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Sulla natura giuridica del provvedimento di vincolo storico-artistico: vera discrezionalità tecnica? Recenti novità giurisprudenziali.
Di Antonio Maria Ligresti
Sulla natura giuridica del provvedimento di vincolo storico-artistico: vera discrezionalità tecnica?
Recenti novità giurisprudenziali
Di Antonio Maria Ligresti*
Abstract
Il focus del presente contributo riguarda il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale dei beni culturali di appartenenza privata, normato dal D.Lgs. 42/04, Codice dei beni culturali e del Paesaggio; in particolare la natura giuridica del provvedimento di vincolo secondo la giurisprudenza amministrativa e la più accreditata dottrina.
The focus of this paper is on the procedure for declaring the cultural interest of privately owned cultural property, regulated by Legislative Decree 42/04, Code of Cultural Heritage and Landscape; in particular, the legal nature of the constraint measure according to administrative jurisprudence and the most accredited doctrine.
Sommario: 1. Sul procedimento vincolistico – 2. Natura del procedimento di imposizione del vincolo - 3. Discrezionalità tecnica o…? - 4. Conclusioni Bibliografia.
- Sul procedimento vincolistico
Al procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, ovvero la procedura di imposizione del vincolo sui beni di proprietà privata – implicante misure fortemente restrittive del diritto di proprietà – diretta ad accertare la sussistenza di quell’interesse culturale elemento indispensabile per sottoporre un bene alle disposizioni codicistiche tutorie, sono dedicati gli articoli dal 13 al 16 del Titolo I, rubricato “Tutela”, della Parte II, dedicato ai “Beni Culturali”, del D.Lgs. n. 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (di seguito, Codice). Tale procedura trova disciplina già nella legislazione degli anni Trenta, ovvero nella Legge n. 1089/1939, in particolare agli articoli 2 e 3 si prevedeva un regime di vincolo – di cui era competente il Ministero della Pubblica Istruzione – per le cose immobili di interesse particolarmente importante per il loro riferimento alla storia politica, artistica, letteraria e della cultura in genere.
Del procedimento – riguardante, secondo la normativa del 2004, le cose di cui al comma 3, dell’articolo 10 – avviato dal soprintendente, anche su motivata istanza della Regione o di ogni altro ente territoriale direttamente interessato, occorre darne comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, della cosa oggetto della procedura, incluse anche le persone giuridiche senza fine di lucro. Nella comunicazione, da inviare anche al Comune ed alla Città metropolitana[1] se relativa a complessi immobiliari – ovvero aree di notevole estensione o comprendenti proprietà di un grande numero di soggetti – sono riportati gli elementi indentificativi della cosa oggetto del procedimento ed i criteri di valutazione risultanti dalle prime indagini effettuate sulla medesima cosa, l’indicazione degli effetti previsti dalle disposizioni tutorie – secondo il comma 4 dell’articolo 14 – e, inoltre, l’indicazione dei termini – non inferiore ai trenta giorni – entro cui presentare eventuali rilievi. Tale comunicazione comporta, altresì, l’applicazione, in via cautelare, delle disposizioni codicistiche sia in materia di vigilanza ed ispezione – a cui provvede, secondo la normativa vigente, il Ministero competente – sia in relazione alle eventuali misure di protezione o, se del caso, di alienazione ed altre modalità trasmissive. Gli effetti, di cui al citato comma 4, cessano nel momento in cui scadono i termini – stabiliti dal Ministero, in ossequio alla normativa vigente in materia di procedimento amministrativo[2] – del procedimento di dichiarazione. Alla sopra citata comunicazione segue l’avvio dell’istruttoria[3], a conclusione della quale il Ministero adotta il relativo provvedimento vincolistico tutorio. Riguardo, invece, quelle cose, appartenenti a chiunque, che rivestono un eccezionale interesse di carattere storico, artistico, archeologico od etnoantropologico[4] e che concorrono ad integrare e completare il patrimonio culturale della Nazione – ai sensi della lett. d-bis), comma 3, articolo 10 – l’adozione del provvedimento di vincolo spetta al competente organo centrale del Ministero, ovvero la Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, a cui spettano le funzioni ed i compiti relativi alla tutela dei beni del patrimonio culturale.[5]
A conclusione del procedimento[6], il provvedimento di imposizione del vincolo – secondo il dispositivo dell’articolo 15 – è notificato al privato, proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo del bene oggetto del procedimento, per il tramite di messo comunale o per posta, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. Nel caso in cui per le cose oggetto del procedimento sia obbligatoria la pubblicità immobiliare o mobiliare, il provvedimento vincolistico è trascritto – su input del competente soprintendente – nei relativi registri, acquisendo efficacia nei confronti di ogni successivo privato, proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo della medesima cosa. Secondo la dottrina[7], la notifica e la successiva trascrizione[8] attengono alla fase integrativa dell’efficacia, poiché l’organo competente, dopo l’adozione del provvedimento dichiarativo, deve provvedere a notificarlo. Sull’argomento, la giurisprudenza amministrativa è quasi unanime: si cita il T.A.R. Campania, Sez. I, Sentenza n. 5325/2001, secondo cui con la notificazione – ovvero al privato identificato come tale dall’Agenzia del Catasto, risultante quindi proprietario del bene – non si costituisce il vincolo, che risulta già perfezionato indipendentemente da essa[9], ma mira alla conoscenza legale degli obblighi derivanti dal provvedimento adottato dall’amministrazione competente sulla base di valutazioni inerenti la cosa oggettivamente considerata e non riguardanti l’identità dei soggetti privati. Nella stessa direzione, il T.A.R. Emilia Romagna, Sez. II, Sentenza n. 2031/2006, che ha ribadito lo stesso principio, ovvero che la notificazione del provvedimento non ha funzione costitutiva del vincolo, ma è volta esclusivamente a mettere a conoscenza, del proprietario o possessore o detentore della cosa, dei consequenziali obblighi giuridici incombenti, dimodoché il vincolo storico-artistico è perfetto prescindendo dalla notificazione ex articolo 15, Codice. Dello stesso orientamento, il T.A.R. Veneto, Sez. II, con la Sentenza n. 2900/2006, statuisce che “…il sistema della trascrizione, dal quale risulta il tipo di vincolo e a cui si ricollega la pubblicità immobiliare, è soggetto al principio di autoresponsabilità, secondo cui essendo la nota di trascrizione atto di parte, gli effetti connessi alla formalità della trascrizione si producono in conformità e in stretta correlazione con il contenuto della nota stessa”.
Proseguendo l’analisi delle disposizioni codicistiche in argomento, è altresì compito del Ministero della Cultura istituire e gestire un elenco, anche su sopporto informatico, dei beni dichiarati di interesse culturale.[10] (Comma introdotto con la novella del D.Lgs. n. 62/2008, all’art. 2).
Ai sensi dell’articolo 16, il provvedimento vincolistico può essere impugnato – per motivi di legittimità o di merito – presentando apposito ricorso[11] davanti al competente Ministero, entro il termine di trenta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato.[12] In tal caso gli effetti di tale provvedimento sono sospesi, ferma restando l’applicazione, in via cautelare, delle disposizioni tutorie.[13] Il Ministero, sentito il competente organo consultivo,[14] si pronuncia sul ricorso, con espressa motivazione,[15] entro il termine di novanta giorni dalla presentazione dello stesso. Nel caso l’organo decidente accolga il ricorso per altri motivi di legittimità o per motivi di merito, l’atto è annullato o riformato salvo, ove occorra, il rinvio della questione all’organo che lo ha emanato.
