e non meramente transitoria – la disciplina dei procedimenti e, ancor più in radice, il rapporto tra cittadini siciliani ed amministrazioni pubbliche ricomprese nel territorio della regione.

Ad un anno esatto dall’approvazione della legge regionale sul procedimento amministrativo[4], si riapre così il “cantiere” della semplificazione amministrativa à la sicilienne, nel quale confluiscono, da un lato, istituti procedimentali di primaria importanza, in quanto investono direttamente il quadro delle libertà economiche individuali (a regime cd. amministrativo); e, dall’altro, delicate e annose questioni sul riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni e, segnatamente, sui margini di derogabilità della normativa statale ad opera della legge regionale nei settori attinti dal principio europeo di concorrenza.

Nelle pagine che seguono ci si limiterà ad analizzare i profili della proposta, contenuti nei commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 1 della prima versione del d.d.l., connessi alla (oggi più che mai) avvertita esigenza di “sburocratizzare” – e perciò di efficientare – gli iter procedimentali finalizzati all’adozione di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati. Con riserva di esaminare in altro scritto le questioni, di ben altra complessità, poste dai “poteri sostitutivi” commissariali tratteggiati dai commi 5 e 6 del progetto di articolo, che, discostandosi dalla pur richiamata normativa statale in materia di protezione civile[5]“per risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere essenziali e connesse” sembrerebbero prefigurare il ricorso all’affidamento di contratti pubblici in deroga al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e alla legislazione regionale in materia[6].

 

  1. Dimezzamento dei termini di conclusione del procedimento

Il primo comma dell’art. 1 del progetto prevede la riduzione alla metà[7], ove non diversamente previsto da norme inderogabili di legge[8], dei termini di conclusione del procedimento di cui all’art. 2, commi 2, 3 e 4 della L. Reg.Sic. n. 7/2019. Tale ultima disposizione, che ricalca l’art. 2 della legge statale sul procedimento[9] (L. 7 agosto 1990, n. 241), fissa in giorni 30 il termine di conclusione del procedimento (termine cd. residuale) (co. 2), elevabili in via ordinaria a non oltre 60 giorni con decreto del Presidente della Regione adottato su proposta dell’Assessore competente ratione materiae (co. 3), ovvero, sempre con decreto presidenziale e su proposta dell’Assessore competente (di concerto con l’Assessore regionale per la funzione pubblica), a non oltre 150 giorni, ove termini superiori a 60 giorni risultino indispensabili, avuto riguardo alle esigenze organizzative, alla complessità del tipo procedimentale e alla natura degli interessi coinvolti (co. 4)[10].

L’articolato di riforma prevede altresì il dimezzamento dei tempi massimi di sospensione del termine di conclusione del procedimento (per le esigenze istruttorie indicate dal comma 6 dello stesso art. 2[11]), nonché dei termini entro cui le amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi semplificata devono richiedere integrazioni documentali e chiarimenti (art. 18, co. 2, lett. b) e rendere le proprie determinazioni in ordine all’oggetto della conferenza (art. 18, co. 2, lett. c)[12]. I termini relativi alla conferenza semplificata, dimidiati e arrotondati in eccesso, risultano quindi pari, rispettivamente, a (non oltre) 8 e 23 giorni.

La constatazione che la riduzione dei tempi dell’azione amministrativa debba comunque valutarsi con favore, in omaggio ai principi sull’azione già sanciti dall’art. 1 della L. n. 241/1990 nei quali si specifica il canone costituzionale di buon andamento (art. 97, co. 2, Cost.), si presenta talmente ovvia da far sorgere il dubbio che, come tutte le soluzioni astrattamente “perfette”, anche questa rischi di scontare difficoltà attuative di non poco momento, con potenziali risvolti tanto indesiderati quanto paradossali. L’invarianza di organico delle singole amministrazioni chiamate – di converso – a “raddoppiare” la speditezza della propria attività rischia di vanificare la portata risolutiva dell’innesto normativo, che anzi, isolatamente considerato, rischia per un verso di determinare un sovraccarico degli uffici ove questi non si rivelassero capaci di osservare i nuovi termini (con l’insorgere di contenzioso ex art. 31 e 117 c.p.a., dai possibili riflessi anche di natura risarcitoria e/o indennitaria); e, per altro verso, di comportare un significativo peggioramento della qualità dell’attività istruttoria e decisoria espletata dagli uffici delle amministrazioni regionali, ponendo in serio pericolo la tutela di rilevanti interessi pubblici, primari e secondari, quali la salute, l’ambiente, i beni culturali ed il paesaggio (cd. interessi sensibili[13]). Senza considerare le conseguenze, rilevantissime, in ordine ai procedimenti sottoposti a silenzio silenzio-assenso, individuati a norma dell’art. 29, comma 2, della L. Reg.Sic. n. 7/2019, per i quali rilevano, stante l’espresso riferimento contenuto nel primo comma della stessa disposizione, i termini di conclusione ex art. 2.

Pertanto, com’è agevole intuire, la valutazione in ordine all’opportunità, in chiave pratica, di una così drastica riduzione dei termini di conclusione del procedimento non può disgiungersi dalla considerazione delle ulteriori e distinte modifiche previste dalle successive disposizioni del progetto di riforma, e del complessivo equilibrio che la loro interrelazione può (almeno) in astratto determinare[14]. La questione, in altri termini, è se le abbozzate misure di semplificazione degli adempimenti procedimentali posti a carico dei privati possano “compensare” le (qui) supposte difficoltà che le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 1, L. Reg.Sic. n. 7/2019[15], chiamate ex abrupto ad assicurare un nuovo corso di iper-efficienza ad organico e dotazioni (presuntivamente) invariati, incontrerebbero in assenza di adeguati contrappesi.

