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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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L’esclusione degli operai agricoli a tempo determinato dai sussidi Covid: “giusta” interpretazione di una “ingiusta” disciplina?

Di Pietro Stefano Maglione
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L’esclusione degli operai agricoli a tempo determinato dai sussidi Covid:

“giusta” interpretazione di una “ingiusta” disciplina?

Di PIETRO STEFANO MAGLIONE

 

  1. Introduzione

La presente riflessione si propone di esaminare, brevemente e senza la pretesa di offrire soluzioni certe, una questione che chi scrive avverte come di particolare rilievo sociale, rimasta estranea al pur vivo e sfaccettato dibattito giuridico sorto intorno alla normativa emergenziale, nei suoi ampi e variegati ambiti di intervento.

La questione è se le cc.dd. “indennità covid”, previste dai decreti affastellatisi tra agosto 2020 e marzo 2021 in favore dei “lavoratori stagionali diversi da quelli appartenenti al settore del turismo”, spettino (anche) agli operai agricoli a tempo determinato. Detto altrimenti, si tratta di comprendere se questi ultimi possano considerarsi “lavoratori stagionali” ai fini della disciplina di aiuti economici riconosciuti ai lavoratori dipendenti nel suddetto arco temporale.

Tale inquadramento è infatti posto alla base di numerosi ricorsi che, per quanto qui consta, sono stati negli scorsi mesi promossi presso vari tribunali contro l’INPS, che aveva in sede procedimentale negato la spettanza delle indennità ai lavoratori agricoli a termine, rigettando le relative domande proprio per la ritenuta impossibilità di ricomprenderli tra i “lavoratori stagionali” cui la normativa accorda il beneficio.

 

  1. La normativa assistenziale rilevante: uno sguardo d’insieme

La risposta al quesito, che sta impegnando diverse figure professionali, impone una preliminare ricognizione, limitata ai profili che qui interessano, della legislazione emergenziale stratificatasi nel periodo contrassegnato dall’insorgere, nel marzo 2020, e dal perdurare, a tutt’oggi, dell’emergenza pandemica. In tale contesto, come noto, il Governo ha adottato una serie di atti aventi forza di legge, poi convertiti, con cui si è provveduto, tra l’altro, a riconoscere alle diverse categorie lavorative aiuti economici volti a compensare, rectius attenuare, le perdite derivanti dall’imposta osservanza delle misure restrittive via via introdotte per contenere la diffusione del virus.

Il primo di tali atti è stato il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto Cura Italia), che all’art. 30, co. 1, ha previsto per il mese di marzo 2020 un’indennità, pari ad €600, in favore degli operai agricoli a tempo determinato che non fossero titolari di pensione e che, nel 2019, avessero svolto almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo.

Già nel successivo d.l. 14 agosto 2020, n. 104 (c.d. decreto Agosto) veniva a mancare una disposizione ad hoc relativa agli operai agricoli con contratto a tempo determinato, prevedendo l’art. 9 del predetto decreto la corresponsione di un’indennità onnicomprensiva di €1.000 in favore, tra gli altri: dei lavoratori dipendenti stagionali del settore del turismo che avessero involontariamente cessato il rapporto di lavoro tra l’1.1.2019 e il 17.3.2020, non titolari di (altro) rapporto di lavoro dipendente o di NASPI alla data di entrata in vigore del decreto (co. 1); dei lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diverse da quelli del turismo e degli stabilimenti termali che avessero involontariamente cessato il rapporto di lavoro nel periodo suindicato e che avessero svolto la prestazione lavorativa per almeno 30 giorni nel medesimo periodo (co. 2, lett. a), purché alla data di presentazione della domanda non fossero titolari di altro contratto di lavoro a tempo indeterminato né titolari di pensione (co. 3).

Ancora, il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. decreto Ristori), all’art. 15, nel prevedere una ulteriore indennità una tantum di €1.000 in favore dei medesimi beneficiari, replicava senza variazione alcuna il disposto del già richiamato art. 9 del d.l. n. 104/2020. Nulla che qui possa interessare si prevedeva nei dd.ll. 9 novembre 2020, n. 149 (c.d. decreto Ristori-bis) e 23 novembre 2020, n. 154 (c.d. decreto Ristori-ter). Il successivo d.l. 30 novembre 2020, n. 157 (c.d. decreto Ristori-quater), all’art. 9, replicava pedissequamente il disposto dell’art. 15 del d.l. n. 137/2020, già riproduttivo, come detto, dell’art. 9 del d.l. n. 104/2020. Così anche l’art. 10 del d.l. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. decreto Sostegni), le cui ulteriori previsioni di sostegno economico, inerendo ai lavoratori del settore sportivo, non rilevano in questa sede.

