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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

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L’affidamento del privato sulla certezza dei tempi dell’azione amministrativa e la risarcibilità del danno da ritardo mero.

Di Giuditta Russo
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L’affidamento del privato sulla certezza dei tempi dell’azione amministrativa e la risarcibilità del danno da ritardo mero.

 

Di Giuditta Russo

 

 

Abstract

Il termine «danno da ritardo», usato indistintamente per comprendere fattispecie diverse, per presupposti e tipologia del pregiudizio subito dal cittadino, si identifica, in una prima accezione, nel non aver potuto il richiedente beneficiare dell’utilità connessa al bene della vita ambito nel tempo intercorrente tra il momento in cui il provvedimento doveva essere rilasciato e il momento in cui il rilascio è effettivamente avvenuto, e, in una seconda accezione, nel solo mancato rispetto, da parte dell’Amministrazione destinataria di un’istanza, del termine per l’adozione di un determinato provvedimento («mero ritardo»), a prescindere dall’esito della vicenda amministrativa. Sebbene pacificamente – in virtù dell’espressa previsione di cui al co. 1-bis dell’art. 2-bis l. n. 241/1990 – il «mero ritardo» costituisca presupposto dell’indennizzo automatico e forfettario, è tuttora oggetto di divergenti orientamenti giurisprudenziali la questione se sia o meno risarcibile la lesione del mero interesse procedimentale. L’elaborato si propone quindi di passare in rassegna la tematica della risarcibilità del danno da mero ritardo, analizzando l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia e cercando di fornire chiare linee direttive valevoli al fine ultimo di superare l’annosa questione.

 

The term “delay damage”, used indiscriminately to cover different situations, is identified, in a first way, with the profit related to the good of life that the applicant has not been able to benefit within the time between the time when the measure was to be issued and the time when the release actually took place, and, in a second way, with the mere failure of the Administration to respect the terms of the procedure (“mere delay”), regardless of the outcome of the administrative event. Although peacefully – by virtue of the express provision of co. 1-bis dell’art. 2-bis l. n. 241/1990 – the “mere delay” constitutes condition of the automatic and flat-rate compensation, is still the object of divergent jurisprudential guidelines the question whether the lesion of the mere procedural interest is compensable. The essay therefore aims to review the issue of compensation for damage caused by mere delay, analysing legislative and jurisprudential developments in this field and trying to provide clear guidance to overcome the age-old question.

 

Il termine «danno da ritardo» è usato indistintamente per comprendere fattispecie diverse, per presupposti e tipologia del pregiudizio subito dal cittadino[1]. In una prima accezione, esso viene identificato nel non aver potuto il richiedente beneficiare dell’utilità connessa al bene della vita ambito nel tempo intercorrente tra il momento in cui il provvedimento doveva essere rilasciato e il momento in cui il rilascio è effettivamente avvenuto. In una seconda accezione, il danno presuppone invece solo il mancato rispetto, da parte dell’Amministrazione destinataria di un’istanza, del termine per l’adozione di un determinato provvedimento («mero ritardo») e quindi prescinde dall’esito della vicenda amministrativa.

Sebbene pacificamente – in virtù dell’espressa previsione di cui al co. 1-bis dell’art. 2-bis l. n. 241/1990 – il «mero ritardo» costituisca presupposto dell’indennizzo automatico e forfettario, è tuttora oggetto di divergenti orientamenti giurisprudenziali la questione se sia o meno risarcibile la lesione del mero interesse procedimentale.

Secondo un primo orientamento, sposato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza 15 settembre 2005 n. 7, il danno da ritardo è risarcibile solo quando emerga la spettanza del provvedimento favorevole e dunque sia fondata l’originaria istanza. Di qui la necessaria definitività del rapporto: in presenza di un potere discrezionale o di residui spazi di discrezionalità, l’azione risarcitoria sarebbe ammissibile solo dopo, e a condizione che, l’Amministrazione, riesercitato il potere, abbia riconosciuto al richiedente il bene della vita ambito; il danno ristorabile riguarderà allora il pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di tale bene. Nessun risarcimento potrebbe comunque in ogni caso essere accordato nell’ipotesi in cui il provvedimento tardivamente adottato risulti di carattere negativo e le statuizioni in esso contenute siano divenute intangibili per l’omessa tempestiva proposizione del gravame.

