Temi e Dibattiti

Profili ricostruttivi in tema di responsabilità delle società di rating: tra obblighi di protezione, affidamento e tutela del mercato.
Di Giuseppe Maria Marsico
Profili ricostruttivi in tema di responsabilità delle società di rating: tra obblighi di protezione, affidamento e tutela del mercato.
Di Giuseppe Maria Marsico
Abstract
Il tratto comune delle riflessioni in materia di responsabilità civile dei c.d. intermediari «reputazionali», ossia di quegli intermediari che, grazie alla loro reputazione di esperti, forniscono servizi lato sensu di «certificazione» o di «verifica» di informazioni e dati relativi alla situazione patrimoniale, economica e finanziaria di società, quotate e non, a beneficio del pubblico degli investitori, riguarda la preoccupazione di individuare limiti all’ampiezza di tale responsabilità. Posto che, di regola, gli intermediari reputazionali operano in mercati, come quello della revisione dei conti e dei servizi di rating, fortemente concentrati a livello mondiale, il fine di scongiurare il pericolo di un’uscita dal mercato dell’intermediario in questione a seguito di cospicue condanne risarcitorie si contrappone all’esigenza di garantire, al contempo, una adeguata tutela all’investitore.
The common feature of the reflections on the subject of civil liability of the so-called "reputational" intermediaries, i.e. those intermediaries who, thanks to their reputation as experts, provide lati sensu services of "certification" or "verification" of information and data relating to the equity, economic and financial situation of companies, whether listed or not, for the benefit of the investing public, concerns the concern to identify limits to the extent of this responsibility. Given that, as a rule, reputational intermediaries operate in markets, such as that of auditing and rating services, which are highly concentrated at a global level, the aim of avoiding the danger of the intermediary in question exiting the market following of substantial compensation sentences contrasts with the need to guarantee, at the same time, adequate protection for the investor.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Brevi cenni in tema di efficienza del mercato: sulla dibattuta querelle sulla natura giuridica della responsabilità delle società di rating. – 3. Sull’obbligo di astensione delle agenzie di rating: tra asimmetria informativa e affidabilità del giudizio. - 4. Sulla discussa natura della responsabilità delle agenzie di rating. - 5. Brevi riflessioni conclusive.
- Introduzione
Nonostante gran parte della letteratura giuridica nazionale e straniera si sia confrontata con il problema di ricondurre la responsabilità degli intermediari finanziari, reputazionali e non, all’interno delle categorie proprie della responsabilità contrattuale o extracontrattuale (allo scopo di far derivare da tale classificazione il regime applicabile alle azioni di risarcimento del danno proposte talvolta dalle stesse società «certificate» o «valutate», ma sempre più spesso dal pubblico degli investitori), in caso di società quotate sui mercati regolamentati, il vero nodo problematico di tale responsabilità risulta essere, come chiaramente dimostra la riflessione, principalmente statunitense, in tema di responsabilità delle società di revisione, proprio l’esigenza di trovare un equilibrio tra l’effettività della tutela approntata a beneficio degli investitori e l’esigenza di non scoraggiare l’operatività di tali intermediari sul mercato per il timore di incorrere in sanzioni civilistiche di elevato ammontare[1].
Etimologicamente il termine rating deriva dall'inglese « to rate » che significa giudicare, valutare. Si tratta di un'opinione sul merito di credito complessivo del debitore (issuer rating), oppure sul merito di credito del debitore con riferimento a una particolare obbligazione finanziaria (issue rating).[2] Sono le credit rating agencies (CRA) che dovrebbero fornire valutazioni indipendenti[3], in scala predeterminata, e che tradizionalmente si distinguono in investment grade e speculative grade: le prime comprendono le migliori notches di giudizio (da AAA a BBB- ovvero nel caso di Moody's Baa3) mentre le seconde riguardano le notches residue (ovvero da BB+ o Ba1 in poi)[4].
Assegnare o meno un rating positivo rappresenta una scelta decisionale di straordinaria rilevanza poiché, sulla scorta di tale valutazione, si orientano le decisioni degli investitori (professionali o retail) che operano per conto proprio o per conto altrui.
Spesso, i regolamenti degli investitori collettivi e di altri intermediari prevedono che i gestori possano imporre limiti agli impieghi in titolo con rating speculatiuve grade.
È indubbio che il credit rating, quale giudizio espresso in forma sintetica, comprensibile e comparabile risponde sempre di più all'esigenza di trasparenza di un ambito complesso come quello dei mercati finanziari[5].
Le agenzie di rating – sottoposte alla vigilanza dell’ESMA - sono istituzioni che si collocano in una posizione intermedia tra le entità che emettono titoli azionari (società, governi, società pubbliche etc.) e gli investitori (sia essi privati che istituzionali) che, conducendo analisi ed esami di dati, cercano di capire quale sia il reale valore di un titolo di stato o di una banca. Le agenzie di rating sono quindi entità che conducono studi e analisi finanziarie su azioni e obbligazioni con lo scopo di valutare la stabilità finanziaria di un determinato soggetto attraverso un giudizio che viene poi classificato su una scala standardizzata denominato per l’appunto rating e dalla quale emerge il cd. merito creditizio[6].
Orbene è opportuno evidenziare che non si tratta solo di un'esigenza della clientela retail ma più in generale anche degli operatori qualificati onde poter effettuare una comparazione tra le miriadi di prodotti offerti sul mercato; al contempo avere anche un benchmark esterno per poter confrontare i propri punti di vista e giustificare così le proprie scelte. Sarebbe tuttavia miope escludere da questa riflessione i regolatori che proprio attraverso i giudizi offerti dalle agenzie semplificano significativamente il proprio lavoro.
Il mercato finanziario, nel moderno diritto dell’economia, rappresenta il luogo in cui avviene la negoziazione e lo scambio degli strumenti finanziari di vario genere a medio e lungo termine[7]. Nell’ambito di queste operazioni di mercato, che caratterizzano il cuore pulsante dell’economia mondiale, particolare importanza rivestono le agenzie di rating in quanto organismi indipendenti e specializzati nella valutazione della solidità e, soprattutto, della solvibilità di una società che emette titoli all’interno del mercato finanziario. Più specificatamente queste agenzie sono entità indipendenti rispetto alle società emittenti di valori mobiliari e da quelle di gestione dei mercati regolamentati, la cui attività principale consiste nel valutare, per l’appunto, il grado di solvibilità di un determinato emittente oppure di un determinato titolo. Il giudizio in merito al grado di rischio del soggetto o valore analizzato è riassunto nel cd. rating, volendo alludere con questa definizione un punteggio alfanumerico che rappresenta la capacità dell’emittente di far fronte ai propri impegni entro le scadenze prestabilite[8].
Il lavoro delle agenzie è certamente complesso, per la ovvia ed intuibile ragione che il giudizio si basa non sulla qualità di un prodotto finito ma sulle probabilità future, con la consapevolezza che il giudizio incide sull'allocazione delle risorse finanziarie sul mercato dei capitali.
Tuttavia, malgrado l'estrema rilevanza delle agenzie di rating, la loro scoperta, dal punto di vista della riflessione giuridica, è abbastanza recente. In particolare, crescendo l'attenzione per le informazioni da loro fornite, si è posta la questione di un'eventuale responsabilità dell'agenzia per la diffusione di giudizi imprecisi, inesatti ovvero espressi sulla base di informazioni errate, ovvero per la revisione di giudizi positivi intervenuta con grave ritardo.
Soprattutto negli ultimi quindici anni, a seguito di una serie significativa di crisi e defaults, è stata fortemente discussa l'affidabilità dei giudizi espressi. Il dibattito trasferitosi prima in dottrina e poi in giurisprudenza è approdato verso una riflessione più generale sui profili della responsabilità nei confronti dell'investitore che abbia fatto affidamento sul giudizio espresso dall'agenzia.
- Brevi cenni in tema di efficienza del mercato: sulla dibattuta querelle sulla natura giuridica della responsabilità delle società di rating
Fondamentale importanza al fine del corretto funzionamento degli strumenti finanziari è il grado di fiducia che i singoli soggetti ripongono nel sistema; solamente in queste condizioni gli investitori opteranno per investire le proprie risorse in prodotti finanziari generando un positivo effetto per le società emittenti. In altri termini, più gli investitori sono informati e, conseguentemente, certi della remunerazione dei propri investimenti, più opteranno per questa tipologia di impiego di capitale in luogo di altre (dotate, al contrario, di una meno completa informativa).
In tale ottica, viene percepita dagli stessi operatori la necessità di fornire agli investitori un’adeguata informazione necessaria affinché questi giungano a una corretta valutazione circa l’opportunità di investire nei mercati finanziari[9].
Le informazioni trovano la propria genesi nel mercato primario e sono spesso successivamente valorizzate nel mercato secondario. Nei contratti finanziari assumono un ruolo di rilievo quelle informazioni che sono fornite ai clienti non professionali. Questi ultimi non posseggono, spesso, la competenza tecnica e gli strumenti necessari per valutare la rispondenza al vero di quanto emerge dai prospetti informativi.
D’altra parte anche le imprese sono incentivate ad informare i potenziali investitori se si propongono di ottenere la fiducia degli stessi. Affinché, però, l’informazione volontaria da parte delle imprese sia ottimale devono sussistere tre distinte condizioni: in primo luogo, gli investitori devono sapere che le imprese hanno una certa informazione; in secondo luogo è necessario che le imprese non possano mentire, fornendo mendaci o false informazioni, essendo tali condotte sanzionate); da ultimo, l’informazione non deve avere costi nel quale caso sarà prodotta dagli emittenti in quantità inferiore a quella socialmente desiderabile. Il legislatore si preoccupa, al fine di tutelare il funzionamento corretto del mercato finanziario, di preservarne la trasparenza con lo scopo di accrescere la fiducia degli investitori nel mercato, nonchè di tutti gli operatori[10].