- Sulla natura del procedimento di imposizione del vincolo
Sulla natura giuridica del procedimento vincolistico si rinviene una cospicua letteratura. Secondo autorevole dottrina (fra tutti, CANTUCCI M.; SANDULLI M.), tale manifestazione di volontà della pubblica autorità amministrativa ha carattere costitutivo, quindi atto di accertamento costitutivo della culturalità della res, come d’altronde recita l’articolo 2, comma 2, Cod., dove sono definiti ‘beni culturali’ non solo le cose, mobili ed immobili, che presentino interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico, ma anche “le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge”, ovvero individuate dal procedimento dichiarativo disciplinato appunto dalla legge. Secondo tale indirizzo, la sottoposizione del bene alle disposizioni codicistiche di tutela non scaturisce dall’esercizio di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione competente, ma da un’adeguata attività di analisi, di studio e ricerca. Inoltre, per la dottrina l’interesse culturale “non è un attributo, per così dire, connaturato alle cose stesse o inerente a fatti del mondo esterno da chiunque rilevabili, bensì (…) un attributo la cui apposizione è un prodotto del diritto (vale a dire un effetto giuridico): altrimenti non ne sarebbe necessaria la ‘notifica’, essendo sufficienti le cognizioni comuni”:[16] dunque, non essendo previsto l’obbligo di notifica a tutti i soggetti interessati dall’atto – interessati dai relativi effetti giuridici – tale notificazione non integra la fattispecie dell’atto recettizio.[17] In uno scritto del 1954, rinveniamo le argomentazioni del Sandulli secondo cui, poiché al bene si attribuisce un carattere eminentemente giuridico, la dichiarazione di vincolo non può non avere natura costitutiva. Da par suo, il Cantucci afferma che il bene “è un’entità extragiuridica che si qualifica giuridicamente, in quanto si presenta un interesse che può essere tutelato dal diritto”.[18] A sostegno di tali tesi, numerosa la giurisprudenza amministrativa. Si cita, ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 7 aprile 1981 n. 140, in cui viene sottolineata la natura di atto provvedimentale accertativo, avverso il quale è possibile presentare impugnativa, nei limiti stabiliti dalla legge, ai fini del riconoscimento del valore monumentale di un determinato bene. Sulla natura costitutiva del provvedimento, il Consiglio di Stato, sez. VI, n. 71/1981, afferma che “va distinto il momento dichiarativo del vincolo cui va sottoposto il bene dal momento costitutivo del vincolo stesso, in quanto si tratta di una sequenza procedimentale nella cui prima fase dall’amministrazione competente viene riconosciuta nel bene di cui trattasi una determinata qualità, mentre nella successiva fase tale determinazione viene dalla stessa amministrazione portata a conoscenza del privato interessato, a carico del quale, dalla data di tale notificazione, derivano gli obblighi previsti dalla legge”. Secondo la giurisprudenza amministrativa, dunque, la dichiarazione di interesse storico-artistico altro non è che un atto di accertamento costitutivo, risultato dell’attività tecnico-discrezionale dell’autorità amministrativa competente (Cons. di Stato, sez. IV, n. 1496/2003).
Secondo un diverso orientamento dottrinario, (CALAMANDREI P.; BIAMONTI L.; GRISOLIA M.; TAMIOZZO R.; MANSI A.; AICARDI N.; ALIBRANDI T.; CERULLI IRELLI V.), l’atto vincolistico è atto dichiarativo, essendo la notifica conditio sine qua non affinché il provvedimento possa dispiegare i propri effetti giuridici:[19] secondo questo indirizzo, la notificazione completa la fase denominata di ‘integrazione dell’efficacia’, essendo atto recettizio[20] dispiega i propri effetti nei confronti del destinatario dal momento in cui si riceve apposita comunicazione.[21] Ciò trova anche fondamento sul presupposto che il provvedimento di vincolo rientri nell’ambito dell’attività vincolata dell’amministrazione (GIANNINI M.S., 1939): trattasi di giudizi di discrezionalità tecnica non amministrativa, “…malgrado il carattere fortemente valutativo che possiedono siffatti giudizi, essi rimangono nell’ambito dell’apprezzamento tecnico, e non debordano nella potestà discrezionale: abbiamo sempre dei giudizi tecnici, giuridicamente distinti dai giudizi di opportunità e dal momento decisionale”;[22] giudizi di valutazione sulla base di una comparazione tra il primario interesse pubblico e gli eventuali interessi secondari: secondo Giannini, infatti, “il momento essenziale della discrezionalità è quello in cui si individuano e si raffrontano i vari interessi concorrenti: la fissazione comparativa del loro valore rappresenta la soluzione di questa operazione, spesso faticosa e piena di delicatezza, anche per la responsabilità morale e materiale che si addossa il titolare del potere discrezionale”;[23] a proposito della valenza storico-artistica della cosa oggetto del procedimento, Giannini aggiunge poi che la qualità culturale di un bene non è attribuita dall’ordinamento giuridico, ma è connaturata alla “dimensione metagiuridica qualificata” da cui deriva una nozione giuridica di bene culturale dal carattere “liminale” dai confini aperti.[24] Per l’Aicardi, la qualità oggettiva del bene è fondamento del provvedimento vincolistico – è evidente, quindi, la natura dichiarativa del provvedimento stesso – perché tale proprietà è “intrinsecamente presente in esso. Quest’ultima tesi appare preferibile, ove si consideri che l’interesse culturale di un bene non viene creato dal provvedimento amministrativo, che si limita a riconoscerlo, rivelarlo e dichiararlo pubblicamente, ma esiste sin dall’origine”:[25] un provvedimento finalizzato, dunque, ad accertare – una vera e propria ricognizione delle peculiarità del bene – valori e caratteri connaturati, fin dall’origine, alla cosa oggetto del procedimento. È questa la posizione anche del Tamiozzo, secondo cui il vincolo storico-artistico non rappresenta la condizione indispensabile affinché il bene sia sottoposto alla disciplina tutoria “ma lo è solo ed unicamente la qualità (‘culturale’) insita nel bene”.[26] A conforto di tale concetto una datata pronuncia della Consulta, la Sentenza n. 56/1968, con cui il Giudice delle Leggi afferma che “la legge imprime (…) un certo carattere a determinate categorie di beni, identificabili a priori per caratteristiche intrinseche”, aggiungendo, altresì, che costituendo i beni di interesse storico-artistico una “categoria di interesse pubblico”, l’amministrazione preposta “acclara la corrispondenza delle concrete sue qualità alla prescrizione normativa”: una conferma, quindi, della tesi accertativa del provvedimento di imposizione del vincolo sui beni di interesse storico e artistico di appartenenza privata, frutto dell’attività tecnico-discrezionale esercitata dall’autorità ammnistrativa competente.[27] Un indirizzo confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, ovvero il carattere dell’atto vincolistico quale atto di accertamento costitutivo, riconducibile alla competenza discrezionale dell’amministrazione competente in materia (Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2003, n. 1496).
Riguardo la efficacia della dichiarazione di interesse culturale, è ormai prevalente la tesi dell’atto come accertamento[28] costitutivo, il cui presupposto è rappresentato da un giudizio di valutazione tecnico discrezionale[29] da parte dell’amministrazione – non sindacabile[30] quindi tranne nei casi previsti dalla già richiamata normativa in materia di procedimento amministrativo – il cui fondamento è il perseguimento di un interesse di carattere pubblico, ovvero il godimento e la fruizione da parte della collettività:[31] oggetto del decreto ministeriale – con cui è imposto il provvedimento vincolistico storico-artistico – è, dunque, un atto ricognitivo vincolato sulla culturalità della res da cui deriva, tramite la notifica,[32] l’applicazione del relativo regime giuridico di carattere speciale, ovvero le disposizioni codicistiche tutorie.
L’indirizzo accertativo/costitutivo è confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale: secondo il Giudice delle leggi, il valore culturale dei beni va accertato mediante provvedimento amministrativo discrezionale tecnico, ovvero la ‘dichiarazione di interesse culturale’, compresa nella fattispecie degli atti di accertamento costitutivo, risultato dell’attività discrezionale tecnica dell’Amministrazione; aggiunge la Corte che tale valore, essendo connaturato ai beni, prescinde dall’atto formale di valutazione della P.A., in quanto la qualità culturale è intrinseca alla res, dunque già posseduta (si vedano le sentenze n. 56/1968[33]; n. 79/1971[34]; n. 9/1973[35]; n. 202/1974[36] e n. 118/1990). A favore dell’orientamento sulla natura costitutivo-accertativa del provvedimento vincolistico, ricca è la giurisprudenza amministrativa, ex plurimis, le sentenze della sez. VI, Consiglio di Stato, n. 561/1999; 330/1999; sez. I, n. 482/1999; e sez. VI, n. 4566/2002, in cui è affermata la natura dell’atto vincolistico, qualificato come ‘atto di accertamento’, o come ‘certazione’, del pregio storico-artistico del bene oggetto del procedimento de quo.[37] Tale orientamento è ribadito da altra autorevole dottrina, secondo cui il provvedimento vincolistico non è finalizzato a riconoscere la “qualità intrinseca posseduta ab origine” dal bene oggetto del procedimento, ma piuttosto mira ad accertare la sussistenza di tutti quegli elementi essenziali affinché il bene medesimo possa considerarsi ‘culturale’ nella condizione in cui si rinviene.[38] L’imposizione del vincolo comporta – come conseguenza giuridica – l’applicazione del relativo regime tutorio e, dunque, la limitazione del diritto di proprietà sul bene dichiarato ‘d’interesse culturale’, traducendosi in interventi autoritativi, a carico del titolare di diritti sul manufatto d’arte, idonei a limitare la facoltà di godimento sulla proprietà, giacché il proprietario, possessore o detentore del bene medesimo non può disporne liberamente ma sottostare alle relative disposizioni codicistiche in materia, ciò in linea con la funzione sociale[39] – configurando un ‘diritto alla cultura’[40] – attribuita ai beni dichiarati di interesse storico e artistico, imperniata sul godimento e la fruibilità dal parte della collettività. A prevalere, dunque, sul diritto dominicale dei privati è l’interesse pubblico connesso all’interesse storico-artistico, riconosciuto dalla preposta amministrazione mediante accertamento tecnico-discrezionale, sul bene vincolato. Tale posizione si rileva nella giurisprudenza costituzionale, in particolare nella Sentenza n. 202/1974, ove si afferma che l’imposizione del vincolo prevede una compressione del diritto di proprietà, in quanto “riconoscendo l’inerenza di un pubblico interesse rispetto alla categoria dei beni (…) ne disciplina il regime, accordando alla pubblica amministrazione il potere di imporre dei limiti all’esercizio dei diritti privati in relazione ad un preciso interesse pubblico in base ad apprezzamento tecnico sufficientemente definito e controllabile, la cui discrezionalità è chiaramente determinata”: nella ponderazione degli interessi coinvolti l’Amministrazione imponendo, quindi, il vincolo sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale, non espropria il regime proprietario sul bene ma ne limita l’uso nel superiore interesse della collettività alla fruizione e pubblica godibilità.