In sintesi, secondo tale orientamento non è dunque risarcibile il danno da mero ritardo, ma solo quello «da impedimento», caratterizzato dal fatto che la tardiva adozione del provvedimento impedisce di conseguire tempestivamente il bene della vita; conseguentemente, non vi è spazio per il risarcimento quando i provvedimenti adottati in ritardo siano di carattere negativo per colui che ha presentato l’istanza[2].

A fronte di questa prima impostazione, un diverso orientamento ritiene invece risarcibile anche il danno conseguente al mero ritardo nel provvedere, a prescindere dalla spettanza del bene finale[3], ponendo, a tal fine, in rilievo come, nel modello di azione amministrativa introdotto dalla legge sul procedimento, possano assumere rilevanza autonoma, rispetto all’interesse legittimo al bene della vita finale, posizioni soggettive di natura strumentale che mirano a disciplinare il procedimento amministrativo secondo criteri di correttezza idonei a ingenerare un affidamento qualificato sul rispetto di queste regole. Le regole del procedimento, quindi, secondo l’impostazione in parola, non sono considerabili a priori norme neutre e inidonee a radicare posizioni soggettive; anzi, tra gli altri, proprio l’interesse pretensivo allo svolgimento dell’azione amministrativa in tempi certi e dunque al rispetto del termine procedimentale, che si fonda sull’esigenza di certezza nei rapporti tra cittadino e Amministrazione, assume indubbiamente a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali, in quanto tali meritevoli di tutela: tenendo conto del termine previsto, si programmano risorse, si rinuncia a opportunità diverse, si scelgono obiettivi da perseguire. Ne consegue che il danno da ritardo è risarcibile non solo quando l’Amministrazione persista nella propria inerzia, ma anche quando sia tardivamente adottato un provvedimento sfavorevole al privato, ma legittimo: in tale ultima ipotesi, infatti, pur difettando l’illegittimità provvedimentale, è ben possibile che sussista un’illiceità comportamentale, potendo il richiedente aver comunque subito un pregiudizio a causa del non tempestivo esame della propria istanza[4].

La tutela risarcitoria, secondo l’orientamento in discorso, se prescinde dalla spettanza del bene della vita finale, non esime però il privato dal fornire la prova di effettivi danni consequenziali subiti per via della violazione del termine del procedimento. La lesione di un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ossia l’evento lesivo che identifica il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., individuato nella lesione al bene certezza, impone in ogni caso di fornire la prova, ex art. 1223 c.c., delle conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (cd. danno conseguenza)[5]. Il danno risarcibile è dunque, in tali casi, quello conseguenziale alla situazione di incertezza protratta oltre il termine, e le conseguenze pregiudizievoli ristorabili sono quindi limitate all’interesse negativo (come l’immobilizzazione dei capitali o la perdita di diverse occasioni favorevoli)[6].

Nell’ambito dell’orientamento che ritiene che la responsabilità della Pubblica Amministrazione per omessa o tardiva conclusione del procedimento possa configurarsi a prescindere dalla dimostrazione della spettanza del bene della vita finale rientra una tesi – superata recentemente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 23 aprile 2021 n. 7 – che identifica nella violazione dei doveri comportamentali del soggetto pubblico (o equiparato) derivanti dalle norme sul procedimento amministrativo una responsabilità per inadempimento, pur in assenza di specifici obblighi di prestazione – e, quindi, di una puntuale garanzia di risultato – in ordine al provvedimento finale; ne discende la natura contrattuale della responsabilità, argomentata attraverso la teoria del contatto amministrativo. Detta ricostruzione assume a premessa le peculiari caratteristiche della vicenda procedimentale produttiva di danno: con la l. n. 241/1990, il contatto tra Amministrazione e cittadino si caratterizza per uno specifico dovere di comportamento della prima nell’ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato; in capo alla Pubblica Amministrazione, accanto all’obbligo di curare l’interesse pubblico nel rispetto della legalità, sorge quindi anche l’obbligo di protezione e di rispetto dell’affidamento del privato, il quale non è più semplice destinatario passivo dell’azione amministrativa, ma beneficiario di obblighi: l’interesse al osservanza delle regole procedimentali assumerebbe un carattere autonomo rispetto all’interesse al bene della vita finale e l’inadempimento delle stesse sarebbe idoneo a configurare una responsabilità prossima a quella contrattuale[7].