La trasparenza costituisce del resto quel fondamentale prerequisito per il corretto funzionamento del mercato al fine di una giusta tutela dell’investitore, visto sia nella prospettiva statica di chi è titolare di valori mobiliari sia in quella dinamica di chi opera sul mercato. Le regole di condotta poste a carico dell’emittente e dell’intermediario hanno un duplice scopo: nella prospettiva economica, hanno la finalità di evitare l’inefficienza di mercato. L’obiettivo del mercato è l’ottimo paretiano, ossia la migliore possibile allocazione delle risorse sul mercato, al netto delle esternalità negative; nella prospettiva giuridica, hanno invece lo scopo di eliminare la “disuguaglianza sociale” presente nel contratto, ripristinando l’effettiva libertà negoziale delle parti, mediante un “contrappeso” alla presunta asimmetria informativa del cliente.
In questo senso, i concetti di “efficienza” ed “equità” sono precondizioni necessarie al fine di soddisfare un’utilità sociale “ovvero lo sviluppo del mercato e financo la tutela del risparmio in tutte le sue forme” (art. 47 Cost.).
Nel rapporto tra emittente e sottoscrittori potenziali di prodotti finanziari sussiste - come accennato - un annoso problema di asimmetria informativa che, inevitabilmente, condiziona il valore dell’investimento sottoscritto dall’investitore.
I rapporti sussistenti tra le parti infatti non solo intervengono fra un professionista e un soggetto inesperto in ambito finanziario, ma hanno anche ad oggetto un bene che, in ogni caso, l’investitore avrebbe grande difficoltà a valutare con completezza autonomamente per la naturale complessità e l’alto contenuto “tecnico” che lo contraddistingue. Appare evidente, tuttavia, che le informazioni necessarie all’investitore per valutare il suo effettivo interesse all’acquisto di strumenti finanziari sono in possesso dell’emittente o dell’intermediario, ovvero di coloro che hanno l’interesse maggiore alla conclusione del contratto.
L’operatore professionale ha la possibilità di accedere ad una maggiore quantità di informazioni; diversamente dall’investitore, ha inoltre gli strumenti necessari, l’esperienza e la professionalità per comprendere con esattezza la rischiosità concreta e l’alea dei diversi prodotti finanziari.
La disuguaglianza conoscitiva di fatto sussistente tra i contraenti genera a carico dell’emittente e dell’intermediario un obbligo di informazione il quale non riguarda tutto ciò che è già noto alla controparte bensì tutte quelle informazioni che si presume sia opportuno che l’investitore conosca.
Ne consegue che un’errata e/o non completa informazione può ledere, in primo luogo, l’interesse degli investitori che concludono operazioni di finanziamento a condizioni svantaggiose rispetto al reale valore dello strumento finanziario (qualora le informazioni siano troppo “benevole” nei confronti dell’emittente); può inoltre ledere, all’opposto, l’interesse della società emittente qualora l’informazione non corretta rappresenti la società stessa con connotati negativi non rispondenti a realtà.
L’informazione assume pertanto un ruolo di fulcro centrale, in questo contesto, a tal punto che, potendo produrre un’utilità socialmente apprezzabile, viene qualificata come un autonomo “bene” giuridico e non più quale mera aspettativa o interesse legittimo.
Corollario del dovere di informazione è il dovere di chiarezza il quale, come il primo, ha lo scopo di ovviare alle “asimmetrie informative” sussistenti tra intermediario finanziario e risparmiatore.
In tale ottica, l’orientamento maggioritario - in dottrina e in giurisprudenza - ha sancito la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica che si pretende tutelare in tale ottica.
La medesima posizione giuridicamente tutelata consegue e deriva da una dedotta colpa - consistente in una condotta attiva o passiva dell’Autorità di vigilanza nell’attività di controllo inerente la vendita nei mercati mobiliari per responsabilità di tipo extracontrattuale di cui all’articolo 2043 del Codice civile. Nella fattispecie occorre svolgere alcune valutazioni circa elemento soggettivo dell’illecito aquiliano.
La Corte di Cassazione ha in un caso, tra l’altro, rilevato sì che la Consob (così come l’ESMA, per quanto attiene alla vigilanza sulle società di rating) – quale Autorità di vigilanza dei mercati – gode di discrezionalità nella scelta del tipo di strumento più idoneo da utilizzare tra quelli previsti dalla legge per verificare la completezza, la veridicità e la coerenza delle informazioni nei prospetti informativi, ma, nello stesso tempo, ha limitato la responsabilità alle ipotesi di manifesta non veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, che emergono in maniera manifesta. Tale limitazione, criticata in dottrina, tuttavia, è stata recepita dalla legge 262 del 2005 che ha esteso alle Autorità di vigilanza la limitazione prevista dal TU 3/1957 per i dipendenti dello Stato[11].
E’ stata, così, esteso il previsto istituto della limitazione di responsabilità solo ai casi di dolo e di colpa grave. Questa modifica al regime della responsabilità, pur se parte della dottrina non è concorde nel ritenerla compatibile con i principi del nostro ordinamento giuridico, per via di uno svuotamento della piena ed effettiva tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive, troverebbe la propria giustificazione, secondo alcuni, in relazione alla particolare valenza e complessità dell’attività amministrativa – nella quale è possibile facilmente commettere errori per colpa lieve – delle Autorità di vigilanza.
La responsabilità si inquadrerebbe, quindi, nel modello previsto dall’articolo 2236 del Codice civile. Secondo altra parte della dottrina, non è da ritenersi conferente tale ipotesi, considerato che, nel caso di valutazioni tecniche discrezionali di elevata complessità, come quelle presenti nella fattispecie in analisi, la responsabilità sarebbe già protetta da una sorte di rete giuridica di contenimento, tramite la previsione degli eventuali errori compiuti dall’Autorità di vigilanza nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il problema che si è posto, sin dalle prime decisioni giurisprudenziali, è quello della qualificazione giuridica dell'eventuale responsabilità dell'agenzia di rating nei confronti dell'investitore. A tal fine è utile richiamare un orientamento giurisprudenziale che ritiene insussistente un'ipotesi di responsabilità contrattuale per rating sul presupposto che non possa ravvisarsi, neppure in fatto, un rapporto contrattuale tra investitore ed agenzia; per i giudici è opportuno, piuttosto, verificare se sia possibile ritenere l'agenzia di rating responsabile per illecito aquiliano ai sensi dell'art. 2043 c.c. nei confronti dei terzi danneggiati.
Si tratterebbe, più precisamente, di responsabilità per lesione dell'affidamento che gli investitori hanno riposto nel giudizio elaborato dall'agenzia sul merito creditizio.
È chiaro che le previsioni di mercato cui attingono gli investitori, professionali e non, pur non rappresentando una raccomandazione ad investire sono senza alcun dubbio un contributo valutativo che può (o meglio dovrebbe) aiutare l'investitore nella scelta. Trattasi di informazione proveniente da chi, essendo particolarmente qualificato, come l'agenzia di rating, ingenera nel risparmiatore un affidamento incolpevole che giustifica la responsabilità extracontrattuale per colpa.
Sembra che tale ragionamento convinca parte della giurisprudenza che collega il rating alla scelta di investimento, affermando testualmente che « il rating è un elemento in grado di condizionare in modo significativo il processo decisionale dell'investitore ».
Trattandosi di illecito aquiliano, occorrerà verificare, stando alla motivazione della sentenza calabrese: a) la sussistenza di un evento dannoso; b) se il danno sia qualificabile come danno ingiusto in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento; c) se sotto il profilo causale la lesione sia riferibile ad una condotta omissiva o commissiva; d) stabilire se l'evento sia imputabile a dolo o colpa.
Tale impostazione trova conferma nel dato che la giurisprudenza, già in passato, aveva affermato la sussistenza di un obbligo di fornire informazioni esatte per chi svolge professionalmente o istituzionalmente attività di raccolta e diffusione di informazioni di carattere economico[12].
Per di più gli artt. 164, comma 2, TUF, e 2409 c.c., tipizzano l'illecito dei revisori contabili nei confronti dei terzi, così sostanzialmente, configurando la responsabilità di un soggetto particolarmente qualificato nei confronti dei terzi per i danni cagionati dalle informazioni inesatte rilasciate.
Il medesimo indirizzo ricostruttivo sottolinea che l'art. 94 TUF come sostituito dall'art. 3, d.lgs. n. 51/2007, ha tipizzato la fattispecie della c.d. « responsabilità da prospetto », prevedendo una responsabilità parziaria tra i vari soggetti responsabili delle informazioni contenute nel prospetto.
Che l'affidamento incolpevole nella veridicità delle risultanze provenienti dal rating sia meritevole di tutela è desumibile anche dalla normativa comunitaria volta a tutelare la trasparenza del mercato finanziario, attraverso la predisposizione di regole che debbono garantire l'integrità delle informazioni sugli strumenti finanziari.
In particolare, l'art. 1, punto 2, lett. c), della Direttiva 2003/6/CE — sull'abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato — prevede il divieto della diffusione di informazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari, se la persona che le ha diffuse sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false o fuorvianti.
Da tale disposizione, secondo la Commissione sulle agenzie di rating del credito, si desume che « nei casi in cui un'agenzia di rating sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che il rating era falso o fuorviante, il divieto di diffusione di informazioni false o fuorvianti, che costituisce manipolazione del mercato, potrebbe applicarsi al rating[13] ».