 

  1. Digital first… but not certified

Il secondo comma dell’art. 1 del d.d.l. in commento impone alle strutture designate quali Autorità di Gestione (AdG)[16] di programmi finanziati in tutto o in parte con risorse extra-regionali di adottare, entro un breve termine[17], gli atti necessari per consentire ai cittadini di presentare le domande di sostegno con l’allegata documentazione e di provvedere a rettifiche ed integrazioni “esclusivamente a mezzo di canali telematici”. Tra gli atti a ciò finalizzati si considera inclusa la trasmissione ai Comitati di Sorveglianza (CdS)[18] di proposte di modifica di disposizioni attuative, sia generali che specifiche.

L’attuale formulazione, che condensa in un unico (lungo) periodo sostanze concettuali tra loro piuttosto eterogenee, non brilla per linearità. Nondimeno, essa ha il merito di (aspirare a) concretizzare talune indicazioni programmatiche – se non di carattere puramente ottativo – contenute nel C.A.D.[19] e riconducibili al principio del digital first[20]. La previsione sembra doversi interpretare quale obbligo per le amministrazioni (di assicurare la possibilità di trasmettere e integrare le istanze di sostegno e i relativi documenti attraverso il solo canale telematico), piuttosto che come onere per le imprese, le quali conserverebbero pertanto – salvo diverse determinazioni dell’Autorità di Gestione – la facoltà di postulare e dialogare con l’amministrazione, nell’ambito delle procedure de quibus, mediante la tradizionale modalità di deposito o invio cartaceo. I tempi sembrerebbero invero maturi, anche sulla scia della “telematizzazione” imposta (o quantomeno indotta) dalla situazione sanitaria, per abbandonare scelte conservative di compromesso ed inverare il principio del digital first nella sua accezione “forte”, che impone l’uso della telematica ogni qualvolta a ciò non ostino obiettive esigenze connesse alla natura dei procedimenti o dei soggetti in essi coinvolti[21]. Né pare che possano rilevare, nell’ambito delle procedure di sostegno cui inerisce la previsione in discorso, criticità riconducibili al concetto di digital divide, atteso che i soggetti richiedenti, svolgendo attività con metodo economico (a prescindere dalla loro natura imprenditoriale), ben possono – ed anzi dovrebbero – considerarsi tenuti ad operare con strumenti telematici nei rapporti con la P.A.[22] Una più rigorosa formulazione della disposizione potrebbe costituire il primo passo per l’affermazione, a livello regionale, di precisi doveri di cittadinanza digitale in capo ad operatori qualificati, giustapposti alla più nota categoria dei “diritti” di cittadinanza digitale[23].

Il successivo quarto comma del progetto di articolo ammette per la generalità dei procedimenti, pur per “sole finalità di predisposizione delle istruttorie”, l’acquisizione di atti e documenti “mediante posta elettronica non certificata e senza l’utilizzo della firma digitale”. Atti e documenti che dovrebbero poi acquisirsi secondo le “ordinarie” modalità previste dal C.A.D.[24] ai fini della – e quale condizione per la – adozione del provvedimento finale. Se tale è il senso che deve attribuirsi alla previsione, per certi versi ambigua nell’attuale formulazione, può ragionevolmente ipotizzarsi che la misura prometta di sortire effetti positivi, in linea con le finalità di semplificazione del disegno, consentendo di anticipare i tempi di presentazione delle istanze (e, di conseguenza, della decisione), salvo poi recuperare “a valle” forme e modalità previste dal CAD ai fini della certa identificazione dei richiedenti, strumentale al doveroso accertamento della loro legittimazione sostanziale al rilascio dei provvedimenti (anche) ampliativi.

Va osservato che la previsione da ultimo richiamata ha efficacia temporale specificamente circoscritta all’anno in corso: la (parziale) deroga al C.A.D. vale infatti solo “per l’anno 2020”. Ciò a differenza di quanto previsto dai commi 1, 2 (supra) e 3 (infra), i cui contenuti innovativi, pur occasionati dall’emergenza sanitaria, risultano da questa svincolati sul piano dell’efficacia temporale e – di conseguenza – dotati di una giustificazione politico-legislativa almeno in parte autonoma.

 

  1. Autocertificazioni omnibus per la liquidazione dei crediti

Il terzo comma del progetto di articolo 1 consente ai creditori delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 1, della L. Reg.Sic. 7/2019, le quali siano tenute alla corresponsione di somme già esigibili, dovute a qualsiasi titolo, ossia “in attuazione di obbligazioni contrattuali e/o di sussidi, sovvenzioni e contributi già assegnati secondo elenchi e graduatorie”, di produrre dichiarazioni sostitutive[25] della documentazione richiesta ai fini della liquidazione delle somme suddette, ove a ciò non ostino norme inderogabili di legge[26].

L’alinea precisa poi che “in ogni caso” le dichiarazioni sostitutive sono validamente utilizzabili per l’attività istruttoria propedeutica, con ciò riferendosi proprio all’ipotesi in cui la documentazione non sia suscettibile di dichiarazione sostitutiva. Anche qui (supra3.) si è, dunque, in presenza di un meccanismo diretto a differire l’accertamento dei requisiti di legittimazione sostanziale e soggettiva dell’istante: l’onere di produrre la documentazione necessaria, infungibile perché imposto da norme inderogabili che inibiscono l’operatività della dichiarazione sostitutiva, permane invariato, ma può essere soddisfatto “a valle” del procedimento, in fase decisoria o pre-decisoria, operando (rectius: continuando ad operare) quale condizione per l’adozione del provvedimento ampliativo conforme al progetto di atto già elaborato sulla scorta delle dichiarazioni sostitutive. La ratio è, con tutta evidenza, quella di consentire l’anticipazione della presentazione dell’istanza di liquidazione delle spettanze, così determinando la (almeno parziale) sovrapposizione dei tempi occorrenti al privato per la predisposizione della documentazione richiesta e di quelli occorrenti all’amministrazione per la predisposizione delle relative istruttorie di (mero) accertamento. Ciò testimonia, come si avrà modo di precisare in seguito (5.), come la questione dei tempi dell’azione non risieda tanto (o solo) nella durata del procedimento in sé considerato, quanto nel tempo che intercorre tra la consapevolezza del cittadino di avere “diritto”[27] ad un bene della vita, attraverso la mediazione del potere pubblico (quand’anche, come in questo caso, di mera esecuzione e controllo di determinazioni già assunte), ed il suo effettivo conseguimento.

