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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Rimesse all’Adunanza Plenaria la questione se la previsione nei bandi di gara o lettere d’invito di un divieto di avvalimento, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 89 del D.lgs 50 del 2016, rientri nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche e la questione sul regime processuale eventualmente applicabile alla fattispecie in esame.

Di Niccolò Macdonald.
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE QUINTA, 17 MARZO 2020, N. 1920.

 

Rimesse all’Adunanza Plenaria la questione se la previsione nei bandi di gara o lettere d’invito di un divieto di avvalimento, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 89 del D.lgs 50 del 2016, rientri nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche e la questione sul regime processuale eventualmente applicabile alla fattispecie in esame.

 

Di Niccolò Macdonald

 

Con sentenza non definitiva n. 1920 del 17 marzo 2020, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione della legittimità della previsione di un divieto di avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dal d.lgs. 50 del 2016. Come noto, il divieto generale di prevedere ulteriori cause di esclusione è contenuto nell'articolo 83, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, il quale, permettendo alle stazioni appaltanti di indicare “le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite”, aggiunge che “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”. Ciò posto, in merito alle limitazioni all'utilizzo dell'istituto dell'avvalimento per soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, l’articolo 89 del Codice dei contratti, che disciplina l’istituto dell’avvalimento, prevede ai commi 3 e 4 che “la stazione appaltante verifica, conformemente agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi dell'articolo 80. Essa impone all'operatore economico di sostituire i soggetti che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. Nel bando di gara possono essere altresì indicati i casi in cui l'operatore economico deve sostituire un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione, purché si tratti di requisiti tecnici. 4. Nel caso di appalti di lavori, di appalti di servizi e operazioni di posa in opera o installazione nel quadro di un appalto di fornitura, le stazioni appaltanti possono prevedere nei documenti di gara che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall'offerente o, nel caso di un'offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici, da un partecipante al raggruppamento.”.

Posto tale contesto normativo, il Consiglio di Stato evidenzia come vi sia un contrasto giurisprudenziale presente anche fra diverse pronunce dello stesso Supremo Consesso.

 

Sul punto, un primo orientamento è stato espresso dalla medesima Quinta Sezione con le ordinanze cautelari n. 344 del 25 gennaio 2019 e   n. 2993 del 14 giugno 2019. Infatti, mentre la seconda ordinanza indicata si limita a richiamare a favore dell'accoglimento dell'istanza cautelare, l'orientamento espresso nella pronuncia del 25 gennaio, tale ordinanza n. 344 ha espresso -  a fortiori, su una clausola in tutto coincidente con quella in contestazione, ossia riguardante la previsione dell'obbligo, a pena di esclusione, per l' operatore economico che ricorre all’avvalimento di una SOA di possedere già una propria SOA - che “la contestata clausola del bando che limita l’avvalimento non appare affetta da nullità, in quanto, da un lato, è espressione di un potere amministrativo in astratto esistente (quello di disciplinare le modalità dell’avvalimento in corso di gara) e, dall’altro, non può essere qualificata come causa di esclusione “atipica”. Dunque secondo tale orientamento sarebbe legittima una clausola del bando di gara che preveda limitazioni all'avvalimento al di fuori dei casi previsti dal Codice, in quanto espressione del potere della stazione appaltante di disciplinare “le modalità di utilizzazione”.

In coerenza con tale interpretazione è possibile citare anche la decisione del Consiglio di Stato n. 1772 del 27 marzo 2013, emessa nel vigore del d.lgs. 163 del 2006, secondo cui “ammettere la mera sommatoria delle attestazioni SOA dell'impresa avvalente e dell'impresa ausiliaria, prescindendo dal fatto che ciascuna di esse sia autonomamente in possesso della qualificazione necessaria alla partecipazione alla gara, vuol dire vanificare sostanzialmente il sistema delineato dal legislatore, rendendo possibile che alla gara partecipi un soggetto privo dei requisiti di qualificazione, che si avvale di un soggetto invece in possesso di tali requisiti”, motivo per cui “ a fronte di un'evidente "volunptas legis" di garantire la massima espansione del principio dell'avvalimento per la partecipazione alle gare ..., detta norma attribuisce alle stazioni appaltanti, in sede di formulazione della "lex specialis" della procedura, la possibilità di contenerne la portata in relazione alla natura o all'importo dell'appalto, purché tale possibilità sia esercitata indicando espressamente nel bando di gara gli eventuali limiti. Ne consegue che, solo in mancanza di indicazioni (confermative o restrittive) espressamente riportate dal bando, trova applicazione l'istituto dell'avvalimento nella sua massima estensione, avendo l'art. 49 citato, in virtù della sua acclarata portata precettiva imperativa, un'efficacia integrativa automatica delle previsioni del bando di gara, anche laddove non vi sia un espresso richiamo”.

 

Un secondo ed opposto orientamento è quello invece espresso dalla pronuncia del Tar Toscana n. 356 del 13 marzo 2019, oggetto del gravame in questione, e dalla sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato 23 agosto 2019, n. 5834, la quale ha ribaltato l'orientamento espresso nello stesso giudizio in via cautelare con l'ordinanza n.344 suindicata.

