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Anno XVII - n. 03 - Marzo 2025

  Studi



Impianti eolici off-shore tra problematiche normative e interpretative.

Di Roberto Colucciello
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Impianti eolici off-shore tra problematiche normative e interpretative

 

Di Roberto Colucciello*

Abstract

La materia dell’approvvigionamento energetico a mezzo di impianti eolici, nel caso di specie in mare, rappresenta negli ultimi anni un argomento di interesse, politico così come imprenditoriale, i cui iter autorizzativi sono in fase di attenzione da parte degli enti all’uopo competenti per il rilascio dei relativi pareri e autorizzazioni.

La volontà politica, così come la legislazione attuale, seppur frastagliata e non sempre chiara e coerente, sembra propendere verso detti progetti, che dovrebbero ovviare al fabbisogno energetico del nostro paese.

Detti progetti scontano però un vulnus abbastanza importante, ovvero essere stati presentati in mancanza di uno strumento pianificatorio del mare non ancora approvato, nonostante lo stesso fosse stato previsto a livello comunitario nel 2014 e recepito da un atto avente forza di legge nel 2016, il quale rimandava la sua attuazione a successiva disciplina di dettaglio.

Altra problematica concerne il diritto internazionale del mare, in considerazione del fatto che gran parte dei progetti presentati collocano gli impianti in acque internazionali.

 

The matter of energy supply through wind farms, especially at sea, represents a topic of political as well as entrepreneurial interest in recent years, the authorization processes of which are being examined by the competent bodies for this purpose. for the issuing of the relevant opinions and authorizations.

The political will, as well as the current legislation, although fragmented and not always clear and coherent, seems to lean towards these projects, which should meet the energy needs of our country.

However, these projects suffer from a fairly important flaw, namely having been presented in the absence of a sea planning instrument not yet approved, despite the fact that the same had been envisaged at community level in 2014 and implemented by an act having the force of law in 2016, which postponed its implementation to subsequent detailed regulations.

Another problem concerns the international law of the sea, considering the fact that most of the projects presented place the plants in international waters.

 

SOMMARIO: 1. Introduzione; – 2. Natura giuridica; - 3. Quadro normativo e iter autorizzativo; - 3.1 Normativa comunitaria, - 3.2 Normativa nazionale; - 3.3 Normativa regionale in Puglia, - 3.4 Descrizione dell’iter autorizzativo; - 4. Pianificazione dello spazio marittimo e il nuovo Piano del Mare; - 5. Problematiche di diritto internazionale del mare; - 6. Il regime vincolistico con particolare riguardo al PPTR della Regione Puglia; - 7. Il ruolo dell’Autorità Marittima; - 7.1 Aspetti di Sicurezza della navigazione e traffico marittimo; - 8. Profili comparatistici: il progetto “Mar de Trafalgar” in Spagna; - 9. Conclusioni: necessità di un riordino normativo.

 

1.- Introduzione

L’attenzione del legislatore italiano nei confronti delle fonti energetiche rinnovabili non è cosa recente: dagli inizi degli anni ottanta la Legge n. 308/1982 disciplinava infatti l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia o assimilate, introducendo anche, a testimonianza di un palese favor, una serie di incentivi economici che avrebbero dovuto contribuire ad aggirare eventuali ostacoli connessi agli alti costi di installazione[1].

Oggi, a distanza ormai di diversi anni, sembra ormai consolidata nelle agende dei legislatori, comunitario e nazionale, la convinzione che il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, assieme al risparmio energetico ed all’aumento dell’efficienza energetica, oltre a favorire lo sviluppo tecnologico e l’innovazione, con positive ricadute sulla crescita economica e sociale, rappresenti uno strumento altamente efficace per l’affrancamento dalle fonti energetiche fossili e per il perseguimento dei target volti alla riduzione delle emissioni di gas serra[2].

A tale esplicito riconoscimento non sembra peraltro corrispondere nel nostro Paese una adeguata messa a punto delle procedure autorizzatorie, sovente rallentate, o addirittura bloccate, in virtù dell’insorgere di contenziosi in sede giurisdizionale. Proprio la mancata realizzazione dei parchi eolici off-shore, per quanto in molti casi si sia giunti ad un buon punto dell’iter autorizzatorio o addirittura al rilascio dei relativi titoli, sembra rappresentare una sorta di cartina al tornasole di tutte le contraddizioni di un sistema che da un lato spinge per una accelerazione nel ricorso alle fonti rinnovabili per l’approvvigionamento energetico e, dall’altro lato, non riesce a costruire meccanismi autorizzatori che, pur tenendo conto di tutti gli interessi costituzionalmente tutelati, garantisca snellezza e linearità procedimentale[3].

In questi ultimissimi anni si percepisce qualche cambiamento, in ragione soprattutto della prevalente di interessi costituzionalmente tutelati e nel rapporto tra di essi.

Una recente pronuncia del Consiglio di Stato[4] sembra, però, destinata a mettere in discussione l’assioma della prevalenza assoluta ed indiscriminata dell’interesse paesaggistico in relazione al tema della localizzazione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

A livello strutturale va ricordato che i parchi eolici off-shore si possono suddividere in due grandi categorie a seconda della tecnica adottata. La prima consiste in pale eoliche fissate al fondale marino: è usata per gli impianti near-shore, nei laghi e in mare aperto se la profondità è ridotta; la seconda (floating) è più adatta in alto mare e usa pale poste su piattaforme galleggianti. Il funzionamento di un parco eolico offshore è analogo a quello dei parchi sulla terraferma (detti anche onshore): l’elettricità è generata da turbine azionate dalla rotazione delle lame, a loro volta mosse dal vento. La differenza sostanziale rispetto ai parchi onshore sta appunto nella posizione (mare rispetto alla terraferma).

Gli impianti eolici off-shore tradizionali sono oggi affiancati dalla nuova tecnologia galleggiante che consente di costruire progetti in acque profonde come quelle del Mediterraneo, area che sta registrando un forte interesse da parte di molti importanti players nazionali ed internazionali, in particolare vicino a Sicilia e Sardegna, oltre che in Puglia.

Scopo del presente lavoro, oltre a descrivere quello che rappresenta il quadro normativo di riferimento, delinea quale ipotetico scenario futuro questioni relative al diritto internazionale del mare, stante la collocazione dei parchi, come si evince a livello progettuale, in acque internazionali, e quindi da un lato la potestà dello Stato costiero sia a sfruttare dette porzioni di mare, sia a disciplinare i diversi aspetti connessi all’essenza stessa di queste infrastrutture, come la sicurezza della navigazione.

 Da un punto di vista tecnico, fatto salvo quanto verrà deciso nelle sedi deputate, i campi eolici galleggianti (FOW – “Floating Offshore Wind”) potrebbero rappresentare un elemento chiave per la strategia energetica nazionale ed europea, garantendo la massima efficienza, per rendimenti e dimensioni, rispetto all’eolico off-shore a fondazioni fisse (cd. bottom fixed) e un impatto ambientale minore rispetto all’eolico a terra[5].

 

2.- Natura giuridica

Discorrere di impianti eolici off-shore significa cercare, per quanto possibile, di delinearne anche quella che può essere definita natura giuridica, pur nella consapevolezza che la dottrina fino a questo momento non ne ha delineato gli aspetti caratterizzanti.

Analizzando la normativa, nel caso in esame quella di natura internazionale, ossia la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, la stessa prevede norme dettagliate per quanto riguarda isole artificiali, istallazioni e strutture[6]. Nessuno di questi manufatti ha statuto di isola, genera un mare territoriale o ha influenza sulla delimitazione di zone marittime[7].

La Convenzione del 1982 non conferisce una definizione dei tre tipi menzionati di manufatti e rivela anche una incertezza terminologica, perché, in una disposizione a proposito del dumping[8] parla di «piattaforme e altre strutture artificiali»

Si può peraltro ritenere, in base al significato corrente dei termini, che mentre le isole artificiali si caratterizzano per una permanenza indefinita di collocazione e di durata, le installazioni e strutture (la distinzione tra le une e le altre non è rilevante, essendo i due termini sempre usati insieme) connotano manufatti di minore permanenza e suscettibili di essere rimossi o smontati[9], come possono essere gli impianti di cui si discorre in questo lavoro.

Posto ciò, va affrontata la problematica della natura giuridica delle suddette strutture.

Per analogia, pur con i dovuti tratti distintivi, può aiutare quanto invece approfondito per le piattaforme di esplorazione off-shore.

L’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse marine si realizza mediante l’utilizzo di strumentazioni altamente sofisticate che operano off-shore e che assumono caratteristiche assai differenti[10], a seconda dell’attività effettuata.

Verso la fine degli anni ’60 quando il fenomeno dell’esplorazione off-shore era ancora in uno step iniziale[11], si è tentato di categorizzare i mezzi di lavoro in base alle loro caratteristiche tecniche distinguendo tra unità sommergibili, costituite da uno scafo galleggiante a forma di pontone, su cui si erge un’apposita struttura, la piattaforma; unità autoelevabili costituite da una piattaforma galleggiante su cui si trovano attrezzature di perforazione, provviste e alloggi dell’equipaggio; unità semisommergibili, formate da uno scafo semigalleggiante sommerso a profondità variabile e connesso ad una piattaforma, che si mantiene fuori dall’acqua grazie ad una struttura posizionata sotto il livello del mare; unità flottanti, che sono (o meglio erano) vere e proprie navi, ricondizionate per un nuovo uso, quello minerario. Esse sono dotate di una vasta apertura centrale per il passaggio della sonda e ospitano, al centro dello scafo, il derrick, ossia la torre di trivellazione[12].

I mezzi off-shore appena descritti, seppure contraddistinti da importanti differenze strutturali, sono accomunati da una caratteristica, che risulta essere determinante nell’operazione di qualificazione giuridica delle stesse; si tratta della loro connessione con il suolo, rectius con il fondale marino, che a partire dalle strutture flottanti fino alle installazioni fisse si fa sempre più intenso[13].

L’ordinamento italiano non fornisce alcuna specifica descrizione normativa delle piattaforme marine e similari, imponendo uno sforzo ermeneutico di non facile soluzione, e, per quanto già riportato, a maggior ragione per gli impianti eolici.

In particolare, tra le tante problematiche, è emersa, prima fra tutte, quella che investe la necessità di elaborare una classificazione delle strutture suddette[14], al fine di individuarne la rispettiva natura giuridica ed intercettare le norme, nazionali ed internazionali, ad esse applicabili[15].

A tal proposito, a quanto consta, la dottrina italiana è stata la prima ad interessarsi delle questioni connesse al regime giuridico dei mezzi di esplorazione cosiddetti off-shore [16].

A ben vedere, tanto la letteratura quanto gli ultimi documenti tecnici non sembrano fornire descrizioni omogenee, probabilmente in ragione del fatto che, sebbene l’utilizzo di tali mezzi nell’ambito delle attività di approvvigionamento di fonti energetiche sia ormai altamente diffuso e pressoché imprescindibile, come nel caso delle piattaforme estrattive, il legislatore nazionale sembra tutt’ora vago per quanto concerne una loro puntuale categorizzazione normativa, provocando importanti dubbi circa la natura giuridica di tali strutture e la relativa disciplina applicabile, sia che si tratti di piattaforme che di parchi eolici.

Alla luce di tale ultima constatazione si cercherà di colmare la cennata lacuna normativa vagliando la possibilità di collocare le strumentazioni mobili che operano off-shore in un determinato genus normativo.

A tal proposito saranno prese in considerazione due disposizioni: l’art. 136, comma 1, c. nav., per la descrizione del bene «nave» e l’art. 136, comma 3, c. nav., per l’individuazione del «galleggiante».

Per la prima disposizione, considerato come ai fini della configurazione del concetto di nave, rilevi la destinazione al trasporto, inteso come navigazione in ambiente acqueo, bisogna comprendere, quando, e se, sia possibile affermare la destinazione alla navigazione delle piattaforme marine, motivo per cui ben se ne potrebbe sostenere la riconduzione nell’ambito della nozione di nave di cui all’art. 136, comma 1, del Codice della navigazione (di seguito Cod. nav.).

In alternativa, va verificata l’assimilabilità delle piattaforme marine nel concetto di galleggiante ex art. 136, comma 3, Cod. nav., sul presupposto che dette strutture, benché non destinate alla navigazione, siano comunque adibite a servizi attinenti alla navigazione o ai traffici.

Resta inteso che l’operazione così descritta sarà influenzata dalla complessità delle strutture in questione, dall’evoluzione tecnologica delle stesse[17] e dall’assenza di specifiche definizioni normative.

Per quanto ci riguarda, l’attenzione va direzionata verso le strutture/piattaforme mobili, tralasciando quelle fisse.

Infatti, già negli anni ’60, la letteratura nazionale ha rilevato come nell’ambito delle piattaforme marine «i tipi sono di diversa natura e cioè sommergibili, autoelevabili, galleggianti, semi-sommergibili, ecc.»[18], distinguendole dalle c.d. isole artificiali, definite come «apprestamenti, stabilmente fissati al fondo del mare ed adibiti agli scopi più diversi quali depositi di materiale e carburante, officine di riparazione, fari, ecc.»[19].

La dottrina più recente, valorizzando la nozione di trasporto inteso quale navigazione, ha ritenuto che «stante la distinzione tra piattaforme mobili e piattaforme fisse, è solo in riferimento alle prime che si potrebbe affermare la loro assimilabilità alla categoria dei galleggianti[20].

L’art. 136, comma 3, Cod. nav., disciplinando il galleggiante alla luce delle attività ad esso connesse, si potrebbe ben prestare ad essere utilizzata onde verificare se le piattaforme marine possano eventualmente rientrare in questa ulteriore categoria di beni.

Certamente seguirà nel corso degli anni una maggiore attenzione e un ben più delineato affinamento da parte della dottrina italiana sulla tematica de qua.

 

3.- Quadro normativo e iter autorizzativo

La tematica dei parchi eolici off-shore è caratterizzata da molteplici livelli di produzione normativa, in considerazione del fatto che il settore energetico in generale rappresenta indubbiamente uno dei più complessi ed articolati comparti economici a livello mondiale, con rilevanza per gli equilibri politici, economici e sociali. La regolamentazione energetica rappresenta un campo in continua evoluzione a causa del rapido evolvere sia dei mercati, sia delle politiche energetiche nazionali e internazionali, sia anche delle tecnologie di produzione, distribuzione e fruizione delle energie, anche in correlazione con la crescente attenzione alle questioni legate all’ambiente e al cambiamento climatico.