Peraltro, personale delle Autorità di vigilanza dei mercati, con particolar riguardo ad esempio all’ESMA, è talmente qualificato rispetto a gran parte di quello presente nel pubblico impiego proprio per non permettere l’applicabilità dell’esimete di responsabilità prevista dall’articolo 2236 del Codice civile. Non troverebbe, così, apprezzamento la limitazione della responsabilità per le Autorità indipendenti in materia di vigilanza del credito, del risparmio e del mercato mobiliare, a causa di una incisiva deroga rispetto a quanto previsto nell’articolo 28 della Costituzione.
Secondo una distinta ricostruzione ermeneutica, l’estensione del regime della responsabilità amministrativa prevista per i dipendenti pubblici sbilancerebbe eccessivamente il bilanciamento tra interesse pubblico della tutela degli investitori e dei consumatori e l’interesse pubblico alla stabilità e competitività dei mercati in favore di questi ultimi.
Ma, tralasciando il dibattito annoso ed attuale su tale aspetto, soffermando l’osservazione circa l’elemento soggettivo dell’illecito per errato prospetto informativo ed omesso controllo sullo stesso, occorre chiarire che si verte sempre e, comunque, in ipotesi di colpa grave, laddove l’Autorità di vigilanza ha tenuto un comportamento omissivo o inerte di fronte ai propri doveri di vigilanza. L’Autorità pubblica ha, infatti, sempre il dovere di verificare se le informazioni da prospetto informativo sono veritiere ed esteriormente complete, coerenti e non manifestatamente illogiche. La limitazione di responsabilità, inoltre, non è ammessa, quando vi sono comportamenti lassisti o macroscopiche inosservanze dei doveri d’ufficio o di abuso di posizione per fini personali.
Dunque, il controllo dell’Autorità non può e non deve consistere soltanto in un controllo meramente estrinseco, perché deve consentire agli investitori di pervenire ad una consapevolezza concreta nella scelta degli investimenti. E’ obbligo, in caso di mercati particolarmente rischiosi, quali quelli non regolamentati, che venga effettuata una debita istruttoria – anche se ovviamente non invasiva verso il principio di tutela della concorrenza dei mercati, per giungere a conclusioni circa l’attendibilità in termini di completezza e di coerenza dei prospetti informativi.
Le considerazioni appena esposte conducono la giurisprudenza a ritenere meritevole di tutela l'affidamento generato da comunicazioni rese al mercato, allorché tali informazioni provengano da un soggetto particolarmente qualificato, come le agenzie di rating, che ragionevolmente ingenerano fiducia nella serietà e credibilità delle proprie valutazioni.
Chiarita la natura della responsabilità, la giurisprudenza analizza, in molti arresti, il nesso causale intercorrente tra la condotta dell'agenzia (che ha emesso un giudizio di rating errato) e il pregiudizio subito dall'investitore a seguito dell'insolvenza dell'emittente[14].
Si precisa, in tal senso, che è onere dell'investitore « provare che, se la valutazione espressa dall'agenzia fosse stata corretta, sarebbe stato disincentivato e non avrebbe sottoscritto gli strumenti finanziari dell'emittente, ovvero non avrebbe mantenuto uno strumento finanziario poi risultato negativo ».
Inoltre, rispetto alla possibilità, in presenza di un progressivo deterioramento del rating, di ipotizzare un obbligo di vendere il titolo al fine di limitare le conseguenze dannose derivanti dall'illecito, viene precisato che a mente dell'art. 1227, comma 2, c.c., il danneggiato ha l'onere di adoperare l'ordinaria diligenza senza attività gravose o straordinarie.
Diligenza da parametrare al tipo di investitore, posto che al soggetto professionale è richiesto un grado di diligenza decisamente più elevato rispetto a quello richiesto ad un investitore inesperto.
Di diverso avviso è una ulteriore ricostruzione che, pur escludendo la sussistenza di alcun tipo di rapporto contrattuale o comunque obbligatorio tra l'investitore e le agenzie di rating, sottolinea che la natura dell'attività delle agenzie di rating consiste nell'emissione di « semplici pareri sulla capacità di credito di un particolare emittente o di un particolare strumento finanziario ad una certa data » e non nella formulazione di « raccomandazioni ad acquistare, detenere o vendere determinati titoli ». Ragionando in questi termini, l'investitore, secondo il giudice, è tenuto ad effettuare le scelte di investimento a proprio rischio, avvalendosi, nel caso, di un promotore finanziario per una valutazione del rischio.
La richiesta risarcitoria viene così respinta sulla base della motivazione per cui « qualsiasi valutazione dell'agenzia di rating, sebbene sbagliata, come nella fattispecie in cui il titolo fino al giorno prima del fallimento era stato classificato come sicuro, non può dar adito ad alcun risarcimento in quanto mera opinione, come tale non passibile di essere classificata errata sulla base di dati oggettivi ».
Invero, sollevano talune perplessità interpretative taluni arresti giurisprudenziali che, pur riconoscendo come errata la valutazione dell'agenzia di rating, relegano tale giudizio ad un mera opinione non « passibile di essere classificata errata sulla base di dati oggettivi » dimenticando completamente la natura professionale dell'attività dei valutatori.
Condividendo invece l'opinione espressa in dottrina, affermare che il rating di per sé non può mai essere errato, perché mancherebbero i dati oggettivi (rectius i criteri oggettivi) per esprimere un giudizio di «inesattezza », significa escludere a priori che l'attività di rating sia assoggettabile ad un sindacato di tipo giurisdizionale[15] .
Orbene, a noi pare che la strada dell'illecito aquiliano, in assenza di un'apposita disciplina che regolamenti la responsabilità dell'agenzia di rating, sia quella da preferire. Essa si giustifica come conseguenza della lesione di un affidamento ingenerato ed offeso da un soggetto dotato di un particolare status professionale.
È chiaro che nell'ipotesi di un rating (errato) diffuso ad incertam personam, l'investitore potrà azionare la sua pretesa risarcitoria soltanto quando sussista un ragionevole affidamento sulla regolarità del comportamento dell'informazione, qualificato dal suo status professionale e dagli obblighi di condotta su di esso gravanti in quanto operatore professionale.
Non persuade affatto la possibilità che l'agenzia di rating possa sostenere a sua discolpa di aver espresso un'opinione frutto dell'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., come tale prevalente rispetto alla tutela dell'interesse ad un'informazione veritiera e corretta in capo all'investitore danneggiato.
In definitiva, l'utilizzo della « responsabilità civile » pare il più coerente con l'evoluzione legislativa e con gli orientamenti di politica del diritto[16].
Resta però da esaminare, con grande attenzione, il problema dell'onere della prova del criterio (dolo o colpa) con cui imputare la responsabilità dell'agenzia nel caso di rating erroneo. La giurisprudenza ha recentemente precisato che « non si può affermare la responsabilità dell'agenzia solo perché il rating non rispecchia la reale prospettiva di solvibilità dell'emittente, ma è necessario che la condotta dell'agenzia sia connotata da mala fede o colpa ».
Per colpa è da intendersi la « negligenza professionale » che si manifesta nei casi di « inosservanza dei principi di diligenza professionale e degli standard di settore ribaditi anche nel regolamento Consob n. 12175 del 2 novembre 1999 ».
È evidente la complessità, per l'investitore, nel dimostrare la responsabilità dell'agenzia sia per la difficoltà dovuta alla scarsità delle conoscenze delle metodologie utilizzate dagli analisti e sia perché il giudizio riguarda una probabilità futura. Spetterà al danneggiato la (non semplice) prova di dimostrare che a fronte di informazioni fornite in modo non corretto l'agenzia non abbia adottato tutti i criteri ragionevolmente esigibili e necessari allo scopo di verificarne l'effettiva e concreta attendibilità.
Ad esempio, potrà essere utile verificare che l'agenzia abbia divulgato le attività di verifica tese a considerare l'affidabilità e la veridicità delle informazioni in base alle quali il rating è stato emesso, precisando se quelle provenienti dall'emittente, oggetto di valutazione, fossero di qualità soddisfacente e segnalando l'eventuale mancanza di dati affidabili a tal proposito.
Pertanto, sarà il terzo danneggiato a dover provare che il giudizio di rating[17] « non rispecchia la situazione economico-patrimoniale-finanziaria dell'emittente e che tale mancata corresponsione dipende dall'utilizzo di procedure di valutazione non conformi alle prassi internazionali e agli standard di settore ».
Per poter andare esente da responsabilità l'agenzia di rating dovrebbe dimostrare che l'erroneità della valutazione dipende da « false informazioni fornite dall'emittente i titoli e non riscontrabili come tali all'atto della valutazione ». Le informazioni, infatti, sono fornite dalla società e non rientra nei poteri-doveri delle agenzie di rating accertare la veridicità delle informazioni, la ricerca e la scoperta di frodi.
Ci sembra oggettivamente eccessivo utilizzare il criterio della « culpa in re ipsa » o della « res in re ipsa loquitur » per « sanzionare » le agenzie. Si tratterebbe di una scelta tesa ad attribuire una responsabilità legata alla qualità professionale dell'informatore ed alla qualità oggettiva dell'informazione. In altri termini, attraverso un meccanismo presuntivo, si generalizzerebbe una responsabilità per un'attività avente essenzialmente natura prognostica.
Oltretutto, ammettere una tale eventualità equivarrebbe a legittimare una pericolosa attività di overdeterrence dell'agenzia di rating.
Riteniamo piuttosto che la responsabilità del valutatore sulla solvibilità dell'emittente (ovvero il mancato downgrading) debba comunque dipendere da una condotta negligente ed imperita e non rispettosa della lex artise delle procedure se pur connotate da ampi margini di discrezionalità.
