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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



L’affidamento dei servizi ad alta intensità di manodopera, Vol. II: L’Adunanza Plenaria rompe il silenzio.

A cura di GAIA TROISI
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA,

SENTENZA 21 maggio 2019, n. 8

L’affidamento dei servizi ad alta intensità di manodopera, Vol. II:

L’Adunanza Plenaria rompe il silenzio.

 

A cura di GAIA TROISI

 

 

SOMMARIO: 1. I servizi ad alta intensità di manodopera relegati nel limbo della «Terra di Mezzo». – 2. Screening dell’art. 95 del Codice in una lettura «globalmente» orientata. – 3. Abusus non tollit usum: la risposta della Plenaria.

  1. I servizi ad alta intensità di manodopera relegati nel limbo della «Terra di Mezzo».

Il gravame sottoposto all’attenzione del presente scritto s’inserisce nell’àmbito di un ampio e accidentato percorso giudiziario sorto in tema di contrattualistica pubblica afferente, in dettaglio, all’affidamento dei servizi ad alta intensità di manodopera e all’individuazione di un inequivocabile criterio di aggiudicazione del relativo appalto.

La genesi del contrasto, giunto ormai all’apice dell’ordinaria tollerabilità, incontrava un terreno sempre più fecondo di ostilità e malcontento sulla scia delle risposte antitetiche e nebulose – fornite su questioni intimamente analoghe – provenienti dalle stesse mura di Palazzo Spada, laddove l’appalto descritto sia contestualmente permeato di caratteristiche standardizzate[1].

Sicché, la contesa normativa si muove lungo il delicato perimetro tracciato dal Codice dei Contratti nell’art. 95, commi 2-5.

Tanto premesso, nell’esercizio della funzione di nomofilachia – di cui l’Adunanza Plenaria è attenta depositaria – la pronuncia in commento persegue il proposito di restituire chiarezza e omogeneità a una disputa che, con ogni evidenza, si rinnova nella prassi a cadenza ciclica.

 

  1. Screening dell’art. 95 del Codice in una lettura «globalmente» orientata.

Premessi sommariamente i termini giudiziari, è giunto il momento di conferire il meritato spazio a una scrupolosa analisi del referente normativo interessato, rectius l’art. 95 del Codice dei Contratti Pubblici, anche e soprattutto alla luce di una comparazione critico-giuridica che poggi le sue fondamenta sul substrato normativo europeo, del quale quello nazionale rappresenta una pedissequa applicazione.

Orbene, il comma 2 fissa i criteri direttivi che devono orientare le stazioni appaltanti nella scelta del miglior offerente cui affidare la commessa pubblica, ponendo a tal fine due soluzioni percorribili:

  1. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, parametrato al miglior “rapporto qualità/prezzo”;
  2. Il criterio del minor prezzo, che si fondi “sull’elemento del prezzo o del costo”, benché integrato da una comparazione costo/efficacia conformemente a quanto previsto dall’art. 96.

Il comma 3 impone alle stazioni appaltanti un onere cogente di addivenire all’aggiudicazione dei servizi ivi previsti e, tra questi, quelli ad alta intensità di manodopera, facendo ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il comma 4 facoltizza le stazioni appaltanti a ricorrere al criterio del minor prezzo per l’affidamento di particolari forme contrattuali, tra cui i servizi e le forniture “con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato”, prevedendo a tal fine – ai sensi del comma 5 – una singolare incombenza motivazionale.

Com’è agevolmente intuibile, tra le disposizioni analizzate, è proprio la «facoltà» delineata al comma 4 la sorgente di diffuse perplessità, atteso che il suo raggio applicativo – ex rerum natura – giammai potrà apparire compiutamente e aprioristicamente circoscritto, spalancando i battenti a profondi equivoci ed episodi di discordia in sede amministrativa e pretoria.

Premesso quanto sinora esposto, a un’attenta analisi appare sempre più tangibile una maggior attenzione legislativa verso criteri di selezione che abbiano riguardo non solo all’elemento del prezzo, ma anche a profili di carattere qualitativo delle offerte.

Ciò è rinvenibile tanto nel comma 2 quanto nel comma 4, nella misura in cui – in riferimento al criterio del prezzo più basso – si richiede (nel primo caso) una “comparazione costo/efficacia quale il ciclo di vita” ex art. 96, e (nel secondo) di giustificare la propria scelta operativa attraverso un’adeguata motivazione.

