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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Studi



Prevenire il fenomeno mafioso con interventi graduali e collegati: i nuovi strumenti dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario.

Di Marco Piliero
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Prevenire il fenomeno mafioso con interventi graduali e collegati: i nuovi strumenti dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario

Di MARCO PILIERO

 

SOMMARIO: 1. CONTESTO E RATIO DELLA L. N. 161/2017 DI RIFORMA AL CODICE ANTIMAFIA 2. L’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA: DISCIPLINA, PRESUPPOSTI E NATURA 3. AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA, CONTROLLO GIUDIZIARIO E CONFISCA: TRE ANELLI DI UN’UNICA CATENA 4. IL NUOVO ISTITUTO DEL CONTROLLO GIUDIZIARIO 5. CONTROLLO GIUDIZIARIO E SOSPENSIONE DELL’INTERDITTIVA ANTIMAFIA 6. CONCLUSIONI

 

  1. CONTESTO E RATIO DELLA L. N. 161/2017 DI RIFORMA AL CODICE ANTIMAFIA

La presenza, o meglio l’ingerenza, delle mafie nel tessuto socio-economico è un fenomeno radicato e altamente pericoloso, perché non minaccia soltanto la sfera economica ma, partendo da questa, anche i più basilari diritti di democrazia e libertà garantiti dall’ordinamento.

Peraltro, la diffusione di nuovi strumenti finanziari (si pensi, ad esempio, alle cripto-valute) fa sì che l’inquinamento criminale assuma oggi forme inedite, che ne facilitano l’occultamento e la dissimulazione rendendone, al contrario, più complessa l’individuazione e il contrasto.

A questo proposito Nicola Gratteri, magistrato di spicco nella lotta alla ‘ndrangheta, ha lucidamente evidenziato come la capacità di creare c.d. zone grigie, cioè “aree di contiguità e di copertura è oggi una condizione imprescindibile” per le organizzazioni criminali. Il che comporta che “prende ormai forma, giorno dopo giorno, un sistema di potere in cui i confini tra legalità e illegalità si assottigliano sempre più[1]. Anche in sociologia si è individuata nella capacità di stringere rapporti di collusione e complicità con le sfere della società civile, una delle caratteristiche distintive delle odierne associazioni criminali[2].

Questo ha comportato un netto mutamento nel metodo mafioso che, come ha rilevato la Commissione antimafia, è basato sempre meno sull’uso della violenza e, viceversa, proiettato all’inserimento nei mercati illegali e, ancor più, in quelli legali. Continuano ad aumentare, infatti, le attività economiche solo apparentemente legali e che nascondono retroscena di illegalità. A questo ambito appartengono, oltre alle vere e proprie imprese mafiose, anche le “imprese a partecipazione mafiosa”, cioè quelle che, sorte nella piena legalità, hanno successivamente subìto una compartecipazione mafiosa. Il socio mafioso, ovviamente non formalizzato, ovvero il suo prestanome possono in tal modo avvalersi dell’impresa, la quale apparentemente rimane estranea all’ambiente criminale, per realizzare i propri interessi[3].

Nel mercato, dunque, l’economia illegale coesiste, e tende a mimetizzarsi, con quella legale delle realtà imprenditoriali sane. Questa trasformazione dell’agire criminale ha reso necessario un ripensamento delle politiche antimafia, facendo emergere il valore strategico di misure alternative, ma altrettanto idonee a neutralizzare i condizionamenti criminali sulle realtà economiche, accanto agli strumenti tradizionali del sequestro e della confisca. 

Proprio in questa direzione si è mosso il legislatore, che con la legge 17 ottobre 2017, n. 161, ha introdotto alcune modifiche al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche noto come Codice antimafia (nel testo, “Codice” d’ora in avanti), che costituisce la norma di riferimento nel contrasto alle organizzazioni criminali.

Tra i punti più significativi della riforma si segnalano, per quel che qui interessa, la revisione della disciplina dell’amministrazione giudiziaria e, coordinatamente con questa, l’introduzione ex novo dell’istituto del controllo giudiziario, collocati entrambi nella sezione del Codice relativa, appunto, alle misure di prevenzione diverse dalla confisca. A differenza di quest’ultima, gli istituti citati consentono allo Stato, per il tramite dell’autorità giudiziaria, di bonificare le aziende che contaminate (o anche solo a rischio di contaminazione) da parte delle consorterie criminali, senza però estromettere del tutto gli imprenditori dalla gestione delle attività economiche.