Perciò, come già sottolineato, anche sul versante della responsabilità aquiliana occorrerà verificare il rispetto degli obblighi previsti dalla disciplina in materia di rating.
Dunque, deve comunque essere individuata una responsabilità dell'agenzia ove quest'ultima abbia negligentemente o dolosamente omesso le informazioni al mercato ovvero le abbia falsamente fornite[18].
Verificata la responsabilità dell'agenzia resta da accertarne il nesso causale.
Occorrerà verificare quale sarebbe stato il comportamento dell'investitore in presenza di un rating corretto. È chiaro che se il comportamento dell'investitore ipotetico fosse diverso da quello tenuto in concreto dal soggetto asseritamente danneggiato, nel senso che in presenza del rating esatto non avrebbe investito o avrebbe disinvestito, occorrerà concludere nel senso della sussistenza del nesso causale.
Diversamente, dovrà dedursi che il rating inesatto non abbia in alcun modo « coartato » la scelta dell'investitore. Il comportamento dell'investitore ipotetico, cui raffrontare la condotta tenuta in concreto, va ricostruito sulla base dell'andamento sul mercato dei prezzi (o dei tassi di interesse) dei titoli di debito.
L'oscillazione del prezzo di un titolo in corrispondenza dell'emissione di un determinato rating rappresenterebbe una buona misura di quale sarebbe la scelta di investimento dell'investitore ipotetico. Se il prezzo scende (ovvero il tasso di interesse sale) vuol dire che l'investitore medio disinveste; se il prezzo sale (ovvero il tasso di interesse scende) vuol dire che l'investitore medio investe.
In ordine al quantum del risarcimento dovuto dall'agenzia di rating all'investitore danneggiato pare opportuno utilizzare gli stessi criteri applicati in giurisprudenza per quantificare il pregiudizio dell'investitore come conseguenza della violazione della regola dell'informazione da parte dell'intermediario finanziario[19].
Il danno emergente dovrebbe essere valutato avendo riguardo al valore della differenza tra l'investimento effettuato ed il prezzo di vendita degli strumenti finanziari a seguito di default. Pare appropriato detrarre anche l'importo delle cedole percepite dall'investitore.
Quanto al danno derivante dal non aver potuto impiegare il denaro in modo più utile (lucro cessante) si potrà utilizzare un criterio equitativo che ad esempio tenga conto dei titoli nel portafoglio dell'investitore.
Laddove l'agenzia non abbia provveduto ad aggiornare il rating mantenendolo positivo pur in presenza di segnali di peggioramento delle condizioni, sarà pure ipotizzabile un'eventuale azione risarcitoria dall'investitore nei confronti dell'agenzia per mancato disinvestimento[20].
- Sull’obbligo di astensione delle agenzie di rating: tra asimmetria informativa e affidabilità del giudizio.
Appare verosimile ritenere che le agenzie dovrebbero astenersi dall'esecuzione della prestazione in presenza di un quadro informativo insufficiente, non disponendo di poteri ispettivi e/o coercitivi.
Un filone giurisprudenziale indica un'alternativa alla non esecuzione della prestazione, che consiste nell'assegnazione di un rating appartenente ad una « categoria inferiore ».
Tale soluzione, tuttavia, non persuade affatto dato che l'insufficienza del quadro informativo a disposizione dell'agenzia non può mai indurre ad ipotizzare un rating, sia pure al ribasso, di fronte ad un quadro normativo incompleto.
Se l'agenzia, non possiede informazioni sufficienti per emettere un giudizio di rating, qualsiasi rating venga emesso sarà comunque viziato da negligenza, a prescindere dalla classe di appartenenza.
Il rifiuto, da parte del valutatore, di eseguire la prestazione resta a nostro avviso la soluzione più corretta.
Per di più tale opzione appare la più coerente anche con l'intendimento del legislatore comunitario che ha previsto un obbligo di astenersi dall'emettere il rating o di ritirare il rating a carico dell'agenzia in caso di mancanza di dati affidabili o di particolare complessità di un nuovo tipo di strumento finanziario o di insufficiente qualità delle informazioni disponibili[21].
- Sulla discussa natura della responsabilità delle agenzie di rating
Le considerazioni innanzi esposte portano ad escludere la possibilità di configurare tra l'investitore e l'agenzia di rating una responsabilità di tipo contrattuale non essendo individuabile la conclusione di alcun contratto.
Al contempo, appare assai improbabile immaginare la figura del mero contatto sociale fonte di obbligazioni senza prestazione. In effetti, ciò che difetta è proprio la relazione tra investitore ed agenzia dato che è assente, a monte, l'entità dei soggetti potenzialmente interessati all'informazione dell'agenzia di rating; ciò rende assolutamente inconsistente la tesi di un « contatto » cui ricollegare un'aspettativa di protezione come quella derivante da una relazione contrattuale.
Il dato sembra trovare conferma anche nell'autorevole dottrina che ha sottolineato come l'humus per l'operatività dei rimedi di natura obbligatoria siano le situazioni immerse in una dimensione relazionale perché caratterizzata da obblighi tra le parti che si trovino l'una di fronte all'altra. In questa prospettiva non appare possibile configurare un « contatto sociale » neppure nella decisione dell'investitore di registrarsi al sito web dell'agenzia, non potendosi certamente immaginare che le informazioni rese dal valutatore restino « confinate » ai soli soggetti registrati.
Del resto le informazioni contenute nel web sono fornite in adempimento di un obblio negozialmente assunto verso il solicited rating ovvero create spontaneamente e solo successivamente messe a disposizione degli investitori interessati.
Così ragionando va senz'altro condivisa la posizione della dottrina, che sottolinea la necessità di essere piuttosto rigorosi nella « sublimazione » o « spiritualizzazione » del contatto sociale con riferimento alle agenzie di rating in virtù del labilissimo indice di relazionalità, che ove ritenuto idoneo a contrattualizzare il rapporto, moltiplicherebbe il timore che ogni « contatto » possa essere contrattualizzato, dato che in ogni rapporto umano sussiste, a volerla rinvenire, una qualche forma se pur minima di relazionalità.
- Brevi riflessioni conclusive.
Sulla scorta di quanto sin'ora espresso deve certamente riconoscersi alle agenzie di rating ed all'informazione da loro fornita quel carattere di « affidamento » come tale potenzialmente dannoso e la cui violazione potrà causare un danno contra ius ex art. 2043 c.c.
L'investitore ha dunque un interesse rilevante ad una esatta informazione che diviene considerevole ed azionabile ove, appunto, sussista una ragionevole sicurezza sulla scorrettezza della condotta dell'informatore. In questa prospettiva, deve, decisamente, essere respinto il tentativo di relegare il rating espresso dall'agenzia ad un'opinione frutto di esercizio di libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., da considerarsi predominante rispetto alla tutela dell'interesse ad una informazione attendibile e priva di errori in favore dell'investitore danneggiato[22].
Resta naturalmente in capo al danneggiato l'onere della prova, con tutte le difficoltà che ciò implica, considerata la natura prognostica dell'attività del valutatore.
Occorre però sfuggire al facile ma insidioso tentativo di attribuire una responsabilità da status, quello professionale (37)che farebbe scivolare verso una responsabilità oggettiva idonea a trasformare qualunque previsione inesatta in copertura assicurativa per investimenti infelici. Le conseguenze, peraltro, sarebbero degli stessi investitori dato che il perseguimento ad ogni costo della tutela del danneggiato condurrebbe, inevitabilmente, ad un consistente deperimento della loro attività e, quindi, alla sottrazione delle utilità che il rating determina a favore degli investitori e del mercato finanziario più in generale.
È necessario piuttosto puntare sulla giustizia del caso concreto per verificare se l'erroneità della valutazione abbia effettivamente creato un contesto persuasivo in assenza del quale l'investitore avrebbe agito differentemente. In altre parole, l'investitore è vittima di un fatto illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. tutte le volte in cui l'informazione scorretta fornita dal valutatore lo abbia indotto ad effettuare l'investimento. L'utilizzo dell'illecito aquiliano in un ambito lasciato, prevalentemente, alla creatività dei giuristi ci sembra allo stato il più idoneo a consentire un corretto funzionamento del mercato attraverso la realizzazione della regola di trasparenza (38)intesa come strumento essenziale per la « qualità del consenso » anche quando riferita all'informativa previsionale[23].
Per quanto qui di interesse si osserva, poi, che il tema della gradazione della colpa, ai fini dell’applicazione dell’art. 2055, comma 2, c.c., nell’ambito della responsabilità dell’agenzia di rating si interseca con la prescrizione dell’art. 35-bis, par. 1, Regolamento CE n. 1060/2009, secondo la quale, come si è ricordato in precedenza, l’agenzia di rating risponde esclusivamente per dolo o colpa grave, restando, quindi, teoricamente esclusa la responsabilità per colpa semplice. Si potrebbe forse sostenere che, stando al dettato normativo, se priva di rilievo nei rapporti esterni, la colpa semplice a maggior ragione non potrebbe assumerne nei rapporti interni. Potrebbe però ribattersi – come del resto si è sostenuto in relazione alla possibilità che i coautori del danno siano responsabili sulla base di titoli oggettivi oppure alcuni per colpa e altri a titolo oggettivo – che nulla vieterebbe che l’accertamento di un’eventuale colpa semplice, pur se irrilevante nei rapporti esterni, possa in concreto fungere da criterio per determinare la quota parte di danno ascrivibile a ciascun corresponsabile in occasione dell’esercizio dell’azione di regresso (830). A ciò si aggiunga che, secondo l’interpretazione che si è proposta in questo scritto del sintagma «colpa grave» ai sensi dell’art. 35-bis (cfr. § 3.1. di questo capitolo), la colpa semplice potrebbe assumere rilievo entro taluni limiti anche nei rapporti esterni, e segnatamente qualora la negligenza non sia consistita in un comportamento imperito, con la conseguenza che la distinzione tra i diversi gradi di colpevolezza, inclusa la colpa lieve, potrebbe mostrarsi dirimente in relazione a condotte illecite dell’agenzia di rating poste in essere non a fronte di problemi tecnici di speciale difficoltà e che comunque hanno mostrato deficienze diverse da quelle relative alle conoscenze tecniche e alla perizia richieste dalla natura dell’incarico.
