Giurisprudenza Amministrativa
Ordini professionali e potere di adottare tariffe inderogabili nei valori minimi.
Di Giulia Milo
Nota a Corte di Giustizia Europea 25 gennaio 2024, Em akaunt BG ЕООD in causa C-438/22.
Ordini professionali e potere di adottare tariffe inderogabili nei valori minimi.
Di Giulia Milo
ABSTRACT
La presente nota analizza alcuni approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea a proposito dell’attività degli ordini professionali in particolare per quanto concerne l’adozione di tariffari per i professionisti e la disciplina posta dall’Unione a tutela della concorrenza. Il tema di fondo è quello della legittimità dell’attribuzione agli ordini professionali del potere di disciplinare l’esercizio dell’attività degli iscritti a tutela dell’interesse degli utenti delle prestazioni.
This note analyzes some statements of the jurisprudence of the Court of Justice of the European Union regarding the activity of professional associations, in particular with regard to the adoption of professional fees and the relationship with the Union’s competition rules. The underlying issue is about the legality of the attribution to professional orders of the power to regulate the exercise of the activity of members in order to protect the interests of users of performance.
MASSIMA
Una decisione di un ordine professionale, equiparato ad un’associazione di imprese in quanto ente associativo di natura esponenziale degli operatori economici, che fissa gli importi minimi degli onorari dei professionisti iscritti all’albo, resi obbligatori da una normativa nazionale, equivale alla determinazione orizzontale di tariffe minime e imposte vietata dall'articolo 101 paragrafo 1 TFUE.
E’ di comune esperienza, e non necessita di una dimostrazione, il fatto che comportamenti collusivi che portano alla fissazione orizzontale dei prezzi determinano effetti negativi concreti sul mercato dando luogo a riduzioni della produzione, aumenti dei prezzi, una cattiva allocazione delle risorse a detrimento, in particolare, dei consumatori.
Detti comportamenti devono essere qualificati, rispetto alla concorrenza, come “restrizioni per oggetto” in quanto rivelano un grado sufficiente di dannosità nei confronti della concorrenza a prescindere dal livello a cui è fissato il prezzo minimo, pertanto siffatte restrizioni non possono in nessun caso essere giustificate dal perseguimento di obiettivi legittimi.
L'articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l'articolo 4 paragrafo 3, TUE, che istituisce un dovere di collaborazione tra l'Unione e gli Stati membri, obbliga questi ultimi a non adottare o a non mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, pertanto, nell'ipotesi in cui un giudice nazionale constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, è contrario all'articolo 101 paragrafo 1 TFUE esso è tenuto a rifiutare di applicare tale normativa nazionale.
L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consente all’avvocato e al suo cliente di pattuire un compenso inferiore all’importo minimo fissato da un regolamento adottato da un’organizzazione professionale di avvocati, come il Consiglio superiore dell’ordine forense bulgaro, e, dall’altro, non autorizza il giudice a disporre la rifusione degli onorari per un importo inferiore a tale minimo, deve essere considerata una restrizione della concorrenza «per oggetto», ai sensi di tale disposizione. In presenza di una simile restrizione, non possono essere invocati, al fine di sottrarre il comportamento in questione al divieto degli accordi e delle pratiche restrittivi della concorrenza, enunciato all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, gli obiettivi legittimi asseritamente perseguiti da detta normativa nazionale.
Il prezzo di un servizio fissato in un accordo o in una decisione adottati da tutti gli operatori del mercato non può essere considerato un prezzo reale di mercato, al contrario, l'azione concertata sui prezzi dei servizi da parte di tutti gli operatori del mercato costituisce una grave distorsione della concorrenza e osta proprio all'applicazione di prezzi reali di mercato
SOMMARIO: 1) La vicenda e la decisone; 2) La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sugli obiettivi legittimi idonei a giustificare decisioni di ordini professionali che possono avere effetti pregiudizievoli sulla concorrenza; 3) La sentenza Wouters: gli obiettivi legittimi che giustificano un accordo che ha effetti negativi sulla concorrenza e l’effettiva natura degli ordini professionali quali associazioni di imprese; 4) Conclusioni.
1) La vicenda e la decisone.
La legge bulgara relativa alla professione di avvocato[1], stabilisce, all'articolo 36, che l'importo degli onorari dell'avvocato è determinato in un accordo concluso tra il professionista e il proprio cliente, tale importo deve essere equo e giustificato e non può essere inferiore a quello previsto dal regolamento adottato dal Consiglio Superiore dell'Ordine Forense della Bulgaria per il tipo di prestazione di cui trattasi.