 

  1. L’AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA: DISCIPLINA, PRESUPPOSTI E NATURA

L’istituto dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche – introdotto nel 1992 con il d.l. n. 306, poi convertito dalla l. n. 356, a seguito delle stragi in cui persero la vita, per mano della mafia, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – è oggi disciplinato dall’art. 34 del Codice, che è stato integralmente riscritto dall’art. 10 della l. n. 161/17.

Se in passato ha sofferto di scarsa applicazione a causa della sua non proprio felice formulazione, la misura di prevenzione sembra oggi aver acquisito nuova linfa grazie alla legge di riforma, che l’ha resa molto più adatta a recepire e contrastare i nuovi pericoli insiti nell’economia. Essa, infatti, consente di intervenire su quelle imprese che, pur non essendo qualificabili come “mafiose”, versano in condizione di infiltrazione e di contiguità con le organizzazioni criminali e, come tali, sono capaci di danneggiare il regolare e libero esercizio dell’attività economica[4].

In sintesi, il nuovo comma 1 dell’art. 34 riguarda le ipotesi in cui sussistono “sufficienti indizi”, ossia gravi, precisi e concordanti in relazione al materiale probatorio raccolto, che facciano ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche (anche a carattere imprenditoriale) sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’art. 416-bis del codice penale ovvero, alternativamente, che possa comunque agevolare l'attività di persone nei cui confronti è stata applicata, o anche solo proposta, una misura di prevenzione personale o patrimoniale di cui agli artt. 6 e 24 del Codice nonché di soggetti sottoposti a procedimento penale per una serie di delitti, considerati indici di infiltrazione mafiosa (c.d. reati-spia).

In altri termini, il tribunale può applicare la misura al ricorrere di uno dei due presupposti, alternativi tra loro, indicati dalla norma. Nel primo caso, la realtà imprenditoriale in cui si muove l’operatore economico lascia presagire un’imposizione estorsiva da parte dei contesti criminali, che relega l’imprenditore alla posizione di vittima; nel secondo, invece, il legame tra attività economica e criminalità mafiosa rivela, invece, una situazione di commistione.  In ogni caso, le imprese destinatarie del provvedimento non devono rientrare nella titolarità o disponibilità diretta dei mafiosi, ma è sufficiente che si collochino in una posizione agevolatrice della loro attività illecita[5].

Laddove i sufficienti indizi consentano di ritenere che l’esercizio delle attività economiche sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis c.p., si potrà fare riferimento alle coordinate interpretative delineate dalla giurisprudenza per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.

Per quanto riguarda invece l’esatta individuazione del concetto di agevolazione dell’attività economica, in dottrina è stato ritenuto fondamentale dimostrare il carattere oggettivo dell’apporto ausiliario degli imprenditori rispetto agli interessi mafiosi, nel senso che coloro che risultano titolari delle attività di agevolazione non possono affatto ritenersi “terzi” rispetto alla realizzazione di quegli interessi. Al contrario, è proprio attraverso la libera gestione dei loro beni che si concretizza inevitabilmente quel circuito di commistione di posizioni dominanti e rendite che contribuisce a rafforzare la presenza, anche economica, delle cosche sul territorio. Dunque, è richiesto un apporto effettivo, seppur non tale da «comportare la consapevolezza delle conseguenze» che dalla condotta agevolatrice possono scaturire, sostanziandosi, quest’ultimo caso, in una condotta idonea ad applicare la diversa misura della confisca. L’agevolazione può quindi assumersi come parametro della contiguità, come indice rivelatore di un sostanziale vantaggio economico, da parte dell’impresa nei confronti del sodalizio criminale, che favorisca un incremento patrimoniale di tipo funzionale o organizzativo[6].

In tali casi, l’amministrazione delle aziende e dei beni utilizzabili, anche solo indirettamente, per lo svolgimento di dette attività economiche viene affidata ad un amministratore giudiziario appositamente nominato, in uno al giudice delegato, dal tribunale competente. L’amministratore giudiziario esercita, nell’esercizio delle sue funzioni, tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura. Se, poi, l’impresa è esercitata in forma societaria, l’amministratore può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali (comma 3).