Tutto ciò confermerebbe, tra l’altro, l’importanza dell’adozione di uno standard flessibile, attento alle peculiarità del caso concreto, nell’accertamento della gravità della colpa e dell’entità delle conseguenze derivate dalla condotta dell’agenzia di rating.
Il criterio della gravità della colpa, ai fini della determinazione della «parte» di responsabilità ascrivibile all’agenzia, deve essere, infatti, valutato alla luce delle considerazioni già svolte sulla configurazione e sui problemi di prova dell’elemento soggettivo dell’illecito nei confronti dell’agenzia di rating, tenendo dunque presente che, anche in sede di regresso, potrà farsi ricorso non soltanto al criterio di vicinanza della prova ma anche, e soprattutto, allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio.
La gravità della colpa dell’agenzia di rating ai fini del regresso dovrà, quindi, essere valutata tenendo presente, da un lato, il mancato rispetto delle norme europee in materia di organizzazione dell’attività di valutazione del merito di credito e di indipendenza (e dunque lo scostamento tra condotta tenuta e condotta prescritta in tali ambiti), e, dall’altro, l’eventuale negligenza, intesa come colpa generica, nello svolgimento dell’attività di rating vera e propria, con riferimento agli standard professionali applicabili. Un importante ausilio ai fini di tale accertamento potrà essere fornito, di volta in volta, dalla consulenza tecnica eventualmente disposta, dall’utilizzo di meccanismi presuntivi di prova e dal ricorso alla regola di giudizio che distribuisce l’onere probatorio anche in relazione alla riferibilità della prova stessa ad una delle parti.
Per quanto riguarda invece l’accertamento dell’entità delle conseguenze che sono derivate dalla condotta, considerato che, come si anticipava, il danno, in via di massima semplificazione, è rappresentato dalla differenza tra il prezzo del titolo pagato (o ottenuto) dall’investitore e il suo valore intrinseco, e che tale differenza solitamente discende dalla diffusione di informazioni inesatte da parte di una molteplicità di soggetti nonché da altri accadimenti di mercato, in linea teorica, occorrerebbe cercare di isolare lo scostamento di prezzo determinato dalla diffusione del rating inesatto dalle ulteriori variazioni prodotte da cause eterogenee, principalmente attraverso lo strumento degli event studies, dovendosi richiamare, in questa sede, le considerazioni già svolte in materia di quantificazione del danno da rating[24].
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Cassazione ha enunciato il seguente principio: “sulle domande proposte dagli investitori ed azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza nei confronti delle banche ed intermediari, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti "doverosi" a loro favore che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo dette autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonchè delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell'attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del "neminem laedere".
In tale prospettiva, occorre sottolineare come - sulla base di una analisi economica del diritto civile - aderire alla tesi per cui la natura della responsabilità della P.A. ha natura contrattuale o extra-contrattuale non è questione meramente classificatoria.
Essa ha notevoli risvolti pratici in punto di quantum risarcitorio[25], onus probandi e termine di prescrizione. Tale notevole discrimen è foriero di una distinta allocazione del “rischio”, talvolta in capo alla P.A., talvolta ed entro certi limiti, in capo al cliente-investitore.
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[1] Scognamiglio, C., Ingiustizia del danno, contatto sociale, funzioni del risarcimento, Giappichelli, Torino, 2021, p. 243; Di Donna, L., “Danni da rating e rimedi degli investitori”, Principe, A. (a cura di), Agenzie di rating, cit., p. 275 ss.; Di Donna, L., La responsabilità civile delle agenzie di rating, Cedam, Padova, 2012, p. 390.
Per tale motivo, ad esempio, con riferimento alle società di revisione, si è discusso se introdurre un cap alla responsabilità, ossia un tetto massimo all’ammontare del risarcimento del danno che può essere liquidato dal giudice, e si continua a discutere sull’opportunità di introdurre regimi di responsabilità parziaria in luogo della responsabilità solidale, regola più comune ai sistemi giuridici dei paesi dell’Europa continentale di derivazione francese.
L’apposizione di un cap all’ammontare del risarcimento del danno subito dagli investitori è stata, del resto, la soluzione prescelta da alcuni ordinamenti europei. L’introduzione di un tetto massimo, secondo alcuni, infatti, oltre a facilitare l’ottenimento di un’assicurazione professionale da parte delle società di revisione, incentiverebbe l’apertura del mercato e la concorrenza. Ed è sulla scorta di tali argomentazioni che, anche nel nostro ordinamento, alla vigilia dell’introduzione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 («TUF»), si era proposto di introdurre un tetto massimo alla responsabilità civile della società di revisione, soluzione poi abbandonata a favore del mantenimento di un regime di responsabilità solidale privo di cap.
[2]Sul punto, per maggiori approfondimenti, vedasi Alpa, G., La responsabilità civile delle agenzie di rating. Alcuni rilievi sistematici, in Riv. trim. dir. econ., 2013, p. 78 ss. Cfr. Lombardi, E. M., La “responsabilizzazione” delle autorità di controllo del mercato finanziario, Esi, Napoli, 2016 e Depretis, E., La responsabilità civile delle agenzie di rating del credito nella disciplina italiana ed europea, Giappichelli, Torino, 2015.v. De Bellis, M. La nuova disciplina europea delle agenzie di rating, in Giorn. dir. amm., 2010, 453 ss.; Sacco Ginevri, A. Le società di rating nel Regolamento CE n. 1060/2009: profili organizzativi dell'attività, in Nuove leggi civ. comm., 2010, 291 ss.
[3] L’attività delle agenzie di rating consiste, più precisamente, nella predisposizione di «credit reports», ossia relazioni contenenti analisi e valutazioni del merito di credito, che sono poi racchiuse in giudizi sintetici costituenti il «rating» vero e proprio.
A seconda che il rating abbia ad oggetto il merito di credito di un ente e, quindi, la capacità di tale soggetto – di regola una impresa o una società privata, ma anche stati sovrani ed enti pubblici – di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni di natura finanziaria, ovvero che il rating sia chiamato a esprimere un giudizio sul merito di credito di singole emissioni obbligazionarie o di altri titoli di debito, e pertanto abbia riguardo al rischio di credito associato a un particolare investimento in strumenti di debito, generalmente in termini di probabilità di restituzione del capitale investito e regolare pagamento degli interessi previsti a scadenza, si suole distinguere, rispettivamente, tra issuer rating e issue rating.
Il bond rating si differenzia sensibilmente dall’issue rating in quanto, pur potendo a seconda dei casi coincidere con esso, più che essere una valutazione del rischio di credito associato a singoli strumenti di debito riguarda in generale i prestiti obbligazionari in essere dell’emittente e misura la probabilità di restituzione del capitale e regolare pagamento degli interessi tenendo conto anche delle garanzie fornite in occasione delle singole emissioni obbligazionarie.
Oltre che di rating sul profilo di rischio di credito di un emittente (issuer rating) ovvero di uno strumento di debito (issue rating), si possono quindi individuare ulteriori tipologie di rating, tra le quali il già ricordato bond rating, ossia il rating obbligazionario; il sovereign credit rating, ossia il c.d. rating «sovrano», avente ad oggetto il merito di credito degli stati sovrani; il bank financial strenght rating, i.e. il rating avente ad oggetto la solidità finanziaria delle banche; e il bank loan rating, ossia il rating sui prestiti bancari.
[4] D'altro canto, l'eccessivo affidamento al rating è considerato una delle principali cause dell'ultima crisi finanziaria, ed il ruolo dei gestori nella diffusione dell'impiego di quei giudizi sintetici per l'investimento di grandi quantità di capitale non va trascurato. Un impiego fideistico del rating, inoltre, abbassa il valore aggiunto che il servizio di gestione porta ai clienti, potendo arrivare perfino a danneggiarli. Seguendo questi spunti, quindi, potrebbe argomentarsi che una separazione forzata tra rating e scelte dei gestori dei fondi sia tanto nell'interesse del mercato in generale quanto in quello dei singoli investitori.