Il codice di procedura civile della Bulgaria prevede poi il principio della soccombenza secondo il quale gli oneri sostenuti dall'attore, le spese e gli onorari di avvocato sono poste a carico del convenuto proporzionalmente alla parte della domanda che è stata accolta.
Il giudice nel liquidare la somma da rifondere a titolo di spese processuali non può determinare un importo inferiore a quello previsto dal regolamento adottato dal Consiglio Superiore dell'Ordine Forense della Bulgaria per il tipo di prestazione di cui trattasi.
Il regolamento stabilisce che gli onorari per la rappresentanza in giudizio sono determinati in base alla natura e al numero di domande proposte, separatamente per ciascuna di esse. Inoltre taluni importi degli onorari sono stabiliti in base al valore dell'interesse difeso.
Il giudice bulgaro deve decidere pertanto una controversia in cui gli onorari di avvocato erano stati fissati in una sentenza sulla base del principio di soccombenza in una misura inferiore rispetto alla soglia minima prevista dal regolamento professionale dell'ordine bulgaro reso vincolante dalla normativa statale.
Il tribunale Distrettuale di Sofia ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea il compito di risolvere una serie di questioni pregiudiziali tutte relative alla compatibilità tra il sistema di determinazione delle spese legali in caso di soccombenza, sopra richiamato, che rende vincolanti i minimi tariffari stabiliti in un regolamento adottato dall'ordine professionale a livello nazionale, e la disciplina unionale.
Il parametro in relazione al quale la Corte di Giustizia ha effettuato le proprie valutazioni è l'articolo 101 del TFUE che, come noto, sancisce la nullità degli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno.
Il Giudice del rinvio fonda i propri rilievi su una precedente sentenza della Corte di Giustizia[2] del 2017, relativa alla medesima normativa, in cui la Corte aveva affermato che, ferma l’invalidità in linea di principio della disciplina, il giudice statale doveva verificare caso per caso se gli effetti restrittivi della concorrenza potevano essere giustificati dal perseguimento di obiettivi legittimi.
Nella sentenza della Corte di Giustizia oggetto del presente commento, si effettua una sorta di interpretazione autentica della precedente sentenza del 2017, richiamata del giudice rimettente[3] e si statuisce che la giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha ritenuto, in alcuni casi, non invalidi gli accordi tra imprese, o le decisioni di un'associazione di imprese, che limitino la libertà d'azione delle imprese che partecipano a tale accordo o sono assoggettate al rispetto di tali decisioni, non si applicano quando tali accordi e/o decisioni hanno per oggetto e non solo per effetto la restrizione della concorrenza[4].
Affinchè un atto limitativo della concorrenza possa essere considerato valido, esso deve perseguire obiettivi legittimi di interesse generale, i mezzi concreti adottati devono essere necessari, il pregiudizio alla concorrenza deve essere il minimo indispensabile e non deve portare all’eliminazione di qualsiasi concorrenza.
Queste tre condizioni possono legittimare accordi o decisioni adottate da un’associazione di imprese al fine di perseguire obiettivi di ordine etico, deontologico o più in generale di disciplinare l’esercizio di un’attività professionale.
Tuttavia, quando il comportamento che viola l'articolo 101 paragrafo 1 TFUE ha per oggetto (e non meramente per effetto), impedire restringere o falsare la concorrenza, tale comportamento sarà ammissibile unicamente in applicazione rigorosa dell'articolo 101 paragrafo 3 TFUE[5] e purché siano rispettati tutti i presupposti previsti in tale disposizione può essere ad essi essere applicato il beneficio dell’esonero dal divieto di cui al paragrafo 1.
Inoltre, un accordo o decisione che abbia per oggetto la restrizione della concorrenza, è sicuramente dannosa per la concorrenza e pertanto si tratta di negozi o atti del tutto nulli, eventuali disposizioni di natura legislativa o regolamentare che li rendano vincolanti devono essere disapplicate, e, infine, da tali negozi o atti non è ricavabile neppure un prezzo “di mercato”.