La riforma ha peraltro rimarcato la temporaneità della misura preventiva, che può essere adottata “per un periodo non superiore a un anno e può essere prorogata di ulteriori sei mesi per un periodo comunque non superiore complessivamente a due anni” – termine che la giurisprudenza[7] ha precisato essere perentorio - laddove dalla relazione dell’amministratore emerga la necessità di completare il programma di sostegno e di aiuto alle imprese amministrate e la rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che avevano determinato la misura. (comma 2)

Diversi sono i possibili scenari che si prospettano entro la scadenza dei termini previsti per l’amministrazione giudiziaria, potendo il tribunale ai sensi del comma 6: a) rinnovare la misura; b) revocare la misura laddove siano venuti meno i relativi presupposti, ossia laddove la misura abbia sortito il proprio effetto bonificando l’attività economica; c) revocare la misura contestualmente applicando quella diversa del controllo giudiziario (di cui si dirà nel prosieguo), ove ne sussistano i presupposti; d) confiscare i beni se si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Infine, il successivo comma 7 consente di sequestrare i beni laddove vi sia concreto pericolo che essi vengano dispersi, sottratti o alienati ovvero se può fondatamente ritenersi che costituiscano il frutto, o l’impiego, di attività illecite.

Come visto, l’applicazione dell’istituto non presuppone né che l’attività agevolata abbia carattere illecito, essendo sufficiente che il soggetto agevolato sia anche solo proposto per una misura di prevenzione o sottoposto a procedimento penale per uno dei reati-spia, né che l’attività economica avente carattere agevolatorio venga esercitata con modalità illecite, richiedendosi solo che tale attività, seppur esercitata con modalità lecite, abbia offerto un contributo agevolatore ai soggetti indicati dalla norma. Unico presupposto negativo previsto dall’art. 34 è l’insussistenza dei requisiti per applicare una misura di prevenzione nei confronti dell’imprenditore o comunque di colui che esercita l’attività economica agevolatrice: in altri termini, costui deve essere necessariamente un soggetto terzo rispetto all’agevolato e le sue attività devono effettivamente rientrare nella sua disponibilità; se, invece, l’imprenditore fosse un mero prestanome del soggetto agevolato, i suoi beni potrebbero essere immediatamente aggrediti con il sequestro e la confisca di prevenzione[8].

Con tale misura di prevenzione, che priva i soggetti proposti della disponibilità e della gestione di beni e attività economiche strumentali al raggiungimento di finalità criminali, si intende inibire l’espansione del fenomeno mafioso, evitando che si creino canali di arricchimento attraverso l’influenza esercitata su attività operanti nell’economia sana.

L’obiettivo dell’istituto, dunque, non è tanto quello di sanzionare l’imprenditore intraneo all’associazione criminale, quanto quello di “contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane (…) con la finalità di sottrarle, il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti”[9]. La sua ratio non è, cioè, repressiva, quanto preventiva.

 

  1. AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA, CONTROLLO GIUDIZIARIO E CONFISCA: TRE ANELLI DI UN’UNICA CATENA

Come visto, l’istituto dell’amministrazione giudiziaria ha carattere temporaneo. Il comma 6 dell’art. 34 parla, appunto, di “data di scadenza” della misura. È lo stesso comma 6, peraltro, a porre in rapporto di continuità l’amministrazione giudiziaria con altre due misure di prevenzione del controllo giudiziario e della confisca. La disposizione, è bene ripeterlo, precisa infatti che, una volta cessata l’efficacia dell’amministrazione giudiziaria, e fatto salvo il caso del suo rinnovo, il tribunale potrà procedere o all’applicazione della misura più blande del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis oppure alla confisca di quei beni che si ritengono essere il frutto o il reimpiego di attività illecite, espropriandoli definitivamente.

Dunque, laddove l’autorità giudiziaria ritenga di poter ancora perseguire l’obiettivo della bonifica aziendale, ne garantirà la continuità mediante l’applicazione della più lieve misura preventiva del controllo giudiziario, che non comporta alcun effetto ablatorio, e revocherà il provvedimento ex art. 34. Qualora, invece, il condizionamento criminale risulta essere più intenso, e l’impresa difficilmente recuperabile, doverosamente procederà all’applicazione della confisca, con contestuale appropriazione statale, di tutti quei beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

In definitiva, il comma 6 dell’art. 34 assume una particolare rilevanza perché consacra, da un lato, l’autonomia dell’amministrazione giudiziaria rispetto agli altri strumenti di prevenzione citati e, al contempo, permette di cogliere quel rapporto di continuità che li unisce l’uno all’altro.

 

  1. IL NUOVO ISTITUTO DEL CONTROLLO GIUDIZIARIO

La l. n. 161/2017, come detto in apertura, ha anche introdotto ex novo la misura del controllo giudiziario delle aziende, sistemandola in un articolo a sé (art. 34-bis) del Codice. Ne viene così sancita la totale autonomia.

