ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Studi



Reato di aiuto al suicidio: il monito della corte costituzionale e il delicato equilibrio tra ‘obbligo’ alla vita e ius a una morte dignitosa

di MICHELA SALERNO
   Consulta il PDF   PDF-1   

 Reato di aiuto al suicidio: il monito della corte costituzionale e il delicato equilibrio tra ‘obbligo’ alla vita e ius a una morte dignitosa

 Di MICHELA SALERNO

 

  • Prospettive storico- comparative.

La tematica del c.d. suicidio medicalmente assistito pone notevoli problemi giuridici e deve essere analizzata partendo dalla fattispecie incriminatrice codificata nell’art. 580 c.p., istigazione o aiuto al suicidio.

Il precetto è reato distinto da quello di omicidio del consenziente previsto dall’art. 579 c.p..

Il codice del 1930 ha stabilito la punibilità della condotta di istigazione al suicidio, precedentemente non contemplata.

Nella originaria impostazione la partecipazione penalmente rilevante era solo quella di tipo morale, identificabile nella esclusiva determinazione nell’animus altrui del proposito suicidario, o materiale, attraverso la realizzazione di un contributo eziologicamente necessario alla esecuzione dell’evento morte.

Oggi, l’attività dell’agente rimane a condotta libera, ma si amplia il rilievo dei comportamenti penalmente sanzionabili, prevedendosi l’ipotesi di rafforzamento di una volontà suicidaria già formatasi attraverso un aiuto esecutivo esterno.

Il legislatore, poiché non sussiste un delitto di suicidio, assoggetta la partecipazione del terzo, concorrente in un atto neutro, a un autonomo regime.

Infatti, non si configura giuridicamente una forma di concorso nel reato, potendosi semmai ravvisare un distinto titolo con un regime sanzionatorio del tutto diversificato.

E ancora, attenzione particolare va posta al bene giuridico presidiato, che risulta il medesimo sia nell’omicidio del consenziente, sia in quello di aiuto al suicidio, la vita.

Rimane discussa in dottrina la questione se tale valore debba essere identificato in un diritto individuale disponibile, o in un interesse della collettività, pertanto, indisponibile(1).

La differente natura giuridica attribuita al bene tutelato dalla norma comporta risvolti applicativi notevoli.

Infatti, accedendo alla impostazione del codice Rocco, se da un lato non appare punibile, come ricordato, la condotta di suicidio, e inopportuna apparrebbe la perseguibilità del tentativo di suicidio, dall’altro la rilevanza penale permarrebbe per il comportamento istigativo o esecutivo del terzo.

L’attualità del dibattito è tornata, oggi, preponderante a seguito di noti casi di cronaca che vedono la riqualificazione, ormai chiara sia sul piano pretorio che su quello legislativo attraverso l’approvazione delle DAT, di condotte inizialmente dubbie (2).

L’interruzione dei trattamenti artificiali, in origine sussumibili nel delitto di omicidio del consenziente, sono oggi ricompresi nell’ambito di atti di esplicazione della personale libertà di autodeterminazione del malato, integranti il rifiuto legittimo di inizio o di prosecuzione di attività sanitarie, casi Englaro e Welby (3).

Ancora dubbia si presenta, invece, la definizione del problema relativo alla punibilità dell’aiuto al suicidio, il riferimento è alla vicenda Dj Fabo/Marco Cappato (4).

Nelle prime ipotesi applicative, di cui si sta disquisendo, la giurisprudenza e il legislatore hanno valorizzato il diritto alla salute, come diritto costituzionalmente tutelato, e i relativi corollari applicativi.

Esso, garantito dal combinato disposto degli artt. 32 e 13 Cost., si pone come libertà alla autodeterminazione terapeutica, come specie di ius alle cure e all’interruzione delle stesse.

L’art. 32 comma 2 Cost., ove attribuisce che nessuno possa essere sottoposto a trattamenti sanitari se non per disposizione di legge, da leggersi in combinato disposto con l’art. 13 Cost. in relazione all’inviolabilità della libertà individuale, attribuisce un doppio diritto, quello del malato al consenso alla terapia, nonché al rifiuto e prosecuzione della stessa, e quello del medico a osservare tale volontà.

La precisazione ha come precipitato applicativo la liceità della condotta del sanitario, una assenza di antigiuridicità prevista già a livello di tipicità e non quale risultante della applicazione della scriminante del consenso del soggetto.