A ogni modo, qualora si ritenga che la spettanza del bene della vita finale non rilevi ai fini della configurabilità del danno ingiusto, diventa possibile individuare nella medesima vicenda procedimentale due distinti interessi, aventi a oggetto diversi beni della vita: l’uno inerente al conseguimento del bene della vita finale; l’altro attinente alla definizione (quale ne sia l’esito) del rapporto amministrativo nei tempi predefiniti[8]. Stante la diversità dei due interessi richiamati, rileva la domanda avanzata in giudizio: se la domanda risarcitoria attiene al danno subito per aver ottenuto in ritardo o non aver ottenuto il provvedimento richiesto, il danno (che può, ad esempio, consistere nell’aumento dei costi di costruzione derivato dal tardivo rilascio di un permesso di costruire) è correlato alla spettanza del bene della vita, accertata con il tardivo rilascio o da accertare. Se, invece, si chiede il risarcimento del pregiudizio derivante dal ritardo nella definizione dell’istanza (ad esempio, quello consistente nell’immobilizzazione di risorse in attesa della conclusione del procedimento), l’oggetto dell’azione non è il bene finale e sarebbe improprio, ai fini del risarcimento, interrogarsi sulla spettanza o meno del bene[9].

Dato atto delle tesi prospettate sul tema della risarcibilità del danno da mero ritardo, uno sguardo all’evoluzione della disciplina positiva e agli orientamenti giurisprudenza succedutisi consente di riassumere adeguatamente i termini del problema, al fine ultimo di superarlo. Come anticipato, l’art. 2-bis, l. n. 241/1990, introdotto dalla l. n. 69/2009, prevede, al co. 1, che «le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, co 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento». Il «mero ritardo» è espressamente menzionato, dal co. 1-bis inserito dal d.l. n. 69/2013, relativamente al solo indennizzo da ritardo.  

La versione vigente dell’art. 2-bis co. 1 si distingue nettamente rispetto al testo originario del cd. “Disegno di legge Nicolais”, che prevedeva che il risarcimento del danno ingiusto potesse essere disposto «indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto».

Le modifiche rispetto al testo originario della disposizione sono state intese, in prima battuta, come conferma della correttezza dell’interpretazione secondo cui configurerebbe un danno ingiusto esclusivamente il ritardo nell’acquisizione del bene della vita finale di cui sia accertata o accertabile la spettanza[10].

Nello stesso senso, sono state interpretate anche le novità apportate nel 2013 al testo dell’articolo rispetto alle quali si è ribadita la non risarcibilità del danno da mero ritardo sulla base della distinzione tra il risarcimento di cui al co. 1 e l’indennizzo di cui al co. 1-bis, solo quest’ultimo espressamente riferito al mero ritardo[11].

Tuttavia, una più attenta analisi della normativa – specie alla luce del contesto ove la stessa si inserisce[12] – consente invece di scalzare alla radice l’orientamento giurisprudenziale contrario alla risarcibilità del danno da mero ritardo, individuando nel fattore tempo il bene della vita la cui violazione è idonea a fondare l’azione risarcitoria promossa nei confronti dell’Amministrazione inadempiente, a prescindere da ogni valutazione, anche solo probabilistica, sulla spettanza del bene della vita finale cui il soggetto ambiva al momento dell’avvio del procedimento[13]: è d’altronde proprio la scelta compiuta a livello normativo con la novella del 2009 di rendere esplicito il riconoscimento della risarcibilità del danno da ritardo, non accompagnandola da alcuna condizione o precisazione, a certificare la volontà del legislatore di “aprire” alla tutela risarcitoria del danno da mero ritardo.

Un argomento normativo a sostegno della risarcibilità del danno da ritardo mero, ulteriore rispetto a quello della considerazione del tempo come bene della vita, viene inoltre ravvisato da taluni nella devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – ex art. 133 co. 1 lett. a) n. 1 c.p.a. – delle controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento[14]: l’ingiustizia del danno consegue alla violazione da parte del soggetto procedente dell’obbligo di concludere in tempi prefissati i procedimenti di propria competenza, cui corrisponde un diritto soggettivo a una risposta[15]. Il danno ingiusto rilevante ex art. 2-bis, l. n. 241/1990 viene quindi correlato alla lesione di tale diritto, distinta e autonoma rispetto all’eventuale lesione dell’interesse legittimo pretensivo al provvedimento finale.