E’ necessario anche segnalare che la sentenza oggetto di commento segue di pochi giorni il deposito di altra sentenza, Corte di Giustizia 18 gennaio 2024, Lietuvos notarų rūmai, in causa C-128/21, ove, a proposito del Consiglio del Notariato lituano di cui tutti i notai in Lituania fanno parte, si afferma che lo stesso deve essere considerato una associazione di imprese e che, se tale Consiglio stabilisce regole che uniformano il modo in cui i notai di uno Stato membro calcolano l’importo degli onorari fatturati per il compimento di talune delle loro attività, adotta una decisione che costituisce restrizione della concorrenza «per oggetto», vietata dall'articolo 101 paragrafo 1 TFUE e non giustificabile in base all’asserito perseguimento di obiettivi legittimi.
2) La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea su gli obiettivi legittimi idonei a giustificare decisioni di ordini professionali che possono avere effetti pregiudizievoli sulla concorrenza.
Nella sentenza oggetto di commento vengono ampiamente richiamate due precedenti decisioni: La sentenza del 23 novembre 2017, CHEZ Elektro Bulgaria e FrontEx International, in causa C-427/16 e C-428/16 e la sentenza 19 febbraio 2002 J.C.J. Wouters in causa C-309/99.
La sentenza del 23 novembre 2017, CHEZ Elektro Bulgaria e FrontEx International (C-427/16 e C-428/16) è stata emessa sempre in relazione ad una rimessione effettuata dal Tribunale circondariale di Sofia, Bulgaria.
La disciplina Bulgara oggetto del rinvio pregiudiziale è la stessa oggetto della più recente sentenza della Corte di Giustizia Europea 25 gennaio 2024 (Causa C-438/22). Il giudice del rinvio, nel 2016, aveva chiesto se fosse compatibile con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, una normativa nazionale, che, da un lato, non consentisse all’avvocato e al cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore a quello previsto da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria forense, quale il Consiglio superiore dell’ordine forense bulgaro, a pena di procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzasse il giudice a disporre la rifusione di onorari d’importo inferiore al minimo.
La Corte, nella sentenza del 2017, in primis afferma che risulta da costante giurisprudenza della Corte che, l’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che istituisce un dovere di collaborazione tra l’Unione e gli Stati membri, obbliga questi ultimi a non adottare o a non mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese[6].
Poi afferma che il Consiglio superiore dell’ordine forense bulgaro è composto soltanto da avvocati eletti da colleghi. Poiché, come si vedrà meglio nel paragrafo successivo dedicato alla sentenza la sentenza 19 febbraio 2002 J.C.J. Wouters in causa C-309/99, gli avvocati, pur essendo liberi professionisti, svolgono un’attività economica, sono da ritenersi delle imprese e gli ordini professionali sono da considerarsi delle associazioni di imprese.
Ebbene, la tariffa determinata da una simile organizzazione di categoria potrebbe comunque rivestire natura statale, in particolare quando i membri dell’organizzazione di categoria siano esperti indipendenti dagli operatori economici interessati e siano tenuti dalla legge a fissare le tariffe prendendo in considerazione non solo gli interessi delle imprese o delle associazioni di imprese nel settore che li ha designati, ma anche l’interesse generale e gli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi[7].
Per garantire che i membri di una organizzazione di categoria operino effettivamente nel rispetto dell’interesse generale, i criteri di tale interesse devono essere definiti dalla legge in modo sufficientemente preciso e devono ricorrere un controllo effettivo e il potere decisionale in ultima istanza da parte dello Stato.
Nella specie, la normativa oggetto del procedimento principale non contiene alcun criterio preciso idoneo a garantire che gli importi minimi delle parcelle degli avvocati, quali fissati dal Consiglio superiore dell’ordine forense, siano equi e giustificati nel rispetto dell’interesse generale.
Ne deriva che, considerata l’assenza di disposizioni idonee a garantire che il Consiglio superiore dell’ordine forense agisca come emanazione della pubblica autorità che operi a fini di interesse generale sotto l’effettivo controllo e sotto il potere decisionale di ultimo grado da parte dello Stato, un’organizzazione di categoria, quale il Consiglio superiore dell’ordine forense, dev’essere considerata, nell’adozione dei regolamenti diretti alla fissazione degli importi minimi degli onorari forensi, quale associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101 TFUE.