- Discrezionalità tecnica o…?
Secondo la giurisprudenza, i provvedimenti di dichiarazione dell’interesse culturale – il cui iter è avviato dalle locali soprintendenze competenti territorialmente dove risulta ubicato il manufatto d’arte (ai sensi del comma I, art. 14, Cod.) – emessi dall’amministrazione competente in materia, ovvero il Ministero della Cultura (comma VI, art. 14, Cod.), essendo valutazioni di natura tecnico-discrezionale, sono soggetti al sindacato giurisdizionale[41] solamente ove ricorrano motivi di palese illogicità ed irragionevolezza, in quanto errori di fatto.[42]
Sovente l’amministrazione applica regole non comprese nell’ambito giuridico, ma appartenenti al campo scientifico (come, ad es., l’ingegneria, la medicina, la biologia); in tal caso, allo scopo di regolare il rapporto instauratosi tra norma giuridica e disciplina scientifica, la legislazione rinvia alla norma tecnica e, quindi, a concetti giuridici indeterminati: l’adozione di un provvedimento amministrativo, di tipo discrezionale o vincolato, dipende quindi dall’applicazione della norma tecnica che, a volte, però non stabilisce un esito univoco. Sulla base di ciò, quando l’amministrazione pubblica procede ad una valutazione di tipo discrezionale, l’analisi di fatti o situazioni è attuata ricorrendo a cognizioni tecnico-scientifiche (o più in generale specialistiche), ricavate dalle discipline umane: tuttavia, le regole tecniche sono il risultato di scienze inesatte e, quindi, valutazioni opinabili: la discrezionalità tecnica[43] è, pertanto, valutazione (o accertamento) di fatti compiuta alla stregua di regole scientifiche.
Sul concetto di discrezionalità, si richiama qui la tesi di Massimo Severo Giannini (1939) secondo il quale trattasi di “una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati che concorrono in una situazione sociale oggettiva, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene abbia nella fattispecie”. Altra autorevole dottrina sottolinea, invece, l’elemento in comune tra discrezionalità pura e discrezionalità tecnica, ossia “un aspetto comune, dato dall’esigenza che una scelta venga compiuta dall’amministrazione e dal fatto che spesso la soluzione prescelta è opinabile, perché le conoscenze specialistiche non consentono di individuarne la migliore in modo oggettivo indiscutibile” (MATTARELLA B.G., 2006). Secondo recente giurisprudenza amministrativa, in tema di opinabilità del risultato è stato, altresì, affermato che “è cosa diversa sia dalla discrezionalità amministrativa sia dalla scelta che afferisce al merito amministrativo, scelta quest’ultima che non può essere sindacata dal giudice amministrativo se non nelle ipotesi tassative di giurisdizione di merito previste dall’art. 134, c.p.a.”; fuor di dubbio che esistono differenze tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica, ossia l’assenza della decisione nella valutazione tecnico-discrezionale: pertanto, “la discrezionalità tecnica si riferisce al momento conoscitivo ed implica un giudizio e non una scelta, non una manifestazione di volontà” (Consiglio di Stato, Adunanza di Sezione, n. 1958/2020). In definitiva, secondo autorevole dottrina l’attività tecnico-discrezionale è attività di valutazione della concreta presenza dell’interesse pubblico da tutelare, costituendo “la base su cui si eserciterà poi la discrezionalità amministrativa”, equiparata al merito amministrativo in quanto valutazione di interessi legittimi: “la discrezionalità tecnica costituisce un prius logico, rispetto all’esercizio della discrezionalità amministrativa” (VOLPE F., 2008).
Le posizioni della dottrina tradizionale sulla discrezionalità tecnica sono molteplici e complesse: sulla discrezionalità tecnica come ponderazione di fatti sulla base di norme tecniche, rispetto alla discrezionalità amministrativa con cui si acquisiscono e valutano i fatti, deriva l’orientamento secondo cui la prima consiste solamente “nell’analisi di fatti complessi e non anche nella valutazioni di interessi” (CARINGELLA F., 2018). Ciò, d’altronde, è in linea – voltando lo sguardo all’indietro – con quanto sostenuto da Federico Cammeo (1914), secondo cui la discrezionalità tecnica, forma di accertamento tra le più significative nell’ambito del diritto amministrativo, riguarda la valutazione di fatti complessi. A livello giurisprudenziale, per lungo tempo non vi è stata una netta e chiara distinzione tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica: secondo Daria De Pretis (1998), per la giurisprudenza la discrezionalità tecnica era classificata come una particolare tipologia di discrezionalità amministrativa, non essendo superata, in relazione al profilo definitorio, la separazione tra “attività valutativa discrezionale in senso stretto (in quanto avente ad oggetto una valutazione comparativa tra interessi) e attività discrezionale c.d. tecnica (in quanto diretta alla valutazione di un fatto di qualificazione opinabile)”; dunque, inquadrata (la discrezionalità tecnica) nel merito amministrativo, ma sottratta al sindacato del giudice amministrativo: come, ad esempio, nel T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, n. 118/1992, che afferma: “la discrezionalità tecnica comporta un potere di valutazione dei fatti – costituenti presupposto dell’azione amministrativa – alla stregua di conoscenze o regole tecniche e scientifiche, per cui il suo esercizio attiene al merito e non alla legittimità dell’attività della P.A.; da ciò si deduce che gli atti predetti sono sottratti in via generale al sindacato del giudice di legittimità”. Per dovere di sintesi, tra le varie posizioni dottrinarie in materia, la summa questio è la presenza o meno di un potere di scelta da parte dell’amministrazione: da un lato, vi è chi ritiene che l’amministrazione compia una scelta sulla base di regole e criteri tecnico-scientifici (Cfr. RANELLETTI O., 1912); dall’altro, vi è invece chi esclude del tutto una scelta discrezionale in quanto applicando una regola tecnica i risultati sono univoci e determinati (Cfr. BARONE G., 1989). Tra le due definizioni, a prevalere è piuttosto la disomogeneità: da un punto di vista concettuale, vi è una netta separazione tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica, il cui discrimen è la ‘opinabilità’, ora maggiore ora minore, degli esiti in sede di applicazione delle regole tecnico-scientifiche (Cfr. VILLATA R. - RAMAJOLI M., 2017). Nel sintetico quadro delineato,[44], acquisisce rilievo peculiare la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2292/2000: è necessario che il giudice amministrativo abbia a disposizione “strumenti istruttori adeguati per sottoporre a verifica diretta le c.d. operazioni tecniche svolte dall’amministrazione (…) né ciò implica sostituzione, nei casi dubbi od opinabili, del giudizio del giudice (…) a quello dell’amministrazione (…) quando il risultato della verifica giudiziale si sia positivamente concluso, nel senso che il giudizio tecnico dell’amministrazione risulti corretto pur se opinabile, anche il sindacato giudiziale di legittimità deve ritenersi positivamente esaurito, nel senso della legittimità del provvedimento finale”. Un punto fermo nelle molteplici teorie, è rappresentato dalla Sentenza n. 5921/2011, della sez. VI, del Consiglio di Stato, che, in linea con l’orientamento più recente, afferma la discrezionalità tecnica come uno dei presupposti per l’esercizio del potere amministrativo, basato sulla valutazione di fatti complessi, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, escludendo eventuali interessi secondari.
In relazione alla dichiarazione di interesse culturale di un bene, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’Amministrazione procedente in sede di motivazione del provvedimento può limitarsi ad elencare solamente alcuni elementi peculiari esterni oggetto della valutazione del particolare pregio storico-artistico del bene immobile. Ciò non implica però che il provvedimento vincolistico sia circoscritto solo alle parti esterne dello stesso escludendone le parti interne, ma piuttosto riguardi l’edificio nella sua globalità; pertanto, il fondamento del vincolo non si può ricavare esclusivamente dalla sua motivazione. In definitiva, l’immobile sottoposto a vincolo storico-artistico, in quanto testimonianza materiale di civiltà, va valutato in modo unitario, tranne che non sia specificamente previsto il contrario (C.d.S., sez. VI, n. 3545/2013).