Le fonti energetiche rinnovabili costituiscono un settore la cui rilevanza è via via cresciuta negli ultimi decenni: affermatesi inizialmente come mezzo di salvaguardia dell’ambiente in vista di un progressivo affrancamento da altre fonti inquinanti, sono divenute successivamente una componente significativa dei processi di sviluppo economico legati alla cd. green economy; sino a rappresentare oggi, nella ripartenza post pandemia, uno dei pilastri su cui intende poggiare l’ambizioso piano di rilancio dell’Unione Europea (cd. Next Generation EU)[21].

Nell’ambito dell’ordinamento italiano siamo di fronte ad una classica materia di natura concorrente (“produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”), regolata in prima battuta da fonti sovranazionali ed intersecata da altri settori di competenza statale (la tutela dell’ambiente su tutti) e regionale (il governo del territorio, ad esempio; o la potestà primaria di tutela del paesaggio per alcune autonomie speciali)[22].

La produzione di energia rientra tra le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Pertanto, allo Stato compete l’enunciazione dei principi fondamentali della materia, mentre le regioni possono approvare leggi di dettaglio, pur nel rispetto dei principi stabiliti con leggi statali[23]

Una giurisprudenza costituzionale consolidata ha, tuttavia, a più riprese, consentito un’interpretazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione volta ad ammettere la definizione a livello statale di disposizioni con un maggior grado di dettaglio quando una materia di competenza esclusiva statale (es. la tutela dell’ambiente) interferisca, senza prevalere, con una materia a competenza concorrente, oppure quando, in ragione del principio di sussidiarietà ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, si ritenga che alcune funzioni amministrative, come quelle autorizzative, possano essere più efficacemente esercitate a livello statale, con conseguente necessità, per disciplinarne l’espletamento, di avocare a livello statale anche la competenza legislativa[24]. Nel recepire norme di derivazione unionale, lo Stato può, per altro, adottare norme di dettaglio, per assicurare l’adeguamento dell’ordinamento interno a quello europeo entro i termini di recepimento, superabili con l’esercizio da parte delle Regioni della propria competenza in materia (principio di cedevolezza).

Tornando agli impianti eolici off-shore, attenzioneremo, nel prosieguo, le principali fonti normative, comunitarie, nazionali e regionali.

 

3.1 Normativa comunitaria

Nell’ambito della tematica de qua diversi sono i riferimenti normativi in ambito comunitario. A sommesso parere di chi scrive i principali, partendo dai più risalenti, risultano essere in primis la Direttiva 2001/77/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del settembre 2001, che contempla la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, a cui fa seguito nel volgere di alcuni anni la Direttiva 2006/32/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e recante l’abrogazione della Direttiva 93/76/CE del Consiglio. Successivamente, la citata Direttiva 2001/77/CE veniva abrogata dalla Direttiva 2009/28/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recante promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

 In tale ottica, la direttiva RED II (direttiva UE 2018/2001), ha sancito il principio per cui le norme nazionali in materia di procedure amministrative di autorizzazione e di certificazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e delle relative reti debbano essere proporzionate e necessarie e contribuire all’attuazione del principio “energy efficiency first” (efficienza energetica al primo posto) e ha fissato in un due anni (prorogabile a tre anni in ragione di circostanze straordinarie) il termine massimo per la conclusione delle procedure autorizzative. Tale termine è stato ridotto ad un anno (prorogabile a due) in caso di impianti di potenza inferiore a 150kW e di potenziamento di impianti esistenti. Ne è seguita l’adozione, da parte della Commissione europea, di una Raccomandazione[25] sull’accelerazione delle procedure autorizzative per i progetti sull’energia rinnovabile sull’agevolazione degli accordi di compravendita di energia, con la quale gli Stati membri sono stati invitati a fissare termini vincolanti per la conclusione delle fasi in cui si articolano le procedure autorizzative ed è stata indicata in tre mesi la durata massima delle procedure autorizzative per l’installazione di apparecchiature per l’energia solare su strutture artificiali.

Il quadro sopra descritto è stato rivisto e implementato in modo consistente dalla direttiva RED III[26], facente parte del Pacchetto “Fit for 55”. La direttiva RED III rende più ambiziosi, in linea con il Piano RepowerEU, gli obiettivi 2030 in materia di consumo di energia da fonti rinnovabili, e, a tale fine, introduce un corpus organico di norme di armonizzazione, finalizzate a dare un necessario, maggiore impulso alla produzione di energia da tali fonti. Entro il 21 febbraio 2024, fino al conseguimento della neutralità climatica, gli Stati membri devono considerare gli impianti di produzione di energia rinnovabile, la relativa infrastruttura di rete, e gli impianti di stoccaggio, d’interesse pubblico prevalente e d’interesse per la salute e la sicurezza pubblica (salvo che circostanze specifiche e debitamente giustificate), portando altresì la quota vincolante di rinnovabili nel consumo finale di energia dell'UE al 42,5% (dal 32%) entro il 2030, con l'obiettivo di raggiungere addirittura il 45%.

È poi seguita, alla direttiva RED III, l’adozione di due raccomandazioni da parte della Commissione europea (pubblicate in GUUE serie L del 21 maggio 2024)[27]. Con la raccomandazione (UE) 2024/1343, la Commissione europea raccomanda agli Stati membri di stabilire termini chiaramente definiti e quanto più brevi possibili per tutte le fasi necessarie per autorizzare la costruzione e l’esercizio dei progetti, con termini massimi vincolanti per le fasi della VIA; di applicare procedure autorizzative semplificate per la revisione della potenza degli impianti, per progetti di impianti su piccola scala e gli autoconsumatori di energia rinnovabile; di stimolare la partecipazione dei cittadini, comprese le famiglie a basso e medio reddito, e delle CER alla pianificazione e allo sviluppo dei progetti; di designare i punti di contatto unici per il rilascio delle autorizzazioni; di introdurre norme sulle conseguenze di eventuali ritardi o omissioni delle autorità amministrative; di introdurre procedure autorizzative totalmente digitali e sistemi di comunicazione elettronica entro il 21 novembre 2025, anche impiegando sistemi di intelligenza artificiale. Quanto alla pianificazione dei siti dei progetti, la Commissione raccomanda di limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui non può essere sviluppata l’energia rinnovabile. Con la raccomandazione (UE) 2024/1344, si forniscono indicazioni operative per garantire quanto previsto dalla direttiva RED, in ordine alla necessità che i regimi di sostegno per l’energia elettrica da fonti rinnovabili prevedano incentivi basati su criteri di mercato non distorsivi della concorrenza e che ogniqualvolta il sostegno sia concesso mediante procedura di gara, gli Stati membri devono stabilire e pubblicare criteri non discriminatori e trasparenti per l’ammissibilità alle procedure al fine di assicurare un elevato tasso di realizzazione dei progetti. La raccomandazione è dunque volta a far sì che le aste siano progettate in maniera adeguata.

 

3.2 Normativa nazionale

In ambito nazionale, i provvedimenti che riguardano la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili o che la incentivano sono molteplici. 

Di particolare importanza, soprattutto perché rappresenta una delle più importanti disposizioni in materia di decentramento e conferimento di funzioni amministrative dal centro alla periferia, è rappresentato dal D.lgs. 112/98, emanato, in attuazione del Capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59, laddove nel titolo II Capo V viene esplicitato il riparto delle funzioni amministrative in materia di energia tra lo Stato, le Regioni e i restanti enti locali.

 Il D.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, di recepimento della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, prevede, tra le altre cose, misure di razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative per impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile.

 Vengono in particolare rilievo altresì le norme in materia ambientale e paesaggistica che disciplinano i principali atti di assenso cui talvolta è subordinato il rilascio dell’autorizzazione o comunque la realizzazione dell’impianto da fonti elettriche rinnovabili. Si fa quindi riferimento, principalmente: alle norme ambientali di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che disciplinano, in particolare, le procedure per la valutazione di impatto ambientale, e al codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo

22 gennaio 2004, n. 42 e, in particolare, alle norme sull’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 146.

 Il D.M. 10 settembre 2010 Ministero dello Sviluppo Economico promana, invece, le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e definisce le regole per la trasparenza amministrativa dell’iter di autorizzazione nell’accesso al mercato dell’energia; regolamenta altresì l’autorizzazione delle infrastrutture connesse e, in particolare, delle reti elettriche; determina i criteri e le modalità di inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio, con particolare riguardo agli impianti eolici.

Un’ulteriore disposizione, del tipo Circolare, di notevole importanza soprattutto per l’avvio del procedimento volto al rilascio della concessione demaniale marittima dei parchi eolici off-shore, è la Circolare n. 40 Serie II Titolo: Demanio Marittimo protocollo MTRA/PORTI/73 del 05/01/2012 emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti-Direzione Generale per i Porti, avente ad oggetto “Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative fonti energetiche rinnovabili - Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 – Articolo 12 così modificato dall’art. 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008)”. In detto provvedimento, tra le altre cose, sono contemplati i diversi passaggi per pervenire al rilascio del titolo concessorio a partire dall’istanza e pubblicazione, fino al rilascio del titolo, ivi compresa la determinazione del canone concessorio.

Per la loro importanza strategica in materia di energia da fonti rinnovabili vanno menzionati due importanti Documenti programmatici, il SEN Novembre 2017 (Strategia Energetica Nazionale) approvato con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico e Ministro dell’Ambiente del 10 novembre 2017, rappresenta per l’Italia un tentativo importante e strutturato di definizione di linee-guida a lungo periodo relative a tutti i temi di natura energetica e riteniamo pertanto che costituisca un passo importante e un punto di riferimento per policy maker, cittadini e operatori del settore. Il documento tratta tutti gli aspetti della politica energetica del Paese: produzione di energia elettrica, efficienza energetica, mercato elettrico, gestione fonti fossili, mobilità, approvvigionamenti, tariffe, etc. 

L’altro documento programmatico rilevante è PNIEC del 17 gennaio 2020 (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) pubblicato dal MISE ed inviato alla commissione Europea. Detto Piano stabilisce gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile. Il documento prevede la realizzazione di almeno di 19.300 MW di impianti eolici entro il 2030.

 Con il D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 199 di attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, l'obiettivo è quello di accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050, ridefinendo la disciplina dei regimi di sostegno applicati all’energia prodotta da fonti di energia rinnovabile attraverso il riordino e il potenziamento di quelli vigenti. Tale disciplina stabilisce un quadro generale volto alla promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili in misura adeguata al raggiungimento degli obiettivi prefissati, secondo principi di semplificazione ed efficienza perseguendo al contempo l’armonizzazione con altri strumenti, compresi quelli previsti dal PNRR. I regimi di sostegno si conformano a criteri generali, tra cui quello di assicurare un’equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio, la copertura sulle componenti delle tariffe dell’energia elettrica e del gas secondo modalità definite dall'ARERA in ciascuna disciplina specifica e il rispetto delle regole europee in materia di aiuti di stato[28].

In tale contesto, vi sono le riforme previste nel PNRR. Si richiama, nell’ambito della Missione 2, Componente 2, la Riforma M2C2 R. 1.1. “Semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti rinnovabili onshore e offshore, nuovo quadro giuridico per sostenere la produzione da fonti rinnovabili e proroga dei tempi e dell’ammissibilità degli attuali regimi di sostegno”. L’attuazione di tale riforma, si connette peraltro all’individuazione delle aree idonee[29]. Con la revisione del PNRR, autorizzata dal Consiglio europeo a dicembre scorso, nell’ambito della nuova Missione 7 “Repower EU”, vi è la Riforma 1.1 “Semplificazione delle procedure autorizzative per le energie rinnovabili”, che, in linea con la Direttiva RED III, consiste prevede l’adozione di un Testo unico delle norme che disciplinano la realizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili[30].

 

3.3 Normativa regionale in Puglia

Per quanto concerne la normativa regionale, con particolare riferimento alla Regione Puglia, tra i primissimi riferimenti normativi riguardanti la tematica de qua vi è la L.R. n. 11 del 12 aprile 2001 (abrogata poi dall’art. 16, comma 1, della L.R. n. 26/2022) che, in attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014,relativa alla modifica della direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati e della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce con la presente legge le disposizioni in materia di valutazione d’impatto ambientale.

 Successivamente, a mezzo di Delibera G.R. n. 131 del 2 marzo 2004, vengono approvate le Linee Guida per la valutazione ambientale in relazione alla realizzazione di impianti eolici nella Regione Puglia, a cui fa seguito, qualche anno dopo, l’approvazione di uno strumento di pianificazione strategica come il Piano Energetico Ambientale Regionale (noto con l’acronimo di PEAR) della Regione Puglia adottato con Delibera di G.R. n.827 del 08-06-2007, con il quale l’ente regionale programma ed indirizza gli interventi in campo energetico sul territorio regionale. In linea generale, la pianificazione energetica regionale persegue finalità atte a contemperare le esigenze di sviluppo economico e sociale con quelle di tutela dell’ambiente e del paesaggio e di conservazione delle risorse naturali e culturali.

Da sottolineare che il PEAR pugliese è stato oggetto di aggiornamento a mezzo di Deliberazione di Giunta regionale del 4 novembre 2024, n. 1484, recante “Aggiornamento del Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR). Adozione della proposta di Piano e formalizzazione ai fini dell’avvio della procedura di valutazione ambientale strategica”.

 Con la Legge regionale n. 31 del 21/10/2008, la Regione Puglia invece ha provveduto a disciplinare i titoli abilitativi alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili con riferimento all'obiettivo finale della riduzione del carico di inquinamento.

 Di interesse risultano essere poi sia la Deliberazione della Giunta Regionale n. 3029 del 30 dicembre 2010, con cui viene approvata la disciplina del procedimento unico di autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica, sia i regolamenti Regionali 24/2010 e 29/2012, con i quali vengono approvate, in attuazione del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 settembre 2010, le linee guida per i titoli autorizzativi degli impianti alimentati da fonte rinnovabile, nonché le aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Puglia.