Resta tuttavia da osservare che la genericità della clausola di riserva che fa salve le norme inderogabili – e che delinea la funzione meramente ed esclusivamente istruttorio-acquisitiva che le dichiarazioni sostitutive possono assumere laddove siffatte norme vengano in rilievo – può dar luogo a non poche incertezze[28]. Appare perciò preferibile specificare detta clausola attraverso più puntuali riferimenti (almeno per ambiti) normativi in materia di documentazione amministrativa[29].

Al di fuori dell’ipotesi adombrata dall’alinea del terzo comma, le dichiarazioni sostitutive assolvono, nell’ottica fatta propria dal disegno di legge, la funzione che è loro propria, già sul piano semantico, prima che giuridico: consentire di prescindere dall’acquisizione al procedimento di taluni documenti necessari ai fini dell’istruttoria formale (o della fase pre-decisoria) e quindi dell’adozione dell’atto finale, attribuendosi efficacia comprovante[30], ai medesimi fini, al contenuto di dichiarazioni che il privato rende sotto la propria responsabilità (penale[31]), salvi i controlli ex post[32] e le conseguenze che possono da questi derivare[33].

La soluzione di affidare allo strumento delle dichiarazioni sostitutive l’attività acquisitiva finalizzata alla liquidazione di spettanze e corrispettivi dovuti a qualunque titolo dalle amministrazioni in base ad elenchi e graduatorie già emanati appare, per motivi assai facilmente inutili, un audace ma forse (troppo) rischioso atto di fiducia verso cittadini e imprese. Potrebbe piuttosto valutarsi, in un’ottica di maggiore prudenza parimenti rivolta “al fine di accelerare la liquidazione”, la generalizzazione del modello che traspare in nuce dal capoverso dello stesso terzo comma, che, come suesposto, pare idonea a realizzare un (più) equilibrato bilanciamento fra riduzione dei tempi “burocratici”, tanto più necessaria in piena emergenza sanitaria ed economica, ed interesse pubblico alla piena attendibilità e verificabilità dei dati da cui dipende la concreta erogazione di risorse pubbliche (esigenza, questa, con cui sembra stridere la logica dei controlli ex post propria delle documentazione “autocertificata”, nella cui patologia si prospetterebbero ben più difficoltose attività ricuperatorie, specie ove si tratti di esborsi una tantum).

 

  1. Alcune (primissime) riflessioni conclusive

Il disegno di legge in commento, nei limiti in cui è stato oggetto del presente contributo (supra1.), rappresenta indubbiamente la risposta ad un diffuso malcontento sociale che si appunta sulle attività delle amministrazioni siciliane, le cui criticità operative, pur avendo radici ben più risalenti, sono prepotentemente esplose nel difficilissimo contesto – stavolta comune al mondo interno – in cui la macchina burocratica regionale (recte: pl.) si trova ad operare.

Il progetto di riforma, tuttavia, sconta quali suoi “peccati di gioventù” talune ambiguità ed aspirazioni (troppo) radicali che, se da un lato ne raffigurano l’impeto ispiratore, dall’altro rischiano di inficiarne l’attitudine risolutiva o di trasformarlo nell’ennesima occasione perduta. Tali limiti, sommariamente evidenziati nelle pagine che precedono, promettono di beneficiare del dibattito assembleare, che sembrerebbe, alla luce del trasversale sostegno che la proposta (recte: l’idea di fondo) ha ricevuto in prima battuta, potersi stavolta davvero ispirare ad uno spirito di leale collaborazione tra le forze politiche, nel segno della responsabilità istituzionale. Ciò passa anche dalla doverosa comprensione della necessità di avviare un processo riformatore che, magari nel medio termine, proceda “per fasi”, per un verso rinunciando alla logica illusoria delle improvvise “rivoluzioni” istituzionali, e per altro assicurando agli interventi di semplificazione proposti una sistemazione razionale e un contenuto equilibrato, suscettibile di configurarli come non già come strumenti emergenziali ma come misure per l’avvio di un nuovo corso (infra).

Come già segnalato, la sola norma – tra quelle qui esaminate – che nella versione originaria del d.d.l. risulta specificamente concepita in funzione dell’emergenza, come si desume dal limite temporale di efficacia, è quella contenuta nel (progetto di) quarto comma, che prevede il differimento alla fase decisoria degli adempimenti imposti dalla normativa contenuta nel C.A.D. Tale differenziazione non appare sorretta da alcuna apprezzabile giustificazione, atteso che la (parziale) deroga ivi prevista non si discosta, per metodo, entità e parametro competenziale, dalle novità previste sine die – e quindi come innesti “a regime” – nei precedenti commi.

A tale ultimo proposito, non può non rilevarsi che tanto il dimezzamento dei termini di conclusione e la integrale “telematizzazione” degli adempimenti privati nell’ambito dei procedimenti relativi alle domande di sostegno, quanto il nuovo ruolo delle dichiarazioni sostitutive per l’attività acquisitiva finalizzata alla liquidazione di somme già dovute dall’amministrazione, si atteggiano, nell’originaria versione del d.d.l., a misure di semplificazione di portata generale, che come tali pretenderebbero di essere ricomprese nella già citata legge regionale sul procedimento (L. Reg.Sic. n. 7/2019). Tale legge è stata da poco approvata, in sostituzione della L. Reg.Sic. 30 aprile 1991, n. 10, oltre che per garantire l’adeguamento alle riforme statali intervenute nell’ultimo decennio (supra1., in nota), anche al fine di ricondurre “a sistema”[34] le norme applicabili in via generale-residuale ai procedimenti di competenza delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 1, della medesima legge (al contempo agevolando l’individuazione, da parte dell’interprete, delle differenze rispetto all’omologa legge statale).