Un espresso riferimento specifico ai lavoratori agricoli a tempo determinato, quali beneficiari di un’indennità collegata al protrarsi della pandemia e delle correlative restrizioni, riappare solo da ultimo, nel d.l. 25 maggio 2021, n. 73 (c.d. decreto Sostegni-bis), art. 69, co. 1, ove si prevede che “Agli operai agricoli a tempo determinato che, nel 2020, abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo, è riconosciuta un’indennità una tantum pari a 800 euro”. Ostano alla concessione di tale beneficio: la titolarità, al momento della domanda, di rapporto di lavoro a tempo indeterminato o di pensione (co. 2); l’intervenuta riscossione, alla data di entrata in vigore del decreto, di RDC o RDE (co. 3, lett. b). Il sussidio, inoltre, non è cumulabile con le indennità riconosciute dal decreto Sostegni, all’art. 10, ai lavoratori stagionali del turismo, degli stabilimenti termali, dello spettacolo e dello sport (co. 3, lett. c).

 

  1. Gli operai agricoli a tempo determinato non sono “lavoratori stagionali” ai fini della normativa emergenziale attributiva dei sussidi

Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, è possibile spendere qualche considerazione in ordine alla quaestio iuris enunciata in apertura, riassumibile nei seguenti termini: se i lavoratori agricoli a tempo determinato possano ritenersi ammessi a fruire delle cc.dd. “indennità covid” previste e reiterate/confermate dalla legislazione emergenziale emanata nel periodo ricompreso fra l’agosto 2020 e il marzo 2021. Occorre, in particolare, indagare se la menzionata categoria di lavoratori possa e debba ricomprendersi tra i “lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo”, contemplati quali beneficiari delle correlative indennità dalle seguenti disposizioni, già richiamate: art. 9, co. 2, lett. a, d.l. n. 104/2020; art. 15, co. 3, lett. a, d.l. 137/2020; art. 9, co. 3, lett. a, d.l. n. 157/20020; art. 10, co. 3, lett. a, d.l. n. 41/2021.

Sul punto ha preso posizione l’INPS, competente a riconoscere ed erogare il beneficio in parola, con la circolare n. 146 del 14.12.2020, adottata dalle competenti direzioni centrali con specifico riferimento al decreto Ristori-quater, ma con conclusioni che assumono valenza generale, stante la già segnalata continuità/identità contenutistica delle disposizioni che qui interessano (in quanto, in ipotesi, applicabili agli operai agricoli t.d.), contenute nella normativa stratificatasi a partire dal c.d. decreto Agosto sino al c.d. decreto Sostegni. Al par. 3.1 della predetta circolare, relativo ai “Lavoratori stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo”, si ribadisce, “come per le precedenti previsioni della stessa indennità COVID-19, l’esclusione dal beneficio in parola di tutti i lavoratori stagionali del settore agricolo, indipendemente dal codice ATECO di appartenenza dell’azienda datrice di lavoro, in quanto assoggettati alla contribuzione agricola unificata, iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli e quindi beneficiari delle specifiche tutele della disoccupazione agricola e della indennità di cui all’articolo 30 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27”. In attuazione di tale circolare, rectius dell’opzione interpretativa ad essa sottesa, l’Istituto rigettava le istanze inoltrate dagli operai agricoli t.d., coerentemente con quanto già statuito in ordine alle domande provenienti dagli stessi e fondate sulle disposizioni dei precedenti decreti.

Deve a questo punto valutarsi se la circolare sia “legittima”, ovverosia se rechi o meno un’esatta interpretazione del dato legislativo (art. 9, co. 2, lett. a, d.l. n. 104/2020; art. 15, co. 3, lett. a, d.l. 137/2020; art. 9, co. 3, lett. a, d.l. n. 157/2020; art. 10, co. 3, lett. a, d.l. n. 41/2021).

L’interpretazione dell’INPS appare corretta in quanto conforme a legge, per le ragioni di seguito indicate.

È indubbio, come si sostiene in svariati ricorsi presentati in questi mesi, che l’attività lavorativa agricola prestata da personale dipendente con contratto a tempo determinato, correlato alla stagionalità della produzione agricola, si presti ad essere ricompresa, a certi fini, nella nozione di “lavoro stagionale”, quale attività lavorativa che può svolgersi solo in (pre)determinati periodi dell’anno e che, come tale, risulta priva di carattere continuativo. Conferma di ciò si trae, fra l’altro, dal CCNL di categoria per gli operai agricoli e florovivaisti (cfr. artt. 13, 21, 24, 25, 28), nonché dagli allegati nn. 3, 7 e 10 al medesimo CCNL.