Ebbene, non si tratta del riconoscimento di un diritto a morire, ma dell’espressione della libertà di scelta dell’individuo, integrante il rifiuto di un prolungamento artificiale della vita, si parla al riguardo di possibilità di lasciarsi morire.

Diverso il discorso per l’aiuto al suicidio in cui il problema attiene alla esatta delimitazione della condotta di partecipazione materiale del terzo nell’attività materiale altrui (5).

Peraltro, la punibilità si pone come dubbia ove l’atto estremo sia stato compiuto liberamente dal soggetto attivo, che ha conservato il dominio sull’azione esecutiva, riscontrandosi nello stesso un’autonoma e libera formazione della volontà suicida.

 

 

  • L’evoluzione dell’istituto.

Ciò posto, l’istituto del c.d. fine vita è stato profondamente inciso dagli effetti restrittivi sulla punibilità che le norme sovranazionali stanno producendo in materia penale.

Il riferimento nel caso in esame è alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

E’ bene premettere che la giurisprudenza nazionale ha interpretato l’art. 580 c.p. in modo estensivo, ricomprendendo nelle condotte perseguibili qualsiasi tipologia di aiuto esterno in grado di agevolare l’evento morte.

Solo recentemente, con una lettura innovativa, si è fatta strada la possibilità di adottare un’accezione restrittiva del contributo che delimiti la rilevanza della condotta di partecipazione materiale ai soli casi di attività nella fase strettamente esecutiva del suicidio.

Il punto di partenza è l’adozione, nella ricostruzione della ratio normativa, di criteri costituzionalmente orientati, in grado di escludere la punibilità di quelle azioni che solo marginalmente sarebbero in grado di ledere il bene giuridico protetto dal precetto.

In base a tale quadro l’aiuto diviene penalmente rilevante solo se abbia agevolato in maniera non generica il suicidio, concretizzandosi in un comportamento che, nella sola fase strettamente esecutiva, si configuri o come funzionale al reperimento dei mezzi per la realizzazione dell’evento, per esempio attraverso il rinvenimento di sostanze tossiche o armi, o nella partecipazione agevolatrice del terzo all’atto finale.

Nell’ultima tipologia di attività la giurisprudenza auspica che non sia ricompreso, nel caso concreto di cui si è fatta menzione, l’accompagnamento del malato presso la Clinica XXXXXXX in Svizzera al fine di assumere il farmaco letale.

La base giuridica di questa nozione di aiuto, in ossequio al principio di legalità sottospecie di determinatezza e precisione, viene rinvenuta nella selezione delle condotte punibili, che potrebbero, peraltro, presentarsi estranee alla stessa previsione legislativa già sul piano della tipicità.

Invero, spunti di riflessione sarebbero ritraibili, altresì, dai principi che regolano la causalità e dalla stessa nozione di causa e di serie causali autonome, idonee a interrompere il legame tra l’azione dell’agente e l’evento mortale (6).

E ancora, dalla rilevanza del principio di offensività vigente nel nostro ordinamento.

In un’ottica in cui il diritto penale non può che costituire l’extrema ratio, la sanzione si giustifica se la condotta antigiuridica, non solo corrisponda a quella tipizzata dalla fattispecie incriminatrice, offensività in astratto che si indirizza al legislatore e viene a concretizzarsi in una tecnica di redazione della norma, ma sia, peraltro, in concreto in grado di ledere, o quantomeno porre in pericolo, il bene protetto.

Il panorama si amplia inquadrando il suicidio assistito in una prospettiva di sistema e contestualizzando la fattispecie incriminatrice nell’ambito della Costituzione e dei principi contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (di seguito solo CEDU).

La Costituzione impone che nessun valore possa essere considerato in maniera assoluta, poiché il rispetto per la persona umana, anche se riconosciuto come diritto fondamentale può e deve essere bilanciato in ossequio alla rilevanza di altri diritti di pari rango.

Il problema che si pone è allora quello di stabilire il delicato equilibrio tra i beni giuridici coinvolti e quando possa temporaneamente ritenersi prevalente un valore sull’altro, ma soprattutto quali debbano essere i limiti connessi al giudizio di bilanciamento.

Infatti, per anni la questione più controversa in dottrina, e tutt’oggi irrisolta, è apparsa quella di stabilire la natura giuridica del bene vita sotteso all’art. 580 c.p..