Altrettanto copiosa è la giurisprudenza amministrativa in merito all’esercizio del potere discrezionale esercitato dalla competente amministrazione in sede di valutazione dell’interesse culturale ai fini dell’imposizione del vincolo storico-artistico. Nello specifico, sulla natura discrezionale della valutazione, il Consiglio di Stato, sez. VI, con la Sentenza n. 3560/2015 ha rimarcato come il fondamento della dichiarazione di interesse storico-artistico sia l’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione preposta all’imposizione del vincolo, ciò sulla base della valutazione dell’idoneità delle risultanze in grado di esprimere quel valore culturale indispensabile per applicare le disposizioni tutorie. Nella stessa direzione, la Sentenza n. 3197/2016, sez. VI, del Consiglio di Stato, secondo cui “la funzione di tutela del bene culturale si traduce nell’esercizio di discrezionalità non amministrativa, ma tecnica (non essendo consentito che l’interesse culturale e paesaggistico – stante il primario valore costituzionale desumibile dal principio fondamentale sancito dall’art. 9 Cost. – possa essere sacrificato in nome di altri interessi) è altrettanto vero, tuttavia, che l’Amministrazione dei beni culturali ha, comunque, l’onere di verificare l’effettiva necessità e proporzionalità delle misure di tutela che prescrive”. Più recentemente, il C.G.A. Sicilia, sez. giurisdizionale, chiamato ad esprimersi in ordine al potere dell’amministrazione di valutare l’interesse culturale di un bene per l’imposizione del vincolo, con la Sentenza n. 145/2020 ha affermato che tale potere “è espressione di ampia discrezionalità tecnico-specialistica; ed è, pertanto, tendenzialmente insindacabile innanzi al giudica ammnistrativo, se non per eccesso di potere per intrinseca illogicità o travisamento dei fatti indotto da uno o più errori obiettivamente rilevabili, quali gli errori di calcolo e/o gli errori nell’applicazione di regole mutuate da scienze esatte o di regole sulle quali si basano discipline applicative di queste ultime”. Ancora più recente la Sentenza n. 5/2023 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, riguardante il vincolo culturale di destinazione d’uso[45] di un locale nel centro storico di Roma, nel caso di specie un ristorante fondato nel 1908, trasferito nel 1950 in un altro complesso immobiliare di proprietà dell’I.N.P.S. (edificio dichiarato di interesse storico-artistico), in seguito acquistato da una società immobiliare privata. Sono emersi in merito tre orientamenti giurisprudenziali: secondo un primo orientamento (si veda, C.d.S., sez. VI, n. 1266/1998; Sez. VI, n. 1003/2015; sez. V, n. 1933/2019), basato sulla necessaria distinzione tra ‘vincolo strutturale’ e ‘vincolo di destinazione d’uso’ (C.d.S., sez. IV, n. 6166/2017), non si può imporre il vincolo storico-artistico di destinazione d’uso poiché in contrasto con il diritto di proprietà e col principio della libera iniziativa economica, entrambi tutelati costituzionalmente; di fatto, sarebbe sottoposta a tutela non la res di interesse culturale ma solo la sua destinazione d’uso, ovvero l’attività esercitata, nella fattispecie l’attività di ristorazione; secondo i giudici amministrativi tale atto impositivo poggerebbe su “una visione autoritaria e svalutativa del diritto di proprietà” ed al contempo “restrittiva del principio di legalità”, equivalente ad un provvedimento espropriativo, escludendo a priori qualsiasi destinazione diversa da quella originaria. In definitiva, sono da escludere “vincoli culturali di mera destinazione” specie per attività commerciali o imprenditoriali, anche se in presenza di valori storici, culturali e filosofici. Secondo un altro orientamento, è ammissibile un vincolo culturale di destinazione d’uso ove questo fosse “funzionale ad una migliore conservazione della res”; nonostante, quindi, il tendenziale divieto dei vincoli culturali di destinazione d’uso (si vedano, C.d.S. sez. VI, n. 5004/2006; sez. VI, n. 2009/2008; sez. IV, n. 3255/2013), è introdotta una deroga alla regola generale nel caso sussistano presupposti eccezionali, ovvero ogni qualvolta il bene subisca “una trasformazione particolare con una specifica destinazione per un’iniziativa storico-culturale di rilevante importanza”: in tal caso il vincolo è volto a tutelare direttamente il bene e non anche l’attività esercitata; riguardo, poi, la eventuale limitazione del diritto di proprietà privata derivante dall’imposizione di un vincolo di destinazione, questo è ricomprendere nella sfera del potere conformativo dell’Amministrazione in relazione ad alcune tipologie di beni. Vi è, infine, un terzo orientamento giurisprudenziale – prevalente, secondo la Plenaria – secondo cui l’imposizione del vincolo di destinazione d’uso va valutata sulla base di un’adeguata motivazione amministrativa, senza ricorrere a deroghe predeterminate: il provvedimento vincolistico di destinazione trova, pertanto, la sua legittimità a fortiori in relazione alla tutela di “espressioni di identità culturale collettiva” (ex articolo 7-bis, Codice), al fine di preservare sia la res sia le evidenze immateriali ad essa collegata, ovvero “la continuità del processo di condivisione, riproduzione e trasmissione delle manifestazioni immateriali”.[46]
Sulla liceità dei vincoli culturali, in passato è intervenuta la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 118/90: la Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della Legge n. 1089/1939 in conformità all’articolo 9 della Costituzione, rigettando la questione di legittimità, ha affermato che “il valore culturale dei beni di cui all’art. 2, l. n. 1089/39, al cui genere appartengono quelli di cui trattasi, è dato dal collegamento del loro uso e della loro utilizzazione pregressi con accadimenti della storia, della civiltà o del costume anche locale. In altri termini, essi possono essere stati o sono luoghi di incontri e di convegni di artisti, letterati, poeti, musicisti, ecc.; sedi di dibattiti e discussioni sui più vari temi di cultura, comunque di interesse storico-culturale, rilevante ed importante, da accertarsi dalla pubblica amministrazione competente. La detta utilizzazione non assume rilievo autonomo, separato e distinto dal bene ma si compenetra nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale e, quindi, non può essere protetta separatamente dal bene”;[47] per il Giudice delle leggi, la tutela dei beni attuata attraverso il vincolo di destinazione trova il suo fondamento “nella funzione sociale che la proprietà privata deve svolgere”, ai sensi dell’art. 42, Cost.: il vincolo sul bene si riverbera, quindi, anche sull’attività economica che deve comunque rimanere libera, “salvo il suo indirizzo e coordinamento a fini sociali a mezzo leggi”.
Da quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la protezione del bene si estende anche al suo uso, giacché ciò contribuisce alla rilevanza culturale dello stesso bene. La Plenaria si è uniformata a tale orientamento: la valutazione dell’Amministrazione non può non documentare che eventuali usi della res differenti dagli attuali ne possano compromettere i caratteri storico-artistici e, finanche, l’integrità materiale. (In sostanza, l’Amministrazione può solamente prescrivere un divieto di usi diversi da quelli consoni, tutelando in tal modo sia il bene sia i valori ad esso connaturati, ma non può imporre la prosecuzione di una determinata attività economica o che essa continui con lo stesso soggetto). Vi sono anche casi in cui alcune attività rivestono interesse storico, con cui la comunità locale si identifica, seppur il bene sia privo di valore storico – il riferimento è a quei luoghi che evocano ricordi, sensazioni, percezioni visive, tratte dalla propria memorizzazione o dal proprio vissuto legati a determinate attività concentrate in un quid composito con cui le comunità locali tendono ad identificarsi: un patrimonio culturale immateriale da preservare – : in tali ipotesi l’imposizione del vincolo di destinazione d’uso, mediante l’esercizio del potere di pianificazione territoriale, si giustifica per l’assoluta centralità identitaria che l’attività, diventata nel tempo essenziale con la sua “stratificazione del costruito”, riveste per la comunità, ritenuta utile a rappresentare il passato e tramandarlo alle future generazioni (v. C.d.S., sez. IV, n. 5029/2018). In definitiva, il ‘vincolo di destinazione come modalità d’uso’ è uno strumento di tutela del bene culturale, compreso nella sfera dei poteri attribuiti al Ministero della Cultura – nel cui ambito rientra il procedimento di ‘dichiarazione dell’interesse culturale’, inerente i beni di appartenenza privata ma di interesse pubblico,[48] normato dall’articolo 13, Codice – [49] la cui legittimità poggia su una motivata valutazione da parte della preposta autorità amministrativa come esito di una idonea e proporzionata istruttoria: nello specifico, il presupposto di tale provvedimento vincolistico è la sussistenza nella res di valori culturali, estetici e storici da preservare, “avendo riguardo al riferimento della res alla storia della cultura e alla rilevanza artistica degli arredi ivi conservati” (v. C.d.S., sez. VI, n. 723/1983), con ciò precludendo ogni uso incompatibile con la conservazione del bene: conclude la Plenaria sottolineando che la motivazione del provvedimento dovrà essere “adeguata e sorretta dalla rappresentazione delle ragioni per le quali il valore culturale espresso dalla res non possa essere salvaguardato e trasmesso se non attraverso la conservazione del suo pregresso uso che, compenetratosi nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale, è divenuto ad esso ‘consustanziale”.