Alle medesime conclusioni, inquadrando la responsabilità della Pubblica Amministrazione per danno da ritardo nell’alveo della responsabilità precontrattuale, è pervenuta incidentalmente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 4 maggio 2018, n. 5.

Con tale pronuncia, il Supremo consesso della giustizia amministrativa, nell’occuparsi della questione della configurabilità di una responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione in ambito di procedure ad evidenza pubblica ancor prima dell’aggiudicazione, ha appunto identificato quale ulteriore ipotesi di responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto della Pubblica Amministrazione quella relativa al danno da ritardo, la quale per l’appunto deriverebbe non dalla violazione delle norme di diritto pubblico che direttamente disciplinano l’esercizio del potere, ma dal mancato rispetto delle regole generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza a cui anche l’Amministrazione è soggetta.

Il plenum ha quindi chiarito che, con l’art. 2-bis, l. n. 241/1990, il legislatore – superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 7/2005 – ha introdotto la risarcibilità (anche) del cd. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento. Se la violazione del termine di conclusione di per sé non determina infatti, l’invalidità del provvedimento adottato in ritardo (tranne i casi eccezionali e tipici di termini perentori), rappresenta comunque un comportamento scorretto dell’Amministrazione che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali. Il privato, infatti, dato il ritardo dell’Amministrazione nell’adozione del provvedimento, potrebbe essere stato indotto a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni), che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dall’Amministrazione. Su costui grava però l’onere di «fornire la prova, oltre che del ritardo e dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere». Di qui la differenza con l’indennizzo da ritardo, da ravvisarsi, pertanto, non nel tipo di pregiudizio e nella situazione giuridica dedotta, ma nell’essere quest’ultimo un ristoro automatico (collegato alla mera violazione del termine).

Non ogni danno da ritardo è dunque risarcibile al di fuori della prova della spettanza (anche solo in termini probabilistici) del bene della vita finale, ma solo quel danno, derivante dall’inerzia della Pubblica Amministrazione cui sia conseguita una situazione di incertezza, alla libertà di autodeterminazione del privato nelle sue scelte negoziali e di cui quest’ultimo riesca a fornire compiutamente la prova ex art. 2697 c.c.[16].

Dunque, il fondamento della risarcibilità del danno da mero ritardo risiede – a detta del Collegio – nell’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa, sub specie nella lesione del suo diritto soggettivo alla libera determinazione delle sue scelte negoziali, trovando, peraltro, per tale via giustificazione anche la scelta codicistica di attribuire le controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Tuttavia, la rilevanza dei chiarimenti dell’Adunanza Plenaria è stata circoscritta dalla successiva pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 385, secondo cui la su prospettata ricostruzione presuppone di regola la natura imprenditoriale del soggetto che assume essere stato leso dal ritardo dell’Amministrazione nell’emanazione del provvedimento (ancorché legittimamente di segno negativo), dovendosi invece ritenere che, negli altri casi, sia indispensabile la prova della spettanza del bene della vita cui si ricollega la posizione di interesse legittimo.

In tempi recenti, il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Siciliana ha offerto una soluzione alla questione relativa alla risarcibilità del danno da mero ritardo alternativa e più conforme al quadro ordinamentale. Con la sentenza 24 marzo 2021, n. 243, il Collegio in primis afferma di non aderire alla risalente tesi secondo cui il risarcimento del danno da ritardo implica sempre una valutazione concernente la spettanza del bene della vita. Ha ritenuto, invece, di aderire al diverso orientamento in base al quale, sebbene l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno da ritardo non possano, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, in presenza della dimostrazione, ex art. 2697 c.c., della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria e quindi, in particolare, della presenza dei presupposti di carattere sia oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) che soggettivo (dolo o colpa del danneggiante), va comunque riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, pur in assenza della prova (che talvolta potrebbe assumere i connotati di una sorta di probatio diabolica) della spettanza del bene della vita originariamente richiesto.

