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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

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Terzo condono edilizio e limiti volumetrici.

Di Valentina Cappannella
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Terzo condono edilizio e limiti volumetrici

 

Di VALENTINA CAPPANNELLA

 

 

Il presente scritto si propone di approfondire il cosiddetto “Terzo condono edilizio” di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269 sotto il profilo dell’applicazione dei limiti volumetrici da esso prescritti, facendo riferimento sia all’interpretazione fornita a livello ministeriale, che a quella di matrice giurisprudenziale.

 

Quadro normativo e questione interpretativa

Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge dall’art. 1, comma 1, l. 24 novembre 2003, n. 326, ha stabilito, all’art. 32, comma 25, che “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi”.

Con tale disposizione, quindi, la normativa richiamata in materia di condono edilizio è stata estesa anche alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, purché l’ampliamento del manufatto sia contenuto entro il 30% della volumetria della costruzione originaria “o, in alternativa” al di sotto dei 750 mc.

Simile previsione normativa, tuttavia, ha determinato notevoli difficoltà applicative, soprattutto per quanto attiene la corretta interpretazione del riferimento all’alternatività dei limiti volumetrici posti all’ampliamento consentito (30% o 750 mc).

     Sul punto, è intervenuta la Circolare esplicativa 7 dicembre 2005 n. 2699 (pubblicata in G.U. n. 52 del 3 marzo 2006), la quale, però, si è limitata a ribadire, in sostanza, che gli ampliamenti sono sanabili laddove non superino, alternativamente, i suddetti limiti dimensionali.

Tra l’altro, tale Circolare richiama la pronuncia della Corte Costituzionale 28 giugno 2004, n. 196 - la quale ha dichiarato illegittimo il citato art. 32 D.L. 269/2003, comma 26, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria degli abusi edilizi indicati nel medesimo D.L., nonché il comma 25 nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione -, evidenziando che “la particolare struttura del condono edilizio presuppone una accentuata integrazione tra il legislatore statale ed i legislatori regionali: ne consegue che l’adozione della legislazione da parte delle regioni appare non solo opportuna, ma doverosa, e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore nazionale, decorso il quale non potrà che trovare applicazione la normativa statale”.

Pertanto, è necessario tener presente che alla normativa statale può aggiungersi anche la legislazione regionale, la quale può andare a modificare (in diminuzione) i limiti volumetrici degli ampliamenti suscettibili di sanatoria.

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Il riferimento all’alternatività, contenuto nella norma esaminata, sembrerebbe far ritenere che la sanatoria sia ammissibile per tutte quelle opere abusive che rientrino in uno dei due limiti quantitativi indicati (30% del manufatto preesistente o 750 mc).

Simile interpretazione sembrerebbe suffragata anche dall’esame della normativa relativa al precedente condono edilizio, vale a dire della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la quale ha introdotto il limite dimensionale in merito agli abusi sanabili.

Ai sensi dell’art. 39, comma 1, di tale legge, infatti, le disposizioni in materia di condono edilizio di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 “si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi”.

Anche la relativa circolare esplicativa, emanata dal Ministero dei Lavori Pubblici, sembrerebbe seguire la tesi dell’alternatività dei due parametri dimensionali, laddove, in merito al limite quantitativo della sanatoria, chiarisce che “La <definizione agevolata>, infatti, si applica - soltanto, però, per gli abusi a carattere residenziale qualora sussista una delle seguenti condizioni:

- ampliamenti non superiori al 30 per cento della costruzione originaria;

- ampliamenti comunque non superiori a 750 mc;

- nuove costruzioni non superiori a 750 mc.

Si può, quindi, affermare che il limite posto segni un discrimine tra opere ammesse e non ammesse alla sanatoria: nel senso che, per quanto attiene l'edilizia residenziale, gli abusi superiori a 750 mc, ovvero al 30 per cento della costruzione originaria anche se superiore a detto limite, comportano l'impossibilità di chiedere la <definizione agevolata> pur limitatamente a quella misura” (v. punto 2.2 della circolare Ministero dei Lavori Pubblici 17 giugno 1995, n. 2241/UL).

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Un importante chiarimento sul punto è fornito dalla Corte Costituzionale, la quale, investita della questione di legittimità del citato art. 39 della legge n. 724/1994, è pervenuta ad un risultato interpretativo opposto rispetto a quello raggiunto dal Ministero della suddetta circolare.