Come testè accennato, con l’approvazione della L. R. 26/2022, è stata abrogata la L.R. 11/2001. La nuova disposizione definisce l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) e relative disposizioni attuative, nonché il conferimento di tali funzioni alla Città Metropolitana, alle Province e a i Comuni, il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché la destinazione dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie alle finalità previste nell’articolo 29, comma 8, del d.lgs. 152/2006.

 

3.4 Descrizione dell’iter autorizzativo

La realizzazione di parchi eolici off-shore è assoggettata ad un iter autorizzatorio complesso, efficacemente descritto dalla giurisprudenza come un «“procedimento di procedimenti”, scandito da subprocedimenti autonomi, di volta in volta finalizzati all’esame degli aspetti ambientali, di quelli propri del demanio marittimo ed infine di quelli direttamente connessi alla produzione dell’energia elettrica[31].

Secondo quanto prevede l’art.12, 3° comma, del d.lgs. n.387/2003, che, pur con successivi rimaneggiamenti, costituisce, assieme al d.lgs.n.28/2011, la normativa statale di riferimento in materia di fonti energetiche rinnovabili , la costruzione e l'esercizio degli impianti eolici off-shore, così come gli altri impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, come pure gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, che, in attuazione del principio di unicità del procedimento e nel rispetto delle pertinenti norme vigenti in materia ambientale e paesaggistica in primis, riunisce in sé tutta una serie di titoli abilitativi variamente denominati. Pur rispondendo a chiare esigenze semplificatorie, a conferma dell’evidente favor da parte del legislatore cui si accennava, l’autorizzazione unica a sua volta presuppone, per quel che concerne in particolare i parchi eolici off-shore, da un lato il previo rilascio sia della concessione demaniale per l’uso del demanio marittimo[32], cui si accompagna, per gli impianti situati al di là delle acque territoriali, anche la concessione per l’utilizzazione della piattaforma continentale e delle acque soprastanti[33]: dall’altro lato, la valutazione di impatto ambientale[34], quest’ultima eventualmente a seguito di valutazione di incidenza per il caso in cui la realizzazione del parco eolico possa avere ripercussioni su uno dei siti di Rete Natura 2000 di cui alle direttive Habitat e Uccelli.

La complessità a questo punto è evidente: fatta eccezione per la relativa linearità del procedimento per il rilascio della concessione demaniale, gli altri subprocedimenti, relativi al rilascio della valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione unica, si configurano a loro volta come procedimenti complessi, volti ad acquisire, mediante conferenze di servizi, ulteriori titoli abilitativi.  Quanto ai rapporti fra i diversi sub-procedimenti, il dato normativo sembra deporre incontestabilmente non solo nel senso di una successione cronologica fra gli stessi, ma anche in quello della efficacia condizionante di quelli antecedenti. Da un lato, infatti, ai sensi del 3° comma dell’art.12 del d.lgs. 387/2003, così come integrato dall’art.2, comma 158, lett. c, della legge n.244/2007 (Finanziaria 2008), in vigore dal 1/1/2008, l’autorizzazione unica viene rilasciata previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima.  Dall’altro lato, il 4° comma del citato art.12, nel testo oggi vigente a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 28/2011, prevede a sua volta che il termine massimo per la conclusione del procedimento per il rilascio, fissato in 90 giorni, debba essere computato «al netto dei tempi previsti […] per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale»[35];sicché si desume che il giudizio di compatibilità ambientale debba concludersi, e positivamente, stante quanto previsto dall’art.5, lett. o, del d.lgs. n.152/2006, con un provvedimento che dovrà essere acquisito in seno al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica, nella quale peraltro dovrà essere integrato, ex art.26 del d.lgs. 152/2006, così come modificato dal d.lgs.104/2017.

Questa sembra del resto la lettura offerta dalla stessa giurisprudenza, (maturata in alcuni casi ancor prima che l’art.12, 4° comma, del d.lgs. n.387/2003 venisse modificato nei termini sopra menzionati, secondo la quale i sub-procedimenti per il giudizio di compatibilità ambientale e per il rilascio dell’autorizzazione unica sono «astretti da vincolo di presupposizione»[36], nel senso che il primo è «oggetto di un autonomo sub-procedimento, cronologicamente antecedente rispetto alla conferenza di servizi per il rilascio dell’autorizzazione unica» e «con effetti direttamente condizionanti in relazione agli ulteriori ed autonomi subprocedimenti previsti nell’ambito dell’iter di rilascio dell’autorizzazione unica»[37].

Per individuare l’iter autorizzativo previsto per gli impianti eolici offshore occorre fare riferimento al D.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 che al comma 3 art. 12 del Dlgs n. 387/2003 “la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, (…) nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, (…) sono soggetti ad una autorizzazione unica. (…).

Secondo quanto stabilito dal D. Lgs. n. 152/2006 e ss.mm.ii. gli impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare sono soggetti a procedura di valutazione d’impatto ambientale di competenza statale poiché fanno parte dell’elenco all’allegato II alla parte seconda punto 7-bis “Impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare”.

Nel gennaio del 2012 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con la già citata Circolare n. 40/2012, ha chiarito e riassunto le procedure e le fasi per autorizzative degli impianti eolici ubicati a mare. In particolare, per quanto riguarda la fase di Concessione Demaniale, fase preliminare e prodromica per l’avvio del procedimento autorizzativo ex 387/2003 e per fase di Valutazione di Impatto Ambientale.

Il D.L. 1marzo 2021, n. 22 convertito con modificazioni dalla L. 22 aprile 2021, n. 55, ha modificato l’art. 35 del D.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 comma 2, lettera b), disponendo tra le varie competenze del Ministero della transizione ecologica[38] la “definizione degli obiettivi e delle linee di politica energetica e mineraria nazionale e provvedimenti ad essi inerenti”[39].

L’articolo 12 comma 3 del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 è stato inoltre modificato dall’art 23 del D.lgs. n.199/2021 di attuazione della Direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili ed in ultimo dall’art. 13 del D.L. 1° marzo 2022 n. 17, convertito con modificazioni in L. 27 aprile 2022 n. 34, nello specifico è stato disposto che “Per gli impianti off-shore, incluse le opere per la connessione alla rete, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero della transizione ecologica di concerto il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e sentito, per gli aspetti legati all’attività di pesca marittima, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell’ambito del provvedimento adottato a seguito del procedimento unico di cui al comma 4, comprensivo del rilascio della concessione d’uso del demanio marittimo”.

 

4.- Pianificazione dello spazio marittimo e il nuovo Piano del Mare

La previsione circa l’installazione di dette strutture in mare dovrebbe, di regola, essere preceduta da un qualsivoglia strumento di pianificazione, sulla falsa riga dello strumento pianificatorio valido in materia urbanistica per eccellenza quale il Piano Regolatore, con il quale vengono predeterminate le aree su cui costruire e la tipologia di costruzione.

Inoltre, aspetto non trascurabile, una pianificazione delle zone costiere coerente e razionale deve tener dunque adeguatamente in conto interessi pubblici diversi e anche parzialmente confliggenti, ossia tutela dell’ambiente marino, ordinato assetto del territorio, sviluppo economico, tutela del patrimonio culturale, solo per citare i più rilevanti[40].

Ad oggi tutte le istanze pervenute scontano l’assenza di uno strumento di pianificazione ad hoc approvato, nonostante da diversi anni vi siano disposizioni normative che prevedano l’esistenza e l’approvazione della cd. Pianificazione dello Spazio Marittimo (di seguito PSM).

In linea generale possiamo definire la PSM come una sorta di modalità pratica di stabilire una più razionale organizzazione dell’uso dello spazio marittimo e delle interazioni fra i suoi usi, per bilanciare la domanda di sviluppo con la necessità di proteggere gli ecosistemi marini, e di raggiungere obiettivi sociali ed economici in maniera trasparente e pianificata. Come tale, la PSM è un fattore abilitante fondamentale per uno sviluppo sostenibile dell’economia del mare.

La Direttiva n. 2014/89/UE istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo con l’intento di promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime[41], lo sviluppo sostenibile delle zone marine e l’uso sostenibile delle risorse marine[42] .

Essa si inserisce nel contesto della direttiva 2008/56/UE, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, che costituisce il pilastro ambientale della Politica marittima integrata dell’Unione Europea (di seguito PMI), stabilendo principi comuni per gli Stati membri al fine di favorire lo sviluppo sostenibile dei mari e delle economie marittime e costiere e sviluppando un processo decisionale coordinato per raggiungere un buono stato ecologico delle acque marine[43].

La PSM non è solo indispensabile come strumento per raggiungere gli obbiettivi di sostenibilità richiesti dalla Marine Strategy Framework Directive (di seguito MSFD)[44] e dalla nuova Strategia per la biodiversità 2030 dell’UE, ma lo è anche per raggiungere una sostenibilità sociale ed economica nel pieno rispetto dell’ecosistema marino. Inoltre, la stessa, con approccio ecosistemico, risulta essere vitale per assicurare nel lungo termine un equilibrio sostenibile tra la natura e le attività umane come la pesca, l’acquacoltura, il trasporto marittimo così come quelle attività che stanno crescendo rapidamente come l’eolico off-shore e che pertanto chiedono spazio. Di conseguenza detto strumento è chiamato anche nello strategico ruolo di risolvere i conflitti d’uso per lo spazio marittimo e, ove possibile, creare sinergie compatibili tra differenti settori. Per tali considerazioni, la pianificazione nazionale articolata per area marittima, ai sensi dell’art. 6 comma 2, definendo il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione di progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del D.Lgs. 152/2006, o per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della Direttiva “Habitat” (92/43/CEE) dovrà essere accompagnata dal processo di Valutazione ambientale strategica integrata con la valutazione di incidenza.

La PSM è considerata, insieme alla Gestione Integrata delle Zone Costiere (di seguito GIZC)[45] uno degli strumenti fondamentali per l’attuazione della PMI, che, a sua volta, identifica nella Direttiva Quadro sulla Strategia Marina (MSFD 2008/56/CE) il proprio pilastro ambientale. L’approccio ecosistemico costituisce un forte riferimento sia per la PSM e la GIZC sia per la MSFD[46], nell’ottica di sviluppare una strategia marina complessiva e condivisa, i cui elementi dovrebbero essere concordati tra tutti gli stati del bacino e coordinati con le azioni nazionali in materia.

Quest’ultimo aspetto evidenzia l’importanza di coinvolgere sin dall’inizio del processo di pianificazione tutti gli stakeholders, dai grandi ai piccoli, e attraverso un approccio partecipativo, inclusivo e trasparente, raggiungere un piano di gestione che sia supportato dal basso. Partecipazione che, oltre ad essere richiesta dalla Direttiva PSM e MSFD, è indispensabile per poter pianificare una vision sia di protezione della biodiversità, sia di sostenibilità socioeconomica nel breve[47] e nel lungo termine[48] che gioverebbe anche dal punto di vista della solidità del nostro paese per quanto riguarda determinati investimenti economici (come per esempio l’eolico offshore). La pianificazione viene attuata attraverso l’elaborazione, l’adozione e l’implementazione di uno o più Piani per le proprie acque marine, tenendo conto delle interazioni terra-mare. I Piani tengono in considerazione gli aspetti economici, sociali e ambientali al fine di sostenere uno sviluppo e una crescita sostenibili nel settore marittimo, applicando un approccio ecosistemico, e di promuovere la coesistenza delle pertinenti attività e dei pertinenti usi[49].

Sulla base di quanto disciplinato dalle Linee Guida contenenti gli indirizzi e i criteri per la predisposizione dei piani di gestione dello spazio marittimo approvate con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° dicembre 2017, in linea con le previsioni dell’art.6, comma 2 del D. Lgs. n. 201/2016, che a sua volta ha recepito la direttiva comunitaria 2014/89, la finalità del Piano di gestione dello spazio marittimo (di seguito PGSM) è quella di fornire indicazioni di livello strategico e di indirizzo per ciascuna Area Marittima e per le loro sub-aree, da utilizzare quale riferimento per altre azioni di pianificazione, di settore o di livello locale, e per il rilascio di concessioni o autorizzazioni. A seconda delle caratteristiche delle sub-aree e delle necessità di pianificazione, il Piano fornisce indicazioni più o meno dettagliate, sia in termini di risoluzione spaziale che in termini di definizione delle misure e delle raccomandazioni. Il PGSM è stato configurato dal diritto interno di recepimento della direttiva come Piano sovraordinato rispetto a tutti gli altri piani e programmi capaci di avere effetti sul suo medesimo ambito applicativo, non solo quelli aventi ad oggetto le acque marine, ma anche quelli concernenti attività terrestri che possono avere effetti sulle acque marine, rispondendo agli obiettivi per la pianificazione dello spazio marittimo nazionale posti dalla direttiva 89/2014/UE: dotarsi di un Piano intersettoriale capace di coordinare diverse politiche attraverso un unico atto di gestione, che acquisisce il carattere di “Piano integrato” e di “Piano globale”, idoneo ad identificare i diversi usi dello spazio marittimo[50]. L’attuazione della direttiva europea non ha mutato il quadro delle competenze legislative e amministrative, imponendo una forma di pianificazione e una governance sostitutiva di quella preesistente, ma ha aggiunto un livello di pianificazione sovraordinato, che si pone come necessario per assicurare un quadro chiaro, coerente, e capace di perseguire gli obiettivi delle diverse politiche, anche nell’ottica di una cooperazione transfrontaliera. Il carattere sovraordinato del Piano e la sua prevalenza rispetto agli altri atti pianificatori e programmatori, non comporta che questi ultimi vengano meno, ma che debbano essere in sede di prima applicazione rientranti nel nuovo Piano, ed eventualmente modificati per garantirne l’armonizzazione, in seguito all’approvazione del Piano di gestione dello spazio marittimo dovranno essere coerenti con gli obiettivi, gli indirizzi, le raccomandazioni e le previsioni in esso contenute. Il Piano non sarà, quindi, derogabile da piani o programmi o da singoli provvedimenti amministrativi, essendo così idoneo a garantire chiarezza e certezza giuridica degli usi dello spazio marittimo per gli operatori economici, attraverso il coordinamento di diversi atti amministrativi di regolazione di attività che si svolgano in mare o che siano comunque capaci di avere un impatto sullo spazio marittimo. Il Piano ha, pertanto, natura di «strumento di primo livello, sovraordinato, cioè, agli ulteriori e previgenti atti di pianificazione della gestione del territorio marino, il cui contenuto deve necessariamente confluirvi»[51], e rientra nella tipologia dei “superpiani”[52].