Tuttavia, sebbene su un piano meramente concettuale e nomenclaturale gli operai t.d. del comparto agricolo potrebbero ricomprendersi tra i “lavoratori stagionali”, cui la citata “normativa covid” riconosce il diritto alle indennità in discorso, è assorbente e rileva in senso contrario la considerazione che l’interpretazione letterale, specie ove non conduca ad esiti univoci, va integrata con quella logica, sistematica e teleologica, come si desume dall’art. 12 disp. prel. c.c., per cui l’interprete deve tener conto, oltre che del “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”, anche della “intenzione del legislatore”.

Un’esatta esegesi delle disposizioni de quibus non può, infatti, prescindere dalla considerazione – anche in chiave diacronica – del più ampio plesso normativo in cui esse sono inserite, il quale rivela che intenzione del legislatore, nei diversi interventi di sostegno economico messi in campo tra l’agosto 2020 e il marzo 2021, era proprio quella di non includere i lavoratori agricoli t.d. tra i soggetti beneficiari delle indennità ivi previste.

La legislazione emergenziale sopra tratteggiata delinea un “sotto-sistema” normativo nell’ambito del quale è possibile rinvenire la chiave di lettura, secondo un’interpretazione conforme alla voluntas legis, delle (distinte ma identiche) disposizioni attributive dei sussidi di cui si pretenderebbe l’estensione agli operai agricoli t.d. Posta tale premessa, è sufficiente osservare quanto segue: se il legislatore (rectius, la decretazione d’urgenza) avesse inteso riferirsi, con la locuzione “lavoratori stagionali appartenenti a settori diversi dal turismo e dagli stabilimenti termali”, anche ai lavoratori agricoli t.d., sarebbe senz’altro “corso ai ripari” una volta appreso che la prassi interpretativo-applicativa dell’INPS, posta alla base dei richiamati provvedimenti di rigetto, si era orientata in senso inverso già in sede di attuazione dell’art. 9 del decreto Agosto.

Come già rilevato, infatti, tale ultimo provvedimento, a differenza del c.d. decreto Cura Italia (art. 30), non contiene una norma specifica che riconosca un’indennità una tantum agli operai agricoli t.d. Già tale circostanza rappresenta un significativo “indizio” della volontà di escludere tali lavoratori dalla seconda “tornata” di aiuti economici, riservata invece in modo chiaro e puntuale ad altre categorie di lavoratori. A risultare dirimente, come si diceva, è però la circostanza che a fronte della ormai conclamata esclusione, in via di prassi, dei lavoratori agricoli t.d. dal sussidio di agosto, i successivi decreti (ben tre), emanati nei sette mesi successivi e recanti misure identiche, abbiano continuato a non indicare nominatim i predetti lavoratori tra le categorie beneficiarie. Risulta allora evidente che si è trattato di una precisa scelta politico-legislativa e non di mera svista né, tantomeno, di un’errata interpretazione dell’Istituto chiamato a darvi attuazione.

Tale scelta politico-legislativa si spiega, verosimilmente, per un duplice ordine di ragioni connesse ad altrettante valutazioni operate dall’organo politico: da un lato, la circostanza che l’attività agricola è stata, sin dagli “esordi” della pandemia, inclusa tra quelle ritenute necessarie e, quindi, non soggetta alle restrizioni imposte alle altre attività produttive; dall’altro, la presenza nell’ordinamento di specifiche tutele di categoria, tra cui gli speciali trattamenti di disoccupazione agricola (come osservato dall’INPS nella circolare sopra richiamata), nonché di interventi mirati approvati nel quadro emergenziale a sostegno del comparto complessivamente considerato. Non può che restare in disparte, in questa sede, ogni giudizio sulla condivisibilità di tali valutazioni, fermo quanto si dirà oltre in punto di costituzionalità della scelta “escludente” che ne è derivata.

Ulteriore, lampante conferma di quanto qui ritenuto si trae dal recentissimo decreto Sostegni-bis, pubblicato in G.U. nella giornata di ieri ed entrato in vigore in data odierna, che, come visto, all’art. 69 riconosce una “nuova” indennità una tantum “agli operai agricoli a tempo determinato”, analogamente a quanto prevedeva il decreto Cura Italia (seppur con talune differenze in punto di requisiti e con un diverso importo). Ancorché del tutto irrilevante ai fini che qui interessano, può evidenziarsi che ad un tale riconoscimento si è pervenuti, come noto alle cronache delle scorse settimane, all’esito di una fitta interlocuzione tra le parti sociali e il ministro delle Politiche Agricole, preceduta da svariate proteste della categoria interessata per la mancata inclusione, a far data dal decreto Agosto, tra quelle beneficiarie dei sussidi una tantum.

