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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La convenzione di Basilea e l’immunità di giurisdizione.

Di Carola Parano
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NOTA A TAR CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE QUINTA

SENTENZA 9 febbraio 2021, n. 834

La convenzione di Basilea e l’immunità di giurisdizione

Di CAROLA PARANO

 

 

Con la sentenza in oggetto, il Tar Campania ha rigettato il ricorso della società di smaltimento rifiuti internazionali per difetto assoluto di giurisdizione e contrasto alle consuetudini ed alle normative internazionali.

I principi di indipendenza e di sovranità di uno Stato rendono immuni dalla giurisdizione del giudice nazionale tutti gli enti di diritto internazionale di fatto stranieri all’ordinamento italiano.

 

FATTO

 

Una società srl, in adesione alla Convenzione di Basilea e del regolamento CE 1013/2006, ha inoltrato alla Regione Campania formale istanza per il rilascio di un decreto autorizzativo per notifica transfrontaliera di rifiuti, avendo stipulato un contratto con una ditta di Sousse (Tunisia).

Oggetto del contratto è stata la consegna di 12 mila tonnellate di rifiuti identificati nel CER (Catalogo Europeo Rifiuti) con il codice identificativo 19.12.12 riferendosi ad “Altri rifiuti “, diversi da quelli alla voce 19.12.11 contenenti sostanze pericolose.

La regione Campania con DD n. 76 del 14.04.2020 e 153 dell’8 07.2020 previa richiesta di eventuali motivi ostativi al Ministero dell’Ambiente e previa ulteriore autorizzazione rilasciata dalle competenti Autorità tunisine, ha autorizzato la spedizione transfrontaliera di 12.000 tonnellate di rifiuti identificando nell’ANGED il soggetto competente per l’autorizzazione transnazionale.

Il carico della prima tranche di rifiuti pari a 6000 tonnellate è stato regolarmente sbarcato nel porto di Sousse ed i rifiuti recuperati sono stati lavorati per essere reinseriti nel processo industriale

La Regione Campania con il decreto n. 153 autorizzava la seconda spedizione transfrontaliera, comprendente le restanti 6000 tonnellate di rifiuti, codice CER 19.12.12, come da contratto

Stavolta, pero, le rimanenti unità rimanevano bloccate nel porto di Sousse.

Non è dato sapere se a causa dell’emergenza Covid-19 si sia arrestata l’attività lavorativa. Sia la regione Campania, sia la società avevano tentato attraverso la trasmissione di incartamenti e pec di inviare delegati per capire la reale situazione del carico fermo al porto di Sousse ma senza riscontro. .

Nel frattempo, la Regione Campania sospendeva l’autorizzazione n.153 dell’8 luglio e contemporaneamente la ditta proprietaria dei containers utilizzati per il trasporto, comunicava che gli stessi sarebbero in stato di sequestro.

Di contro, il 3 ed il 15 dicembre, per il tramite del funzionario governativo, le autorità tunisine inviavano tramite e mail l’ordine tassativo del ritiro dei rifiuti in Italia richiamando l’articolo 9 della Convenzione di Basilea, riguardante il divieto di introduzione transfrontaliera di RIFIUTI URBANI Y46.

Di conseguenza la Regione, vista l’impossibilità ad eseguire la notifica, obbligava la ditta a recuperare i rifiuti dapprima entro 90 giorni e poi entro 30 giorni.

A ciò sia aggiungeva il pagamento in quota solidale tra azienda e Regione della sosta dei containers nel porto di Sousse, pari a circa 6 milioni di euro.

In tutto questo, la parte ricorrente continua a sottolineare il mancato riscontro del campionamento più volte richiesto sui rifiuti definiti pericolosi e non conformi all’oggetto del contratto.

 

DIRITTO

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione.

A proposito di giurisdizione, si ricorda come con la sentenza a sezioni unite n.500/99 si estese l’ambito di tutela del giudice ordinario anche nei riguardi di un interesse legittimo e poi con la storica pronuncia n. 204/2004 della Corte costituzionale si è giunti ad affermare inequivocabilmente come la giurisdizione amministrativa non riguardi né l’aspetto di diritto soggettivo né l’interesse pubblico, ma solo la affermazione di un potere in capo a chi lo esercita.