La redazione dei Piani di gestione dello Spazio Marittimo Italiano, elaborati a cura di un Comitato tecnico[53] e approvati con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, viene attuata a mezzo di tre processi, paralleli e coordinati, nelle tre Aree Marittime individuate dalle Linee Guida (Adriatico, Ionio-Mediterraneo Centrale, Mediterraneo Occidentale). In ciascuna area, il Piano riguarda tutte le acque e/o i fondali oltre la linea di costa su cui l'Italia ha giurisdizione, ad esclusione di aree con pianificazioni urbane e rurali disciplinate da vigenti disposizioni di legge. Le delimitazioni delle tre Aree Marittime[54] oggetto di Piano ha rilevanza operativa per la definizione, la gestione, l’attuazione e l’aggiornamento futuro del Piano. Non ha invece alcuna rilevanza dal punto di vista legale e delle competenze, che restano definite dal quadro normativo vigente, ovvero da specifiche misure che il Piano potrà individuare ed adottare.

In tale contesto, coerentemente al dettato delle direttive, le diverse articolazioni in cui si sviluppa il PGSM, dovranno essere sottoposte a VAS integrata con la Valutazione di Incidenza.

Per quanto riguarda più specificatamente la zona adriatica, il processo di VAS del Piano di Gestione dello Spazio Marittimo – Area Marittima “Adriatico”, svolto secondo quanto disciplinato dalla Parte II del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, risulta attualmente essere ancora in corso di definizione.

Com’è noto, la VAS si applica ai piani/programmi con l’obiettivo di garantire che gli effetti sull'ambiente, derivanti dalla relativa attuazione, siano adeguatamente presi in considerazione ed integrati fin dalla fase di elaborazione, garantendo un elevato livello di protezione dell’ambiente. Nel rispetto della disciplina comunitaria e nazionale, il procedimento di VAS include l’elaborazione di un Rapporto Ambientale contenente l'individuazione, la descrizione e la valutazione degli effetti significativi che l'attuazione del piano potrebbe avere sull'ambiente, nonché delle ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi dello stesso e del relativo ambito territoriale di intervento. La normativa in tema di VAS, ossia la parte II del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm. e ii., all’art. 10, comma 3, dispone che la VAS comprenda le procedure di valutazione di incidenza (di seguito VINCA) di cui all’art. 5 del DPR 357/97 e s.m.i.[55].

Di fondamentale importanza risulta un ulteriore ed importante aspetto contemplato dalle Linee guida sopra citate che, considerata la cornice di riferimento entro la quale si inseriranno gli altri strumenti di pianificazione il quale lo strumento di pianificazione rispetto al tema della relazione tra la pianificazione marittima e gli altri strumenti di governo del territorio (e specificamente quelli per la gestione integrata della zona costiera, i piani attuativi comunali di gestione del demanio marittimo, o i piani comunali di costa), sanciscono la prevalenza del piano di gestione dello spazio marittimo rispetto agli altri piani settoriali, distinguendo due fasi. Nella prima fase gli altri piani entreranno a far parte dei piani di gestione. Una volta approvato, il piano di gestione diventerà la cornice di riferimento entro la quale si inseriranno gli altri strumenti di pianificazione[56].

Tra gli strumenti di pianificazione marittima non si può non annoverare il recentissimo Piano del Mare 2023-2025 approvato con Delibera 31 luglio 2023 dal Comitato Interministeriale per le Politiche del mare[57].

Detto Piano risulta strumento indispensabile per delineare le politiche del mare, visto come “sistema mare” nel suo complesso, ivi inclusi gli interessi marittimi nazionali, anche in relazione alla strategia di sicurezza e difesa, il tutto attraverso un approccio omnicomprensivo e trasversale che valorizzi gli attori interessati. Esso si colloca quale strumento di indirizzo politico e di coordinamento di un’unitaria strategia marittima nazionale, anche attraverso la proposta di successivi interventi normativi e/o amministrativi a cura dei Dicasteri titolari delle funzioni amministrative, da programmare nell’ottica dell’armonizzazione e della composizione tra i vari interessi coinvolti nello sviluppo della “blue economy[58].

Di particolare rilievo per la tematica di interesse solo due punti del Piano: la pianificazione dello spazio marittimo e l’energia proveniente dal mare.

Per quanto concerne la prima, viene rimarcata l’importanza di avere Piani di gestione dello spazio marittimo, i quali, nell’ambito delle varie aree marine, opportunamente definite, individuano specifiche “zone”, in riferimento alle quali vengono determinati i tipi di uso del mare prevalenti a livello spaziale e temporale; per ciascuna zona vengono altresì fornite misure, raccomandazioni e indirizzi per lo svolgimento delle citate attività[59].

Secondo il Piano, quindi, la pianificazione dello spazio marittimo, pertanto, ha lo scopo di promuovere un processo pubblico trasversale alle amministrazioni, diretto ad analizzare e organizzare la distribuzione spaziale e temporale delle attività antropiche nelle zone marittime al fine di conseguire obiettivi economici, ambientali e sociali.

In relazione al secondo aspetto, il Piano del mare prevede che, nell’ambito del contesto della nuova strategia di sviluppo energetico dell’Italia, il mare può dare un contributo decisivo nella produzione di energia da fonti rinnovabili, quali i parchi eolici offshore ed il moto ondoso, sempre più importanti nel mix energetico a livello europeo e, pur con un passo più rallentato, dell’Italia[60]. Per fare ciò, il Piano prevede quale elemento imprescindibile quello di affrontare il tema dell’energia “che viene dal mare” e “per il mare”, energia pulita nazionale che è fondamentale per raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione energetica e dell’indipendenza energetica, a mezzo di interventi infrastrutturali, logistici e procedurali specificamente dedicati[61]

Inoltre, il Piano nazionale integrato energia e clima (di seguito PNIEC) prevede la produzione di 900 MW al 2030 di eolico offshore nella nostra Nazione nell’ambito dell’obiettivo fissato dalla Strategia europea in materia di energie rinnovabili offshore di raggiungere a livello europeo 60 GW di eolico offshore nel 2030 e i 300 GW nel 2050, ma si attendono quantitativi di energia eolica prodotti anche superiori. 

 

5.- Problematiche di diritto internazionale del mare

I progetti presentati per l’installazione degli impianti off-shore, hanno il comune denominatore della allocazione degli stessi al di là delle acque territoriali, per la qual cosa la fonte del diritto principale risiede nella c.d. Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (di seguito UNCLOS), ratificata dall’Italia con legge 689/1994.

In via generale si ricorda che nel diritto internazionale il mare territoriale è definito come la striscia di mare adiacente le coste dello Stato, ed include anche le baie e i golfi. Il limite massimo di estensione o limite sterno che dir si voglia del mare territoriale è di 12 miglia marine[62], misurate a partire da una linea di base che costituisce il cosiddetto limite interno. Le acque che si trovano fra la terraferma e il limite interno sono denominate acque interne. Quanto all'Italia, il limite delle 12 miglia è stato adottato con la L. 14 agosto 1974, n. 359. Lo spazio marino che si estende oltre il mare territoriale, nonché le acque sovrastanti la piattaforma continentale e quelle della zona economica esclusiva, sono definiti alto mare o acque internazionali. In questa zona marina trova ancora applicazione il principio della libertà dei mari, che comporta il riconoscimento a ciascuno Stato, sia costiero sia privo di litorale, di un uguale diritto di compiere attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca, ricerca scientifica, a condizione che siano rispettati gli interessi degli altri Stati. Secondo l'articolo 92 della UNCLOS, chi naviga in acque internazionali deve rispettare le leggi della nazione che dà la bandiera all'imbarcazione sulla quale viaggia[63].

Per quanto attiene alla Zona economica esclusiva (di seguito ZEE) tale istituto è stato introdotto dalla richiamata Convenzione e risponde principalmente alle richieste avanzate dagli Stati costieri in relazione a zone di pesca esclusive nei mari adiacenti alle acque territoriali. L'articolo 55 della Convenzione la definisce come quella zona economica al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico stabilito nella Parte V del medesimo atto pattizio. Ai sensi dell'articolo 57 la zona economica esclusiva può estendersi tassativamente non oltre le 200 miglia[64] dalle linee di base da cui è misurata l'ampiezza del mare territoriale. A differenza della piattaforma continentale per poter divenire effettiva, deve essere oggetto di una proclamazione ufficiale da parte dello Stato costiero, notificata alla Comunità internazionale. La ZEE comporta il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche, sia biologiche, sia minerali, per un'estensione massima di 200 miglia marine, un limite calcolato a partire dalla linea di base del mare territoriale. Dal momento che i diritti dello Stato costiero riguardano anche il fondo e il sottosuolo marino, la ZEE quando viene istituita dallo Stato costiero assorbe la piattaforma continentale, a meno che questa non si estenda oltre le 200 miglia dalle linee di base.

Ai sensi degli articoli 56 e 58 della Convenzione (richiamati anche dall'articolo 2 del disegno di legge in esame) in tale zona di mare lo Stato costiero:

  1. beneficia di diritti sovrani ai fini dell'esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche e minerali, che si trovano nelle acque sovrastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo: poteri che si sovrappongono a quelli sulla piattaforma continentale, assorbendoli completamente, e includendo anche altre attività dirette a fini economici, come la produzione di energia a partire dall'acqua, dalle correnti e dai venti, ma soprattutto la risorsa di maggior rilievo, ossia la pesca, oggetto principale della sovranità economica dello Stato costiero;
  2. esercita la propria giurisdizione in materia di:
  3. a) installazione ed utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture;
  4. b) ricerca scientifica;
  5. c) preservazione e protezione dell'ambiente marino.

Nella ZEE tutti gli Stati, costieri e privi di litorale, hanno libertà di navigazione e di sorvolo, di posa in opera di cavi e condotte sottomarine. Inoltre, lo Stato interessato può consentire loro di esercitare la pesca, qualora la propria capacità di sfruttamento sia inferiore al volume massimo di risorse ittiche sfruttabili[65], fissato dallo stesso Stato costiero ed in forza di accordi bilaterali conclusi con i relativi Stati di appartenenza tenuto conto, in particolare, della necessità degli Stati che non hanno sbocchi sul mare o geograficamente svantaggiati. Ai sensi dell'articolo 74 della Convenzione la delimitazione della zona economica esclusiva tra Stati con coste opposte o adiacenti viene effettuata per accordo sulla base del diritto internazionale. In attesa dell'accordo gli Stati interessati, in uno spirito di comprensione e cooperazione, compiono ogni sforzo per addivenire a intese provvisorie di carattere pratico e, durante questo periodo di transizione, non debbono compromettere od ostacolare l'accordo finale.

A sua volta la piattaforma continentale, disciplinata dalla parte VI dell'UNCLOS, comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all'orlo esterno del margine continentale, o fino a una distanza di 200 miglia marine (370,4 km ) dalle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale, nel caso che l'orlo esterno del margine continentale si trovi a una distanza inferiore[66].

Sulla piattaforma continentale lo Stato costiero esercita diritti sovrani con riferimento all'esplorazione e allo sfruttamento delle risorse naturali della stessa, ossia le risorse minerarie (come gli idrocarburi) e le risorse biologiche sedentarie (organismi viventi che rimangono immobili sulla piattaforma o che si spostano rimanendo sempre in contatto con il fondo marino). Agli Stati terzi, invece, spettano le tradizionali libertà dell'alto mare alle condizioni stabilite dallo Stato costiero: a) navigazione; b) sorvolo; c) pesca (salvo che non vi sia l'esistenza di zone riservate o zone economiche esclusive nella zona d'acqua sovrastante); d) posa di cavi e condotte sottomarine.

I diritti dello Stato costiero sulla propria piattaforma continentale gli appartengono ab origine e perciò non hanno bisogno di proclamazione. Un problema molto delicato, data la vastità delle aree marine impegnate dai poteri degli Stati costieri sulla piattaforma continentale, è quello della delimitazione della piattaforma tra Stati costieri che si fronteggiano o che sono adiacenti.

A tal proposito, la UNCLOS impone agli Stati di concordare una delimitazione tra loro, sulla base del diritto internazionale, in modo da raggiungere una "soluzione equa", abbandonando il criterio della "linea mediana" che era stabilito nella Convenzione di Ginevra, nel caso in cui non si raggiunga l'accordo tra Stati frontisti o limitrofi[67].