Nella sentenza n. 302 del 23 luglio 1996, infatti, il Giudice delle Leggi ha interpretato l’art. 39, comma 1, legge n. 724/1994 nel senso che “La previsione massima di cubatura di <750 metri cubi> è un limite assoluto ed inderogabile, che si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento che deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria, ad evitare che fabbricati, inizialmente, di cubatura considerevole possano ampliarsi in modo ulteriormente notevole (…)”.

Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale, quindi, non è corretto ritenere che i suddetti due limiti dimensionali si pongano semplicemente in posizione alternativa, in quanto il limite dei 750 mc finisce per operare come una sorta di “valvola di sicurezza” rispetto agli ampliamenti ipotizzabili seguendo il parametro del 30%.

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Problema applicativo e interpretazione Ministeriale

Dal punto di vista applicativo, la lettura dei suddetti limiti quantitativi nel senso dell’alternatività degli stessi ha fatto sorgere dei dubbi in merito agli effetti che simile interpretazione potrebbe determinare sul territorio.

Simili perplessità sono chiaramente illustrate dal Dipartimento del Territorio della Regione Lazio in una richiesta di parere indirizzata al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti relativa a tale problematica. Come è dato leggere in tale istanza, infatti, “il riferimento letterale all’alternatività sembra far ritenere che siano ammesse a sanatoria le opere abusive che rientrino in uno dei limiti quantitativi posti dalla norma come, appunto, alternativi (750 mc ovvero il 30% del manufatto preesistente). Gli esiti di una tale interpretazione letterale potrebbero avere rilevanti conseguenze sul territorio. Ad esempio, se si amplia un edificio originariamente di 1.000 mc si potrebbe sanare l’abuso fino a 750 mc (volumetria superiore ai 333 mc assentibili applicando il criterio percentuale); se viceversa l’edificio originario era di 3.000 mc si potrebbe ammettere a sanatoria l’abusivo ampliamento fino a 1000 mc in quanto può essere utilizzato il criterio percentuale. In sostanza, ammettendo che i limiti sanabili degli ampliamenti siano alternativi nel senso di una scelta del criterio rimessa al soggetto istante, naturalmente secondo la propria convenienza, si otterrebbe il risultato di consentire che fabbricati, già di notevoli dimensioni possano ampliarsi in modo ulteriormente notevole, ossia fino al 30 per cento, e, viceversa, che edifici di volumetrie iniziali assai modeste, sfruttando il limite dei 750 mc, possano assumere dimensioni tali da rendere il risultato finale abnorme rispetto all’intervento originariamente assentito” (v. richiesta di parere avanzata dalla Regione Lazio, Dipartimento Territorio, Direzione Regionale Territorio e Urbanistica, prot. n. 212235 del 17 dicembre 2008).

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La risposta del Ministero è giunta con nota del 10 febbraio 2009 prot. n. 23881, nella quale si aderisce all’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 302 del 23 luglio 1996 relativa al precedente condono edilizio, in virtù della quale al criterio percentuale va necessariamente affiancato il parametro quantitativo dei 750 mc, quale “limite assoluto ed inderogabile che si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento che deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria”.

  

Secondo l’interpretazione Ministeriale, quindi, in conformità alla citata pronuncia del Giudice delle Leggi, il limite dei 750 mc va inteso quale volumetria massima realizzabile in ogni caso, oltrepassata la quale l’ampliamento non è sanabile, seppure contenuto nel 30% della costruzione originaria. Così, i due criteri previsti dalla legge, percentuale e quantitativo, devono concorrere entrambi, ai fini dell’ammissibilità delle opere abusive a condono.

Ciò significa, in pratica, che “un ampliamento seppur rispettoso del tetto volumetrico massimo regionale (200 mc), ma non rientrante nella percentuale del 20%, non sarebbe in alcun modo sanabile (ad esempio, per un manufatto di 100 mc. il volume massimo sanabile sarebbe pari a 20 mc, non potendo quindi l’intervento sanante spingersi fino a 200 mc)” (v. richiesta di parere avanzata dalla Regione Lazio, Dipartimento Territorio, Direzione Regionale Territorio e Urbanistica, prot. n. 212235 del 17 dicembre 2008, cit., la quale formula la suddetta ipotesi interpretativa avallata poi dal Ministero).