La proposta, dunque, ove mantenga l’impostazione attuale, dovrà scegliere cosa (vuole) essere, se un intervento strutturale ovvero un intervento con ambizioni più limitate, essenzialmente funzionalizzate all’emergenza. Il pericolo maggiore, ad avviso dello scrivente, si annida nell’ipotesi intermedia: voler essere entrambe, senza fare ricorso a un doppio binario di interventi.

Si può a questo punto, conclusivamente, tentare di abbozzare una risposta all’interrogativo posto in precedenza, se il prevedibile impatto delle misure di semplificazione di cui ai commi 2, 3 e 4 renda almeno in astratto ipotizzabile la riduzione dei termini prevista dal comma 1, senza che ad essa si accompagni una stagione di disfunzioni e contenzioso (supra2.). Quantunque le anzidette misure siano potenzialmente in grado di determinare un apprezzabile snellimento dell’azione dei pubblici poteri regionali, l’indiscriminato dimezzamento dei termini ex art. 2 rischia di risultare sproporzionata e insostenibile alla prova dei fatti e della prassi amministrativa. Un approccio riformatore non emotivo dovrebbe muovere, a sommesso avviso dello scrivente, dalla consapevolezza che il problema-tempo, nel contesto della burocrazia regionale, non risiede tanto nella “lunghezza” dei termini di conclusione del procedimento normativamente previsti, bensì nella normalizzazione – più o meno giustificata e/o legittima – della loro concreta inosservanza. Il d.d.l., ai commi 2, 3 e 4, prefigura già misure atte a garantire la riduzione dei tempi: non quelli che limitano la durata procedimento strettamente inteso, che per i privati si pongono solo come garanzia astratta, quanto piuttosto del tempo che intercorre tra il sorgere dell’aspirazione del privato al provvedimento ampliativo – specie, per quanto qui interessa, attributivo di vantaggi economici – e l’effettiva adozione ed esecuzione del provvedimento medesimo.

In quest’ottica, la stessa riduzione dei termini – a prescindere dalla misura della stessa – si pone come ambito di intervento logicamente subordinato alla efficace implementazione delle semplificazioni ed alleggerimenti procedimentali (e/o pre-procedimentali) prevista in favore dei privati. Sarebbe allora opportuno, forse, sul piano politico-legislativo, anche per evitare lo choc degli apparati da più parti paventato, procedere nel segno di un percorso di riforma progressivo, anche “per prove ed errori”, introducendo dapprima i meccanismi di semplificazione di cui ai commi 2, 3 e 4 e poi, quantificato il surplus di efficienza da questi derivato e la consequenziale maggiore speditezza nella definizione delle pratiche, ipotizzare una riduzione dei termini, nella misura suggerita dall’analisi di impatto. Ciò, sempreché non si dia per scontato che l’inciso iniziale del primo comma dell’art. 1 del d.d.l. (“In considerazione della condizione di emergenza determinata dalla pandemia da Covid-19”) non sia naturalmente ed ineludibilmente destinato ad evolvere, nel corso del dibattito assembleare, in una clausola di efficacia temporale della misura. Ipotesi che, pur tuttavia, non si sottrae alle perplessità già segnalate in punto di sostenibilità pratico-organizzativa e di possibili effetti disfunzionali anche nel breve termine.

La questione sullo sfondo, più volte posta in rilievo, resta sempre la stessa: se voglia intendersi l’emergenza come occasio legis per un intervento strutturale che guardi (anche) al futuro, ovvero come fine esclusivo e limite della proposta. Al variare delle risposte dovrebbe corrispondere una variazione dei contenuti e degli ambiti di intervento: da ciò dipenderà, in ultima analisi, il giudizio sul d.d.l. nella sua versione definitiva. In questo contesto, giocheranno un ruolo chiave anche la capacità e la possibilità delle amministrazioni siciliane – tutt’altro che scontata – di dotarsi di organici adeguati alle aspirazioni di un nuovo corso efficientista, espletando concorsi annunciati ma ad oggi mai avviati (né banditi), anche a causa della situazione sanitaria frattanto sopraggiunta.

Sotto altro profilo, pare potersi escludere che gli scostamenti rispetto alla L. n. 241/1990 contemplati nel d.d.l., nella parte qui esaminata, costituiscano deroghe in peius, vietate dall’art. 29, comma 2-quater, L. n. 241/1990, ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost., identificati come tali, nell’ambito della disciplina sul procedimento, dai commi 2-bis e 2-ter della stessa disposizione. Benché sia indubitabile, alla luce delle disposizioni ora richiamate, che le prospettate modifiche afferiscano a profili della disciplina statale rientranti tra i L.E.P.[35] , è di tutta evidenza come le modifiche in discorso, pur con le segnalate criticità, muovano in direzione di una differenziazione “al rialzo” (d’altra parte non dissimile rispetto a quella che già caratterizza svariate disposizioni già contenute nella L. Reg.Sic. 9/2019).

Perché i (pur) condivisibili propositi si traducano in un disegno razionale, però, occorre che il percorso riformatore sia guidato dalla “ragione giuridica”, evitando di piegare quest’ultima alle logiche della contingenza politica, come risposta al diffuso malessere sociale[36]. Solo così potrà superarsi quella debolezza che non da oggi caratterizza l’amministrazione, quale “corpo molle del sistema politico-istituzionale”, in contraddizione con la sua immanente qualità di “faccia del potere pubblico rivolta verso la società”[37], che ne determina – a torto o a ragione – l’ingrato ruolo di capro espiatorio e l’attuale considerazione poco lusinghiera da parte dell’opinione pubblica, dei cittadini e degli utenti. Solo così l’amministrazione regionale avrà una buona riforma.

 

 

NOTE:

[1] Ia Commissione permanente, competente in materia di ordinamento regionale, riforme istituzionali, organizzazione amministrativa, enti locali territoriali ed istituzionali, diritti civili.

[2] D.d.l. n. 733/A Stralcio - Ia COMM., dep. 1.5.2020. Si noti che il d.d.l. in commento consiste in un emendamento presentato al d.d.l. n. 733/A (sul quale infra, nota 14), poi trasmesso alla Commissione dalla Presidenza dell’Assemblea, a norma del Regolamento interno, per l’esame in un autonomo disegno di legge.