Sarebbe stato opportuno che il legislatore specificasse, in un atto avente valenza normativa di rango primario, quali fossero le acque soggette alla giurisdizione italiana e, quindi, oggetto di pianificazione, prendendo una posizione chiara con riferimento tanto alla zona contigua che alla ZEE. L'assenza di un’esplicita definizione di quale sia il concreto ambito di applicazione della PSM, infatti, potrebbe creare problemi non di poco conto, soprattutto qualora le scelte effettuate, sulla base di atti normativi di rango secondario o direttamente nel Piano di gestione, fossero oggetto di contestazione da parte di altri Stati o di portatori di interesse qualificati. Per identificarne i limiti, occorre, pertanto, cercare di fornire un’interpretazione sistematica dell’intero D. Lgs. n. 201/2016. Il richiamo, contenuto tanto nella direttiva quanto nelle premesse del decreto legislativo, alla normativa internazionale in materia e, precisamente, alla Convenzione UNCLOS sul diritto del mare, unitamente al richiamo del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977 numero  816 con cui è stata autorizzata l'adesione dell'Italia alla Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, adottata a Ginevra il 29 aprile 1958, porta a concludere che oggetto di pianificazione sono, almeno a livello teorico, non solo le acque del mare territoriale, ma anche la piattaforma continentale e tutte le altre zone su cui l’Italia può vantare una qualche giurisdizione sulla base del diritto internazionale. Sulla base delle norme di diritto internazionale, può essere riconosciuta la giurisdizione di uno Stato rivierasco sulle acque eccedenti le 12 miglia solo nel caso in cui si sia proceduto alla dichiarazione della zona contigua e/o di una zona economica esclusiva. In assenza di tali dichiarazioni, in teoria, lo Stato dovrebbe limitarsi ad esercitare i diritti che gli spettano sulle acque territoriali, sulla piattaforma continentale (sempre che abbia raggiunto un accordo con gli Stati frontisti nel caso di bacini di ampiezza inferiore alle 400 miglia), e, se del caso, su quelle oggetto di dichiarazioni di protezione per finalità particolari (es. pesca o tutela ambientale). In quest'ultimo caso, però, le attività e gli obiettivi per cui è ammissibile pianificare sono strettamente collegate alle finalità per cui è stata dichiarata la zona di giurisdizione. Nelle premesse del decreto legislativo, si cita il decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011 n. 209, recante le norme regolamentari di istituzione di zone di protezione ecologica del Mediterraneo nord-occidentale, del Mar Ligure del Mar Tirreno ovvero il decreto con cui è stata istituita la c.d. Zona di Protezione Ecologica (ZPE) italiana per finalità, appunto, di tutela e protezione dell’ambiente marino. Riassumendo, al momento dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 201/2016, le aree oggetto di pianificazione potevano essere identificate, con certezza, nelle acque territoriali, nella piattaforma continentale (almeno i tratti su cui sono stati raggiunti confini certi con i Paesi frontisti), e nelle acque ricadenti nella zona di protezione ecologica, dichiarata in base al Decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011 numero 209. Con legge 14 giugno 2021 n.91, però, è stata autorizzata l'istituzione di una zona economica esclusiva italiana: la ZEE diventerà pienamente efficace solo con l'emanazione di un Decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, previa definizione dei confini, frutto di Accordi con gli Stati confinanti. Fino alla data di entrata in vigore di tali Accordi, i limiti esterni della zona economica esclusiva sono stabiliti in modo da non compromettere od ostacolare l’accordo finale. Se tale dichiarazione interverrà prima dell'approvazione dei piani di gestione dello spazio Marittimo gli stessi potranno, legittimamente, avere ad oggetto l'intera zona economica esclusiva e riferirsi alle attività e finalità in essa contemplabili. Sulla base di quanto precisato dall’art.1, comma 3, della legge 14 giugno 2021 n.91, si ritiene, altresì, che, in attesa della conclusione degli Accordi internazionali, i piani di gestione possano, altrettanto legittimamente, riguardare le acque ricadenti nella zona economica esclusiva italiana all’interno di confini o limiti che non siano contestati dai Paesi frontisti.

Ad onor di cronaca, in Parlamento giace un Disegno di Legge recante l'autorizzazione alla ratifica e l'esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Croazia sulla delimitazione delle zone economiche esclusive, con allegato, fatto a Roma il 24 maggio 2022[68].

L’accordo a cui fa menzione questa proposta di legge è stato sottoscritto in occasione della quinta sessione del Comitato di coordinamento dei Ministri Italia-Croazia che si è svolta a Roma lo scorso 24 maggio 2022.

 

6.- Il regime vincolistico con particolare riferimento al PPTR della Regione Puglia

Le limitazioni maggiormente significative riguardanti progetto di tal guisa sicuramente risiedono nella vasta gamma della casistica dei cd. vincoli apposti sul bene o sull’area dalla normativa vigente, basti ricordare tra i più significativi “Rete Natura 2000”, consistente in una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell'Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario[69].

Ancora i vincoli militari o archeologici, significativi laddove vi siano zone di addestramento o siti archeologici tutelati.

Tralasciando nello specifico quanto poc’anzi rappresentato, ci soffermeremo “territorialmente” sul Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (di seguito PPTR) della Regione Puglia, in particolare sugli aspetti maggiormente salienti che richiamano i parchi eolici offshore.

Detto strumento è piano paesaggistico ai sensi degli artt. 135 e 143 del Codice, con specifiche funzioni di piano territoriale ai sensi dell'art. 1 della L.r. 7 ottobre 2009, n. 20 "Norme per la pianificazione paesaggistica".

Esso è rivolto a tutti i soggetti, pubblici e privati, e, in particolare, agli enti competenti in materia di programmazione, pianificazione e gestione del territorio e del paesaggio.

Il PPTR persegue le finalità di tutela e valorizzazione, nonché di recupero e riqualificazione dei paesaggi di Puglia, in attuazione dell'art. 1 della L.R. 7 ottobre 2009, n. 20 " Norme per la pianificazione paesaggistica" e del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del Paesaggio" e successive modifiche e integrazioni (di seguito denominato Codice), nonché in coerenza con le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione, e conformemente ai principi di cui all'articolo 9 della Costituzione ed alla Convenzione Europea sul Paesaggio adottata a Firenze il 20 ottobre 2000, ratificata con L. 9 gennaio 2006, n. 14.

Il PPTR persegue, in particolare, la promozione e la realizzazione di uno sviluppo socioeconomico autosostenibile e durevole e di un uso consapevole del territorio regionale, anche attraverso la conservazione ed il recupero degli aspetti e dei caratteri peculiari dell'identità sociale, culturale e ambientale, la tutela della biodiversità, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati, coerenti e rispondenti a criteri di qualità e sostenibilità.

Gli ambiti del PPTR costituiscono sistemi territoriali e paesaggistici individuati alla scala subregionale e caratterizzati da particolari relazioni tra le componenti fisico-ambientali, storico-insediative e culturali che ne connotano.

Ogni ambito di paesaggio è articolato in figure territoriali e paesaggistiche che rappresentano le unità minime in cui si scompone a livello analitico e progettuale la regione ai fini del PPTR. Ogni ambito di paesaggio è articolato in figure territoriali e paesaggistiche che rappresentano le unità minime in cui si scompone a livello analitico e progettuale la regione ai fini del PPTR.

Dall'intreccio di caratteri fisico-morfologici, socioeconomici e culturali del territorio si è pervenuti, attraverso un confronto delle articolazioni territoriali derivanti dai due metodi analitici, ad una correlazione coerente fra regioni storiche (non precisate nei loro confini, ma nei loro caratteri socioeconomici e funzionali), ambiti di paesaggio e figure territoriali (individuate ai fini del piano in modo geograficamente definito).

Pr quanto riguarda gli impianti eolici offshore nello specifico, Il documento denominato “Linee guida sulla progettazione e localizzazione di impianti di energia rinnovabile” del PPTR fornisce gli indirizzi e le prescrizioni da considerare in fase di progettazione e nel corso dell’iter autorizzativo degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Le Linee Guida regionali affrontano anche il tema dello sviluppo delle centrali eoliche offshore nel paragrafo “B1.2.3.3 Eolico off-shore” che merita di essere riportato interamente poiché costituisce un punto di riferimento essenziale per tutta l’attività di progettazione sia termini di localizzazione dell’impianto che di scelte tecnologiche:  “Le centrali eoliche off-shore potranno essere localizzate ad una distanza minima dalla costa di 4 km, previo accertamento dei requisiti minimi di ventosità ed acquisizione delle autorizzazioni di competenza del Demanio Marittimo.

Non sarà inoltre consentita la localizzazione di impianti offshore:

- in aree SIC mare ed in aree marine protette;

- in corrispondenza di aree dove si riscontri la presenza di posidonieti e biocenosi marine di interesse conservazionistico;

- nell’ambito dei coni visuali dei paesaggi costieri di particolare valore.

Più in generale, le Linee guida del P.P.T.R. invitano a ripensare la realizzazione dei parchi eolici in termini di “progetto di paesaggio”, ovvero in un quadro di gestione, piuttosto che di protezione dello stesso, con l’obiettivo di predisporre una visione condivisa tra i vari attori interessati dal processo.

 

7.- Il ruolo dell’Autorità Marittima

In generale, al fine di inquadrare meglio la problematica de qua, appare opportuno procedere ad un breve excursus normativo.

Fino al DPR n. 616 del 24 luglio 1977 (art. 59), di attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975 n. 382, la gestione del demanio marittimo, ed in particolare la materia delle concessioni, unitamente alla proprietà dei beni, è stata esclusivamente di competenza dello Stato.

A partire dal suddetto decreto del 1977, con successive disposizioni legislative e provvedimenti, sono venute meno le competenze gestionali dello Stato, a favore delle Regioni e, sussidiariamente, degli Enti Locali. La delega alle Regioni, benché disposta con il DPR n. 616/1977, è restata però di fatto inoperante fino al 1996.

Infatti solo per effetto del D. Lgs. n. 112/1998, è stato stabilito il conferimento generale alle Regioni, salvo talune eccezioni, delle funzioni amministrative concernenti il demanio marittimo. Tale ultima disposizione normativa ha quindi il merito di aver prescritto una delega di contenuto ben più ampio rispetto alla precedente, limitata per specifiche attività.

Infatti, a norma dell’art. 105, comma 2, lettera l) del suddetto D. Lgs., sono state attribuite alle Regioni e agli enti locali le funzioni, purchè non attribuite alle Autorità portuali, relative al rilascio delle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per tutte le finalità “diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia”, e quindi non per le sole finalità turistiche e ricreative che erano state previste dalla delega del 1977.

In virtù di quanto poc’anzi riferito, sono rimaste escluse dal trasferimento generale alle Regioni, quindi, oltre alle funzioni attribuite alle Autorità portuali ai sensi della legge n. 84/1994, quelle da esercitarsi nei porti finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, nonché nelle aree di preminente interesse nazionale individuate con il D.P.C.M. 21 dicembre 1995, nonché il rilascio delle concessioni per finalità di approvvigionamento di fonti di energia nell'ambito delle aree demaniali marittime e del mare territoriale.

Nel dettaglio, per quanto concerne la concessione d'uso del demanio marittimo relativo agli impianti di cui si discorre, tale procedura è normata da Codice della Navigazione e dal relativo Regolamento per l’esecuzione[70].

Con la menzionata circolare n. 40/2012, la Direzione Generale Porti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha fornito delle linee guida operative per lo svolgimento del procedimento amministrativo connesso al rilascio della concessione demaniale con indicazioni di dettaglio per il calcolo della superficie demaniale da richiedere in concessione.

Con la presentazione dell’istanza da parte del privato, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti trasmette l’istanza di concessione demaniale ex art. 36 del Codice della navigazione, presentata con la domanda di autorizzazione ex articolo 12 del Decreto Legislativo 387/2003, alla Capitaneria di Porto competente per territorio per un vaglio preliminare in ordine sia alla sicurezza della navigazione, da intendersi quale verifica circa eventuali interferenza della zona richiesta con rotte di navigazione obbligate, oltre che alla compatibilità delle strutture costituenti l’impianto con le altre attività marittime. All’esito positivo di tali valutazioni l’Autorità Marittima, entro venti giorni dalla ricezione della domanda da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ne ordina la pubblicazione ai sensi dell’articolo 18 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione al fine di dare corso all’istruttoria intesa all’accertamento della sussistenza delle condizioni per il rilascio della concessione demaniale marittima[71].

Esperita poi la pubblicazione, la domanda, completa del progetto preliminare e degli altri allegati, è sottoposta, unitamente alle eventuali osservazioni e domande concorrenti, all’istruttoria intesa all’accertamento delle condizioni per il rilascio della concessione demaniale marittima.

Il rilascio della concessione demaniale marittima costituisce un endo-procedimento rientrante poi nel procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 del decreto legislativo 387/2003 e ss.mm.ii.

 

7.1 Aspetti di Sicurezza della navigazione e traffico marittimo

 Oltre alla sopra menzionata competenza dell’Autorità marittima in seno al procedimento volto al rilascio della concessione demaniale marittima, un ulteriore aspetto di competenza ex lege della stessa, è la materia della Sicurezza della navigazione intesa secondo l'accezione anglosassone di Safety, e della sicurezza marittima intesa secondo l’accezione anglosassone di Security.

In questo contesto va evidenziato come, a partire dal 1996, con la legge 23 dicembre, n. 647, il legislatore abbia conferito la responsabilità in materia di sicurezza della navigazione al Corpo delle Capitanerie di porto.

Il tema della sicurezza della navigazione marittima, sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, rappresenta elemento di regolamentazione a partire dal XIX secolo[72], epoca tra l’altro foriera di notevoli innovazioni in materia di cantieristica navale, nonché di rapida diffusione del trasporto marittimo di persone con la conseguente instaurazione del traffico di linea[73].

Dopo un periodo di frammentazione normativa, il costante aumento dei sinistri marittimi e la conseguente emorragia di vite umane, portarono al superamento della frammentazione menzionata, con la definizione di norme e standard di sicurezza aventi valenza internazionale[74].

 A tal proposito, va evidenziata, tra le fonti internazionali, la stipula di una Convenzione firmata a Londra nel 1948, ben presto emendata da una nuova Convenzione, consistente in un accordo internazionale volto a tutelare la sicurezza della navigazione con esplicito riferimento alla salvaguardia della vita umana in mare nota con l’acronimo anglosassone SOLAS. Tale accordo, a partire dal 1974, venne successivamente aggiornato a mezzo di un protocollo nel 1978, e successivamente da numerosissimi emendamenti adottati in seno alle riunioni del Maritime Safety Committee (di seguito MSC), dell’International Maritime Organization (di seguito IMO), ovvero nell’ambito delle conferenze degli Stati firmatari[75].

Di rilevanza vi è la circostanza secondo cui la Convenzione SOLAS ha previsto l’istituzione del Vessel Traffic Services (di seguito VTS), cioè di un sistema di assistenza e di controllo del traffico marittimo che persegue l’importante obiettivo di prevenire gli incidenti in mare e di contenere i danni di eventuali sinistri[76].

Tutti Gli Stati aderenti alla Convenzione hanno dovuto provvedere all’istituzione[77] di tale sistema laddove, secondo il loro giudizio, il volume dei traffici e il grado di rischio poteva far temere una collisione o un incidente[78].

La Sicurezza della navigazione intesa nella sua accezione omnicomprensiva, nell’ambito delle zone di stretta competenza dello Stato italiano, come lo sono le acque territoriali, troverà attuazione, in relazione al rispetto di quanto prescrivono le normative di settore, a mezzo di provvedimenti, per lo più del tipo ordinanza ex art. 59 del D.P.R. 15 febbraio n, 328 recante “Approvazione del regolamento per l’esecuzione del Codice della Navigazione”, a cura dell’Autorità marittima.

Proprio quest’ultimo aspetto risulterà di interesse allorquando detti progetti potranno passare alla fase realizzativa e andrà disciplinato ad es. il traffico navale laddove insisteranno i parchi con le pale eoliche, ossia in acque internazionali.