Esso rappresenta un diritto indisponibile, perché afferente a un interesse della collettività, o un diritto del singolo a titolarità esclusiva dello stesso?

L’argomento più rilevante a sostegno della vita quale bene ‘pubblico’ ha trovato ancoraggio legislativo nell’art. 5 c.c..

Tale norma, peraltro, è stata parzialmente utilizzata anche in tema di omicidio del consenziente quale limite per scriminare tutte quelle condotte in cui il medico si era trovato a agire nonostante il consenso del paziente.

Il requisito volontaristico non si era ritenuto, comunque, sufficiente ove l’atto del sanitario avesse prodotto una diminuzione permanente dell’integrità fisica del malato.

L’attività medica incidendo su un bene indisponibile trovava un ostacolo nella contrarietà  a disposizioni di ordine imperativo.

Il singolo, in tale prospettiva, deve porre la propria persona al servizio della famiglia e della società, pertanto, non può disporre in modo libero e illimitato della propria integrità fisica, sussistendo in capo allo stesso un supremo dovere all’adempimento di obblighi sociali verso la collettività.

Tuttavia, l’assunto stride con la disponibilità del bene nel suicidio e con la non punibilità del terzo nel tentativo.

Peraltro, la più recente dottrina ha evidenziato che dalla Costituzione emerge un assetto personalistico, in cui la centralità è rappresentata dall’individuo, non dalla collettività.

Gli artt. 2, 3, 13, 32 comma 2 Cost hanno positivizzato un nuovo diritto all’autodeterminazione che può essere ampliato nella prospettiva di un nascente valore, quello della dignità dell’uomo, che troverebbe attuazione e esplicazione per mezzo di uno ius a una morte decorosa.

Il fervido dibattito giurisprudenziale è stato da ultimo recepito nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p..

Essa denota la costante spinta espansiva degli interpreti verso la ricerca di una accezione evolutiva e, dunque, sempre più garantista della nozione di diritto fondamentale dell’individuo.

 

3.Le criticità.

Il moderno assetto normativo, così come interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tradizionale, non riconosce una libertà di autodeterminazione come diritto attivo a morire, finendo per obbligare il soggetto, non malato terminale e non in grado di agire autonomamente per procurarsi da solo la morte, a sopportare una situazione degradante della propria dignità, in condizioni di tortura psichica e fisica, in contrasto con tutti i principi costituzionali e sovranazionali in materia.

Ebbene, in questi casi verrebbe imposto un pericoloso diritto/’dovere’ alla vita in contrapposizione a un assente ius a una morte dignitosa.

Si porrebbe, peraltro, un netto contrasto tra situazioni sotto alcuni aspetti molto simili.

Invero, in condizioni di malattie degenerative il malato che fosse in grado di manifestare un valido consenso per il rifiuto del proseguimento, o per l’inizio della terapia, potrebbe autodeterminarsi a ‘lasciarsi morire’, mentre nella stessa condizione colui la cui vita non dipenderebbe da trattamenti artificiali, seppure in condizioni di vita disumane e privo di autosufficienza, non potrebbe determinarsi in tal senso, con possibile violazione dell’art. 3 Cost..

Inoltre, una prospettiva individuale e di bilanciamento è imposta anche gli artt. 2, 3 e 8 Cedu, e da tutta la giurisprudenza della Corte Edu formatasi sul punto (7-8-9).

Il diritto alla libertà e al rispetto della vita privata impongono di individuare un argine al principio di indisponibilità della vita, ravvisabile nell’insieme dei valori che costituiscono la persona.

In casi siffatti, una soluzione interpretativa della fattispecie incriminatrice orientata al rispetto dell’uomo è necessitata.

La mancata estendibilità a questa tipologia di malati del principio del rifiuto delle cure potrebbe tradursi in una degradazione inaccettabile dell’individuo, in quanto si costringerebbe lo stesso ad una agonia prolungata e lo si priverebbe della libertà di autodeterminarsi in una condizione di estrema sofferenza.

Il punto di rottura e di partenza potrebbe essere dato dalla lettura della fattispecie e della conseguente ratio della norma offerta dai pp.mm. nell’Ordinanza di archiviazione del caso CXXXX, successivamente ripresa in parte nel provvedimento di rimessione alla Corte Costituzionale per la compatibilità dell’art. 580 c.p. con gli artt. 3, 13 comma 2, 25 comma 2, 27 comma 3 Cost, 2 e 8 CEDU (10).