Fondamentale sarebbe sul punto, secondo il Collegio, l’assunto, recepito a pieno titolo dalla giurisprudenza maggioritaria, per cui la responsabilità da mero ritardo procedimentale della Pubblica Amministrazione debba essere ricondotta nell’alveo della responsabilità extracontrattuale. Tale affermazione sarebbe – a detta dei Giudici – supportata da precisi riferimenti testuali emergenti dalle disposizioni vigenti in materia, quale l’art. 2-bis l. n. 241/1990, che espressamente richiede la dimostrazione, da parte del soggetto che faccia valere la pretesa risarcitoria, dell’ingiustizia del danno subito «in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento» e l’art. 30 co. 4 c.p.a. che si riferisce anch’esso al danno che il ricorrente comprovi di aver subito a causa dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, riconducibile alla condotta dolosa o colposa dell’Amministrazione.

Ad avviso del Collegio non vi è quindi dubbio che, con i riferimenti testuali richiamati, il legislatore abbia definitivamente inteso sottolineare che il danno ipotizzato dalla normativa vada costruito – escluso qualsiasi meccanismo di imputazione automatica di responsabilità – come evento, e cioè come conseguenza eziologicamente connessa alla condotta amministrativa; il che significa che il mero fatto giuridico del decorso del tempo non può essere ritenuto intrinsecamente (id est: in sé e per sé) dannoso, dovendo essere di volta in volta provato da colui che si ritiene danneggiato che la violazione delle norme sulla conclusione del procedimento abbia cagionato qualche percepibile danno. Ciò significa, a ben guardare, non già – come sostengono i propugnatori della tesi più restrittiva – che possa essere risarcito esclusivamente il pregiudizio che si concreti nel (o che derivi dal) mancato conseguimento del cd. bene della vita al quale aspira il cittadino (quantomeno non imprenditore) che richiede il provvedimento. Il privato può ben ottenere una sentenza che condanni l’Amministrazione al risarcimento per ritardo procedimentale, anche allegando e provando la sussistenza di un qualche danno che, seppur non coincidente con il mancato conseguimento del bene della vita richiesto, sia comunque obiettivamente percepibile ed eziologicamente connesso al ritardo, in termini – ad esempio – di perdita di chance o di compromissione di un interesse o diritto diversi da quello per il cui conseguimento si è avanzata l’istanza.

Proprio in tal senso è da considerarsi – ad avviso del Collegio – illuminante la normativa dettata dal legislatore al co. 1-bis dell'art. 2-bis, l. n. 241/1990, che, non a caso, utilizza correttamente la nozione di indennizzo, anziché quella di risarcimento, allorquando intende riferirsi al ristoro da accordare automaticamente al cittadino a fronte del mero ritardo.

Il fatto che presupposto per l’ottenimento dell’indennizzo ex art. 2-bis, co. 1-bis è il mero ritardo sembrerebbe peraltro anche di recente essere stato confermato dalla previsione legislativa di cui all’art. 103 d.l. 17 marzo 2020 n. 18 (cd. “Cura Italia”, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27) della sospensione dei termini dei procedimenti d’ufficio o a istanza di parte pendenti dalla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, fino al 15 aprile 2020: la situazione dovuta alla pandemia da Covid-19 avrebbe infatti altrimenti portato al ritardo nel rilascio di molti procedimenti amministrativi con il rischio di vedere moltiplicarsi le istanze volte all’ottenimento degli indennizzi, non essendo configurabile sicuramente, in tali casi, alcun risarcimento del danno ingiusto, costituendo indubbiamente la pandemia una causa di forza maggiore.

In conclusione, l’orientamento da ultimo prospettato, secondo cui il risarcimento è conseguibile purché si provi rigorosamente la connessione eziologica fra il mero ritardo e un qualche danno, si risolve, dunque, non già in una riesumazione della primigenia ricostruzione dogmatica secondo cui il danno da ritardo si identificherebbe in toto con la lesione dell’interesse pretensivo, con la conseguenza che la concessione del risarcimento presupporrebbe sempre e comunque l’accertamento della spettanza del bene della vita richiesto, ma nella individuazione di un nuovo punto di equilibrio che risponda adeguatamente all’aspirazione a un procedimento celere e che scongiuri, al tempo stesso, la costruzione di una anomala fattispecie di responsabilità obiettiva da mera condotta omissiva a contenuto più sanzionatorio che risarcitorio, incompatibile, per ciò stesso, con il paradigma aquiliano[17].