[3] Il riferimento “finalistico” è contenuto in apertura dell’art. 1 del d.d.l. in commento. Il comma 5 del citato articolo fa riferimento, in particolare, all’esigenza di “favorire il rientro nell’ordinario e riattivare lo sviluppo”. Può sin d’ora darsi atto che la proposta consta di un solo articolo, articolato in cinque commi, ciascuno dei quali investe profili di disciplina distinti, dei quali si darà conto nello stesso ordine.

[4] Legge Reg.Sic. 21 maggio 2019, n. 7, recante “Disposizioni per i procedimenti amministrativi e la funzionalità dell’azione amministrativa”, con cui si è impresso alla disciplina regionale del procedimento un assetto più razionale e si è provveduto al recepimento ordinato e sistematico di importanti “blocchi” di norme previste dalla legislazione statale, tra le quali, in particolare, quelle introdotte in attuazione dalle riforme cd. Madia (L. 7 agosto 2015, n. 124) e Severino (L. 6 novembre 2012, n. 190).

 

[5] D.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, recante il nuovo “Codice della protezione civile”, che ha abrogato la legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del Servizio nazionale della protezione.

[6] Sul punto, può qui appena accennarsi che pende attualmente dinanzi alla Corte costituzionale, su ricorso in via principale del Governo, la questione di legittimità della L. Reg.Sic. 19 luglio 2019, n. 13, in materia di appalti di lavori, nella parte in cui (artt. 4, commi 1 e 2, 13, 5, 6, 12, 15) si discosta dalla normativa statale in punto di procedure di gara e criteri di aggiudicazione, con ciò violando, in tesi, gli artt. 117, commi 1, 2 lett. e), 3, ed 81, comma 3, Cost. Va altresì ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza 14 dicembre 2016, n. 263, ha già dichiarato illegittimo i commi 6, 6-bis, 6-ter e 6-quater dell’art. 19 della L. Reg.Sic. 12 luglio 2011, n. 12, come modificati e/o introdotti dalla L. Reg.Sic. 10 luglio 2015, n. 14, che prevedevano criteri di valutazione ed esclusione autonomi e diversi rispetto a quelli voluti dalla normativa nazionale, tramite un meccanismo che, secondo alcuni commentatori, è analogo a quello introdotto dalla L. Reg.Sic. n. 13/2019 attualmente sub iudice. La Consulta ha in quell’occasione ribadito la propria costante giurisprudenza sul punto, statuendo che “le disposizioni impugnate, avendo disciplinato istituti afferenti alle procedure di gara in difformità dalle previsioni del codice dei contratti pubblici, [erano] costituzionalmente illegittime per avere violato i limiti statutari posti al legislatore regionale nella disciplina dei lavori pubblici”. Come si legge nel recente ricorso ex art. 127 Cost. con cui il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato la suddetta legge regionale del luglio 2019, anche per le Regioni a statuto speciale varrebbe il limite della competenza esclusiva statale in materia di appalti, sub specie di tutela della concorrenza (art. 117, co. 2, lett. e), con conseguente preclusione per la legislazione regionale, in sede di adeguamento, di dettare regole diverse e incompatibili in materia di procedura di gara e criteri di aggiudicazione.

[7] Con arrotondamento all’unità superiore in caso di giorni dispari.

[8] L’inciso risulta di difficile lettura, non essendo agevole cogliere la portata precettiva di una clausola di riserva siffatta. Dovendosi escludere che essa inerisca al criterio dell’arrotondamento in eccesso, la cui enunciazione precede, non può che intendersi riferito alla riduzione dei termini: non se ne comprende, tuttavia, l’utilità, atteso che, da un lato, particolari procedimenti per i quali la legge regionale preveda termini diversi esulerebbero già, quale lex specialis, dall’ambito di applicazione della disciplina dei termini di conclusione del procedimento contenuta nella L. Reg.Sic. n. 7/2019; e che, dall’altro, la necessaria conformità alle disposizioni inderogabili sancite della legge statale discenderebbe già, almeno in via presuntiva, dal principio di competenza desumibile dall’art. 117 Cost.

[9] Sui termini di conclusione del procedimento, anche a prescindere dalle connesse questioni cui non può qui nemmeno accennarsi (valore e qualificazione dei silenzi della P.A., azioni e tutela processuale, danno e indennità da ritardo, tutelabilità del tempo come autonomo bene della vita ecc.), la letteratura è ricca. Restano fondamentali, tra gli altri, i contributi di G. MORBIDELLI, Il tempo del procedimento, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, 251 ss.; S.S. SCOCA, Il termine come garanzia nel procedimento amministrativo, in Giustamm.it, n. 9/2005, 704 ss.; M. LIPARI, I tempi del procedimento amministrativo. Certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei cittadini, DA, 2003, 291 ss.; S. CIMINI, Semplificazione amministrativa e termine procedimentale, in Notiz. giur. reg., 1998, 143 ss.; A. TRAVI, Commento all’art. 2, in ID., Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto d’accesso ai documenti amministrativi, in Nuove leggi civili commentate, Padova, 1995, 8 ss. Sul tema, si veda inoltre, anche per i pertinenti richiami giurisprudenziali e dottrinali, l’ampia rassegna ragionata di A. POLICE – S. COGLIANI, Il dovere di concludere il procedimento e il silenzio inadempimento, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 224 ss. (anche alla luce delle novità introdotte nella disciplina dei termini). Al principio della certezza del tempo dell’azione amministrativa, cui si ispirano numerosi scritti di pregio improntati all’analisi economica del diritto, è altresì dedicata la nota monografia di M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995.