[5] La responsabilità delle agenzie di rating è senz’altro un tema meno studiato rispetto alla responsabilità degli intermediari finanziari e delle società di revisione in primis, anche se recentemente ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi. Venuto alla ribalta nell’ultimo decennio sull’onda degli scandali finanziari avvenuti in Italia – si pensi ai casi Cirio e Parmalat – e oltreoceano – negli Stati Uniti sono particolarmente noti i crack di Enron e di WorldCom e, più recentemente, il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers –, il problema dell’individuazione del regime di responsabilità delle agenzie di rating nei confronti delle società valutate, dei terzi e, in particolar modo, degli investitori è destinato ora ad arricchirsi di ulteriori riflessioni, giusta la recente introduzione da parte del Regolamento UE n. 462/2013 di una apposita previsione in materia. Tale disposizione sembra, peraltro, – ma la questione è, per vero, più complessa di quanto apparentemente potrebbe mostrarsi – porre la parola fine a uno dei temi in passato più dibattuti, ossia se effettivamente sia configurabile una responsabilità in capo alle agenzie di rating alla luce dei principi e delle regole che governano la responsabilità civile nel nostro ordinamento. È, dunque, immaginabile che la riflessione giuridica in tema di responsabilità delle agenzie di rating, ora prevista in una fonte normativa immediatamente applicabile in tutti gli Stati membri, si sposti su profili diversi dalla sua effettiva invocabilità in giudizio e relativi alla sua qualificazione, e, in particolare, sulla riconducibilità della medesima nell’alveo della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex art. 1218 c.c., ovvero della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., tema per vero già affrontato da alcuni studiosi che, avendo risposto positivamente al quesito circa la risarcibilità del c.d. «danno da rating», hanno tentato di individuare quale fosse il regime ad essa applicabile. Si tratta di un problema di estrema rilevanza pratica, per le differenze che, in linea generale, i due regimi di responsabilità possono comportare in termini di allocazione dell’onere della prova, termine di prescrizione e risarcibilità del danno imprevedibile, ma che tuttavia necessita di essere fortemente ridimensionato, o meglio, di essere correttamente inquadrato, nell’ambito della definizione di questioni di sistema che ne rappresentano per certi versi un prius logico. In altri termini, una moderna riflessione in materia di responsabilità degli intermediari reputazionali e, in particolare, di responsabilità delle agenzie di rating richiede che vengano prioritariamente esaminate altre problematiche, già note alla letteratura giuridica italiana. Ci si riferisce, più precisamente, all’esigenza di costruire di un sistema di responsabilità civile delle agenzie di rating che tenga conto delle peculiarità del diritto dei mercati finanziari, alla stregua di analoghe analisi già condotte con riferimento alla responsabilità di analisti finanziari e intermediari finanziari in generale.
[6] Ghosh, J., Il potere straordinario e immeritato delle agenzie di rating private, in internazionale.it. L’autrice sostiene che “le autorità di controllo cercano di limitare i conflitti d’interesse nella finanza, eppure non hanno alcun problema con il fatto che le agenzie di rating si autoregolamentino. Questa assenza di controlli riflette in parte la grande capacità di fare pressioni di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings. E sta generando gravi rischi, che la pandemia ha accentuato. […] il rating tende a seguire il ciclo economico, cioè a essere più severo durante le crisi: questo rende le condizioni del mercato finanziario inospitali per i paesi in via di sviluppo, che vedono declassate le proprie prospettive economiche. Ora, con l’ultima mossa di Moody’s, questi paesi avranno paura ad avviare le trattative sulla ristrutturazione del debito con i creditori privati”.
[7] La prima agenzia di rating fu fondata da John Moody il quale, dopo il «Moody’s Manual of Industrial and Miscellaneous Securities», nel 1909 pubblicò un manuale contenente l’analisi del valore dei titoli ferroviari disponibili sul mercato pubblico che venne successivamente ampliato fino a comprendere l’analisi dei titoli di società industriali. La Moody’s Investors Services viene fondata solo successivamente, nel 1914, e da quel momento in poi ha continuato a espandere la propria attività di valutazione del merito di credito a diverse tipologie di titoli presenti sul mercato. Attualmente è una tra le due più grandi agenzie di rating operanti a livello mondiale. In generale, sulla storia di Moody’s, cfr. Ferri G. – P. Lacitignola P., Le agenzie di rating, Bologna, 2014, 23 s.; Di Donna L., La responsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, allocazione dei rischi e tutela dell’investitore, cit., 33 s. Le origini di Standard & Poor’s risalgono al 1916 e si devono principalmente all’opera di Henry Varnum Poor, che già in precedenza si era interessato a tematiche attinenti l’analisi azionaria.
La società nasce dalla fusione di due società distinte che originariamente fornivano servizi diversi dall’analisi del merito di credito.
Nel 1906 venne, infatti, fondato lo Standard Statistic Bureau allo scopo di fornire informazioni di natura finanziaria che normalmente non erano messe a disposizione delle imprese statunitensi. L’attività di valutazione del merito di credito di titoli obbligazionari e del debito sovrano ad opera dello Standard Statistic Bureau comincia, tuttavia, solamente dieci anni più tardi e continua a seguito della fusione con la Poor’s Publishing, avvenuta nel 1941. Nel 1966 Standard & Poor’s sarà acquisita dall’attuale società capogruppo, la McGraw-Hill Publishing Company, Inc., che ha poi cambiato la propria denominazione sociale in The McGraw-Hill Companies.
[8] Galgano, F. e Roversi Monaco, F., Le nuove regole del mercato finanziario, Cedam, Padova, 2009. Cfr. Balletta, F., Mercato finanziario e assicurazioni generali, Esi, Napoli, 1995. 2 Adamo, S., Capobianco, E. e Cucurachi, P. A.: Regolamentazione del mercato finanziario e contratti con gli investitori, Esi, Napoli, 2010. Per maggiori approfondimenti vedi Parisi, F., e Baffi, E., Il mercato dopo la crisi finanziaria del 2008, in A.A.V.V., Capitalismo prossimo venturo: etica, regole, Giuffré, Milano, 2010, p. 313; Rotondo, G., Il controllo antitrust nel mercato finanziario, Esi, Napoli, 2004; Ferri, G. e Lacitignola, P., Le agenzie di rating, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 17. Gli autori sostengono che “la nascita delle agenzie di rating è considerata la più importante innovazione finanziaria del XX secolo.
Ad oggi, l’industria del rating è caratterizzata da due importanti poli di sviluppo: il mercato statunitense e quello asiatico. Entrambi i mercati hanno un vigoroso sviluppo di questa attività, anche se le due esperienze hanno alla base motivazioni storiche diverse e un arco temporale molto diverso, dettato, per la maggior parte, dalle diverse caratteristiche dei due mercati di riferimento”.
[9] Una conferma indiretta dell’esigenza di interpretare le regole della responsabilità civile alla luce dei necessari adattamenti imposti dagli interessi e dalle posizioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto dei mercati finanziari è testimoniata dallo stesso dibattito relativo alla limitazione della responsabilità degli intermediari reputazionali e, in particolare delle società di revisione. La preoccupazione che l’ammontare del risarcimento del danno possa condurre al fallimento o all’incapienza il soggetto danneggiante, ritenuto responsabile alla stregua dell’art. 1218 c.c. o dell’art. 2043 c.c., è ignota alla tradizionale riflessione giuridica in materia di responsabilità civile, la quale non necessita di tenere conto della struttura del mercato all’interno del quale il potenziale danneggiante si trova ad operare ed il cui mutamento è spesso destinato a produrre effetti di natura macroeconomica.
A ciò si aggiunga che la responsabilità delle agenzie di rating si innesta in un terreno di per sé di confine, particolarmente scivoloso anche al di fuori della prospettiva del diritto dei mercati finanziari, quale è la responsabilità per diffusione di informazioni inesatte. In sostanza, dunque, alla necessità di affrontare problemi nuovi e caratteristici del diritto dell’economia e dei mercati finanziari, quale quello sopra ricordato, vi è l’ulteriore difficoltà derivante dall’avere a che fare con regole di responsabilità civile che, anche al di fuori del mercato, presentano momenti di tensione e di rottura con la sistematica tradizionale, dovuti alla particolarità del mezzo attraverso il quale è veicolato l’evento dannoso che consente la diffusione di informazioni a terzi e, più precisamente, al pubblico indistinto.
Se la responsabilità per diffusione di informazioni inesatte, false e fuorvianti, è, di per sé, banco di prova delle tradizionali regole della responsabilità civile, lo è ancora di più qualora essa sia calata nell’ambito del mercato finanziario e quindi qualora sia destinata alla tutela di esigenze nuove e talmente complesse da amplificarne notevolmente la portata. La dottrina giuridica italiana si è per lungo tempo angustiata nell’individuazione dei casi in cui la diffusione di informazioni false o inesatte potesse costituire illecito – prima ancora che illecito contrattuale o extracontrattuale – ovvero condotta non legittimante il ricorso alla sanzione civilistica. Tale interrogativo si arricchisce ora di nuova importanza, posto che la risposta a un tale quesito è destinata ad avere ripercussioni sull’andamento del mercato finanziario e, talvolta, nei casi più gravi, dell’economia reale.
[10] La società Fitch Ratings fu fondata a New York nel 1913 e, prima di cominciare la pubblicazione di rating veri e propri, attraverso una scala di rating introdotta nel 1924, si dedicava esclusivamente all’elaborazione di statistiche finanziarie. La società ha continuato ad operare al fianco di società di maggiori dimensioni, quali Moody’s e Standard & Poor’s, fino alla sua acquisizione, nel 1997, da parte della società IBCA Limited, con sede a Londra, che le ha permesso di incrementare sensibilmente la propria quota mondiale nel settore delle valutazioni del merito di credito. In occasione della fusione con IBCA Limited, la società è giunta sotto il controllo della francese Fimalac S.A., che aveva in precedenza acquisito il controllo di IBCA Limited. Nonostante rimanga una società di rating di minori dimensioni, se paragonata ai principali compe attraverso l’acquisizione di altre agenzie di rating minori che sono andate via via affermandosi sul mercato o in particolari nicchie di mercato, quali l’americana Duff & Phelps Credit Rating Co. e la Thomson BankWatch.
[11] A tal riguardo, la Consob e talune altre Autorità di vigilanza hanno poteri-doveri di azione a tutela del risparmio (art. 47 Cost.) e, dunque, devono assumere a favore degli investitori, dei comportamenti nel rispetto del principio generale del "neminem laedere", da adempiere mediante l'osservanza di regole tecniche, ovvero di comuni canoni di diligenza e prudenza, la cui violazione radica la giurisdizione del giudice ordinario, alla luce della peculiare causa petendi.