Nei suddetti provvedimenti si ritiene necessario fa prevalere, prendendo spunto dall’analisi della condotta di aiuto del terzo all’evento morte, il diritto alla autodeterminazione del malato rispetto al contrapposto bene ‘vita’ collettivamente inteso, così trasformando il suicidio da mero fatto irrilevante in un vero e proprio diritto soggettivo.

La nuova prospettiva condurrebbe al seguente corollario, nei particolari casi di condizioni disumane dell’individuo, il suicidio è un atto lecito in cui il terzo partecipante non è più punibile.

Peraltro, anche gli influssi dei Paesi di common law e l’elaborazione della Corte Edu hanno riconosciuto un diritto al fine vita come ius dell’individuo di decidere con quali mezzi e in quale momento la sua esistenza possa concludersi (11).

L’addentellato normativo sarebbe costituito in particolar modo dall’art. 8 CEDU, quale espressione del generale diritto al rispetto della vita privata.

Il principio di offensività in concreto porterebbe a escludere la lesione del diritto alla vita, così come tradizionalmente interpretato, e trasformerebbe il suicidio nell’esercizio di una libertà di autodeterminazione.

Tuttavia, la giurisprudenza nazionale e sovranazionale conduce il giudizio di bilanciamento tra il diritto all’autodeterminazione e quello alla vita avendo come controinteresse la tutela dei soggetti più deboli, sia al fine di prevenire un possibile abuso dello strumento da parte di terzi, sia per garantire il bene vita da utilizzazioni improprie da parte del medesimo titolare.

 

  1. La morte quale espressione di un diritto della persona? La soluzione della Corte Costituzionale

La Corte di Assise di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.  580 c.p. (12).

Ricostruendo brevemente il percorso giurisprudenziale che ha portato all’ordinanza citata va evidenziato che le motivazioni del provvedimento di archiviazione proposte dai pp.mm.milanesi (13), e di cui si è indirettamente ricostruita la ratio, non sono state accolte dal Gip del medesimo Tribunale, sulla base di una argomentazione letterale e sistematica della fattispecie di istigazione o aiuto al suicidio (14).

Infatti, si sostiene che l’interpretazione restrittiva del precetto formulata dalla Procura non sarebbe in grado di separare in modo netto la fase esecutiva del delitto da quella preparatoria, compromettendo il principio di prevedibilità, così come delineato dai canoni europei.

Invero, la nota sentenza Scoppola, in riferimento all’art.7 CEDU, il quale ribadisce a livello sovranazionale il principio di legalità in materia penale, ma soprattutto la sentenza Contrada per il principio di prevedibilità esigono che il consociato possa predeterminare ex ante le conseguenze penali e le sanzioni collegate alla condotta antigiuridica che decida consapevolmente di porre in essere.

Ciò nonostante, partendo proprio da tale assunto il Gip ha ravvisato nella dizione specifica del precetto una espressa voluntas legis, frutto di consapevole scelta di politica criminale, requisito che non avrebbe consentito l’interpretazione restrittiva proposta nell’ordinanza di archiviazione, neppure in un’ottica di favor rei.

E ancora, dal punto di vista causale il nostro ordinamento attribuisce rilevanza alla teoria condizionalistica, considerando penalmente rilevante ogni azione, o omissione, idonea a porsi come antecedente logico e necessario dell’azione prodottasi.

Peraltro, il delitto ex art. 580 c.p. è a condotta libera, poiché in esso il legislatore ha rinunciato a tipizzare compiutamente le condotte di istigazione e di aiuto prediligendo un approccio casistico e soprattutto basato sulla rilevanza eziologica del contributo, che può addirittura realizzarsi con atti temporalmente molto distanti dall’evento morte.

Nonostante il rigetto della richiesta di archiviazione, i giudici della Corte di Appello di Milano hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, già disattesa dallo stesso Gip, con riferimento agli artt. 3, 13 comma 2, 25 comma 2, 27 comma 3 Cost. proprio in riferimento al principio di ragionevolezza e di proporzionalità, avendo riguardo specifico all’offensività del fatto di reato.

L’art. 580 c.p. incriminerebbe le condotte di aiuto al suicido in alternativa a quelle di istigazione dello stesso e, quindi, a prescindere dalla verifica sulla sussistenza di un contributo agevolatore.