[10] È appena il caso di rilevare che l’art. 2 della L. Reg.Sic. n. 7/2019 si discosta dall’art. 2 della L. n. 241/1990, ai sensi del quale l’individuazione dei termini di conclusione non può essere superiore a 90 e 180 nelle rispettive ipotesi ivi indicate. La legge siciliana sul procedimento, quindi, si caratterizza già per l’imposizione di limiti temporali alla durata del procedimento più stringenti di quelli previsti dalla normativa statale. Tale discostamento si registra invero anche in altre leggi regionali che disciplinano i termini di conclusione dei procedimenti: cfr., sul punto, l’art. 9 della legge della Regione Campania 14 ottobre 2015, n. 11.

[11] In larga parte riproduttive delle esigenze istruttorie che, ai sensi dall’art. 2, comma 7, della L. n. 241/1990, giustificano la sospensione dei termini di conclusione. Deve tuttavia rilevarsi che l’art. 2, comma 6, della L. Reg.Sic. n. 7/2019 ammette altresì la sospensione dei termini, per non oltre 5 giorni, nel caso in cui debba procedersi all’audizione personale di cui all’art. 12, comma 1, lett. c) della stessa legge, di cui si dirà oltre (nota 34).

[12] Va osservato che l’art. 1, comma 1, nell’originaria versione del d.d.l. in commento (la sola disponibile al momento in cui si scrive), fa riferimento al comma 1 dell’art. 18 L. Reg. n. 7/2019, che tuttavia non risulta (sotto-)articolato in lettere né tantomeno reca una disciplina dei termini. Il richiamo sembra allora doversi intendere riferito al comma 2 dello stesso articolo, cui si fa appunto riferimento nel testo.

[13] Cfr., ad es., l’art. 20, comma 4, della L. n. 241/1990, nonché l’art. 29, comma 2, L. Reg.Sic. n. 7/2019. Deve peraltro rammentarsi, in ordine ai pareri richiesti ai sensi dell’art. 16 L. n. 241/1990, che il comma 3 della medesima disposizione, pedissequamente riprodotto dall’art. 23, comma 3, L. Reg.Sic. n. 7/2019, prevede che i termini generali entro cui i pareri devono essere resi, ai sensi dei commi 1 e 2, “non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini”.

[14] L’inopportunità di una riduzione dei termini sic et simpliciter si è già palesata nel dibattito parlamentare nell’ambito dell’iter di approvazione della legge di stabilità regionale 2020/2022. L’originario disegno di legge presentato il 16.4.2020 dal Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per l’economia, contemplava all’art. 12 (“Riduzione dei termini”), al fine di contenere gli effetti sull’economia della pandemia, la possibilità per la Giunta regionale, sentite le competenti commissioni dell’ARS, fino al 31 dicembre 2020, di “dimezzare i termini previsti da norme regionali per il rilascio di pareri, avvisi, autorizzazioni, concessioni, licenze, permessi e ogni altro provvedimento estensivo o comunque denominato”. Il progetto di articolo è stato poi stralciato dalla Presidenza dell’Assemblea, ai sensi degli artt. 7 e 73-ter del Regolamento interno, anche sulla scorta dei rilievi formulati dal Servizio Studi.

[15] La disposizione richiamata delinea l’ambito soggettivo di applicazione della L. Reg.Sic. n. 7/2019: “(…)la Regione, (…)gli enti, istituti e aziende dipendenti dalla Regione e/o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza della medesima, (…) gli enti locali territoriali e/o istituzionali nonché (…) gli enti, istituti e aziende da questi dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza, (…)le società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”.

[16] È l’autorità, normalmente individuata in ambito regionale in uno o più Dipartimenti designati dalla Giunta, deputata ad esercitare a livello di Programma Operativo (PO) le funzioni di programmazione e attuazione, monitoraggio e valutazione, controllo e trasparenza ad esso relative, previste dall’art. 125 dal Regolamento (UE) n. 1303/2013 del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sui Fondi strutturali e di investimento (SIE), i quali, com’è noto, comprendono il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione, oltre ai due fondi di investimento settoriali (FEASR e FEAMP). In Sicilia, l’Autorità di Gestione, designata a norma dell’art. 123 del citato Regolamento, è composta dai Dipartimenti regionali coinvolti nel PO “FESR - Sicilia 2014/2020”, competente ai sensi del D.P. Reg. 12/2016, individuati quali Centri di Responsabilità (CdR) delle operazioni. Il Dipartimento Regionale della Programmazione (DRP) è individuato quale Autorità di coordinamento dell’Autorità di Gestione del medesimo Programma.

[17] Entro 20 giorni dalla eventuale entrata in vigore. Il termine viene espressamente qualificato come “inderogabile”.

[18] Viene istituito ai sensi degli artt. 46 e 48 del Regolamento (UE) n. 1303/2013, cit., e svolge le funzioni indicate dagli artt. 49 e 110 del medesimo Regolamento, che si sostanziano nella valutazione, con cadenza almeno annuale, dello stato di avanzamento di un Programma operativo e dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi in esso fissati. In Sicilia, il Comitato di Sorveglianza del già richiamato PO “FESR - Sicilia 2014-2020” è stato istituito dalla Giunta regionale con Deliberazione n. 275 del 18 novembre 2015.

[19] Codice dell’amministrazione digitale, di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

[20] La Riforma Madia si è ispirata all’esigenza di “ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi”, proponendosi di inverare detti scopi anche “mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione” e sulla “piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first)” (art. 1, co. 1, lett. b, della L. n. 124/2015). Il decreto attuativo Madia sulla riorganizzazione digitale della P.A. (d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179) si è posto nel solco dell’art. 3-bis della L. n. 241/1990[20], già a norma del quale le amministrazioni perseguono una maggiore efficienza incentivando “l’uso della telematica nei rapporti interni tra le diverse Amministrazioni e tra queste e i privati”; nonché dell’art. 12 CAD, che consente alle PP.AA. di “organizzare autonomamente la propria attività utilizzan(d)o le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, in ossequio ai principi indicati dall’art. 1, co. 1, L. n. 241/1990. Come rilevato in dottrina, tuttavia, l’auspicato uso della telematica nell’ambito dei procedimenti continua a dipendere, almeno in parte, dalle scelte di auto-organizzazione (e dalle possibilità finanziarie) delle singole amministrazioni, con la conseguenza del perdurante deficit di effettività del principio del digital first. In argomento, ex multis, si veda C. LEONE, Il principio “digital first”: obblighi e diritti in capo all’amministrazione e a tutela del cittadino. Note a margine dell’art. 1 della legge 124 del 2015, in Giustamm.it, n. 6/2016. Per uno studio monografico che pone ampiamente in luce le problematiche connesse ai processi di digitalizzazione, anche nel quadro di un (ritenuto) nuovo “centralismo statale”, si veda G. PESCE, Digital first. Amministrazione digitale: genesi, sviluppi, prospettive, in AA.VV. (a cura di), Contributi di diritto amministrativo. Studi e monografie, Napoli, 2018.