La norma prevede che il controllo giudiziario può essere disposto, anche d’ufficio, dal tribunale laddove sussistano circostanze di fatto da cui è desumibile un pericolo concreto di infiltrazione mafiosa, idoneo a condizionare l’attività di impresa solo “in via occasionale”. Non si richiede, cioè, che l’infiltrazione sia “radicata”. La misura interviene, quindi, «in maniera più mite ma maggiormente aderente alle esigenze specifiche di bonifica aziendale» e va adottata «in applicazione di un evidente principio di proporzionalità ordinamentale, quando l'infiltrazione non abbia contaminato in maniera diffusa l'impresa e sia facilmente sterilizzabile»[10].

Il riferimento, quale presupposto oggettivo della misura, all’agevolazione occasionale consente di intervenire nelle situazioni di condizionamento criminale che si collocano in uno momento anteriore rispetto a quelle idonee ad integrare i presupposti applicativi dell’amministrazione giudiziaria, del sequestro di cui all’art. 20 o della confisca ex art. 24. In altri termini, l’infiltrazione criminale è allo stadio iniziale e ancora non si sono manifestati i sintoni di un condizionamento criminale più invasivo, tale da richiedere misure di intervento più incisive.

Oltre al requisito dell'appoggio occasionale, il legislatore ha ritenuto opportuno ancorare l’intervento statale a dati fattuali richiedendo, quale ulteriore condizione per l’applicazione dell’istituto, che sussista il rischio, concreto, reale, non meramente ipotetico, di subire condizionamenti da parte delle cosche criminali.

Relativamente ai soggetti destinatari della misura, l’art. 34-bis, con l’intento di uniformare le relative discipline, opera un rinvio al precedente articolo e richiama le stesse categorie di soggetti che possono essere interessate dall’applicazione dell’amministrazione giudiziaria, così evidenziando quel rapporto di contiguità che sussiste tra le due misure di cui si è detto nel paragrafo precedente.

Una volta applicata, la misura ex art. 34-bis non determina lo spossessamento della gestione dell'impresa ma sottopone quest’ultima, per un periodo di tempo che va da minino un anno a massimo tre, ad un intervento, meno invasivo, da parte dello Stato. Individuata l’azienda da bonificare il tribunale, infatti, può imporre alla stessa oneri comunicativi nei confronti dell’autorità giudiziaria oppure può procedere alla nomina di un tutor che la norma, creando non poca confusione, ha denominato amministratore giudiziario, che ha il compito di monitorare dall'interno dell'azienda l'adempimento delle prescrizioni dell'autorità giudiziaria volte ad estirpare l’attività criminosa, onde evitare che essa si radichi nell’attività di impresa.

Più in dettaglio, con il provvedimento di nomina il tribunale, nello stabilire i compiti dell’amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo, può imporre i seguenti obblighi (comma 3 dell’articolo 34-bis): a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l'oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, e di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l'autorizzazione da parte del giudice delegato; b) di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 nei confronti dell’amministratore giudiziario; c) di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi; d) di adottare e attuare efficacemente misure organizzative, anche ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa degli enti; e) di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi. Laddove si riscontri la violazione di dette prescrizioni, e qualora ne sussistano i presupposti applicativi, il tribunale può disporre della più forte misura dell’amministrazione giudiziaria dell’impresa.

Da quanto detto si evince che la misura de qua risponde alla finalità di depurare le attività economiche dal rischio di inquinamento intervenendo in un frangente temporale in cui l’ingerenza criminale non pregiudica ancora irreparabilmente l’integrità aziendale. Senza, perciò, che sia necessario arrivare allo spossessamento della gestione dell’azienda, la misura intende depurarla sottoponendola ad una serie di obblighi informativi e di prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria, al contempo salvaguardando la continuità produttiva e gestionale.

La cessazione del controllo giudiziario avviene, oltre che per scadenza del termine della misura stabilito dal comma 2, nei seguenti casi: - in caso di accertamento della violazione di una o più prescrizioni ovvero qualora ricorrano i presupposti dell’amministrazione giudiziaria, il tribunale può disporre tale ultima misura; - per la revoca del provvedimento di controllo giudiziario proposta dal titolare dell’azienda. Entro dieci giorni dal deposito dell'istanza, il tribunale fissa udienza e provvede in camera di consiglio; all'udienza partecipano il giudice delegato, il pubblico ministero e, ove nominato, l’amministratore giudiziario.

Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario, dunque, sono entrambe misure di prevenzione patrimoniali che rappresentano una risposta alternativa rispetto al sequestro e alla confisca: «non sono volte alla recisione del rapporto col proprietario ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo. Ne consegue il corretto suggerimento di un accostamento ad esse come ad un sotto-sistema omogeneo…» in cui vanno valutate le «concrete possibilità che la singola realtà aziendale (possano) compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata»[11].

Il tribunale, che può agire anche d'ufficio, è in altri termini chiamato «a valutare con attenzione il livello di compromissione della struttura societaria per scegliere, sempre secondo un criterio di proporzionalità e adeguatezza, lo strumento preventivo più adatto e maggiormente efficace alla risoluzione del problema». Il giudice, dunque, deve bilanciare la libertà dell'esercizio del diritto di impresa e l’interesse pubblico «ad impedire che circuiti di illegalità infiltrati si nutrano delle risorse delle attività produttive parzialmente sane e la necessità che l'attività di impresa prosegua, seguendo un percorso efficace di (ri)legalizzazione, per il raggiungimento degli obiettivi produttivi e per la salvaguardia del potenziale occupazionale»[12], propendendo, all’esito, per l’applicazione della misura più opportuna.

 

  1. CONTROLLO GIUDIZIARIO E SOSPENSIONE DELL’INTERDITTIVA ANTIMAFIA

Il comma 6 dell’art. 34-bis d.lgs. n. 159/11 prevede che il controllo giudiziario può essere richiesto direttamente dalle aziende che siano state destinatarie di interdittive antimafia di cui all’art. 84, commi 3 e 4, d.lgs. cit., purché abbiano proposto impugnazione del relativo provvedimento emesso dal Prefetto davanti al Tar di competenza.

Il successivo comma 7 dispone poi che il provvedimento che dispone il controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva di cui all’art. 94 del medesimo decreto. Proprio l’uso dell’espressione “sospende gli effetti” lascia supporre che il procedimento in sede amministrativa sia ancora pendente, non richiedendosi invece che l’applicazione della sanzione interdittiva sia definitiva.

Quanto sostenuto troverebbe conferma nell’art. 91, comma 5, del Codice nella parte in cui prevede che l’interdittiva possa essere aggiornata al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, poiché detti elementi possono rientrare anche gli esiti della procedura di cui all’art. 34 bis, è logico dedurne che tali aggiornamenti non possano che intervenire quando la procedura amministrativa è ancora in corso.

Scopo della previsione, nel subordinare l’accesso all’istituto del controllo giudiziario alla pendenza di un ricorso avverso il provvedimento di interdittiva, è quello di consentire alla società, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l’ausilio di un controllore nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, il dissesto o il fallimento dell’impresa che, privata per effetto dell’interdittiva di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della pendenza del provvedimento prefettizio[13].

Si comprende bene, dunque, quanto la sospensione degli effetti derivanti dall’interdittiva prefettizia sia vantaggiosa per le aziende contaminate che intendano essere depurate pur rimanendo sul mercato, in quanto consente al soggetto economico di riprendere la sua attività d’impresa, al contempo contestando il provvedimento impugnato.

In definitiva, fatta salva la scelta legislativa di subordinare il controllo alla condizione di aver previamente impugnato il provvedimento interdittivo, il che comporta inevitabilmente di sottostare alle lungaggini del processo amministrativo, l’art. 34-bis, comma 6, è stato accolto positivamente dagli interpreti in quanto ha ampliato l’ambito applicativo del controllo giudiziario, in un’ottica rafforzata di rescissione del nodo mafie-imprese. Ma soprattutto, si è consentito a quelle imprese intenzionate ad affrancarsi dai condizionamenti mafiosi, di farlo compiutamente, in quanto nell’ottenere la sospensione dall’interdittiva antimafia, che permette all’impresa di affrancarsi dall’invasività tranciante del provvedimento prefettizio, si avvia un «percorso di recupero dell’attività imprenditoriale, svolta sotto la supervisione del tribunale e con le garanzie proprie di una procedura giudiziale»[14].

 

  1. CONCLUSIONI

Da quanto detto si evince, anzitutto, la presa di coscienza del legislatore circa le recenti trasformazioni del fenomeno mafioso, specie con riferimento alle connessioni, sempre più reticolari, che i suoi esponenti vanno sviluppando nella sfera economica. In questo contesto è subito emersa l’esigenza di rivedere quei profili di disciplina contenuti nel Codice antimafia ritenuti rilevanti soprattutto da un punto di vista pratico-applicativo.