Alla luce della giurisprudenza amministrativa (ex multis, C.d.S., sez. I, n. 849/2020; C.d.S., sez. I, n. 1058/2022), è stato costantemente affermato – da tempo ormai – che il potere di valutazione riconosciuto all’amministrazione riguardante la procedura di apposizione del vincolo tutorio (sia monumentale che paesaggistico) è espressione di discrezionalità particolarmente lata della P.A., poiché comporta l’utilizzo di competenze tecnico-scientifiche specialistiche – che in quanto contraddistinte da ampi margini di opinabilità non sono oggetto del sindacato di merito del giudice, ma contestabili solamente per eventuali vizi di legittimità – restando, pertanto, oggetto dell’apprezzamento discrezionale (sindacabile esclusivamente sotto il profilo della illogicità, irragionevolezza ed abnormità delle decisioni adottate) dell’autorità preposta alla valutazione sulla sussistenza o meno del valore culturale del manufatto da tutelare nell’interesse preminente della collettività.
- Conclusioni
Per quanto sopra premesso, è ormai acclarato – per consolidato orientamento sia della dottrina sia della giurisprudenza – che il provvedimento vincolistico con cui viene accertata la sussistenza dell’interesse culturale dei beni di appartenenza privata rientra tra gli atti di accertamento/costitutivo, espressione di un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa dell’amministrazione competente; tale giudizio in quanto valutazione di fatti complessi richiedenti particolari competenze è da analizzare sulla base del parametro dell’attendibilità tecnico-scientifica: la cosiddetta ‘discrezionalità tecnica’ (distinta dalla ‘discrezionalità amministrativa’): stante l’esigenza di uniformità e di oggettività nella formulazione del giudizio di valutazione da parte dei tecnici del settore – dagli storici dell’arte agli antropologi, dagli architetti agli urbanisti, a supporto dell’amministrazione pubblica – il provvedimento ministeriale di tutela comporta, dunque, un apprezzamento basato non sulle acquisizioni di scienze esatte, bensì su elementi di natura storica e filosofica, sovente strettamente correlati al contesto territoriale di riferimento, per loro natura in continua e progressiva evoluzione proprio dal punto di vista epistemologico: un processo di ‘valutazioni semiotiche’ delle opere d’arte – storico artistiche ed architettoniche – e dei relativi contesti. (A tal proposito, è piuttosto recente la Sentenza del Cons. Stato, n. 8074/2023, ove il giudice amministrativo afferma che “i diversi campi del sapere” non sono fissi ma mobili, ossia aleatori – siamo nell’ambito delle ‘scienze non esatte’, in cui il risultato delle valutazioni non è da ritenere vincolante, bensì intrinsecamente opinabile, proprio per la mancanza di certezze oggettive – ; in sostanza, prosegue, “il laboratorio” delle competenze tecnico-scientifiche, utile a definire la valenza culturale della cosa, non è legato ad un determinato periodo storico, anzi piuttosto si alimenta con le continue mutevoli conoscenze che tale sapere è in grado di esprimere; ciò per evitare una ‘pietrificazione’ delle nozioni ed il conseguente rischio di fondare la valutazione discrezionale su “meri arbitri del giudizio”. Pertanto, è innegabile che solamente la dimensione tecnica della tutela – una effettiva ed efficace azione di conservazione e protezione dei beni culturali non può che poggiare, dunque, su valutazioni tecnico-scientifiche derivanti proprio da quel “laboratorio [mutevole] di saperi”, il cui tratto distintivo è proprio la natura opinabile – concretizza il dettato costituzionale dell’articolo 9 realizzandone i precetti, ovvero l’indefettibile funzione pubblica connessa alla tutela del patrimonio culturale, normato dalla Costituzione in quanto eredità identitaria della Nazione, “valore primario e assoluto” per l’intera collettività).
Ai fini della individuazione giuridica di un bene culturale è indispensabile, quindi, procedere attraverso valutazioni tecnico-discrezionali – che rappresentano un prius logico rispetto all’esercizio della discrezionalità amministrativa – facendo ricorso ad un sistema di saperi, di cui occorre tenere ben presente le peculiarità epistemologiche: valutazioni basate su determinati parametri di congruità, relazioni tra opere e contesti artistico-culturali, cognizioni filologiche dei manufatti d’arte, accostamenti tra beni e vicende storiche: tutto quanto sia utile affinché sia identificato (giuridicamente) il bene – la rilevanza, il valore culturale ed il significato del manufatto d’arte – secondo i criteri tecnici di riferimento mediante una valutazione quanto più analitica, congrua e puntuale, in ossequio a quanto disposto dal Codice (art. 2, comma II), ovvero cose/opere testimonianze aventi valore di civiltà.
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* Professore ordinario di “Economia e Mercato dell’Arte”, “Diritto dello Spettacolo”, “Management per l’Arte” e “Beni Culturali e Ambientali” presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino.
[1] Disposizione novellata dall’art. 2 del D.Lgs. n. 156/2006.
[2] Il riferimento è alla Legge n. 241/1990 – che stabilisce i principi generali sul procedimento amministrativo, recepiti dal Codice in materia di tutela del patrimonio culturale – modificata ed aggiornata, in ultimo, dal D.L. 14 aprile 2023, n. 39 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 13 giugno 2023, n. 68), secondo cui i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi entro novanta giorni dal loro avvio; tali termini – i tempi effettivi di conclusione – decorrono dall’inizio dell’iter procedurale, sia se d’ufficio sia se ad iniziativa di parte. In ultimo, l’art. 20, comma 4, della sopra citata legge, stabilisce il divieto di applicazione del silenzio-assenso nei rapporti verticali tra privati e pubbliche amministrazioni preposte alla tutela dei cosiddetti ‘interessi sensibili’, tra cui quelli relativi agli atti ed ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico. Sull’argomento si veda, ex multis, SANDULLI A., Il procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1964; CROSETTI A. - FRACCHIA F. (a cura di), Procedimento amministrativo e partecipazione, Giuffrè, Milano, 2002; SANDULLI M.A., Il procedimento, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, Giuffrè, Milano, 2003; BATTINI S. - MATTARELLA B.G. - SANDULLI M.A., Il procedimento amministrativo, in NAPOLITANO G. (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Giuffrè, Milano, 2007; MERUSI F. - FIORITO A. - CIAGLIA G. - GIOMI V. - BERTANI A., Lezioni sul procedimento amministrativo, Edizioni Plus, Pisa, 2009; CLARICH M. - FONDERICO G. (a cura di), Procedimento amministrativo, Ipsoa, Milano, 2015; CARINGELLA F., Manuale di diritto amministrativo, Dike, Roma, 2017.
[3] Sull’istruttoria – di cui la disposizione in esame non fa menzione – l’organo competente territorialmente, ovvero la soprintendenza, può scegliere di avvalersi, in sede di indagine logico-scientifico, di qualsiasi strumento utile – dai consulenti tecnici esperti ai critici d’arte – al fine di accertare la effettiva sussistenza dell’interesse culturale. Nel provvedimento finale, è necessario ricostruire l’attività istruttoria compiuta dagli uffici competenti – in particolare, a quali strumenti tecnico-scientifici si è fatto ricorso – menzionando, altresì, gli elementi su cui si basa la valutazione ai fini della dichiarazione vincolistica; la motivazione del provvedimento deve essere, dunque, completa ed esaustiva. Secondo autorevole dottrina (SANDULLI A., 1966), l’istruttoria si concretizza “nel compimento degli atti necessari a riscontrare ed a vagliare i dati di fatto e gli interessi rilevanti in ordine all’atto da adottare ed ai suoi presupposti di fatto e di diritto”. Sulla rilevanza dell’attività istruttoria nel processo decisionale, ancorato a valutazioni discrezionali da parte dell’organo amministrativo, si citano la Sentenza n. 81/2013 della Corte Costituzionale, in cui si sottolinea come nell’ambito della fase dell’istruttoria “possono affiancarsi ed intrecciarsi complesse valutazioni che assumono indubbiamente un particolare rilievo politico” e l’Ordinanza n. 1274/2016 del Consiglio di Stato, sez. V, secondo cui il sindacato giurisdizionale sulla decisione finale è esercitabile ogni qualvolta si configuri “manifesta illogicità, travisamento dei fatti, difetto o inadeguatezza dell’istruttoria, tali da rendere evidente lo sconfinamento del potere riconosciuto all’amministrazione”. Sempre secondo Sandulli, l’istruttoria rappresenta la fase centrale dell’iter procedurale, segue l’iniziativa e precede la decisione; non è da ritenere sempre necessaria o autonoma giuridicamente, ma “potrebbe anche rivestire, frequentemente riveste, carattere interno”. Per altra autorevole dottrina (GANNINI M.S., 1993), con l’istruttoria si ricostruiscono i fatti utili ai fini della decisione finale, frutto della discrezionalità amministrativa, a fronte della ponderazione degli interessi coinvolti.