[21] Nell’ambito della SCIA, si veda l’art. 27, comma 5, L. Reg.Sic. n. 7/2019, che ancora ammette che la segnalazione, corredata della relativa documentazione, possa essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento.

[22] In tale direzione muove, d’altra parte, la progressiva implementazione del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), che consente ai cittadini di usufruire dei servizi in rete delle amministrazioni italiane e dei privati aderenti attraverso l’accesso, con un unico username ed un’unica password rilasciati dagli identity providers accreditati dall’AgID, ai rispettivi portali on line. In proposito, cfr. il d.P.C.M. del 24 ottobre 2014, relativo alla definizione delle caratteristiche del Sistema, nonché la determina n. 44/2015 del 28 luglio 2015 con cui l’AgID ha emanato i regolamenti previsti dall’art. 4 del citato d.P.C.M. Dopo le “esperienze pilota” già avviate da alcune amministrazioni (AgE, INPS, INAIL, quattro comuni e sette regioni), il Sistema dovrebbe essere esteso alla generalità dei servizi on line resi dalle P.A. (e, facoltativamente, dai privati). In tema, si veda anche il Regolamento (UE) 910/2014 (c.d. eIDAS Reg.) del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE. Da ultimo, si segnalano la determina AgID n. 318/2019 dell’1.12.2019, recante guidelines per le identità digitali per uso professionale n. 157/2020 del 23.3.2020, recante le guidelines per la firma dei documenti digitali. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia alla pagina dedicata sul sito del governo (https://www.spid.gov.it).

[23] Categoria giuridica – quella dei “diritti di cittadinanza digitale” – dai contorni ancora problematici, sorta intorno ad una serie di facoltà ma vieppiù specificatasi ora in precisi obblighi per la P.A. (che in alcuni casi sembrerebbero adombrare, di riflesso, vere e proprie posizioni di diritto soggettivo), ora in altrettanto precisi doveri per il cittadino, che dovrebbero configurarsi come “oneri” ovvero come “obblighi” a seconda che la loro inosservanza dia luogo a preclusioni/decadenze oppure a sanzioni. Sul (connesso) concetto di “uguaglianza digitale” e relative implicazioni, E. D’ORLANDO, Profili costituzionali dell’amministrazione digitale, in Dir. inform., n. 2/2011, 213 ss. In tema, si veda anche A. PAPA, Il principio di eguaglianza (sostanziale) nell’accesso alle tecnologie digitali, in E. De Marco (a cura di), Accesso alla rete ed uguaglianza digitale, Milano, 2008, 11 ss., la quale ritiene che l’uguaglianza digitale rilevi quale presupposto per l’individuazione di situazioni soggettive riconducibili alla categoria dei diritti sociali, fondate sull’esigibilità nei confronti dei poteri pubblici di specifici interventi atti a superare il digital divide. Più in generale, sui rapporti tra rete e diritti costituzionali, ex multis, G. DE MINICO, Internet. Regola ed anarchia, Napoli, 2012; RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, in Pol. dir., n. 3/2010, 337 ss.; M. PIETRANGELO, Il diritto di accesso ad internet, Napoli, 2010.

[24] Sul punto, cfr., tra gli altri, gli artt. 20, 21, 24, 25, 48 e 65 del C.A.D.

[25] Ai sensi e agli effetti di cui agli arcinoti artt. 46 e 47 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445. Sul fondamento e i limiti delle cd. autocertificazioni e delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, si vedano Cons. St., Sez. V, 20 agosto 2018, n. 4959; Sez. V, 4 maggio 2006, n. 2477 (con nota parzialmente critica di M. BOMBARDELLI, Gli errori nelle dichiarazioni sostitutive, in Giorn. dir. amm., n. 1/2007, 31 ss.); Sez. V, 4 novembre 2004, n. 7140. In generale, sulla semplificazione e sul “sistema” delle dichiarazioni sostitutive alla luce del d.p.r. n. 445/2000, M. GNES, La decertificazione. Dalle certificazioni amministrative alle dichiarazioni sostitutive, Rimini, 2014, 91 ss.; M. OCCHIENA, L’autocertificazione, in M.A. Sandulli (a cura di), cit., ed. 2011, 728 ss.; G. GARDINI, Autocertificazione, in Dig. disc. pubbl., app. agg., 2005, 107 ss.; M. BOMBARDELLI, Procedimento mediante autocertificazione, in G. Gardini, G. Piperata (a cura di), Le riforme amministrative alla prova: lo sportello unico per le attività produttive, Torino, 2002, 177 ss.; G. ARENA – M. BOMBARDELLI – M.P. GUERRA – A. MASUCCI, La documentazione amministrativa. Certezze, semplificazioni e informatizzazioni nel d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, Rimini, 2001. Sul connesso concetto di certezze pubbliche, e sulle relative implicazioni sistematiche, resta fondamentale M.S. GIANNINI, Certezza pubblica, in Enc. dir., 769 ss.

[26] In tal senso depone univocamente la clausola di riserva in apertura: “Ove non diversamente disposto da norme inderogabili di legge”. Su di che, si veda infra, nel testo.

