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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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Parametri dell’azione contabile per danno all’immagine.

Di Francesco Giunta
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NOTA A SENTENZA CORTE DEI CONTI,

TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO

31 marzo 2020, n. 66

Parametri dell’azione contabile per danno all’immagine

 

Di FRANCESCO GIUNTA

 

La questione sottesa alla sentenza in commento riguarda il potere del Pubblico Ministero contabile di promuovere l’azione contabile per danno all’immagine, subito da parte della P.A. in relazione a una ipotesi di reato che non rientra fra i delitti contro la pubblica amministrazione.

Sul punto, la sentenza n. 66/2020 dà atto della presenza, in senso alla Corte dei Conti, di due correnti di pensiero: a) una di natura conservativa, in base alla quale il danno all’immagine è ideato dal legislatore come effetto dei delitti contro la pubblica amministrazione, e, come tale, esso soggiace a stringenti limiti di tipicità e tassatività; b) una di natura progressista, in base alla quale il danno all’immagine costituisce una fattispecie risarcitoria posta a presidio del principio del buon andamento dell’amministrazione, e, di conseguenza, lo stesso principio può essere leso anche in presenza di altre ipotesi di reato, anche se non rientranti fra i delitti contro la P.A.

La tesi conservatrice muove dalla considerazione che nel quadro normativo vigente la promovibilità dell’azione risarcitoria per danno all’immagine innanzi al giudice contabile richiede l’esistenza di una precisa fattispecie di rilievo penale alla quale sia riconducibile il pregiudizio erariale, deponendo in tal senso la stessa formazione dell’art. 17, co. 30ter, che individua le condizioni legittimanti l’azione del P.M. contabile rinviando ai “casi e modi” previsti dall’art. 7, legge n. 97/2001.

Sulla base di tale rinvio, i “casi” in cui l’azione del P.M. contabile è legittimamente esperibile devono ritenersi quelli il cui danno erariale sia connesso a un delitto contro la P.A. accertato con sentenza passata in giudicato.

La tesi progressista, viceversa, muove dalla considerazione che il danno all’immagine investe il rapporto che lega la comunità degli amministrati all’ente per il quale il dipendente infedele agisce, e postula il venir meno, da parte dei cittadini o anche di una categoria di soggetti, del senso di affidamento e fiducia nel corretto funzionamento dell’apparato della pubblica amministrazione, nonché del senso di appartenenza all’istituzione stessa[1].

Il danno all’immagine, quindi, si identifica nell’offesa al rispetto di tutte quelle disposizioni poste a tutela delle competenze, delle funzioni e delle responsabilità dei soggetti pubblici e nella conseguente alterazione della sua identità quale istituzione garante, di fronte alla collettività tutta, di principi di trasparenza, legalità, imparzialità ed efficienza.

In considerazione dei principi presidiati dalla fattispecie risarcitoria, la Corte dei Conti ha ritenuto di discostarsi, in alcune pronunce, dall’indirizzo giurisprudenziale prevalente che aderisce, invece, alla tesi conservatrice.

A tal riguardo, la responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione per fatto dei suoi dipendenti sussiste sia nel caso di pregiudizio derivante da reati contro la P.A., sia nel caso di danno all’immagine derivante da ogni altro reato.

E ciò in quanto il richiamo ai “casi” e ai “modi” dell’art. 7, l. n. 97/2001, contenuto nell’art. 17, co. 30ter, del lodo Bernardo, riguarda sia i reati contro la pubblica amministrazione, sia i reati comuni.

L’assunto rassegnato si giustifica alla luce di più criteri ermeneutici.

In particolare, secondo l’argomento letterale, la norma si limita a specificare i modi di comunicazione della sentenza penale, resa in relazione ai delitti contro la P.A., al procuratore contabile, affinché questi eserciti l’eventuale azione penale; la norma non contiene un divieto espresso, né dalla sua formulazione è ritraibile la volontà del legislatore di limitare le ipotesi di risarcimento del danno all’immagine, anche in considerazione della rubrica generale della norma “Responsabilità per danno erariale”.

Con riferimento, invece, all’argomento a contrario, si rappresenta che il legislatore vuole solo ciò che dice, in quanto la sua intenzione è incorporata nelle parole.

Di conseguenza, quanto non espresso dalla norma non costituisce intenzione del legislatore (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

Sul punto è sufficiente evidenziare che la norma in commento è silente sui limiti per l’esercizio della responsabilità per danno all’immagine.

Secondo un argomento di natura costituzione, in considerazione dei principi generali presidiati dalla fattispecie risarcitoria per danno all’immagine, l’art. 17, co. 30ter, deve essere interpretato come norma non ostativa a configurare una responsabilità per danno all’immagine non conseguente a reati contro la P.A.

A queste considerazioni, si aggiunga, da ultimo, che, con l’introduzione del codice di giustizia contabile, è stato abrogato formalmente il citato art. 7 della legge 97/2001, con la conseguenza che, attualmente, l’art. 17, co. 30ter, d.l. 78/2009 limita il risarcimento del danno all’immagine rinviando a una norma formalmente abrogata.

 

 

NOTE:

[1]Cfr. diffusamente, FRATINI M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del diritto, 2019/2020; GIOVAGNOLI R., Compendio di diritto amministrativo, Itaedizioni, 2019/2020.