[4] In riferimento ai beni di interesse etnoantropologico, la giurisprudenza amministrativa ha stabilito che “l’imposizione del vincolo storico-artistico non richiede una ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi con l’introduzione del regime di tutela (…) sia perché la dichiarazione di particolare interesse non è un vincolo a carattere espropriativo, costituendo i beni di rilievo etno-antropologico una categoria originariamente di interesse pubblico, sia perché la disciplina costituzionale del patrimonio storico e artistico della Nazione – art. 9 Cost. – erige la sua salvaguardia a valore primario del vigente ordinamento” (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3360). La letteratura sull’argomento è piuttosto corposa, ex multis si veda, CIRESE A.M., Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo Editore, Palermo, 1971; FABIETTI U. - REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di Antropologia. Etnologia, Antropologia culturale, Antropologia sociale, Zanichelli, Bologna, 1997; CLEMENTE P. - CANDELORO I., I beni culturali demo-etnoantropologici, in ASSINI N. - FRANCALACCI P. (a cura di), Manuale dei beni culturali, Cedam, Padova, 2000; BRAVO G.L. - TUCCI R., I beni culturali demoetnoantropologici, Carocci, Roma, 2006; BORTOLOTTO C., Il patrimonio immateriale secondo l’Unesco. Analisi e prospettive, Ist. Pol. Stato, Roma, 2008; TUCCI R., Beni culturali immateriali, in Enciclopedia Italiana di Scienze Lettere e Arti, Treccani, Roma, 2015.
[5] Disposizione novellata dall’art. 1, comma 175, lett. d), Legge n. 124/2017. La locuzione ‘patrimonio culturale’ trova disciplina con l’art. 2, comma 1, Codice, in cui è identificato come un sistema complesso ed integrato di beni materiali ed immateriali, indicativi di valori tipici dell’ingegno umano ed in generale della storia dell’uomo, al contempo espressione di saperi e tradizioni, comprendenti dunque sia i beni culturali che i beni paesaggistici. Sulla rilevanza della salvaguardia del patrimonio storico-artistico ai fini della costruzione dell’identità e del sentimento nazionale dell’intera società, secondo autorevole dottrina (SEVERINI G., 2019), il patrimonio culturale è “elemento costitutivo della memoria collettiva (…) alla radice della tradizione normativa italiana di settore. Patrimonio in quanto eredità di affetti e memoria almeno pari a quella della lingua e della storia (…) svolge una funzione civile ed è parte integrante costitutiva irrinunciabile dell’identità nazionale (…) sempre presente nella tradizione giuridica italiana sia degli antichi Stati preunitari”. Per altra autorevole voce (CABIDDU M.A., 2022), nel medesimo solco, “arte e cultura costituiscono, oltre che elemento caratterizzante l’identità civile italiana, anche una dimensione antropologica fondamentale per la realizzazione dell’individuo, che trova nei principi stabiliti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, cioè nella centralità della persona libera e uguale, l’ancoraggio più saldo di un diritto alla bellezza, come diritto a una vita degna, nutrita di senso e non solo di utilità”. La giurisprudenza costituzionale individua il patrimonio culturale come un valore superindividuale e ne esalta la natura primaria dal punto di vista estetico-culturale, la cui tutela “è aderente al precetto dell’art. 9 Cost., che, secondo una scelta operata al più alto livello dell’ordinamento, assume il detto valore come primario insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro” (Corte Cost., Sentenza n. 151/1986). Sull’argomento, ex multis si veda MONTANARI T., Patrimonio culturale e identità, in MALO M. - MORANDI F. (a cura di), Declinazioni di patrimonio culturale, Il Mulino, Bologna, 2022; RIMOLI F., Profili costituzionali della tutela del patrimonio culturale, in BATTELI E. - CORTESE B. - GEMMA A. - MASSARO A. (a cura di), Il patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, Roma Tre-Press, 2017; VOLPE G., Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, Utet, Novara, 2016.
[6] Relativamente alla tempistica, il D.P.C.M. 18 novembre 2010, n. 231, rubricato “Regolamento di attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardante i termini dei procedimenti amministrativi del Ministero per i beni e le attività culturali aventi durata superiore a novanta giorni”, stabilisce il termine previsto per la conclusione del procedimento di dichiarazione e, quindi, di adozione del provvedimento vincolistico, ovvero 120 giorni, a decorrere dalla data di ricezione – da parte della competente amministrazione – di formale e documentata istanza, se il procedimento è ad iniziativa di parte; se il procedimento è d’ufficio, dalla data di avvio dello stesso.
[7] SAITTA F., 2005. Sul punto, si veda anche TUBERTINI C., Commento all’art. 15, in CAMMELLI M. (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2005.
[8] Sulla natura della trascrizione come mero atto di pubblicità, si veda Cons. Stato, Sez. VI, n. 4337/2014, in cui è affermato che “…la trascrizione del vincolo storico-artistico, una volta effettuata, e la sua notificazione nei confronti del soggetto proprietario, non richiedono ulteriori notificazioni nei confronti dei suoi successori o aventi causa (…) il vincolo culturale si radica erga omnes al momento della trascrizione del decreto appositivo, ha natura reale ed è opponibile a tutti i soggetti che diventano proprietari (…) il proprietario di un bene vincolato e trascritto nei registri immobiliari in data precedente al suo acquisto, non potrebbe esimersi dall’osservare tutte le prescrizioni che connotano la disciplina vincolistica di legge relativa al bene, non escluso l’obbligo di denuntiatio in casi di sua futura alienazione, ai fini dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione ad opera dell’autorità amministrativa”.
[9] Secondo autorevole dottrina, nel diritto pubblico il provvedimento amministrativo è valido ed efficace prescindendo dalla comunicazione agli eventuali destinatari del medesimo, per cui tale comunicazione non attiene alla fase procedimentale di efficacia dell’atto; da ciò gli atti amministrativi, secondo il diritto positivo, non sono recettivi, in quanto “i termini per impugnare un atto amministrativo decorrono oltre che dalla notifica, dalla piena conoscenza dell’atto (…) e poiché il terzo interessato a proporre ricorso può conoscere l’atto prima che sia comunicato al destinatario, è da ritenere che questo sia perfetto ed efficace indipendentemente dalla comunicazione; altrimenti i termini non potrebbero decorrere nei suoi confronti, atteso che il terzo in tanto può proporre ricorso, in quanto sussista un suo interesse attuale, ciò presuppone che l’atto impugnato sia già perfetto ed efficace” (OTTAVIANO V., 1953). Tale concezione muta con l’entrata in vigore della Legge n. 241/1990: secondo la dottrina, con la nuova normativa “la comunicazione amministrativa non appare più vincolata alla mera difesa nei confronti del provvedimento viziato, ma diviene vera e propria tecnica di legittimazione del potere amministrativo, modus operandi dell’autorità in rapporto al cittadino, momento centrale dell’agire pubblico (…) comunicazione che, a seconda dei casi, viene ad assumere le vesti dell’obbligo di trasparenza, di pubblicità, di partecipazione procedimentale”; pertanto, considerare ancora “l’attività di comunicazione quale mera operazione accessoria, eventuale e dotata di rilevanza solo integrativa alle decisioni assunte dall’autorità mediante l’attività procedimentale, è quantomeno riduttivo” (GARDINI G., 1996). Nel 2005 è stato aggiornato il testo legislativo con l’introduzione dell’art. 21/bis che, secondo la dottrina, ha “qualificato i provvedimenti amministrativi limitativi della sfera giuridica del privato come atti recettizi, la cui efficacia è cioè subordinata alla comunicazione all’interessato” (CLARICH M., 2006).
[10] A tal proposito, già da alcuni anni (2012), per iniziativa del Ministero per la Pubblica Amministrazione è attivo il “Piano eGov”, un programma di innovazione digitale nel settore dei beni culturali. In tale ambito, l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del MiBACT (oggi, MiC) ha realizzato “Vincoli in rete”, finalizzato alla consultazione e gestione degli atti di tutela dei beni culturali. Il progetto prevede l’integrazione delle procedure di aggiornamento dei vincoli, la verifica delle banche dati esistenti presso il Ministero riguardante tutti i vincoli già emessi e l’accesso alla cartografia per i rilevamenti territoriali. Nella banca dati del MiBACT è presente il “Sistema informativo Carta del Rischio” gestito dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro; il “Sistema informativo Beni Tutelati” ed il “Sistema informativo SITAP” di competenza della Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio; e, infine, il “Sistema informativo SIGECWeb” presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione”.
[11] Si applicano le disposizioni del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, recante “Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi ammnistrativi”. Si cita, come esempio, il T.A.R. Molise, Sez. I, Sentenza n. 300/2021. (Per una ricostruzione della intricata vicenda, si rimanda a PELLIZZER F. - CARUSO E., 2023).
[12] Comma modificato con la novella dell’art. 2, D.Lgs. n. 156/2006.
[13] Secondo il T.A.R. Lazio, Sez. II, Sentenza n. 32765/2010, il ricorso è esperibile prescindendo dall’esito del procedimento de quo; infatti, è prevista “la proponibilità a Ministero per i beni e le attività culturali del ricorso amministrativo avverso il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’interesse storico-artistico degli edifici, a prescindere dall’esito positivo o negativo che esso abbia avuto e dunque dal contenuto dell’atto oggetto di impugnativa, che può essere costituito dal provvedimento con cui si riscontra la presenza o meno dell’interesse storico-artistico del bene”.