[27] In proposito, può qui solo accennarsi che, anche a prescindere dalle divergenze (perlopiù) dottrinali che ancora si registrano in ordine alla nozione di interesse legittimo, le ipotesi considerate dal terzo comma, che pur nella loro diversità di antecedenti pubblicistici (o privatistici) riguardano “crediti” esigibili in conseguenza del già avvenuto esercizio del potere (o dell’assenza di un potere in senso proprio), sembrerebbero in ogni caso adombrare posizioni di diritto soggettivo “puro”. Residua infatti in capo all’amministrazione, all’atto delle richieste di liquidazione de quibus, solo una frazione di potere accertativo, integrativo dell’efficacia del già emanato provvedimento (ad es., elenco o graduatoria) o, secondo altra prospettazione, esplicantesi nell’ambito di una sub-procedura di attuazione e/o di controllo, che comunque si sostanzia, nella preliminare fase che qui rileva, nella verifica della titolarità soggettiva del privato richiedente e della sua persistente legittimazione sostanziale al beneficio.

[28] A meno di voler ritenere che la clausola in parola sia una superfetazione normativa, con cui vuole ribadirsi che in tanto può farsi luogo a dichiarazione sostitutiva in quanto essa non sia esclusa da (evidentemente) altra disposizione di legge. In tal caso, tuttavia, il riferimento al concetto di inderogabilità, come già rilevato supra, risulterebbe improprio. Sul punto, ad es., cfr. l’art. 49 del d.p.r. 445 e, per il riferimento normativo ivi contenuto, all’art. 30, comma 1, L. n. 241/1990.

[29] Si pensi, a titolo puramente esemplificativo, alla disciplina in materia documentazione antimafia, oggi contenuta nel Libro II del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), ed in particolare allo strumento delle informazioni antimafia (cfr., tra gli altri, gli artt. 84, 90-95 d.lgs. n. 159/2011).

[30] Sul valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive, si veda Cass., SS.UU. civ., 29 maggio 2014, n. 12065, con note di E. SACCHETTINI, in Guida al dir., n. 28/2014, 40 ss. e di T.M. TIZZANI, in Riv. dir. proc., n. 6/2015, 1607 ss.; nonché Cons. St., Sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143; Sez. IV, 7 agosto 2012, n. 4527; Sez. V, 20 maggio 2008, n. 2352.

[31] Cfr. l’art. 76 del d.p.r. n. 445/2000; artt. 483, 495 c.p.

[32] Cfr. gli artt. 71 e 72 del d.p.r. n. 445/2000.

[33] Tra le quali, oltre alle sanzioni penali, la decadenza dai benefici che eventualmente siano conseguiti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera: cfr. art. 75 d.p.r. n. 445/2000. Deve darsi atto che la disposizione ora richiamata è stata di recente oggetto dei sospetti di incostituzionalità del T.A.R. Puglia - Lecce, che con una serie di ordinanze di identico contenuto (la prima delle quali è Sez. III, ordinanza 17 settembre 2018, n. 1346, da leggersi con F. SCALIA, Alla Consulta la questione di costituzionalità dell'art. 75, d.P.R. n. 445/2000 sulle conseguenze decadenziali delle dichiarazioni non veritiere, in Urb. app., n. 6/2018, 817 ss.) rimetteva la questione alla Corte costituzionale, censurando in relazione all’art. 3 Cost. l’automatismo che connota l’effetto decadenziale sancito dalla norma, sganciato da una valutazione in concreto della fattispecie e dalla sussistenza dell’elemento soggettivo. Sennonché, con sentenza 24 luglio 2019, n. 199 la Consulta dichiarava la questione inammissibile, ritenendo carente la motivazione delle ordinanze di rimessione in ordine alla rilevanza della questione medesima nei giudizi a quibus. Nel merito, tuttavia, a sommesso avviso dello scrivente, i dubbi di costituzionalità sollevati dal TAR Puglia - Lecce potrebbero essere suscettibili di positivo apprezzamento del Giudice costituzionale, anche alla luce della sua giurisprudenza in tema di automatismi sanzionatorio in ambito amministrativo (di recente, tra le altre, Corte cost., 9 febbraio 2018, n. 22; 10 marzo 2017, n. 51

[34] Tra le disposizioni che potrebbero risentire di un difettoso coordinamento della riforma con la legge (generale) regionale sul procedimento, vi è, ad es., il già citato art. 12, comma 1, lett. c) L. Reg.Sic. n. 7/2019, che tra i diritti dei partecipanti al procedimento annovera quello “all’audizione personale, della quale viene redatto verbale scritto allegato al fascicolo istruttorio, della quale l'amministrazione ha l'obbligo di valutare i risultati in sede di decisione”. Benché, infatti, come già ricordato (nota 11), l’art. 2, comma 6 preveda in relazione a tale ipotesi la sospensione dei termini di conclusione del procedimento per un massimo di 5 giorni, non pare infondato il timore che la garanzia partecipativa in discorso, salutata con favore quale autentico quid novi della legge regionale sul procedimento (rispetto all’omologa legge statale), possa tradursi in un onere di difficile assolvimento in un quadro caratterizzato dalla “corsa contro il tempo” imposta dal disegno riformatore per la generalità dei procedimenti di competenza delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 1.

[35] Vi rientrano, infatti, le norme della legge statale sul procedimento concernenti l’obbligo per la P.A. “di concluderlo entro il termine prefissato (…), quelle relative alla durata massima dei procedimenti” (co. 2-bis), nonché quelle “concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi” (co. 2-ter).

[36] S. LICCIARDELLO, Metodo giuridico e sistema a diritto amministrativo, in Dir. Soc., n. 2/2016, 279 ss. individua nella funzione ordinatrice di principi il rimedio “alle riforme legislative che si susseguono al mutare dell’indirizzo politico governativo; alla incoerenza, instabilità, frammentarietà, di una legislazione che trova causa nelle “crisi” socio-economiche e nelle “emergenze”; ad una ipertrofica normativa che si riversa sulle amministrazioni pubbliche e che resta in parte inattuata in assenza di adeguati mezzi e risorse” (295).

[37] Così S. CASSESE, La riforma amministrativa nel quadro della riforma istituzionale, in Foro it., n. 5/1993, 253 ss.