Con la Legge 27 dicembre 1977, n. 1805, recante “Ratifica ed esecuzione della convenzione sul Regolamento internazionale del internazionale del 1972 per prevenire gli abbordi in mare, con annessi, firmata a Londra il 20 ottobre 1972” (denominata COLREG72) e, in particolare, la Regola 10, vengono disciplinati gli Schemi di separazione del traffico; ancora, a livello nazionale a mezzo del D.lgs. n. 196/2005[79] e, in particolare, il comma 2 dell’articolo 7 (impiego dei sistemi di rotte navali), le autorità competenti, nel caso in cui è operante un sistema di rotte navali non adottato dall’IMO, si uniformano, per quanto possibile, alle linee guida e ai criteri elaborati dall’IMO e diffondono tutte le informazioni per un impiego sicuro ed efficace dei predetti sistemi di rotte navali.

Per le strutture ricadenti in alto mare (fuori dalle acque territoriali dello Stato) dovranno essere richieste all’IMO il Formal Safety Assessment (di seguito FSA) per quanto riguarda lo Ships Mandatory Routing System, ossia un sistema di rotte obbligatorio per le navi.

La FSA è una metodologia strutturata e sistematica, volta a migliorare la sicurezza marittima, compresa la protezione della vita, della salute, dell'ambiente marino e dei beni, utilizzando l'analisi dei rischi e la valutazione costi-benefici[80]. L'FSA può essere utilizzato come strumento utile nella valutazione di nuove normative per la sicurezza marittima e la protezione dell'ambiente marino, effettuando un confronto tra le normative esistenti ed eventualmente migliorative, con l'obiettivo di raggiungere un equilibrio tra le diverse questioni tecniche e operative, con l’inclusione dell’ elemento umano, e tra sicurezza marittima o protezione dell'ambiente e identificazione dei pericoli, fornendo all’uopo un elenco di tutti gli scenari incidenti rilevanti con potenziali cause ed esiti.

La FSA rappresenta un cambiamento fondamentale da quello che in precedenza era un approccio normativo in gran parte frammentario e reattivo a uno che è proattivo, integrato e soprattutto basato sulla valutazione e gestione del rischio in modo trasparente e giustificato, incoraggiando così una maggiore conformità con il quadro normativo marittimo, guidando a sua volta al miglioramento della sicurezza e della tutela dell’ambiente.

Lo Ships Mandatory Routing System viene disciplinato con la pubblicazione dell’I.M.O. denominata “Ships Routeing[81], contenente linee guida per la standardizzazione dei sistemi di rotte navali, alla quale è uniformato il sistema di instradamento obbligatorio del traffico.

La responsabilità dell'IMO per le rotte delle navi è sancita nel capitolo V della SOLAS, che riconosce l'Organizzazione come l'unico organismo internazionale per l'istituzione di tali sistemi.

La regola 10 della COLREG prescrive la condotta delle navi durante la navigazione attraverso gli schemi di separazione del traffico adottati dall'IMO.

Le responsabilità dell'IMO sono determinate anche dalla UNCLOS, che designa l'IMO come l'organizzazione internazionale competente in materia di sicurezza della navigazione, sicurezza del traffico marittimo e protezione dell'ambiente marino.

E’ pacifico che il governo italiano in questo caso, per istituire e disciplinare un nuovo sistema di rotte, dovrebbe presentare proposte di misure di rotta al sottocomitato dell'IMO per la navigazione, le comunicazioni, la ricerca e il salvataggio (denominato NCSR, acronimo di Navigation Communications Search and Rescue), che valuterà quindi la proposta e farà una raccomandazione relativa alla sua adozione da parte del comitato per la sicurezza marittima.

Le misure di rotta delle navi adottate dall'IMO per migliorare la sicurezza della navigazione in mare includono, tra le altre cose, schemi di separazione del traffico; percorsi bidirezionali; tracce consigliate; rotte in acque profonde (a vantaggio principalmente delle navi la cui capacità di manovra è limitata dal pescaggio); aree precauzionali (dove le navi dovrebbero navigare con particolare cautela); zone da evitare (per motivi di pericolo eccezionale o per fattori ecologici e ambientali particolarmente sensibili)[82].

8.- Profili comparatistici: il progetto “Mar de Trafalgar” in Spagna

La regione del Nord Europa che si affaccia sul Mare del Nord, storicamente un hub del petrolio, è considerata una risorsa per l'eolico off-shore e ha un enorme potenziale per lo stoccaggio di carbonio.  Secondo accordi tra diversi paesi della zona, i cavi europei collegheranno nuove isole energetiche che centralizzeranno la trasmissione dell'energia prodotta, contribuendo a migliorare i flussi tra i Paesi europei. Belgio e Danimarca ad esempio hanno annunciato l'intenzione di collegare le loro reti elettriche off-shore, principalmente attraverso le nuove isole energetiche che intendono costruire con un cavo sottomarino nel Mare del Nord. Anche i Paesi Bassi e la Germania stanno lavorando a isole energetiche nel Mare del Nord, con l’intento di costruire insieme un'isola sul Dogger Bank che sarà operativa attorno al 2030, e collegare, inoltre, il complesso del North Sea Wind Power Hub al Regno Unito, al Belgio e alla Norvegia[83].

La Gran Bretagna ha la più grande flotta di parchi eolici offshore, pari a 45, che attualmente producono 14 GW, con piani di espansione della capacità a 50 GW entro il 2030. I 30 parchi eolici della Germania producono otto GW, seguiti dai Paesi Bassi con 2,8 GW e da Danimarca e Belgio, entrambi con 2,3 GW.

A seguito delle politiche energetiche dell’Unione Europea e delle indicazioni del protocollo di Kyoto, la Spagna ha realizzato negli ultimi anni numerosi progetti per lo sfruttamento del potenziale eolico, prevalentemente attraverso la costruzione di impianti eolici sulla terra ferma. La presenza di condizioni geo-morfologiche e climatiche ottimali nella zona in mare aperto al Sud Ovest del Golfo di Cadice rendono tale sito estremamente interessante per la realizzazione di un parco eolico off-shore della potenza di 1000 MW. L’integrazione tra l’installazione di tale impianto e la realizzazione di strutture per lo sviluppo dell’itticoltura rende la realizzazione del progetto “Mar de Trafalgar” economicamente più efficace e inoltre permetterebbe di diversificare l’economia della zona di Barbate (Andalusia Occidentale) basata prevalentemente sulla pesca del tonno.

La Spagna è uno dei paesi leader a livello mondiale nella produzione di energia eolica, sia per quello che riguarda la potenza eolica installata che nella costruzione di turbine, la produzione di energia elettrica dalla risorsa vento è stata di fondamentale importanza per il bilancio energetico dello stato spagnolo: contrariamente a quanto pensato comunemente, anche nei periodi di maggiore richiesta energetica (mesi invernali quali Gennaio e Febbraio) il contributo apportato dagli impianti eolici è stato estremamente significativo [84].

Negli ultimi anni la politica di produzione di energia eolica ha rivolto la sua attenzione alla realizzazione di parchi eolici off-shore, in quanto questi presentano una maggior efficienza da un punto di vista dello sfruttamento del potenziale eolico e sono caratterizzati da impatti ambientali e visivi generalmente inferiori rispetto agli impianti installati a terra. La grossa difficoltà nella realizzazione di installazioni di questo tipo è la contemporanea presenza sia di condizioni climatiche ottimali, sia di conformazioni geo-morfologiche della piattaforma continentale che rendano la costruzione e la manutenzione di questi parchi appetibile da un punto di vista economico. In questo senso le zone più appropriate dove installare questo tipo di impianti risultano essere mari poco profondi caratterizzati da facile accessibilità per i mezzi di manutenzione e localizzati in zone dove lo svolgimento di altre attività umane, quali la pesca e la navigazione, non siano disturbate o penalizzate dalla presenza delle torri degli aerogeneratori e da tutte le infrastrutture accessorie.

In Spagna la produzione di energia eolica off-shore rappresenta la nuova frontiera dello sviluppo di questo settore, in linea con quanto già realizzato in Danimarca, Regno Unito, Irlanda e Svezia dove sono stati installati impianti offshore. Le caratteristiche morfologiche della piattaforma continentale della penisola iberica e le caratteristiche climatiche locali per una operatività minima degli impianti eolici[85] fanno sì che le aree adatte a questo tipo di attività non siano numerose. La zona a sud ovest del Golfo di Cadice può essere considerata una tra le poche in cui è possibile incontrare un potenziale eolico estremamente soddisfacente assieme a una conformazione batimetrica della piattaforma continentale che renda tecnicamente possibile la realizzazione dell’impianto con soluzioni tecnologiche economicamente accessibili. In questa prospettiva la comunità autonoma andalusa potrebbe ricevere un forte impulso allo sviluppo del settore eolico poiché nonostante la grande estensione territoriale e le condizioni climatiche ottimali presenti nel suo territorio, solo il 4.3% del totale dell’energia eolica installata in Spagna è prodotta in questa regione.

Il carattere innovativo del progetto “Mar de Trafalgar” risiede nell’integrazione tra due attività produttive che spesso presentano conflitti e competizione tra gli attori interessati. L’utilizzo delle strutture adibite all’installazione dei singoli aerogeneratori come fondamenta e come strutture accessorie per la realizzazione delle gabbie di acquacultura permette l’integrazione tra l’attività di produzione di energia elettrica e lo sviluppo del settore di itticoltura nella costa atlantica dell’Andalusia (in particolare dell’area di Barbate). Inoltre lo sviluppo di quest’ultimo settore rappresenta una ottima soluzione per poter rendere la gestione degli impianti eolici meno gravosa e più redditizia. Infine una diversificazione dell’attività di pesca della comunità di Barbate porterebbe un sensibile miglioramento delle condizioni socio-economiche della comunità stessa. Da un punto di vista tecnico l’integrazione strutturale tra il pilone dell’aerogeneratore e la gabbia dedicata all’allevamento delle specie ittiche avviene tramite la realizzazione di una fondazione composta da una struttura reticolare in cemento armato, ancorata al fondo del mare tramite la realizzazione di micropali e protetta dai fenomeni erosivi da una massicciata in pietre naturali del peso di circa 300 kg. Nel centro di questa struttura viene collocato il pilone su cui viene montata la turbina eolica. Nel perimetro della fondazione vengono poi innestati dei pilastri metallici con funzione di guida per lo svolgimento delle reti perimetrali delle gabbie di acquicoltura che vengono appese a una piattaforma di servizio posta a +5.0 metri sopra il livello del mare. Tale piattaforma, realizzata in cemento armato nervato, viene utilizzata sia per le attività manutenzione delle turbine eoliche, sia come zona di lavoro per tutte quelle attività rese necessarie dall’installazione degli impianti di acquicoltura (trasporto e rifornimento dei mangimi, controlli periodici della crescita dei pesci, raccolta degli animali a fine ciclo).

La realizzazione degli impianti di itticoltura alla base delle strutture adibite alla produzione di energia eolica è stata concepita per poter rendere la gestione dell’impianto più efficace da un punto di vista economico ed allo stesso tempo per poter dar respiro e diversificare l’industria della pesca della costa atlantica Andalusa[86].

 

9.- Conclusioni: necessità di un riordino normativo

In attesa dei piani di gestione, andando indietro di qualche anno, non possiamo che registrare la prima vittima del citato D. Lgs. 201/2016, il progetto di un parco eolico off-shore nelle acque territoriali nel Golfo di Manfredonia[87], per il quale il 4 aprile 2012 era stata presentata istanza di VIA. Al termine dell’istruttoria, il 26 luglio 2013 il progetto aveva ottenuto il parere favorevole della competente Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale, prodromica alla emanazione del provvedimento di VIA da parte del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dei beni culturali, ma, a fronte del diniego di quest’ultimo (espresso il 2 dicembre 2013), la questione veniva rimessa al Presidente del Consiglio ai sensi dell’art.5 della legge 400/1988[88].

Il 22 maggio 2017, con una nota, la Presidenza del Consiglio restituiva gli atti al Ministero dell’Ambiente, ritenendo che si dovesse attendere il piano di gestione dello spazio marittimo in cui è ricompresa l’area interessata. In conseguenza di ciò, il 24 dicembre 2017 la Direzione Generale del Ministero dell’ambiente comunicava al richiedente la sospensione del procedimento di VIA in attesa del piano di gestione, a seguito del quale sarebbe stato possibile eventualmente riproporre la questione alla Presidenza del Consiglio.

Davanti ad una riforma che dovrebbe, fra i suoi molteplici scopi, incentivare gli investimenti in impianti a fonti rinnovabili ed individuare criteri oggettivi per la localizzazione dei parchi eolici off-shore e che rischia invece di tradursi in una moratoria, è difficile non pensare ad una sorta di “beffarda eterogenesi dei fini”[89].

Posto ciò, dal punto di vista normativo, quanto meno a livello nazionale, a fronte di una serie di interventi mirati alla semplificazione delle procedure amministrative, il quadro normativo risulta ancora caratterizzato da un elevato grado di complessità.

Con il passare del tempo, poi, svariati interventi legislativi hanno ampliato le maglie di applicabilità dei regimi amministrativi semplificati, introducendo norme speciali, legate alla localizzazione degli impianti in aree idonee o alla tipologia di fonte.

Il risultato è l’esistenza di un sistema legislativo complesso, composto da numerosissime norme o micro-norme, che talvolta difficilmente si coordinano tra loro.

A fronte di quanto poc’anzi asserito, nel maggio 2023 la Commissione europea, con propria Raccomandazione[90], aveva auspicato una razionalizzazione delle modifiche in un unico testo normativo.

In tale contesto, si inseriscono le riforme previste nel PNRR[91], che spingono verso tale traguardo, ritenuto non più rimandabile[92].

In data 25 novembre 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Testo Unico sulle Rinnovabili, ovvero il testo che disciplina i regimi amministrativi per la produzione di energia da Fonti di Energia Rinnovabile (di seguito FER).

Tale provvedimento mira a creare un quadro normativo coordinato in relazione alla produzione di energia sostenibile, così da favorire una semplificazione delle procedure amministrative e snellire le procedure per la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia da fonti rinnovabili. Rispetto alla versione approvata in via preliminare ad agosto, che aveva fatto molto discutere destando non poche preoccupazioni agli operatori del settore, il testo approvato ha subito svariate modifiche.