Anche se tali comportamenti sono disciplinati dalla legge, ciò non significa che si tratti di atti autoritativi sindacabili in sede di giurisdizione amministrativa, in quanto la nozione di colpa e responsabilità extracontrattuale per i danni cagionati a terzi dalla pubblica amministrazione, va riferita ex art. 43 c.p., non solo alle situazioni in cui quest’ultima abbia agito senza rispettare i criteri generali di diligenza, prudenza e perizia, ma anche quando abbia violato norme di leggi o regolamenti relative all'organizzazione oppure all’esecuzione di un pubblico servizio.
Pertanto, non si tratta di analizzare la legittimità formale degli atti amministrativi adottati o meno dall'amministrazione, ma di verificare se la stessa abbia violato i summenzionati canoni, ovvero abbia violato il "neminem laedere", principio che non indica una norma di azione amministrativa, ma un precetto di carattere generale applicabile a tutti i soggetti, privati e pubblici, per la cui violazione l'amministrazione è tenuta a rispondere dinanzi al giudice ordinario.
[12] Presti, G., Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione”, A.A.V.V., I nuovi equilibri mondiali: imprese, banche, risparmiatori, Giuffré, Milano, 2009, p. 75 ss. Picciau C., Diffusione di giudizi inesatti nel mercato finanziario e responsabilità delle agenzie di rating, Giuffré, Milano, 2018, p. 333. L’autrice sostiene che “un’ultima questione relativa alla quantificazione del danno che può essere risarcito riguarda l’eventuale rilevanza della prevedibilità del danno della classificazione ai fini della distinzione tra il diritto contrattuale e il regime di responsabilità extracontrattuale”.
Per maggiori approfondimenti vedi Castaldo A. e Palla L., L’informazione nei mercati finanziari: il ruolo delle agenzie di rating, Giappichelli, Torino, 2016; Bontempi P., Diritto bancario e finanziario, Giuffré, Milano, 2021;.Principe A., Agenzie di rating, Giuffré, Milano, 2014. 10; Sacco Ginevri A., Le società di rating nel Regolamento CE n. 1060/2009: profili organizzativi dell’attività”, in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 291 ss
[13] n particolare, come è già stato osservato in passato, la responsabilità dei soggetti che operano sul mercato, specie attraverso la pubblicazione di certificazioni, giudizi, opinioni e informazioni in senso lato, si può utilmente distinguere a seconda che la responsabilità sia affermata per diffusione di informazioni inesatte nel mercato primario ovvero per diffusione di informazioni inesatte nel mercato secondario, poiché, a seconda dei casi, la responsabilità si atteggia in modo diverso e presenta problematiche in parte difformi, che richiedono talvolta l’accentuazione della funzione di deterrenza della sanzione civile e talaltra di una funzione di tipo compensativo a favore del danneggiato.
Si ritiene di poter utilmente attingere da tale distinzione, posto che la diffusione dei giudizi di rating assume caratteristiche anche molto diverse a seconda che essa avvenga in occasione della sollecitazione all’investimento ovvero in occasione di scambi sul mercato secondario; ciò tuttavia con una precisazione.
Tale distinzione, concettualmente netta, è destinata a sfumare se si considera che il giudizio di rating è sovente incluso in documenti quali prospetti informativi e documenti d’offerta, che caratterizzano non soltanto la prima sollecitazione all’investimento nel mercato primario, ma anche l’offerta di titoli già emessi e dunque già in circolazione.
[14] Presti, G.: Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, A.A.V.V., I nuovi equilibri mondiali: imprese, banche, risparmiatori, cit., p. 75. L’autore sostiene che “il rating consiste nella valutazione, brevemente espressa su una scala predeterminata in lettere, effettuata da un soggetto specializzato e indipendente (credit rating agencies: CRA) per quanto riguarda il grado di probabilità di pagamento regolare del capitale e degli interessi da parte dell’emittente di un determinato prestito obbligazionario (issue rating) e può anche riferirsi alla capacità generale dell’emittente di adempiere regolarmente a tutti i suoi obblighi (issuer rating)”. Ferri, G. e Lacitignola, P., Le agenzie di rating, cit., p. 33.
Gli autori sostengono che “come abbiamo già notato, il settore del rating è dominato da agenzie globali; tuttavia, sia le esigenze normative delle diverse entità nazionali che le esigenze di informazione degli investitoti hanno determinato l’emergere delle agenzie nazionali”. Per maggiori approfondimenti vedi Mainas, G. e Iorio, P., La disciplina delle agenzie di rating alla luce del diritto comunitario, Università, Roman, 2017. Cfr. Mezzasoma, L., Meritevolezza e trasparenza nei contratti finanziari, in Banca borsa tit. cred., 2018, p. 180-194; Troisi, A., Agenzie di rating, Cedam, Padova, 2013, p. 23.
L’autrice sostiene che “la turbolenza finanziaria verificatasi negli ultimi anni ha messo in discussione la validità di alcune formule operative che contraddistinguono l’attuale sistema di mercato. Come è noto, infatti, la crescente internazionalizzazione della produzione di beni e servizi (derivanti da un processo di globalizzazione ormai diffuso) ha agito da catalizzatore nell’emergere di mutevoli esigenze riconducibili ad un rinnovato scenario competitivo, finanziario e sociale”.
[15] Perrone, A., Informazione al mercato e tutele dell’investitore, Milano, 2003, 54 ss., ravvisa una «decisa bipartizione nella disciplina dell’informazione agli investitori», tra diffusione di informazioni nell’ambito delle operazioni di sollecitazione all’investimento, ossia del mercato primario, e informazione al mercato secondario e, pertanto, suddivide nettamente la sua analisi a seconda che la tutela civile sia invocata per investimenti effettuati sul mercato primario ovvero sul mercato secondario.
Secondo l’Autore, nel mercato primario il problema delle asimmetrie informative risulterebbe più accentuato che nel mercato secondario, in assenza di meccanismi di efficienza informativa riconducibili, in buona sostanza, alla presenza di traders e di altri operatori qualificati che si attivino nella ricerca di informazioni sull’emittente. Questo determinerebbe un maggior peso della funzione di deterrenza (deterrence) della sanzione civile nell’ambito della diffusione di informazioni inesatte sul mercato primario.
[16] Per maggiori approfondimenti vedi Castaldo, A. e Palla, L., L’informazione nei mercati finanziari: il ruolo delle agenzie di rating, cit., p. 13 ss. Gli autori sostengono che “il rating è una definizione previsionale da parte di un soggetto specializzato sulla capacità di un ente (normalmente una società, ma anche un ente di tipo diverso, ad esempio uno Stato sovrano) di soddisfare regolarmente i propri debiti per capitale ed interessi, ovvero una singola obbligazione. Si tratta dunque di una valutazione che non riguarda tutti i rischi cui è sottoposto il sottoscrittore, ma solo il rischio di credito dell’emittente. Tale definizione sintetizza sia le previsioni normative sia quanto dichiarato dalle agenzie di rating più importanti ed è utile soprattutto poiché precisa ciò che il rating non è. Il rating non è una raccomandazione a sottoscrivere, acquistare, vendere determinati strumenti finanziari e non è neppure una valutazione di convenienza giacché oggetto di valutazione non è il rendimento, ma solo il rischio, ovvero, probabilità di default dell’operatore economico; il rendimento, semmai, può dipendere dal rating assegnato ad un emittente o ad una determinata emissione”; Ferri, G. e Lacitignola, P., Le agenzie di rating, cit., p. 41. Gli autori sostengono che “conformemente al principio di indipendenza, nessun istituto finanziario interessato all’emissione di obbligazioni o che svolge la gestione di titoli come attività principale dovrebbe essere coinvolto in agenzie”
[17] Il rating di credito emesso sul debito di una società è però soltanto un tipo specifico di rating. Vi sono rating di credito internazionale che valutano i rischi, e quindi le spese, di un investitore che voglia trasferire nella valuta della propria nazione i titoli espressi nella valuta di un altro stato. Vi sono poi i rating sul debito delle nazioni. Essendo gli stati i maggiori debitori in assoluto, le agenzie di rating valutano e classificano i titoli del loro debito in base alla capacità che gli stessi stati dimostrano di fronteggiarli. Un altro tipo di rating è il cosiddetto “Country ceiling rating” che valuta i rischi di un investimento in uno stato che possa attuare delle misure per bloccare eventuali uscite di capitale dai propri confini. Con questo tipo di rating gli investitori possono valutare anche questo tipo di rischio. Appare evidente lo stretto legame che intercorre fra questi ultimi tre tipi di rating, ma esistono anche altri tipi di valutazione che le agenzie di rating sono capaci di emettere. Per maggiori approfondimenti vedi borsaitaliana.it.
Vedasi, in particolare, Di Donna, L., Danni da rating e rimedi degli investitori, Principe, A. (a cura di), Agenzie di rating, cit., p. 275 ss. 21 Per maggiori approfondimenti vedi Troisi, A.: “Diligenza e responsabilità delle agenzie di rating negli orientamenti di Common Law. Riflessi sulle prospettive disciplinari di tali società”, in Riv. trim. dir. econ., 2012, p. 187 ss. e Di Donna, L., La responsabilità civile delle agenzie di rating, Cedam, Padova, 2012, p. 390. L’autore sostiene che “il ruolo della responsabilità delle agenzie di rating è quello di fornire agli investitori, soprattutto di piccole-medie e non istituzionali, un ulteriore strumento di protezione contro i fallimenti del mercato dovuti al comportamento ingannevole, o comunque fuorviante, di uno dei principali attori dei mercati finanziari”. Cfr. Bonelli, F., Responsabilità delle società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in Riv. soc., 1979, p. 983; Troisi, A.: Agenzie di rating, cit., p. 187.