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Orientamento giurisprudenziale

Sul piano giurisprudenziale, si fronteggiano due diverse opzioni interpretative: da un lato, l’orientamento – prevalente - nel senso del carattere cumulativo dei due parametri sopra esaminati; dall’altro, va segnalata la innovativa lettura fornita da una decisione – piuttosto recente - del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (sentenza n. 634 del 2 luglio 2019).

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  1. A) Interpretazione cumulativa

Tale lettura interpretativa è ben rappresentata dalla decisione del Consiglio di Stato n. 1107 del 18 febbraio 2019, nella quale i Giudici di Palazzo Spada hanno affrontato la questione circa l’ammissibilità a condono di un ampliamento contenuto entro il limite percentuale previsto dalla normativa regionale (pari al 20%), ma superiore al limite quantitativo di 200 mc stabilito sempre dalla legge regionale.

Si trattava, infatti, di decidere in merito all’ammissibilità a condono di un ampliamento pari a mc 1.374 su 9.000 complessivi, in relazione al quale si individua la seguente alternativa: “o inammissibilità a fronte del superamento del limite dei 200 mc, secondo l’interpretazione cumulativa dei requisiti, fatta propria dalla p.a.; ovvero assentibilità in quanto trattasi di aumento contenuto entro il limite del 20 per cento degli originari 9.000 (1.374 rispetto ad un limite pari a 1.800 mc)” (v. pag. 5 della sentenza).

Il Consiglio di Stato, “premessa in generale la pacifica natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l’applicabilità in termini estensivi” ha confermato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui “i limiti volumetrici fissati dal comma 25 dell’art. 32 cit. operano non già disgiuntamente, bensì congiuntamente, sicché gli incrementi consentiti non devono essere superiori al 30% della cubatura della costruzione originaria e non possono in ogni caso eccedere i 750 metri cubi (cfr. ad es. C.d.S., sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042 e 12 settembre 2017, n. 4322)” (v. pag. 7 della sentenza in esame - il grassetto è dello scrivente).

Nella stessa direzione si colloca anche la giurisprudenza amministrativa di primo grado, in relazione alla quale si segnala una recente decisione del TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 ottobre 2019, n. 2221.

In tale sentenza, il TAR, una volta ribadito che “Avuto riguardo a un criterio logico-sistematico, deve ritenersi che i 500 mc. (così come i 750 mc. nella legislazione statale) rappresentino il limite massimo dell'ampliamento sanabile, una sorta di norma di chiusura”, statuisce che “L'incremento volumetrico, cioè, non deve superare il 20% (30% nella legislazione statale) della volumetria originaria, cosicché sia garantita una certa proporzione tra il manufatto originario e quello risultante all'esito dell'intervento da condonare, e sia scongiurato il rischio che da una costruzione modesta se ne ricavi una di dimensioni imponenti. Al contempo, ancorché contenuto nel limite del 20% della volumetria originaria, l'ampliamento non può, comunque, superare i 500 mc., di modo da riservare la sanatoria agli abusi di minore impatto” (v. pag. 3 della sentenza – il grassetto è di chi scrive).

Sulla base di tali presupposti, il TAR Lombardia perviene alla conclusione che “i due limiti debbono essere rispettati entrambi: non basta che l'intervento edilizio eseguito senza titolo dal signor B. si sia mantenuto al di sotto del 500 mc. (circostanza questa che non è in contestazione), ma è pure necessario che non ecceda la volumetria originaria” (v. pag. 3 della sentenza in esame – il grassetto è di chi scrive).

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  1. B) Pronuncia innovativa del C.G.A. (sentenza n. 634 del 2 luglio 2019)

In tale contesto, la pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana in esame si pone in chiave decisamente innovativa.

La fattispecie concreta sottoposta all’esame del CGA riguarda la sanabilità di opere che hanno comportato un ampliamento del manufatto in misura superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria, ma rispettoso del limite volumetrico di 750 metri cubi.

Nella decisione impugnata dinanzi al CGA il TAR Sicilia, Sez. di Catania, aveva ritenuto che i due limiti suddetti fossero da intendersi come cumulativi, facendo da ciò conseguire la non condonabilità dell’avvenuto incremento volumetrico rispetto alla precedente costruzione in misura superiore al 30% (anche se, come detto, inferiore a 750 mc).