[14] È organo consultivo – a carattere tecnico-scientifico in materia di beni culturali e di beni paesaggistici – il “Consiglio Superiore beni culturali e paesaggistici”. Istituito con il D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, il Consiglio esprime pareri, su richiesta dell’Ufficio di Gabinetto, del Segretario Generale o del direttore generale centrale competente, e può altresì avanzare proposte al Ministro su ogni questione di carattere generale di particolare rilievo inerente alla materia dei beni culturali e del paesaggio. È composto dai presidenti dei “Comitati tecnico-scientifici” (organi consultivi introdotti con la riforma della struttura ministeriale dettata dal D.Lgs. n. 368/1998) e da otto eminenti personalità del mondo della cultura – di cui tre su designazione della Conferenza unificata (riformata dal D.Lgs. n. 281/1997) – nominate dal Ministro, e integrato con tre rappresentanti del personale ministeriale. La durata del mandato di tale organo consultivo, il cui presidente è nominato dal Ministro tra le otto personalità di cui sopra, è di tre anni. Su natura e ruolo degli organi consultivi, è intervenuta anche la dottrina, secondo cui “…gli organi consultivi previsti dal d.lgs. n. 368/1998 si differenziano in rapporto agli ambiti tematici di riferimento (…) all’autorità referente (…), oltre che in ragione della composizione numerica e tipologica. Quest’ultimo dato si riflette sul carattere della funzione svolta: da un’attività consultiva esercitata da un unico organo e di carattere “misto” – tecnico, politico, ecc. – si è passati ad attività distinte ma specifiche: per il Consiglio e i Comitati, di natura prevalentemente o soltanto tecnica, per il Comitato per i problemi dello spettacolo, di rappresentanza di interessi settoriali, per la Conferenza, tenuto conto della composizione delle Commissioni ex art. 154 d.lgs. 112/98, di rappresentanza di interessi politico-locali” (SCIULLO G., 1999). L’organizzazione ministeriale e la struttura ed i compiti degli organi consultivi sono stati modificati in più occasioni, dapprima con la riforma ministeriale operata col D.Lgs. n. 3/2004; poi col D.L. n. 181/2006, quindi col D.P.R. n. 233/2007; ancora, col D.P.R. n. 91/2009 e con la Legge n. 71/2013; quindi, il D.P.CM. n. 171/2014; i DD.MM. n. 43 e 44 del 2016; il D.P.C.M. n. 238/2017; il D.L. n. 86/2018; i DD.PP.CC.MM. n. 76 e n. 169 del 2019; il D.L. n. 22/2021; infine, il D.P.C.M. n. 123/2021. Un susseguirsi di decreti ed atti normativi governativi – forse – non sempre dettati da vere esigenze connesse all’obiettivo primario, ovvero la salvaguardia del patrimonio culturale: tale processo di reingegnerizzazione burocratica cozza con la sbandierata esigenza – da più parti sollevata – di un vero autonomismo, di facciata piuttosto che realmente voluto. (Cfr. SCIULLO G., 2007).
[15] Su tale punto, il Consiglio di Stato, sez. VI, 31 maggio 2013, n. 2992, ha affermato: “E’ infatti pacificamente necessaria, in sede di imposizione di un vincolo su beni di interesse storico artistico, una puntuale motivazione, sia pure per relationem, che dimostri l’esposizione e la compiuta valutazione degli elementi che costituiscono i presupposti per l’imposizione stessa”.
[16] Si veda SANDULLI A., Natura e funzione della notifica e della pubblicità delle cose private di interesse artistico e storico qualificato, in «Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.», 1954.
[17] Sul punto, v. BOLDON ZANETTI G., 2017.
[18] Cit. CANTUCCI M., 1957.
[19] Si veda, GARZIA G., 1994.
[20] Sull’argomento, dottrina consolidata afferma che “se tra gli effetti che conseguono all’accertamento, v’è quello della posizione o operatività di obblighi di condotta del soggetto destinatario” per cui si rende necessaria la sua collaborazione, è evidente che la notificazione è atto fondamentale affinché esso sia messo a conoscenza di quanto disposto dall’amministrazione (DANIELE N., 1953).
[21] Sul punto, si vedano VACCARO GIANCOTTI W. (a cura di), Beni e attività culturali nell’evoluzione del sistema giuridico. La legge 1089/1939: dottrina, giurisprudenza, legislazione a confronto, Ist. Pol. Stato, Roma, 1998; VOLPE G., Manuale di diritto dei beni culturali, Cedam, Padova, 2007; MAGLIERI A., Articolo 13, in CAMMELLI M. (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2007; SAITTA F., Commento all’articolo 15, in TROTTA G. - CAIA G. AICARDI N. (a cura di), Commentario del Codice dei beni culturali e del paesaggio, Cedam, Padova, 2005.
[22] GIANNINI M.S., Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1939.
[23] Ibid.
[24] Cit. GIANNINI M.S., 1976.
[25] Si veda, AICARDI N., 2005.
[26] Cit. TAMIOZZO R., 2009.
[27] Sulla natura accertativa del provvedimento di imposizione del vincolo, al fine di dispiegare gli effetti propri previsti dalla normativa, altra dottrina afferma che “…indipendentemente dalla circostanza se il bene culturale sia o meno tale sin dall’origine, occorre un provvedimento amministrativo che accerti l’esistenza nel bene di un elemento richiesto dalla legge, quale l’interesse culturale, che a sua volta comporta la verifica di una qualità della cosa; provvedimento dal quale scaturiscono determinati effetti di tipo vincolistico” (VOLPE F., 2008).
[28] Per M.S. Giannini (1958), in tema di procedimenti di accertamento, “nulla impedisce di chiamare queste evenienze accertamenti costitutivi, dichiarativi o preclusivi, purché sia chiaro che il sostantivo è improprio, e l’aggettivo non va predicato ad esso, ma ad un fatto separato e successivo all’(atto di preteso) accertamento”.
[29] Sul punto, secondo la dottrina più autorevole, la valutazione di un bene pregiato “essendo espressione di una discrezionalità tecnica, implica una scelta opinabile in ordine alla ‘qualitas’ del bene connaturata alle specificità delle ‘regulae artis’ da applicare (…) il carattere della opinabilità che permea la decisione, conduce al superamento della circostanza che il bene già possieda, immanenti, le qualità che il decreto gli attribuisce. Quello che rileva, invece, è che trattandosi di una valutazione in qualche modo opinabile, la decisione rivesta un effetto determinante sulla qualitas del bene. Ciò induce a ritenere che il decreto di imposizione di vincolo storico-artistico, pur non implicando una ponderazione comparativa di interessi pubblici e privati, abbia, in quanto risultato di una valutazione tecnica caratterizzata da opinabilità, natura costitutiva, anziché ricognitiva”. (SANDULLI M.A., 2000).
[30] Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica ha subito una sua evoluzione giurisprudenziale. Inizialmente equiparato al merito e quindi insindacabile, il sindacato sugli accertamenti tecnici viene dapprima ammesso entro i limiti della discrezionalità amministrativa poi, grazie alla giurisprudenza amministrativa – in particolare, Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 601/1999 – è previsto non come mero controllo formale dell’iter logico adottato dall’autorità amministrativa, ma sulla base della verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il duplice profilo della correttezza e quello tecnico-procedimentale. Senza dimenticare, inoltre, le novità introdotte dalla Legge n. 205/2000 nel processo amministrativo, come ad esempio il valore della consulenza tecnica in ambito processuale. Pertanto, il provvedimento vincolistico, risultato di una valutazione comparativa degli interessi coinvolti – che seppur legittimi in sede di valutazione sono secondari rispetto all’interesse pubblico perseguito vincolando il bene medesimo – è sindacabile dal giudice amministrativo in relazione sia alla logicità ed adeguatezza della motivazione del provvedimento stesso sia alla valutazione del pregio del bene collegato a fatti della cultura, dell’arte o della storia. (Sul punto, v. FIORINI F., La natura dei provvedimenti di vincolo storico-artistico sui beni immobili, in «Diritto dell’economia», n. 2, 2002). Secondo la giurisprudenza amministrativa, il controllo giurisdizionale “…deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo” (C.d.S., sez. III, n. 1645/2013), rinunciando, quindi, a valutazioni ove siano presenti interessi “la cui cura è dalla legge espressamente delegata ad un certo organo amministrativo, sicché ammettere che il giudice possa auto-attribuirseli rappresenterebbe quanto meno una violazione delle competenze, se non addirittura del principio di separazione tra i poteri dello Stato” (C.d.S., sez. VI, n. 4872/2012).
[31] Sul punto, in giurisprudenza si veda Corte Costituzionale, Sentenza n. 278/2010, con cui, a proposito della natura dell’atto amministrativo generale, i giudici costituzionali affermano che l’Autorità “esprime una scelta di carattere essenzialmente tecnico, con cui l’amministrazione persegue la cura degli interessi pubblici ad essa affidati dalla legge”.