La preferenza codicistica accordata a canoni selettivi ulteriori, che prescindano dal conseguimento di un mero risparmio di spesa, altro non è che la rappresentazione aderente alla volontà del legislatore europeo.

Invero, si deve all’intervento normativo sovranazionale – perfezionato con la Direttiva 2014/24/UE – l’ingresso nell’ordinamento interno di un parametro integrativo di valutazione, che superi la tradizionale dicotomia “offerta economicamente più vantaggiosa/minor prezzo”.

Più specificamente, sono molteplici i passaggi insiti nella Direttiva[2] testé evocata atti a suggerire la valorizzazione di un approccio sistematico che tenga conto dell’elemento del costo soltanto se ed in quanto commisurato all’efficacia rispetto all’interesse pubblico che s’intende realizzare e che, peraltro, invitano gli Stati membri a tratteggiare scrupolosamente i confini discrezionali legati al prezzo o al costo entro i quali l’Amministrazione aggiudicatrice può legittimamente muovere le proprie briglie.

Sicché l’Adunanza Plenaria, con la pronuncia in commento, non ha preso le distanze da quello che è il mosaico politico-legislativo sin qui esposto, avuto peraltro riguardo a fattori collaterali – quali la tutela delle condizione economiche e di sicurezza del lavoro – particolarmente avvertiti negli appalti di servizi in cui la componente della manodopera appare predominante. 

  1. Abusus non tollit usum: la risposta della Plenaria.

Giungendo al vaglio delle doglianze addotte a sostegno del gravame, l’appellante E. s.r.l. – risultata aggiudicataria in sede di gara e, per questo, calda fautrice della prevalenza del criterio del minor prezzo – aveva sostenuto l’insorgenza di un concorso di disposizioni di legge antitetiche, figlio di un patente conflitto tra criteri di aggiudicazione (rispettivamente previsti per l’uno o per l’altro servizio), ancorché del diverso grado di precettività della norma considerata.

Orbene, ad avviso dell’appellante tale busillis avrebbe dovuto esser ricomposto mediante il primato del comma 4, atteso il carattere di specialità dello strumento in esso previsto.

In dettaglio, ella perveniva a tale soluzione ermeneutica facendo conseguire il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa soltanto in ordine ai contratti di appalto aventi ad oggetto servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e non anche a quelli ad alta intensità di manodopera.

Ciò in base all’assunto secondo il quale quest’ultima rosa contrattualistica formerebbe un genus più ampio e variegato definito dal codice mediante una formulazione di carattere generale, suscettibile di deroga ai sensi del comma 4 in ragione “della sua natura di norma speciale”.

Alla luce delle suesposte considerazioni, così espresse, il Supremo Consesso adìto le ha ritenute prive di pregio e, pertanto, non meritevoli di condivisione per due ordini di motivi.

In primis, in quanto una simile opzione finirebbe per collidere con un precetto unitario, ex comma 3, che nondimeno impone alle stazioni appaltanti di addivenire alla scelta dell’operatore economico sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento di tutte le fattispecie di servizi contemplate, ivi inclusi quelli ad alta intensità di manodopera.

Una lettura, quest’ultima, peraltro coerente con la necessità di preservare la tutela di soggetti che versino in condizioni di disagio sociale ed economico, quali gli utenti del servizio sociale e di ristorazione collettiva, ancorché coloro che sono in esso inquadrati a titolo di prestatori di un’attività lavorativa.

Da ultimo, osservava il Collegio, avuto riguardo all’assunto fuorviante secondo cui la “standardizzazione” del servizio costituirebbe un elemento specializzante, tale da legittimare la prevalenza del criterio di aggiudicazione del massimo ribasso, laddove questa opportunità costituisce oggetto di una semplice facoltà discrezionale dell’Amministrazione procedente e non di un obbligo[3], peraltro già accordata in via generale ed espressa e non tacita e speciale.

Volgendo la visuale verso la questione dirimente che qui occupa, con la pronuncia in commento l’Adunanza Plenaria enuncia il principio di diritto che segue:

“Gli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera ai sensi degli artt. 50, commi 1, e 95, comma 3, lett. a) del Codice dei Contratti Pubblici sono comunque aggiudicati con il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, quand’anche gli stessi abbiano anche caratteristiche standardizzate ai sensi del comma 4, lett. b), del medesimo Codice”.

In virtù dei suesposti motivi, il Consiglio di Stato definitivamente pronunciando sull’appello lo respnge.