 

 

[1] Cfr. G. Falcon, La responsabilità dell'amministrazione e il potere amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2009, I, p. 241; G. Mari, La responsabilità della P.A. per danno da ritardo, in Codice dell'azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffré, 2017, p. 333 ss.

[2] Cfr., in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2018, n. 6266; Cons. St., sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2624; Cons. St., sez. VI, 23 giugno 2017, n. 3068; Cons. St., sez. IV, 2 novembre 2016, n. 4580.

[3] A questo orientamento aveva mostrato di propendere il Consiglio di Stato, sez. IV, con l’ordinanza 7 marzo 2005, n. 875, che ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria nel 2005.

[4] R. Garofoli-G.M. Racca-M. De Palma, La responsabilità della pubblica amministrazione e il risarcimento del danno dinnanzi al Giudice amministrativo, Milano, Giuffré, 2003, p. 117.

[5] Cfr. Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751 per cui «il danno conseguenza è un elemento eventuale che può accompagnarsi o meno all’evento realizzato. Esso si pone nell’ambito della fattispecie di illecito come condizione per il sorgere del risarcimento: l’evento è ingiusto quando contrasta con la situazione giuridicamente tutelata; se poi esso sia foriero di danno, ovvero di effetti economici negativi, questo riguarda il sorgere della conseguenza del risarcimento».

[6] In tal senso, con la sentenza 5 febbraio 2015, n. 2135, il T.a.r. Lazio, sez. II, ammettendo la risarcibilità del danno da ritardo mero, ha rilevato che «ove il danno derivante dal mero ritardo nella conclusione del procedimento non sia in concreto provato dalla parte ricorrente su cui grava il relativo onere, l’eventuale azione di accertamento del danno deve essere respinta non perché il mero ritardo dell’Amministrazione, producendo la lesione del tempo come bene della vita, non possa essere astrattamente fonte di responsabilità aquiliana, ma perché, non essendo stata data concreta prova dell’avvenuta produzione del danno, non c’è l’oggetto di risarcimento».

[7] Cfr. – da ultimo – T.a.r. Liguria, sez. I, 20 gennaio 2020, n. 6.

[8] Cfr., sul punto, M. Lipari, I tempi del procedimento amministrativo. Certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela dei cittadini, in Diritto Amministrativo, 2003, II, p. 350.

[9] La rilevanza della domanda è stata per la prima volta evidenziata dal Consiglio di Stato in una sentenza della VI sezione del 15 gennaio 2009, n. 148. In tale occasione, l’azione risarcitoria aveva a oggetto il pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita finale. Il Consiglio di Stato ha respinto la domanda risarcitoria avanzata in ragione della sussistenza di margini di discrezionalità dell’azione amministrativa (che non consentivano al giudice di sostituirsi all’Amministrazione nel giudizio sulla spettanza del bene della vita finale) e, contestualmente, ha escluso di potersi occupare, in assenza di una specifica domanda, del danno da mero ritardo, a ciò ostando il principio della domanda (art. 112 c.p.c.) e il principio dispositivo che governa il giudizio risarcitorio. In senso conforme, più recentemente, cfr. T.a.r. Campania, sez. III, 7 giugno 2021, n. 3792.

[10] Cfr., in tal senso, S. Toschei, Obiettivo tempestività e certezza dell'azione, in Guida dir., n. 27/2009, p. 29 ss. Così, il Consiglio di Stato, sez. V, 22 settembre 2016, n. 3920, ha interpretato l’art. 2-bis «nel senso che il riconoscimento del danno da ritardo non possa restare avulso da una valutazione di merito sulla spettanza del bene sostanziale della vita e che vada, quindi, subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia probabilmente destinata a un esito favorevole e, dunque, alla prova della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse». La pronuncia è stata poi confermata da Cass. civ., Sez. un., 17 dicembre 2018, n. 32620. Nel medesimo senso, si veda anche Cons. St., sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 20.