L’autrice sostiene che “la condotta delle agenzie di rating, che può comportare una potenziale responsabilità per gli investitori, può assumere più configurazioni. A tale riguardo, indicano i casi in cui: (i) il rating pubblicato è (in tutto o in parte) distorto, quindi specificamente pregiudizievole per gli investitori che, in buona fede, si basano sull’accuratezza dei rating espressi; ii) l’agenzia non ha modificato il rating preventivamente formulato (nonostante evidenti segnali di cambiamento della situazione economica, finanziaria e patrimoniale del cliente), arrecando così danno agli operatori che basano le proprie strategie su dati e notizie obsolete (e quindi fuorvianti)”.
Per maggiori approfondimenti vedi Alpa, G., La responsabilità civile delle agenzie di rating. Alcuni rilievi sistematici, in Riv. trim. dir. econ., 2013, p. 78 ss. Cfr. Lombardi, E. M., La “responsabilizzazione” delle autorità di controllo del mercato finanziario, Esi, Napoli, 2016 e Depretis, E., La responsabilità civile delle agenzie di rating del credito nella disciplina italiana ed europea, Giappichelli, Torino, 2015.
[18] è la stessa securities regulation statunitense che spinge nel senso di una distinzione, anche per quanto riguarda la disciplina delle informazioni inesatte al mercato, tra emissione di nuove securities e negoziazioni su securities già emesse. È noto che la normativa che riguarda l’emissione di nuovi strumenti finanziari è, nell’ordinamento statunitense, contenuta nel Securities Act del 1933, mentre gli scambi sul mercato secondario, che hanno ad oggetto titoli già emessi, sono sottoposti alla disciplina del Securities Exchange Act del 1934. Per tutti si vedano Loss L. – Seligman J.– T. Paredes, Securities Regulation, New York, 4th ed., 2006, 326 ss. A ciò si aggiunga che, negli Stati Uniti, la responsabilità da prospetto si distingue dalla responsabilità per diffusione di false informazioni al mercato poiché la prima è, in sostanza, invocabile solo in relazione a nuove emissioni di strumenti finanziari per le quali sia stato pubblicato un prospetto. Ciò si deve, in primo luogo, all’elaborazione giurisprudenziale del c.d. trace back requirement, che, con riferimento alle richieste risarcitorie per false informazioni contenute nel registration statement ai sensi della Section 11 del Securities Act, richiede all’investitore di provare che i titoli acquistati provenivano effettivamente dall’insieme di titoli offerti in base al documento d’offerta inveritiero. In secondo luogo, la decisione della Corte Suprema statunitense in relazione al caso Gustafson v. Alloyd Co., Inc., 513 U.S. 561 (1995), ha limitato l’applicabilità della Section 12(a)(2) del medesimo Securities Act – che prevede la responsabilità di colui che alieni strumenti finanziari sulla base di un prospetto inveritiero – ai soli acquisti effettuati in occasione di offerte pubbliche promosse dall’emittente o dal suo azionista di controllo. Sul punto si veda M. Ventoruzzo, La responsabilità da prospetto negli Stati Uniti d’America tra regole del mercato e mercato delle regole, Milano, 2003, 17 ss.
[19] Ponzanelli G., Quando sono responsabili le agenzie di rating, in Analisi giur. econ., 2012, p. 446. L’autore sostiene che “il rater deve realizzare un’attività di due diligence sulle informazioni fornite dalla società (da cui è necessario valutare la qualità delle obbligazioni). L’omissione di svolgere tale attività potrebbe essere qualificata come condotta dolosa o gravemente negligente, poiché si basa sulla deliberata indifferenza all’integrità e alla valutazione accurata dei dati da presente in considerazione, da questo punto di vista, nuove prospettive di responsabilità del rater”. Cfr. Scaroni C., La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, in Contr. impr., 2011, p. 791.
[20] Troisi, A., Agenzie di rating, cit., p. 183.
L’autrice sostiene che “la crescente importanza del rating nel sistema finanziario ha sollevato la necessità di valutare il grado di interazione tra le scelte degli investitori e l’agere di aziende specializzate. Come è stato detto più volte, le elaborazioni espresse nei rating non hanno un valore limitato al contesto strategico-organizzativo dei candidati, ma denotano effetti di vasta portata; ci riferiamo al fatto che questi ultimi si riferiscono non solo alle modalità di scambio degli strumenti negoziabili, ma più in generale al regolare funzionamento di un sistema finanziario sempre più dinamico e globalizzato”.
[21] Giudici P., L’agenzia di rating danneggia l’emittente con i propri rating eccessivamente favorevoli?, in Società, 2011, p. 1453 e Trib. Milano, 1° luglio 2011, n. 8790, in DeJure online, dalla quale si evince che “esistono due importanti differenze tra l’agenzia di rating e il revisore dei conti. Per l’agenzia di rating, lo scopo del servizio è la previsione sulla capacità di pagare il debito, mentre per il revisore dei conti una situazione che si è già verificata. Per quanto riguarda l’agenzia di rating, non ha uno scopo specifico, a differenza del revisore che deve realizzare un piano generale nell’interesse dei partner e dei manager di un’azienda”.
[22] Saponaro M., Il danno da “rating”: se e come le agenzie sono tenute a rispondere, in Danno resp., 2012, p. 186. Cfr. Di Donna L., La responsabilità civile delle agenzie di rating, cit., p. 340.
L’autore sostiene che “il danno è risarcito nei limiti del danno subito dal creditore e del lucro cessante, cosicché, se la persona lesa è un investitore, il danno può consistere nella svalutazione del prezzo del titolo in cui ha investito, cioè nella differenza tra il valore che, sulla base dell’erronea analisi finanziaria, possedeva il valore e il suo valore reale e nel fatto che l’investitore, se avesse saputo dell’errore dell’analisi finanziaria avrebbe investito in altri titolo […]”.
Vedasi anche, sul punto, Facci, G., Il danno da informazione finanziaria inesatta, cit., p. 63. L’autore sostiene che “le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione e, più in generale, delle regole di comportamento che l’intermediario è tenuto ad osservare – in conformità non solo ai principi del Codice civile ma anche a quanto espressamente previsto dal T.U.F. e dal regolamento CONSOB – dà luogo a una serie di problemi, derivanti principalmente dalle lacune normative presenti nel caso di specie, tenendo presente che nulla è previsto al riguardo, ad eccezione delle disposizioni dell’art. 23, 6° co., T.U.F., che si limita a riconoscere il diritto dell’investitore al risarcimento dei danni”. Cfr. Luminoso A., Contratti di investimento, mala gestio dell’intermediario e rimedi esperibili dal risparmiatore, in Resp. civ. prev., 2007, p. 1422.
[23] Marianello M., La responsabilità contrattuale dell’agenzia di rating nei confronti del committente, cit., p. 362.
Per maggiori approfondimenti vedi Presti G., voce “Rating”, in Enc. dir., cit., p. 870. L’autore sostiene che “la legislazione europea è quindi molto cauta, soprattutto in termini di causalità, e poco uniforme. La cautela, tuttavia, non sembra essere tale da giustificare un giudizio negativo. Al di là della considerazione che questa rimane la prima volta che la responsabilità civile delle agenzie di rating è chiaramente espressa nella legge, va ricordato che è più facile la prova del nesso di causalità, più efficace diventa la responsabilità civile delle agenzie, ma rafforza anche la dipendenza degli utenti della valutazione”
[24] Tuttavia, come si ricordava in precedenza, è possibile che in concreto la diffusione colposa di un giudizio di rating errato non produca una variazione di prezzo immediatamente valutabile, ovvero che il ricorso agli event studies non dissipi ogni incertezza circa la determinazione delle conseguenze derivanti dalla condotta illecita dell’agenzia, così come è possibile che permangano dei dubbi circa l’effettiva gravità della colpa ad essa ascrivibile.
Ebbene, è in presenza di queste circostanze che può apprezzarsi un’interpretazione improntata alla flessibilità dei criteri enunciati dall’art. 2055, comma 2, c.c., ferma restando la possibilità di ricorrere alla norma di chiusura prevista dal terzo comma del medesimo articolo qualora la valutazione sulla gravità della colpa o sull’entità delle conseguenze derivate dalla condotta risulti in concreto impossibile.
Nonostante il terzo comma ometta il riferimento all’entità delle conseguenze derivate dalla condotta, precisando esclusivamente che nel dubbio le singole colpe si presumono uguali, può ritenersi che, qualora la valutazione di cui al secondo comma dia esiti del tutto incerti e non consenta di determinare, nemmeno in via approssimativa, né la gravità della colpa dell’agenzia di rating in rapporto a quella degli altri corresponsabili, né l’entità delle conseguenze prodotte da ciascun comportamento colposo, la ripartizione del danno tra i medesimi debba essere effettuata in sede di regresso in parti eguali.
Non è, quindi, il solo elemento della colpa a presumersi uguale in caso di dubbio, ma lo è, più in generale, la quota parte di danno attribuibile a ciascun corresponsabile, in applicazione, tra l’altro della regola posta dall’art. 1298, comma 2, c.c., di cui l’art. 2055, comma 3, c.c., è, in un certo senso, una specificazione.
[25] Sacco Ginevri, A.; Le società di rating nel Regolamento CE n. 1060/2009, profili organizzativi dell’attività, in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 291 ss.; Saponaro, M., Il danno da «rating», se e come le agenzie sono tenute a rispondere, in Danno resp., 2012, p. 186; Scaroni, C., La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, in Contr. impr., 2011, p. 791; Scognamiglio, C., Ingiustizia del danno, contatto sociale, funzioni del risarcimento, Giappichelli, Torino, 2021, p. 243.