Deve allora ritenersi che ubi lex voluit dixit – riconoscendo l’indennità “agli operai agricoli a tempo determinato” con una specifica disposizione, come avvenuto nel decreto Cura Italia (art. 30) e, da ultimo, nel decreto Sostegni-bis (art. 30) –, mentre ubi (lex) noluit tacuit – come avvenuto nei decreti Agosto, Ristori, Ristori-quater e Sostegni, ove manca, non a caso, qualsivoglia riferimento agli operai agricoli t.d. In altri termini, il richiamo alla categoria dei “lavoratori stagionali” assume, nel quadro della normativa in esame, un significato suo proprio, inidoneo a ricomprendere, ai fini dell’individuazione dei soggetti destinatari del beneficio, gli operai agricoli, ancorché di fatto “stagionali” e tali ritenuti dall’ordinamento ad altri e diversi fini.

Com’è ovvio, inoltre, la natura puntuale ed eccezionale delle disposizioni che riconoscono il beneficio ai (soli) lavoratori stagionali sbarra la strada a possibili applicazioni analogiche delle disposizioni medesime. La conclusione qui accolta trova, infine, conforto nel consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui le disposizioni che importano spese a carico dell’erario vanno sempre interpretate in senso restrittivo (o comunque mai ampliativo).

Deve, dunque, concludersi che la legge applicabile (d.l. n. 104/2020, art. 9, co. 2, lett. a; d.l. n. 137/2020, art. 15, co. 3, lett. a); d.l. n. 157/2020, art. 9, co. 3, lett. a; d.l. n. 41/2021, art. 10 c. 3 lett. a) non includa i lavoratori a tempo determinato del settore agricolo tra le categorie ammesse a fruire delle cc.dd. “indennità covid” ivi previste, non potendosi essi ricomprendere tra i “lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi dal turismo e dagli stabilimenti termali”. Non appare pertanto consigliabile, a sommesso avviso di chi scrive, intraprendere alcuna azione giudiziale.

 

  1. Qualche (labile) dubbio di costituzionalità

La conclusione che precede, tuttavia, non esime dal constatare – né vale ad escludere – che la trama normativa qui esaminata risulta borderline sotto il profilo della compatibilità costituzionale, alla luce dei principi di non discriminazione e parità di trattamento (tra lavoratori, nella specie) desumibili dall’art. 3 Cost. Se essa non appare, a giudizio di chi scrive, espressione di una scelta politico-legislativa manifestamente irrazionale, è pur vero che si tratta di scelta che si pone “al confine” tra legittimo esercizio di discrezionalità legislativa e violazione del canone di ragionevolezza, ossia tra ragionevole diversità di trattamento di situazioni diseguali e ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe. Non può, pertanto, escludersi che un’eventuale questione di legittimità costituzionale in via incidentale possa trovare accoglimento nella forma della sentenza additiva “di prestazione”.

Posto che, per le ragioni indicate, tale eventualità non appare, da sola, sufficiente a fondare l’opportunità di intraprendere oggi un giudizio contro l’INPS, resta chiaramente impregiudicata ogni valutazione futura nella opposta direzione di adire il giudice del lavoro, nel caso in cui sopraggiungesse una declaratoria di incostituzionalità della disciplina in questione nella parte in cui non prevede l’estensione dei sussidi agli operai agricoli t.d. Quei lavoratori che avessero infruttuosamente presentato domanda per il beneficio entro i termini decadenziali di legge ben potrebbero agire in giudizio con certezza di successo, entro il termine di prescrizione del diritto vantato, pur dove l’Amministrazione non si determinasse ad avviare, in ossequio all’intervento della Corte, una nuova procedura per soddisfare già in via amministrativa il credito assistenziale. In tal modo, peraltro, si eviterebbero gli effetti preclusivi di un giudicato civile sfavorevole che intervenisse prima della ipotetica sentenza manipolativa (favorevole) della Corte.

Non resta, a questo punto, che stare a vedere se nei giudizi già instaurati (o che verranno instaurati nel prossimo futuro, in disaccordo con quanto qui sommessamente “suggerito”) un giudice del lavoro nutrirà dubbi di costituzionalità più convinti di quelli di chi scrive.