Il dubbio di ragionevolezza è posto attraverso un raffronto con le condotte di ‘determinazione’ e ‘rafforzamento’ dell’altrui proposito, che sono effettivamente in grado di viziare la voluntas del suicida e quindi di contribuire causalmente all’evento, mentre lo stesso non potrebbe dirsi per la clausola aperta -  “ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”-.

Inoltre, l’art. 3 Cost. risulterebbe non rispettato anche in ossequio al principio di proporzionalità della pena e al fine rieducativo della stessa, ove si trova a prevedere una cornice edittale unica per comportamenti in grado di incidere sull’offensività del bene giuridico in maniera differente.

Peraltro, si evidenzia nell’ordinanza di rimessione che la norma è stata codificata in epoca precedente all’impianto costituzionale e oggi dovrebbe, pertanto, essere coordinata con esso.

Il riferimento è al principio solidaristico dell’art. 2 Cost. e all’inviolabilità della libertà personale, ex art. 13 Cost., che trova massima espressione nella tutela del diritto alla salute con l’art. 32 Cost..

La Corte Costituzionale (15), tuttavia, ritiene che con la previsione in oggetto il legislatore abbia inteso punire le condotte in danno del suicida, sebbene non sanzionando direttamente l’interessato.

Si deve escludere che l’aiuto prestato da terzi all’atto sia condotta inoffensiva.

L’incriminazione in oggetto non può essere incompatibile con la Costituzione, poiché in una società democratica la pubblica autorità si deve far garante della protezione dei diritti e delle libertà altrui, soprattutto nei riguardi di soggetti deboli e particolarmente fragili.

Tuttavia, il monito del Giudice delle Leggi è rivolto al legislatore in riferimento al divieto assoluto di aiuto al suicido che potrebbe in termini così rigidi influire sulla libera determinazione del malato, il quale, in ipotesi di particolare tragicità, non potrebbe disporre di terapie meno dolorose per accelerare l’evento morte da parte dei medici.

Peraltro, ammettere l’interruzione delle cure e ritenere tout court  la condotta attiva del sanitario, o di chi per lui accompagni tale interruzione, come sanzionabile si porrebbe in contrasto con il principio di dignità umana, di ragionevolezza e di uguaglianza.

L’intervento della Corte non può rientrare tra quelli a ‘rime obbligate’, essendo compito del legislatore adeguare la fattispecie incriminatrice alle molteplici tipologie casistiche e selezionare le condotte offensive, sulla base di una scelta di politica criminale, nell’ambito della quale dovrà procedere a adeguare anche la pena avuto riguardo alle differenti ipotesi di determinazione e istigazione al suicidio.

 

 

 

Bibliografia

  1. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Generale e Speciale, Giuffrè;
  2. Cuppelli, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: dai principi alla legge?, in Riv. Penale contemporaneo del 13/3/2017;
  3. Adamo, Il diritto convenzionale in relazione al fine vita (eutanasia, suicidio medicalmente assistito e interruzione dei trattamenti sanitari prodotti di una ostinazione irragionevole). Un’analisi giurisprudenziale sulla tutela delle persone vulnerabili, in Rivista AIC, 2016;
  4. Forconi, la Corte di Assise nel caso Cappato: sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., in rivista Penale contemporaneo del 16 febbraio 2018;
  5. m. Iacovinello, Sub. Art. 580 c.p.;
  6. Garofoli, I sistemi del diritto penale, Nel diritto editore 2017;
  7. Edu, Sez. V, del 19 giugno 2012, Koch c. Germania;
  8. Edu., Sez IV, sent. del 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito;
  9. Edu, Sez I, sent. del 20 novembre 2011, Haas c. Svizzera;
  10. Richiesta di archiviazione, Procura della Repubblica c/o Trib. Milano del 2 maggio 2017, imp. Cappato;
  11. Viganò, Decisioni mediche di fine vita e attivismo giudiziale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 2008 (casi Welby e Englaro);
  12. Assise di Milano, ordinanza del 14/2/2018, imp. Cappato;
  13. Bernardoni, nota a richiesta di archiviazione del 26/4/2017 della Procura di Milano nel p.p. n. 9609/2017 in Riv. Penale contemporaneo dell’ 8/5/2017;
  14. Dr. Gargiulo, Trib. Milano, ordinanza 10 luglio 2017 imp. Cappato;
  15. Cost. ordinanza del 24/10/2018 depositata il 16/11/2018.