E proprio di recente la Suprema Corte con la ordinanza interlocutoria n. 19598 del 18.09.2020 ha affermato che non è sufficiente la mera attinenza della controversia ad una delle materie di cui all’art. 133 c.p.a, ma che occorra, altresì, che la controversia abbia ad oggetto la valutazione della legittimità di un provvedimento amministrativo, quale espressione di poteri pubblici”. 

Ciò richiama una precedente pronuncia per cui in materia di giurisdizione “va ricercato il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ( Cass., Sez. Un., 5/7/2013)”.

Nel caso de quo, il Tar correttamente evidenzia la pregiudiziale del difetto assoluto di giurisdizione nei casi rientranti dentro cornici proprie del diritto internazionale e comunitario e nei quali il diritto al giudice naturale piuttosto che l’applicazione dei principi del giusto processo non possono subire alcuna deroga.  

Va altresì specificato che non si può parlare solo di supremazia gerarchica del diritto internazionale con i suoi trattati e convenzioni e le sue Corti sul giudice interno semmai di un dovere di reciprocità, di leale cooperazione, di disponibilità al dialogo e di trasparenza comportamentale.

Per cui, se da un lato la Corte di Lussemburgo seleziona se ed a chi rispondere sui quesiti trasmessi con rinvio, dall’altro è pur vero che spesso le Corti omettono di rinviare alla CGE per ottenere una corretta interpretazione violando così i principi fondanti del diritto internazionale.

Ma chi può imporre il superamento del principio di sovranità e indipendenza anche nelle questioni che travalicano la competenza del diritto interno?

Nessuna Corte potrebbe mai evidenziarlo né sanzionare la Corte che ha evitato il rinvio alla Corte di Lussemburgo per competenza.

Si ricorda, invece, che il giudice a quo qualora dovesse attendere la pronuncia sulla pregiudiziale, continuerebbe a mantenere la giurisdizione quale giudice naturale della controversia.

Nello specifico, va richiamata la convenzione di Basilea la quale rappresenta l’accordo più completo riguardante i rifiuti pericolosi e gli altri rifiuti transfontalieri e che prevede come accordo tra le parti che vengano ridotte al minimo le quantità trasportate e che vengano trattati e smaltiti i rifiuti il più vicino possibile al luogo in cui vengono generati

Tra gli obblighi generali, la convenzione prevede di non esportare (o importare) rifiuti pericolosi o altri rifiuti verso (o da) uno stato non firmatario; di non esportare rifiuti a meno che lo stato di importazione non abbia dato per iscritto consenso a tale importazione specifica.

Anche in materia di notifica la convenzione ha introdotto precise procedure sui movimenti internazionali tra le parti; e sui movimenti internazionali da una parte attraverso il territorio di uno stato non firmatario.

  1. Nel caso dell’azienda di smaltimento rifiuti verso il territorio Tunisino, considerato il trattato bilaterale sottoscritto tra i due Paesi e a cascata tra le due aziende conferitrice dei rifiuti da un lato e di smaltimento e riutilizzo nel ciclo industriale dall’altro, così some previsto dalla convenzione in caso di contenzioso è pacifico ricorrere all’art .20 quale disciplina per via arbitrale delle controversie. Infatti, nessuna Corte nazionale potrebbe affrontare il giudicato in materia internazionale, limitandosi soltanto a ricordare per esempio che in forza all’art 22 del regolamento CE 1013/2006 e in applicazione al principio chi inquina paga, lo Stato che ha inviato i rifiuti debba riprenderli nella zona di competenza e sul quale esito potrà solo pronunciarsi l’organismo arbitrale che provvederà a ben interpretare ed applicare l’articolato della convenzione.
  2. E per voler meglio specificare il concetto di chi inquina paga, anche a seguito della pronuncia della CGE n.15/2020, esso si è concretizzato in termini economici per cui la sanzione e le relative somme non vengono corrisposte a chi ha subito dei danni ambientali, bensì alla Commissione Europea.  Quindi la sanzione ambientale svolge la funzione di caricare i costi ambientali sull’imprenditore e di invogliare verso politiche virtuose in campo ambientale al tempo stesso.
  3. Si conclude, altresì, con l’auspicio che gli Stati firmatari di trattati e convenzioni internazionali in materia ambientale e non, diano seguito ai principi di legalità, lealtà, reciprocità, corretto andamento amministrativo che stanno alla base del diritto internazionale e che se, applicati correttamente, non necessitano di interventi di Corti o collegi arbitrali.