[11] Cfr., in tal senso, T.a.r. Calabria, sez. I, 19 febbraio 2016, n. 331. Tuttavia, come osservato da N. Posteraro, Domande manifestamente inaccoglibili e dovere di provvedere, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 218, dato che l’ultimo periodo del co. 1-bis, art. 2-bis, l. n. 241/1990 prevede espressamente che «le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento», deve necessariamente ammettersi la risarcibilità del danno da mero ritardo, in quanto tale previsione legislativa non avrebbe altrimenti alcun significato.

[12] La l. n. 69/2009 con cui si è introdotto l’art. 2-bis co.1 l. n. 241/1990 contiene infatti una serie di disposizioni tese a tutelare il fattore tempo e a valorizzarlo come elemento imprescindibile dello svolgimento dell’azione amministrativa; in particolare, ci si riferisce alla prescrizione – finalizzata ad aumentare la trasparenza dei rapporti tra Amministrazioni Pubbliche e utenti – rivolta a ogni Amministrazione Pubblica di rendere noti annualmente i tempi medi di definizione dei procedimenti con riferimento all’esercizio finanziario precedente, alle disposizioni che riducono i tempi di svolgimento delle attività consultive e che prevedono la tempestività tra le buone prassi di cui deve essere assicurata la diffusione e a quelle che consentono l’uso della telematica e che dispongono che il vano decorso dei termini di conclusione del procedimento sia rilevante per la responsabilità dirigenziale e la corresponsione ai dirigenti della retribuzione di risultato. Convergono peraltro nella stessa direzione in termini di rafforzamento della certezza temporale dell’agire amministrativo anche numerose successive modifiche apportate dal legislatore alla l. n. 241/1990, tra cui, da ultimo, quelle introdotte ad opera del d.l. n. 76/2020 cd. “Decreto Semplificazioni”, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020, nonché del d.l. n. 77/2021 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 108/2021.

[13] In tal senso, il Consiglio di Stato, sez. IV, 13 novembre 2017, n. 5197, discostandosi dall’orientamento prevalente, ha osservato che il fondamento della risarcibilità del danno da mero ritardo risiede nell’affidamento del privato sulla certezza dei tempi dell’azione amministrativa che – nell’attuale realtà economica e nella moderna concezione del rapporto amministrativo – è interesse meritevole di tutela in sé considerato, non essendo sufficiente relegare tale tutela alla previsione e alla azionabilità di strumenti processuali a carattere propulsivo. La cristallizzazione di questa tipologia di danno si è avuta con l’introduzione, da parte del legislatore, dell'art. 2-bis, l. n. 241/1990, che disancora il danno da ritardo dalla necessaria dimostrazione della spettanza del bene sostanziale, così attribuendo al tempo il valore di bene di per sé rilevante, ferma restando la necessità di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della domanda.

[14] Cfr. sul punto M. Renna, Art. 2-bis, in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, a cura di A. Bartolini- S. Fantini-G. Ferrari, Roma, Neldiritto Editore, 2010;  G. Mari, L'obbligo di provvedere e i rimedi preventivi e successivi alla relativa violazione, in Principi e regole dell'azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffré, 2015, p. 118; Id., L’azione di condanna al risarcimento del danno derivante dal mancato o ritardato esercizio dell’attività amministrativa, in Il nuovo processo amministrativo. Studi e contributi, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffré, 2013, p. 289.

[15] Cfr. sul punto G. Soricelli, La codificazione della disciplina speciale della responsabilità della P.A. per danno da ritardo?, 2009, disponibile a www.giustamm.it, secondo cui però, ove l’espressa attribuzione della giurisdizione esclusiva venga giustificata per la natura di diritto soggettivo della situazione giuridica soggettiva del richiedente che fronteggia l’obbligo della Pubblica Amministrazione di provvedere, potrebbe riproporsi la questione della natura contrattuale della responsabilità.

[16] Cfr., in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 23 agosto 2019, n. 5810; Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, 26 marzo 2020, n. 217; Cons. St., sez. II, 12 aprile 2021, n. 2960.

[17] Preme in conclusione dare conto del contributo da ultimo apportato al dibattito anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con la sentenza n.  7/2021, ha sposato l’orientamento seguito dal Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Siciliana, ribadendo il principio per cui il bene tempo ha dignità autonoma di interesse risarcibile (e, quindi, non di diritto) ex art. 2-bis l. n. 241/1990, se e nella misura però in cui, per effetto di tale lesione, si sia prodotto un «danno ingiusto» di cui venga fornita debita prova.