Secondo tale orientamento, una disposizione che preveda la necessità per l'operatore economico di possedere già una propria SOA, non può esser considerata “una disciplina, sia pur restrittiva, delle “modalità” con cui ricorrere all’avvalimento, ma un vero e proprio divieto (di fatto) di ricorrere a tale istituto, incompatibile con la norma cogente attualmente prevista all’art. 89 del Codice dei contratti pubblici”.

Sarebbe quindi espressione di un potere esercitato dalla stazione appaltante volto a limitare il ricorso all'avvalimento al di fuori dei limiti consentiti, contrario sia al suindicato principio di tassatività delle cause di esclusione sia alla ratio dell'art. 89 del d.lgs. 50 del 2016, ossia quello di garantire la più ampia partecipazione delle imprese alle gare pubbliche.

Riassunti in tali termini il contrasto, il Consiglio di Stato sembra condividere tale secondo orientamento, risultando “dato incontroverso ricavabile già dal testo dell’art. 89, considerato nella sua interezza, che la stazione appaltante abbia il potere di limitare il ricorso all’avvalimento, ma soltanto a determinate condizioni (in specie, delineate dal comma 4) ed inoltre che l’avvalimento sia istituto di generale applicazione per conseguire il possesso dei requisiti di partecipazione, potendo essere escluso soltanto nelle ipotesi tipizzate dal legislatore (in specie ai comma 10 e 11 dell’art. 89”. Per tale regione dunque “non vi è dubbio che l’esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante al di fuori delle ipotesi consentite o l’introduzione di cause di inammissibilità o di divieto di avvalimento diverse da quelle previste per legge vizia la corrispondente previsione della legge di gara”.

 Il Supremo Consesso precisa però che l’orientamento opposto ed in particolare espresso dalla sentenza 27 marzo 2013, n.1772 suindicata nel vigore del d.lgs. 263 del 2006, non ha ricevuto, dopo l’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici del 2016, una netta smentita, né vi sono stati adeguati interventi giurisprudenziali volti a precisare la portata del potere discrezionale della stazione appaltanti in riferimento a quanto previsto dall’articolo 89, comma 4, del d.lgs. 50 del 2016. Per tali ragioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover rimettere all’Adunanza Plenaria la questione sulla qualifica di tali prescrizioni e dunque se le stesse siano in contrasto o meno con il divieto di prevedere clausole di esclusione c.d. atipiche. 

In secondo luogo, la stessa Corte rileva l’ulteriore e conseguenziale questione di particolare rilevanza, riguardante l’interpretazione dell’articolo 83, comma 8, ultimo inciso, nella parte in cui prevede la nullità testuale delle clausole di bandi e delle lettere di invito che prevedano ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti.

Infatti la sua qualificazione come nullità, in accordo con il dato letterale, determinerebbe l’applicazione dell’articolo 31, comma 4 del codice del procedimento amministrativo, secondo cui la domanda volta all'accertamento delle nullità si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni, nullità che inoltre può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d'ufficio dal giudice.

Tuttavia la Corte rileva che sia nel caso in cui la stazione appaltante regoli le modalità dell’avvalimento in violazione della norma che lo prevede sia quando limiti o vieti l’avvalimento nei casi non consentiti, si ha un esercizio del potere discrezionale contra legem, il cui vizio che viene a determinarsi dovrebbe essere qualificato come di annullabilità, in coerenza con la tradizionale declinazione della dicotomia fra cattivo esercizio e carenza del potere.  Dunque, in caso di sua qualificazione come vizio di annullabilità dovrebbe invece essere applicata la previsione contenuta nell’articolo 120, comma 5 del codice del procedimento amministrativo, la quale prevede la tempistica impugnazione, nel termine di trenta giorni, della clausole dei bandi o degli avvisi che risultino autonomamente lesive, come quelle che si configurano come escludenti.  Ed invero l’interpretazione della richiesta del possesso dell’attestazione SOA quale requisito per accedere, a pena di esclusione, all’istituto dell’avvalimento – ossia secondo l’interpretazione data dalla sentenza di primo grado e dalla stessa stazione appaltante – determinerebbe che tale clausola risulti impeditiva all’ammissione dell’operatore, e come tale immediatamente lesiva e impugnabile solo entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione del bando o avviso che la contiene.

Poste le difficoltà di coordinamento sul piano processuale dell’articolo 120, comma 5 con l’articolo 31 comma 4 del codice di procedimento amministrativo, il Consiglio di Stato ha quindi deferito anche la questione sulla qualificazione della clausola suindicata e sul regime processuale applicabile all’Adunanza Plenaria.

In conclusione, il Supremo Consesso ha deciso di rimettere all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 del codice del procedimento amministrativo le seguenti questioni:

“a) se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale;

  1. b) in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA.
  2. La decisione sui detti quesiti è rilevante perché, in caso di ritenuta nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, il regime processuale applicabile sarebbe quello dell’art. 31, comma 4, Cod. proc. amm.; in caso di ritenuta annullabilità, sarebbe applicabile l’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm.: ciò, che -essendo stato il bando pubblicato il 21 settembre 2018 ed il ricorso proposto il 15 novembre 2018- comporterebbe il rigetto dell’appello, nella prima eventualità, e l’accoglimento, nella seconda.”