[32] Secondo P. Virga (1987) gli atti di accertamento costitutivo sono atti vincolati che l’amministrazione è obbligata ad emanare ogniqualvolta è rilevata la sussistenza dei presupposti giuridici che la legge stabilisce per la loro adozione.
[33] Si vedano, ABBAMONTE G., Motivazioni e limiti dell’indennizzo per i vincoli imposti e proprietà privata, in «Giur. cost.», 1968; nonché PREDIERI A., Espropriazione e regime di proprietà delle aree edificabili, in «Giur. cost.», 1968.
[34] Si veda, SANDULLI A.M., I limiti della proprietà privata nella giurisprudenza costituzionale, in «Giur. cost.», 1971.
[35] Si veda, PALADIN L., Carattere non espropriativo di vincoli paesistici (tutela delle bellezze naturali ed ambientali dei colli euganei), in «Giur. cost.», 1973.
[36] Si veda, ROLLA G., In tema di vincoli su beni di interesse artistico e storico, in «Giur. cost.», 1974.
[37] Cfr. SCIULLO G., La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, in CAMMELLI M. (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2000.
[38] Si vada ZUCCHELLI C., Art. 13, in SANDULLI M.A. (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, II Edizione, Giuffrè, Milano, 2016.
[39] Su tale concetto e sulle conseguenze che ciò comporta – ovvero sul contemperamento tra interesse diffuso della collettività a fruire i beni dichiarati di interesse culturale, quindi di importanza sociale, ed interessi della proprietà privata, entrambi garantiti costituzionalmente – si è espressa criticamente autorevolissima dottrina, considerando incompatibili la funzione e il diritto soggettivo poiché la proprietà privata poggia sull’interesse esclusivo del proprietario. Per Salvatore Pugliatti, infatti, la funzione sociale equivale ad “un’espressione di puro comodo (…) non può qualificare il nuovo diritto di proprietà”; pertanto, per tutti i beni di rilevanza sociale – ivi compresi quelli culturali – è necessario configurarne un diverso statuto relativo al regime proprietario, comportando ciò “un’invasione del diritto pubblico” e, come conseguenza, l’alterazione profonda dei tratti distintivi della proprietà privata in relazione alla disponibilità ed al godimento; ancora, con la polarizzazione dei diritti del proprietario verso l’imbuto delle finalità sociali “la proprietà si avvia ad essere funzione sociale: la crisi è in via di svolgimento” (PUGLIATTI S., 1964).
[40] “Diritto alla cultura” come diritto fondamentale dell’individuo, elemento distintivo dell’identità personale e genesi della dignità umana – crescita e sviluppo culturale di ogni individuo sono, infatti, i presupposti della libertà personale – posto che la cultura è una delle componenti fondative del sistema costituzionale disegnato dai Padri Costituenti, sulla base della scelta di introdurre in Costituzione una nuova dimensione dei diritti rispetto alla tradizione giuridica prerepubblicana – in netta discontinuità con il modello giuridico liberale, caratterizzato da regole e principi non supportate da specifiche garanzie giuridiche contro le eventuali violazioni poste in essere (è il caso dei cosiddetti ‘abusi del legislatore’) dai poteri dello Stato tra fine Ottocento ed inizi Novecento – ovvero una ‘dimensione partecipativa’ per cui i diritti rappresentano gli strumenti di partecipazione alla vita democratica dello Stato. Pertanto, secondo il modello generale dei diritti fondamentali elaborato dal legislatore costituente del 1948, muta il ruolo del sistema dei pubblici poteri, non più garante esterno di diritti solo formalmente riconosciuti a tutti, ma piuttosto un ruolo attivo, ovvero lo Stato si fa carico di garantire a tutti i cittadini le medesime condizioni per esercitare tali diritti: accanto alle ‘libertà negative’, quindi, anche ‘libertà positive’, tra queste la promozione e la libertà della cultura – compiti attribuiti dalla Carta costituzionale alla Repubblica, con tutte le sue articolazioni – da cui deriva il ‘diritto alla cultura’, la cui genesi è da rintracciare nel combinato disposto dell’articolo 9 Cost. (che sancisce l’obiettivo della promozione e sviluppo della cultura) e dell’articolo 33 (che statuisce la libertà dell’arte e della scienza), senza trascurare l’articolo 117, comma 7, laddove si prevede che anche le regioni si facciano carico di rimuovere ogni ostacolo affinché tutti possano concorrere alla vita sociale, culturale ed economica del Paese: la caratterizzazione in senso culturale della Costituzione italiana e della Repubblica – modello, tra le moderne democrazie sociali, di ‘Stato culturale’ – deriva da ciò. Sull’argomento, si vedano SPAGNA MUSSO E., Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Morano, Napoli, 1961; SANDULLI A., La tutela del paesaggio nella Costituzione, in «Rivista giuridica dell’edilizia», II, 1967; AINIS M., Cultura e politica. Il modello costituzionale, Cedam, Padova, 1991; HÄBERLE P., Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale, Carocci, Roma, 1993; LUTHER J., Articolo 9, in NEPPI MODONA G. (a cura di), Stato della Costituzione, Il Saggiatore, Milano, 1998; PIZZORUSSO A., Diritto della cultura e principi costituzionali, in «Quad. Cost.», XX, n. 2, 2000; HÄBERLE P., Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Carocci, Roma, 2001; FAMIGLIETTI G., Diritti culturali e diritto della cultura, Giappichelli, Torino, 2010; SETTIS S., Il diritto alla cultura nella Costituzione italiana, Forum Edizioni, Udine, 2016; REPETTO G., Il diritto alla cultura, in www.gruppodipisa.it, giugno 2016.
[41] Sul punto, v. MORLINO E., La responsabilità della pubblica amministrazione nel diritto nazionale, comparato ed europeo, in TORCHIA L. (a cura di), Lezioni di diritto amministrativo progredito, Il Mulino, Bologna, 2010.
[42] Sul punto, T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 787/2014, in cui è affermato che “…la dichiarazione del valore storico o artistico di un bene presuppone un giudizio di discrezionalità tecnica non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, se non per vizi di eccesso di potere per errore nei presupposti o per manifesta illogicità: ne consegue che di fronte all’esercizio di un tale potere di merito, ampiamente discrezionale nei contenuti – e di esclusiva prerogativa dell’amministrazione – il sindacato esperibile in sede di giurisdizione risulta circoscritto alla verifica circa il venire in essere di profili di incongruità ed illogicità che, in quanto tali, siano suscettibili di fare emergere l’inattendibilità della valutazione tecnica-discrezionale compiuta”.
[43] Sul tema della ‘discrezionalità tecnica’, la letteratura è assai copiosa, si vedano ex multis, VIRGA P., Appunti sulla c.d. discrezionalità tecnica, in «Jus», n. 1, 1957; BACHELET V., L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 1967; MORTATI C., voce Discrezionalità, in «Nss. Dig. It.», vol. V, Utet, Torino, 1960; CERULLI IRELLI V., Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in «Dir. Proc. Amm.», n. 4, 1984; OTTAVIANO V., Giudice ordinario e giudice amministrativo di fronte agli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione, in AA.VV., Studi in memoria di Vittorio Bachelet, Giuffrè, Milano, 1987; BENVENUTI L., La discrezionalità amministrativa, Cedam Padova, 1986; MARZUOLI C., Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Giuffrè, Milano, 1985; DE PRETIS D., Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Cedam, Padova, 1995; LAZZARA P., Discrezionalità tecnica e situazioni giuridiche soggettive, in «Dir. Proc. Amm.», n. 1, 2000; CLEMENTE DI SAN LUCA G., Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni tecniche in materia ambientale, in «Giustamm.it», n. 6, 2016.
[44] Cfr. CANGELLI F., 2018.
[45] Con riferimento a questa tipologia di vincoli, v. CROSETTI A., Tutela dei beni culturali attraverso vincoli di destinazione: problemi e prospettive, in «Riv. Giur. Edil.», IV, 2002.
[46] Sul punto, si vedano SEVERINI G., Immaterialità dei beni culturali, in «Aedon», n. 1, Il Mulino, Bologna, 2014; nonché, MORBIDELLI G., Il valore immateriale dei beni culturali, in «Aedon», n. 1, Il Mulino, Bologna, 2014.
[47] Per un commento sulla sentenza, si rimanda a RIGANO F., Tutela dei valori culturali e vincoli di destinazione d’uso dei beni immateriali, in «Giur. Cost.», 1990.
[48] Cfr. VANNUCCI ZAULI E., I beni culturali come bene comune: come garantire una tutela adeguata a tala natura tra vincoli e sussidiarietà orizzontale, in BRECCIA U. - COLOMBINI G. - NAVARRETTA E. - ROMBOLI R. (a cura di), I beni comuni, Pisa University Press, 2015.
[49] Cfr. PRIORE C., Utilizzo e valorizzazione di immobile culturale. Limiti e procedimento, in ALPA G. - CONTE G. - DI GREGORIO V. - FUSARO A. - PERFETTI U., I beni culturali nel diritto. Problemi e prospettive, ESI, Napoli, 2010.