Il provvedimento definitivo è composto da 15 articoli ed entrerà in vigore il 30 dicembre 2024 e tra le modifiche introdotte quella più importante riguarda i tre regimi amministrativi, ideati per garantire celerità e omogeneità su tutto il territorio nazionale, nonché la riduzione degli oneri burocratici.

I tre regimi amministrativi per l’installazione degli impianti sono: Attività Libera, Procedura Abilitativa Semplificata (di seguito PAS) e Autorizzazione Unica.

Per quanto concerne l’Attività Libera, questa è riservata a interventi di modesto impatto e non prevede, quindi, alcuna autorizzazione o comunicazione. Si tratta di impianti fotovoltaici a 12 MW su coperture esistenti o agrivoltaici fino a 5MW, purché non localizzati in aree vincolate o su beni tutelati.

La PAS è applicabile, invece, a interventi di media grandezza, come gli impianti che superano 1MW di potenza ma che non richiedono modifiche urbanistiche o infrastrutturali.

Pertanto è necessario che il proponente abbia la disponibilità delle superfici per l’installazione dell’impianto e tale impianto deve essere conforme agli strumenti urbanistici adottati. Sempre per quanto riguarda la PAS, sarà necessario presentare tra i vari documenti anche una relazione relativa ai criteri progettuali utilizzati ai fini dell’osservanza del principio della minimizzazione dell’impatto territoriale o paesaggistico e l‘impegno al ripristino dei luoghi a seguito della dismissione dell’impianto.

Per quanto concerne gli interventi rientranti nell’Autorizzazione Unica, è necessario chiarire che tale categoria è riservata a interventi di maggiore complessità tecnica o impatto ambientale.

Tale regime prevede che la richiesta venga presentata alla Regione competente per impianti sotto i 300 MW, per impianti che invece superano questa soglia la richiesta va presentata al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che è l’unico ente competente, invece, per gli impianti off-shore.

Detto provvedimento deve contenere anche l’obbligo al ripristino dello stato dei luoghi una volta dismesso l’impianto (con analisi dei costi) e richiede l’intesa con le Regioni interessate.

 

 

* Ufficiale delle Capitanerie di Porto, Cultore della materia presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche e Sociali dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.

[1] Già prima la legge n.457/1978 aveva stabilito che nella concessione di contributi pubblici per l’edilizia residenziale si dovessero preferire gli interventi di installazione di impianti alimentati a fonti rinnovabili.

[2] Cfr. sul punto i primi 5 considerando della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Come è noto, la Direttiva fa parte del c.d. Pacchetto Clima-Energia 20-20-20, in virtù del quale al 2020 gli Stati membri dell’Unione Europea dovrebbero complessivamente garantire (c.d. burden sharing), assieme ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 20 % rispetto ai livelli del 1990 e ad un miglioramento del 20 % dell’efficienza energetica, anche un incremento, pari almeno al 20 %, della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. Queste ultime sono peraltro destinate a giocare un ruolo chiave anche successivamente al 2020, dal momento che sempre a livello europeo è già stata varata una nuova strategia (cfr. la Comunicazione della Commissione COM(2014) 0015 - Quadro per il clima e l’energia 2030), che mira al raggiungimento, entro il 2030, di obiettivi ancora più ambiziosi, ossia, oltre ad una riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 40 % rispetto ai livelli del 1990 e ad un miglioramento dell’efficienza energetica pari almeno al 27 %, anche ad una quota di soddisfacimento del consumo energetico da fonti rinnovabili anch’esso pari almeno al 27 %.

[3] Ne contava 16, fra ritirati o a diversi stadi dell’iter autorizzatorio, Legambiente in un suo Dossier del 2015 (L'assurdo stop all'eolico off-shore in Italia, in www.legambiente.it). Questi al netto delle istanze di questi ultimi anni.

[4] n. 8167/2022 secondo la quale “La primarietà di valori come la tutela del patrimonio culturale o dell’ambiente implica che gli stessi non possono essere interamente sacrificati al cospetto di altri interessi (ancorché costituzionalmente tutelati) e che di essi si tenga necessariamente conto nei complessi processi decisionali pubblici, ma non ne legittima una concezione ‘totalizzante’, come fossero posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, deve essere ricercato - dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo - secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza”. Nel caso di specie, proseguono i giudici “il principio di proporzionalità appare violato, non nella componente della idoneità (al raggiungimento dell’obiettivo prefissato) o della necessarietà (ravvisabile quando non sia disponibile nessun altro mezzo egualmente efficace, ma meno incidente nella sfera giuridica del destinatario), bensì della “proporzionalità in senso stretto”. L’ultimo gradino del test di proporzionalità, come è noto, implica che una misura adottata dai pubblici poteri non debba mai essere tale da gravare in maniera eccessiva sul titolare dell’interesse contrapposto, così da risultargli un peso intollerabile. Ebbene, se paragoniamo l’obiettivo perseguito dalla Soprintendenza – la tutela culturale delle croci votive – ed il mezzo utilizzato – il radicale svuotamento delle possibilità d’uso alternativo del territorio, soprattutto ai fini della produzione di energia eolica – appare evidente quanto sia sbilanciata la ponderazione effettuata”.

[5] Il posizionamento delle pale eoliche in mare aperto permette di intercettare la risorsa eolica laddove è più abbondante e, quindi, di massimizzare la produzione di energia, ridurre l’uso del suolo, limitare l’uso del terreno alle opere di connessione (di solito già in zone industriali), minimizzare, data l’assenza di una fondazione fissa, l’impatto ambientale durante tutte le fasi di vita dell’impianto, ma anche quello visivo tipico degli impianti a terra e le interferenze con le attività costiere, di navigazione e di pesca. La struttura degli impianti galleggianti, rispetto alla versione bottom fixed e terrestre, ha una serie di componenti strutturali innovativi tra cui il floater: una base galleggiante con strutture che raggiungono gli 80/100 m per lato e dal peso di 4000 t. Per produrre in serie manufatti di tali dimensioni è richiesta una specifica competenza progettuale e tecnologica, oltre ad una diffusa capacità produttiva e finanziaria (ad esempio, per la produzione di 30 piattaforme galleggianti all’anno sono necessari oltre 120 mila ton. di acciaio lavorato).

[6] Art. 60 cui fa riferimento l’art. 80

[7] Art. 60, par. 8

[8] Art. 1, par. 5

[9] Cfr. T. TREVES, Il diritto internazionale del mare e lo sfruttamento delle risorse, in Enciclopedia degli Idrocarburi, Volume IV, Economia, Politica, Diritto degli idrocarburi, 2007, pagg. 498 ss

[10] Nell’ambito della ricerca mineraria vi è una differenziazione connessa all’ubicazione dei giacimenti minerari: ove questi si trovino sulla terraferma l’«upstream minerario» è detto «onshore», disciplinato dalla l. 11 gennaio 1957 n. 6 che reca «Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi»; se i giacimenti sono allocati in mare o sulla piattaforma continentale allora l’«upstream minerario» è «offshore» la cui disciplina si rinviene nella l. 21 luglio 1967 n. 613 circa la «Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e modificazioni alla l. 11 gennaio 1957 n. 6, sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi». La materia è stata poi oggetto di un ulteriore intervento legislativo realizzato mediante la l. 9 gennaio 1991 n. 9 relativa alle «Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali» emanata per dare esecuzione al c.d. Piano Energetico Nazionale del 10 agosto 1988, che, a sua volta, scaturiva dalla necessità di introdurre linee d’indirizzo per la programmazione e ristrutturazione delle politiche energetiche nazionali, a seguito della decisione referendaria del 1987 con cui l’Italia si pronunciava a favore della rinuncia all’energia nucleare per l’approvvigionamento energetico del Paese. In ultimo il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con il d. m. 10 novembre 2017 hanno adottato la «Strategia Energetica Nazionale» ossia il piano decennale del governo italiano che ha come obiettivi fondamentali quello di rendere il sistema energetico nazionale più sostenibile sotto il profilo ambientale, quello di migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento e delle forniture, nonché quello di realizzare la decarbonizzazione del sistema stesso.

[11] A tal proposito vedasi la pubblicazione divulgativa del Ministero dello sviluppo economico, Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche (DGS-UNMIG), intitolata “Unmig 1957 - 2017 - 60° dell’ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse”, Milano, 2017, consultabile on line all’indirizzo web http://unmig.mise.gov.it/unmig/info/60/60.asp. Il volume ripercorre, in occasione dei sessant’anni di attività dell’Ufficio, le tappe della storia mineraria italiana evidenziando come, nel campo delle attività off-shore, «Il crescente interesse del diritto internazionale alle attività di ricerca e coltivazione delle risorse nel sottofondo marino e la veloce evoluzione tecnologica del settore offshore consentirono, nel dopoguerra, la corsa all’esplorazione di idrocarburi e di perforazioni in mare.

[12] Tale elencazione viene fornita da F. LAZZARO, Il regime giuridico dei mezzi di ricerca e sfruttamento che operano in mare, Piacenza, 1968, 21, 22, ove si riporta per esteso uno stralcio della pubblicazione «Una nuova frontiera: petrolio dal fondo del mare», Shell Italiana, Genova, 1966, pagg. 25 ss.

[13] Per una più completa analisi tecnica delle costruzioni offshore v. G. CLAUSS, E. LEHMANN, C. OSTERGAARD, Offshore Structures, Vol. 1, London, 1992, 1 ss., e spec. 25 ss.

[14] Cfr. G. M. BOI, Le piattaforme marine. Studi per una normativa internazionale uniforme, Roma,2006, pagg. 21 ss. relativamente al primo progetto di Convenzione internazionale in tema di piattaforme mobili per l’esplorazione petrolifera predisposto nel 1977 dal Comité Maritime Intemational che, a partire dal 1976, aveva iniziato uno studio sulle piattaforme

[15] Cfr. H. ESMAEILI, The Legal Regime of Offshore Oil Rigs in International Law, Dartmouth, 2001

[16] in Italia l’argomento era già stato affrontato nel 1968 da F. LAZZARO, Il regime giuridico dei mezzi di ricerca e sfruttamento che operano in mare, cit. 1 ss., a livello internazionale il primo contributo risale alla metà degli anni ’70, si tratta di A. H. A. SOONS, Artificial Islands and Installations in International Law, Law of the Sea Institute. Occasional Paper Series, University of Rhode Island, 1974, Occasional Paper n. 22, rivolto, però, all’analisi delle sole strutture fisse, in relazione ai molteplici aspetti di diritto internazionale che queste sollevano, sia in termini di costruzione che di operatività. Successivamente N. PAPADAKIS, The International Legal Regimes of Artificial Islands, Leyden, 1977, 1 ss., si dedicò più approfonditamente allo studio della giurisdizione e della natura giuridica di isole artificiali e installazioni marine. Contemporaneamente, in un altro importante contributo si analizza la questione strettamente connessa alle installazioni mobili nel diritto internazionale, così F. RINGDAL, Piattaforme mobili per l’esplorazione petrolifera, in Dir. maritt., 1977, pagg. 637 ss

[17] Una panoramica completa e dettagliata che rende conto dell’evoluzione tecnologica delle strutture off-shore può essere visionata all’indirizzo web http://petrowiki.org/History_of_offshore_drilling_units. La pagina web appena citata è inserita nel sito internet denominato «PetroWiki», elaborato dalla Society of Petroleum Engineers (SPE), avente sede in Texas e che riunisce imprenditori, ingegneri, scienziati e professionisti dell’industria petrolifera e del gas di tutto il mondo

[18] Cfr. F. LAZZARO, Il regime giuridico dei mezzi di ricerca e sfruttamento che operano in mare, Piacenza, 1968, pag. 19

[19] Cfr. F. LAZZARO, Il regime giuridico dei mezzi di ricerca e sfruttamento che operano in mare, op. cit., pag. 22

[20] Cfr. G. M. BOI, Le piattaforme marine. Studi per una normativa internazionale uniforme, Genova, 2006 cit., pag. 65

[21] Approvato dal Consiglio Europeo straordinario del 21 luglio 2020: documentazione ed informazioni aggiornate in  www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-recovery-plan.

[22] 3 Sulle fonti energetiche rinnovabili, nell’ampia bibliografia – limitata al post riforma costituzionale del 2001 – cfr. E. BRUTI LIBERATI, F. DONATI (a cura di), Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Giappichelli, Torino, 2007; C. BUZZACCHI (a cura di), Il prisma energia. Integrazione di interessi e competenze, Giuffrè, Milano, 2010; P. RANCI (a cura di), Economia dell’energia, Bologna, 2011; F. CORTESE, F. GIUNTELLA, G. POSTAL (a cura di), La regolamentazione della produzione di energie rinnovabili nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Sistemi giuridici comparati, dal livello sovrastatale al locale, Cedam, Padova, 2013

[23]Per una disamina delle norme regionali in materia si rinvia al documento redatto dal GSE dal titolo “Regolazione Regionale, Generazione elettrica da fonti rinnovabili”.

[24] Vds sentenza C. Cost. n. 303/2003

[25] Racc. C (2022) 3219 final

[26] Direttiva (UE) 2023/2413

[27] Raccomandazione (UE) 2024/1343, sull’accelerazione delle procedure autorizzative per l’energia da fonti rinnovabili e i progetti infrastrutturali correlati e la Raccomandazione (UE) 2024/1344, sulla progettazione delle aste per le energie rinnovabili

[28] Camera dei Deputati, La normativa statale per la realizzazione di impianti da fonti elettriche rinnovabili, in Servizio Sudi Dipartimento Attività produttive, ed. aggiornata, 30 luglio 2024

[29]Tra le diverse azioni, si prevede l’entrata in vigore di un quadro normativo volto a definire i criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti rinnovabili di potenza complessiva superiore a 50 GW, conformemente al PNIEC e agli obiettivi del Green Deal.