Tale interpretazione non è, però, condivisa dal giudice d’appello.

Secondo il CGA, infatti, “nella dizione letterale della norma i due presupposti sono chiaramente alternativi e non cumulativi, sicché ai fini del condono è sufficiente, alternativamente, che l’opera non ecceda i 750 mc. ovvero il 30% della volumetria legittimamente realizzata; sicché è condonabile una opera abusiva che, come nella specie, pur eccedendo il 30% della volumetria preesistente, non eccede i 750 mc.” (v. pag. 12 della sentenza in esame - il grassetto è dello scrivente).

Il CGA, poi, ritiene di non poter trarre argomenti di segno contrario alla suddetta interpretazione dall’esame della giurisprudenza costituzionale, con particolare riferimento alla citata sentenza Corte Cost. n. 302/1996, giacché essa ha ad oggetto disposizioni diverse da quelle qui esaminate e, soprattutto, “non offre spunti specifici su come interpretare l’inciso sopra evidenziato”.

Come chiarito nella decisione in esame, “Il problema qui non attiene all’esistenza di due limiti ma alla possibilità che nel caso di opere superiori al 30% della volumetria originaria ma non eccedenti la misura dei 750 mc. l’Amministrazione possa legittimamente rilasciare la concessione edilizia in sanatoria” (v. pag. 12 della sentenza in esame).

Inquadrato correttamente il problema, il CGA ritiene di non poter trarre spunti decisivi nemmeno dalla giurisprudenza amministrativa, mentre ritiene dirimente “la necessità di prevenire ad interpretazioni della normativa conformi al principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) dal momento interpretazioni diverse da quella qui sostenuta dovrebbe condurre a considerare <palesemente irragionevole un impianto normativo che non consenta la sanatoria degli ampliamenti superiori al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria, anche se inferiori al limite di 750 metri cubi, mentre permette la condonabilità di una nuova costruzione abusiva sino al limite di 750 metri cubi> (Corte costituzionale, ordinanza n. 45 del 2001)” (v. pagg. 12-13 della sentenza in esame - il grassetto è dello scrivente).

Adottata una simile lettura della normativa, il Collegio ritiene necessario precisare che “la questione interpretativa qui affrontata attiene solo alla fattispecie in cui ci sia un superamento del parametro del 30% senza che sia oltrepassato il limite dei 750 mc. Perché è chiaro che la misura dei 750 mc. rappresenta un limite <assoluto ed inderogabile> (Corte cost. sentenza n. 302 del 1996) la cui osservanza è sempre dovuta” (v. pag. 13 della decisione in esame - il grassetto è dello scrivente).

Pertanto, in netta controtendenza rispetto all’interpretazione ministeriale e con pronuncia innovativa rispetto alla posizione prevalente della giurisprudenza amministrativa, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana conclude affermando che “il dato letterale della disposizione consente all’interprete di ritenere che i due presuppostinel caso di mancato superamento della misura dei 750 mc. - devono essere intesi come alternativi. Ne consegue che non è illegittima la concessione edilizia in sanatoria rilascia in favore dell’appellante atteso che le opere in questione, pur comportando un ampliamento superiore al 30% della costruzione originaria, rientrano nel limite volumetrico ammesso a sanatoria dall’art. 32, comma 25, della legge 326/2003 (750 mc)” (v. pag. 13 della decisione in esame - il grassetto è dello scrivente).

 

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Il tema in esame, pertanto, può dirsi ancora controverso, seppur sicuramente la pronuncia del CGA della Regione Siciliana, collocandosi in posizione innovativa, offre degli interessanti spunti di riflessione, specie laddove richiama la “necessità di pervenire ad interpretazioni conformi al principio di uguaglianza”.

Tra l’altro, non si può fare a meno di considerare che si tratta di una pronuncia sì innovativa, ma pur sempre nel solco dei principi individuati dal Giudice delle Leggi, visto che si preoccupa di chiarire che l’interpretazione fornita attiene esclusivamente alla fattispecie relativa al superamento del mero parametro percentuale, senza che sia oltrepassato il limite volumetrico dei 750 mc..