Con la legge di riforma n. 161/2017 l’attenzione del legislatore ha finito con l’incentrarsi sulle misure di prevenzione patrimoniali, perché ritenute capaci di “soddisfare le variegate aspettative che una moderna prevenzione pone in una prospettiva di delicato bilanciamento tra esigenze e valori concorrenti”[15].

Con la previsione dei nuovi strumenti dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario, infatti, si è sicuramente rafforzato l’impianto preventivo del Codice, che risulta oggi composto di strumenti, da un lato, dotati ciascuno della propria autonomia concettuale e normativa ma, d’altro lato, non isolati l’uno rispetto all’altro, bensì posti in rapporto di continuità. Sicché, l’intervento statale nella bonifica delle imprese contaminate dal crimine può essere costante e graduale garantendo che, laddove lo strumento applicato in prima battuta non risulti idoneo a perseguire il proprio scopo, subito possa essere sostituito con altro più efficace. Unicuique suum, dunque: la chiave di volta nella lotta alla criminalità organizzata sembra essere, alla luce della riforma, l’utilizzazione di strumenti differenziati, ma interconnessi tra loro, capaci di essere modellati, nella loro incisività e invasività, sulle esigenze delle singole imprese a rischio, per poterle restituire alla legalità.

È questa la "modernità" dell’azione preventiva, opportunamente tipizzata attraverso fattispecie di pericolosità che si avvicinano a quelle penali, fondata su fatti e su un grado apprezzabile e verificabile di attribuibilità alla persona (ma non sulla responsabilità perché non si applica una pena), collocata a pieno titolo nell’area della giurisdizione col riconoscimento delle dovute garanzie. Attraverso un opportuno bilanciamento degli interessi è dunque possibile fare ricorso alle diverse misure di prevenzione patrimoniali per ottenere un incisivo intervento nei confronti delle varie forme di criminalità[16].

 

 

[1] N. GRATTERI, A. NICASO, La rete degli invisibili, Milano, Mondadori, 2019

[2] Sul punto, tra i contributi rilevanti, si segnala quello di R. SCIARRONE, “Il capitale sociale della mafia. Relazioni esterne e controllo del territorio”, in Quaderni di sociologia, 18, (1998), 51-72

[3] Si veda la Relazione conclusiva approvata il 7 febbraio 2018 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, presieduta dall’On. Rosi Bindi

[4] Al riguardo, si segnala il contributo di V. SALAMONE, “Il sistema della documentazione antimafia: normativa e giurisprudenza”, in Quaderno della Rivista trimestrale della Scuola di perfezionamento per le forze di polizia, Monterotondo, 2019

[5] Utilissimo il contributo di L. PERONACI, “Dalla confisca al controllo giudiziario delle aziende: il nuovo volto delle politiche antimafia. I primi provvedimenti applicativi dell’art. 34-bis D.lgs. 159/2011”, in Giurisprudenza penale

[6] cfr. F. LICATA, Le misure di prevenzione patrimoniali, Catania, 20 febbraio 2015, su: http://www.dsps.unict.it

[7] v. Cass. Pen., Sez. I, n. 10237/2003

[8] v. Trib. Milano, Sez. Aut. Misure di Prevenzione, decr. n. 9/2020

[9] v. Trib. Milano, Sez Aut. Misure di Prevenzione, decr. n. 6/2016

[10] v. Trib. Milano, Sez. Aut. Misure di Prevenzione, decr. n. 9/2020

[11] v. Cass. Pen., Sez. Un., n. 46898/2019

[12] v. Trib. Milano, Sez. Aut. Misure di Prevenzione, decr. n. 9/2020

[13] v. Cass. Pen., Sez. II, n. 16105/2019

[14] T. BENE, “Dallo spossessamento gestorio agli obiettivi di stabilità macroeconomica”, in Archivio Penale

[15] Importanti riflessioni sulla necessità di una riforma del Codice antimafia sono riportate nella Relazione della commissione ministeriale incaricata di elaborare una proposta di interventi in materia di criminalità organizzata, istituita con d.m. 10 giugno 2013, e presieduta dal Prof. Giovanni Fiandaca

[16] cfr. F. MENDITTO, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca allargata (art. 240-bis c.p.). Volume I, Aspetti sostanziali e processuali, Milano, Giuffrè, 2019