[30] Camera dei Deputati, La normativa statale per la realizzazione di impianti da fonti elettriche rinnovabili, in Servizio Sudi Dipartimento Attività produttive, ed. aggiornata, 30 luglio 2024

[31]Così TAR Molise, sez.I, sent. n.992/2011, relativa ad un progetto per un parco eolico off-shore da 162 MW di fronte alla costa di Termoli (CB); analogamente Tar Sicilia, sez.II, sentenze n.2506/2017, n. 2507/2017, n.2512/2017, tutte concernenti un progetto per un parco eolico off-shore da 137 MW (poi ridotti a 136,8 MW) nel Golfo di Gela, tra Macchitella e Punta delle due Rocche

[32] Art. 12, comma 3

[33]Gli impianti off-shore situati al di là delle acque territoriali (e quindi non facenti parte del demanio marittimo) sono regolati dalla c.d. Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (c.d. UNCLOS), ratificata dall’Italia con legge 689/1994

[34]Art. 12, comma 4

[35]Il testo originario dell’art.12, 4° comma, prevedeva un termine di 180 giorni, senza far menzione della VIA. L’art.5, 2° comma, del d.lgs, n.28/2011 (in vigore dal 29 marzo 2011) ha ridotto il termine per il rilascio dell’autorizzazione unica a 90 giorni, prevedendone, come detto, la sospensione per la conclusione del procedimento di VIA, i cui termini, a loro volta, sono stati regolati dal d.lgs.104/2017.

Sia i termini per il rilascio dell’autorizzazione unica che quelli per la VIA sono da considerarsi perentori e la loro mancata osservanza dà luogo a responsabilità disciplinare dei dirigenti degli uffici preposti (art.2 legge 241/1990).

[36]Così la già citata sentenza del TAR Molise – Campobasso, sez.I, n.992/2011.

[37]Sempre TAR Molise – Campobasso sez.I, sent. n.992/2011; analogamente, ancora Tar Sicilia, sez.II, sentenze n.2506/2017, n.2507/2017, n.2512/2017. Le pronunce riportate, tutte relative, come detto, a progetti di impianti eolici off-shore, richiamano peraltro considerazioni fatte proprie dalla giurisprudenza maggioritaria in materia di fonti rinnovabili. Cfr. ex pluribus, Cons. Stato, sez. IV, sent. n.1807/2015; Cons. Stato, sez. IV, sent. n.4712/2015; Cons. Stato, sez. IV, sent. n.132/2018.

[38] Ora Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica

[39] Tra cui l’autorizzazione di impianti di produzione di energia di competenza statale, compresi quelli da fonti rinnovabili anche se ubicati in mare.

[40] Cfr. C. VITALE, Il patrimonio culturale e il mare nei piani di gestione per lo spazio marittimo, in Rivista di arti e diritto on line Aedon, il Mulino-Rivisteweb, fascicolo 1, gennaio-aprile 2023

[41] La cd economia blu

[42] Art. 1 Direttiva 2014/89/UE

[43] La PMI individua la pianificazione dello spazio marittimo come strumento politico intersettoriale che consente alle autorità pubbliche e alle parti interessate di applicare un approccio integrato, coordinato e transfrontaliero.

[44] In Italia la Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino (Marine Strategy Framework Directive – MSFD) è stata recepita attraverso il Decreto legislativo n.190 del 13 ottobre 2010 che riprende i principi fondamentali della Direttiva e le varie fasi da essa prevista, attribuendone la competenza al Ministero dell’Ambiente (ora Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE). Il decreto, inoltre, stabilisce che il Ministero si avvalga di un Comitato Tecnico (artt. 4 e 5), composto da Amministrazioni Centrali e Regionali, dall’Unione Province d’Italia e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, al fine di elaborare le diverse fasi della Strategia. Dopo essere state sottoposte a Consultazione Pubblica, le decisioni in merito alle azioni previste vengono adottate, sentita la Conferenza Unificata, attraverso Decreti ministeriali e, per il Programma di Misure, attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

[45] Introdotta nel contesto europeo dalla “Raccomandazione relativa all’attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa (2002/413/CE)” del 30 maggio 2002. A livello regionale, nell’ambito della Convenzione di Barcellona e in linea con gli indirizzi unionali, è stato definito nel 2009 un "Protocollo sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere del Mediterraneo (Protocollo GIZC)".

[46] L’implementazione della MSFD, unitamente all’applicazione di tutte le altre politiche unionali per la protezione ambientale, garantisce sia una corretta gestione e tutela dell'ecosistema marino sia, al contempo, uno sviluppo economico e sociale sostenibile. Il raggiungimento di tale duplice obiettivo è previsto anche grazie all’azione sinergica della Strategia Marina con la Pianificazione Spaziale Marittima.

[47] Nel 2023

[48] Nel 2050

[49] Le attività, gli usi e gli interessi che i Piani possono includere sono, in modo non esaustivo, i seguenti: zone di acquacoltura; zone di pesca; impianti e infrastrutture per la prospezione, lo sfruttamento e l’estrazione di petrolio, gas e altre risorse energetiche, di minerali e aggregati e la produzione di energia da fonti rinnovabili; rotte di trasporto marittimo e flussi di traffico; zone di addestramento militare; siti di conservazione della natura e di specie naturali e zone protette; zone di estrazione di materie prime; ricerca scientifica; tracciati per cavi e condutture sottomarini; turismo; patrimonio culturale sottomarino.

[50]Infatti, si è stabilito che piani e programmi esistenti sulla base di disposizioni previgenti, che prendono in considerazione le acque marine e le attività economiche e sociali ivi svolte, e quelli concernenti le attività terrestri rilevanti per la considerazione delle interazioni terra-mare, sono inclusi ed armonizzati con le previsioni dei piani di gestione dello spazio marittimo (art. 5, comma 3 del d.lgs. n. 201/2016). Inoltre, si è previsto che, una volta elaborato il Piano di gestione dello spazio marittimo, esso sarà il riferimento per i singoli piani di settore, disegnando il quadro nel quale i piani di settore andranno a definire i loro obiettivi e azioni settoriali (cap. 14 delle linee guida integrative e interpretative, contenenti gli indirizzi e i criteri per la predisposizione dei piani di gestione dello spazio marittimo, adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 1° dicembre 2017).

[51] Vds Consiglio di Stato, sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1486

[52] Insieme al Piano di bacino, di cui all’art. 65 del d.lgs. n. 152/2006, e al Piano paesaggistico, di cui all’art. 145 del d.lgs. n. 42/2004

[53] Il Comitato tecnico è composto da: tre rappresentanti del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di cui uno con

funzioni di presidente; b) due rappresentanti del ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare; c) due

rappresentanti del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali; d) due rappresentanti del ministero dello Sviluppo economico; e) due rappresentanti del ministero dei Beni culturali e delle Attività culturali e del Turismo; f) un rappresentante delle regioni designato dalla Conferenza dei presidenti delle regioni per ciascuna area marittima di riferimento. Nel caso in cui più regioni fanno parte di una area marittima al Comitato tecnico partecipano i rappresentanti di ciascuna regione. Il funzionamento del comitato tecnico è disciplinato dal decreto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti n. 529 del 13/11/2017.

[54]1. Adriatico; 2. Ionio e Mediterraneo Centrale; 3. Tirreno e Mediterraneo Occidentale

[55] Recante "Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”. Pertanto, le procedure di VAS e VINCA si applicano cumulativamente a tutti i piani e programmi che possono avere ripercussione sui siti Natura 2000 e possono essere effettuate in una procedura coordinata a patto che soddisfi le specifiche disposizioni previste in entrambe le norme.

[56] Cfr. C. VITALE., op. cit., pag. 88

[57] Approvato ai sensi dell’art 12 del decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri», convertito, con modificazioni, dalla legge 16 dicembre 2022, n. 204

[58] Piano del Mare, cit., pag. 13

[59] Piano del Mare, cit., pag. 12

[60]Nel 2021 l’approvvigionamento energetico nazionale è stato costituito come segue: 40,9% gas naturale; 32,9% petrolio e prodotti petroliferi; 19,5% rinnovabili e bioliquidi; 3,6% combustibili solidi; 2,4% energia elettrica; 0,8 % rifiuti non rinnovabili. Si conferma, inoltre, la dipendenza dell’Italia da fonti di approvvigionamento estere: nel 2021 la produzione nazionale di fonti energetiche è diminuita complessivamente del 3,4% mentre le importazioni nette di energia sono aumentate dell’8,3%. (cfr. Ministero della Transizione Ecologica, «La situazione energetica nazionale nel 2021», luglio 2022).

[61]Piano del mare, cit., pag. 73

[62]Pari a 22,2 Km

[63]Si ricorda che la Convenzione UNCLOS conclusa nel quadro della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare costituisce un codice esaustivo volto a regolare i comportamenti degli Stati sui mari e sugli oceani, nonché lo sfruttamento delle risorse e la salvaguardia dell'ambiente naturale in tali ambiti. La Convenzione, che consta di 320 articoli e 9 Allegati, adegua il diritto del mare al riconoscimento degli interessi degli Stati costieri, espandendone i poteri sui mari adiacenti, in particolare con la previsione dell'istituto giuridico della zona economica esclusiva (ZEE), strettamente correlata a quella di piattaforma continentale (PC)

[64] Pari a 370,4 Km

[65] Definito Total Allowable Catch

[66] L'UNCLOS, nel superare la tradizione concezione geomorfologica adottata dalla Convenzione di Ginevra del 1958, ha adottato criteri diversi, che prescindono dalla nozione "geografica" o "morfologica" della piattaforma stessa: in tal modo si è posto rimedio a un'eccessiva possibile estensione della piattaforma continentale in alcuni casi, ovvero a una sua eccessiva riduzione in altri casi.

[67]Art. 83

[68]DDL di iniziativa governativa A.C. 770 del 13 gennaio 2023

[69]La rete Natura 2000 è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE "Uccelli" concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

[70]Il Codice della navigazione indica come soggetto competente al rilascio della concessione per durata superiore a 15 anni il Ministro dei trasporti e della navigazione mentre il Regolamento di esecuzione chiarisce che la domanda va inoltrata al Capo del compartimento competente per territorio che corrisponde alla Capitaneria di Porto ed indica la documentazione da allegare all’istanza.

[71]Circolare n. 40 Serie II Titolo: Demanio Marittimo protocollo MTRA/PORTI/73 del 05/01/2012 emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti-Direzione Generale per i Porti, pag. 9

[72]Cfr. G. RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, parte prima, tomo secondo, Milano, 1987, pag. 1934

[73]Cfr. A. RIZZO, Sicurezza della vita umana in mare, su Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. IX/2011, pag. 395

[74]Cfr. P. BOISSON, Safety at sea. Policies, regulations international law, Paris, 1999, pag. 52

[75]Ciò in conformità con la procedura prevista dall’art. VIII della SOLAS

[76]Cfr. G. ROMANELLI, L. TULLIO, Il controllo del traffico marittimo, I.S.DI.T., 2001

[77]Gli Stati contraenti che decidono di provvedere all’istituzione del VTS devono seguire le linee guida appositamente sviluppate dall’Organizzazione e contenute nella risoluzione IMO A-857, adottata a Londra il 27 novembre 1997

[78]Il sistema consente di rilevare la posizione, la rotta e la velocità delle navi in movimento, e ulteriori perfezionamenti hanno accresciuto le sue potenzialità rendendolo in grado di controllare anche se le unità in navigazione osservano le norme locali che disciplinano il traffico marittimo, quali gli schemi di separazione del traffico, distanza minima tra le unità, limiti di velocità, rispetto alle aree interdette alla navigazione

[79]  Attuazione della direttiva 2002/59/CE relativa all’istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale

[80] Le linee guida per la valutazione formale della sicurezza (FSA) da utilizzare nel processo normativo dell'IMO sono state approvate nel 2002 (Circ. MSC/1023/MEPC/Circ.392). Da allora le Linee guida sono state modificate da MSC/Circ.1180-MEPC/Circ.474 e MSC-MEPC.2/Circ.5. Le linee guida di cui sopra sono state ora sostituite da MSC-MEPC.2/Circ.12/Rev.2.

[81] Ed. 2019

[82] Vds MSC/Circ.1060/2003, come modificata, Nota orientativa sulla preparazione di proposte sui sistemi di rotte delle navi e sui sistemi di reporting delle navi

[83]"In sintesi, l'Europa è diventata la patria delle energie rinnovabili. E il Mare del Nord sta diventando la centrale elettrica d'Europa", ha osservato Ursula Von der Leyen. L'ambizione è quella di rendere il Mare del Nord "la più grande centrale elettrica verde del mondo", ha dichiarato il primo ministro belga Alexander De Croo in conferenza stampa.

[84] Cfr. G. BESIO, M. SANO’, M. LOSADA, Integrazione tra energia eolica offshore e itticoltura: il progetto “Mar de Trafalgar”, in XXX° Convegno di Idraulica e Costruzioni Idrauliche - IDRA 2006

[85] Persistenza del vento: un impianto eolico per essere conveniente deve riuscire a entrare in funzione circa 2000 ore/anno, vedi stime EWEA-DGTREN, 2003

[86]Tale iniziativa rientra appieno nelle misure per la realizzazione del Plan de Acción de Barbate, documento programmatico redatto dall’amministrazione della comunità di Barbate per lo sviluppo dell’economia locale. Il Plan de Acción propone come principali misure il rinnovo della flotta dei pescherecci, la diversificazione dell’economia e la costruzione di infrastrutture adeguate allo sviluppo della regione.

[87]Il progetto prevedeva 50 turbine da 3,3 MW cadauna

[88]Cfr. I. LOLLI, La realizzazione dei parchi eolici off-shore in Italia: quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando?, in atti del convegno Seventh International Symposium "Monitoring of Mediterranean coastal areas: problems and measurement techniques”, Livorno, 2018

[89]Cfr. I. LOLLI, La realizzazione dei parchi eolici off-shore in Italia, op. cit.

[90]COM (2023) 612 final 

[91]Tra le quali si richiama in particolare, nell’ambito della Missione 2, Componente 2, la Riforma M2C2 R. 1.1. “Semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti rinnovabili onshore e offshore, nuovo quadro giuridico per sostenere la produzione da fonti rinnovabili e proroga dei tempi e dell’ammissibilità degli attuali regimi di sostegno”.

[92]Con la revisione del PNRR, autorizzata dal Consiglio europeo a dicembre 2023, nell’ambito della nuova Missione 7 ”Repower EU”, vi è la Riforma 1.1 “Semplificazione delle procedure autorizzative per le energie rinnovabili”, che, in linea con la direttiva RED III, consiste prevede l’adozione di un Testo unico delle norme che disciplinano la realizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.