Tuttavia, nella sentenza del 23 novembre 2017, la Corte di Giustizia ha precisato che, al fine di sancire l’assoluta invalidità di tali atti giuridici occorre anzitutto tenere in considerazione il contesto globale nel quale la decisione controversa dell’associazione di imprese in questione sia stata adottata o spieghi i propri effetti nonché, in particolare, i propri obiettivi. Occorre poi verificare se gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano ineriscano al perseguimento di tali obiettivi[8] si deve verificare infine se le restrizioni così imposte dalla disciplina in esame nei procedimenti principali siano limitate a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi.
La Corte, alla luce degli atti di cui dispone, nella sentenza del 2017, afferma di non essere in grado di valutare se la normativa oggetto di rinvio possa essere considerata necessaria per la realizzazione di un obiettivo legittimo e rimette pertanto al giudice del rinvio valutare, alla luce del contesto generale in cui il regolamento, adottato dal Consiglio superiore dell’ordine forense, si colloca ovvero spiega i propri effetti, se, alla luce del complesso degli elementi pertinenti di cui dispone, le norme che sanciscono le restrizioni controverse nei procedimenti principali possano essere considerate necessarie all’attuazione di tale obiettivo.
Come appena visto nella recente sentenza 25 gennaio 2024 (Causa C-438/22) la Corte di Giustizia precisa che tali principi si applicano soltanto nel caso in cui gli atti oggetto di valutazione abbiano per effetto e non per oggetto una restrizione della concorrenza. La possibile giustificazione relativa agli obiettivi legittimi potrà riguardare disposizioni di natura deontologica o organizzativa ma non atti che stabiliscono l’entità dei corrispettivi delle prestazioni.
3) La sentenza Wouters: gli obiettivi legittimi che giustificano un accordo che ha effetti negativi sulla concorrenza e l’effettiva natura degli ordini professionali quali associazioni di imprese.
Nella sentenza della Corte di Giustizia oggetto di commento viene poi ampiamente richiamata la sentenza 19 febbraio 2002 nel procedimento C-309/99, nota come sentenza Wouters.
Il tema principale su cui statuisce tale sentenza è relativo ad un regolamento approvato dall'organo rappresentativo a livello nazionale dell'Ordine degli Avvocati dei Paesi Bassi (Samenwerkingsverordening 1993 – regolamento del 1993 sulla collaborazione).
Con tale regolamento si vieta agli avvocati la possibilità di costituire associazioni professionali con i revisori dei conti.
Nella sentenza si riconosce la sussistenza di ragioni che giustificano una limitazione alla possibilità di costituire tali associazioni professionali:
- il mercato dei revisori dei conti è caratterizzato da una concentrazione accentuata, gli studi di revisione sono divenute organizzazioni gigantesche di modo che la collaborazione di uno studio legale con uno studio del genere somiglierebbe, secondo il decano generale dell’Ordine, “più a un matrimonio di un topo e di un elefante che ad un’unione tra soci di dimensioni equivalenti”;
- vi è una necessità di assicurare che l’avvocato non si trovi in una situazione di conflitto di interessi e all’avvocato deve essere garantita una indipendenza nei confronti dei pubblici poteri, degli altri operatori e dei terzi da cui non deve mai subire l’influenza e può esistere una certa incompatibilità tra l’attività di “consulenza” svolta dall’avvocato e l’attività di “controllo” svolta dal revisore dei conti;
- Il revisore procede a un controllo obiettivo sulla contabilità dei clienti e può comunicare a terzi la sua opinione personale quanto all’affidabilità di tali dati contabili. Vi è dunque una diversa disciplina del segreto professionale per gli avvocati e per i revisori dei conti;
- il divieto di collaborazione integrata tra avvocati e revisori dei conti avrebbe un effetto positivo per la concorrenza perché evita la concentrazione dei servizi legali prestati dagli avvocati tra le mani di alcune grandi società internazionali e di conseguenza port a mantenere un elevato numero di operatori sul mercato.
Tutte queste premesse portano la Corte di Giustizia, nel 2002, a ritenere compatibile con la disciplina della concorrenza il divieto di costituire associazioni professionali tra avvocati e revisori dei conti perché tale normativa, nel contesto normativo applicabile ai Paesi Bassi, persegue obiettivi legittimi, inerenti la necessità di concepire norme in tema “di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità, che forniscano la necessaria garanzia di integrità e di esperienza ai consumatori finali dei servizi legali e alla buona amministrazione della Giustizia”[9].
La parte più interessante della sentenza Wouters, al di là della disciplina concreta oggetto di giudizio sopra richiamata, riguarda però l’affermazione inequivoca, peraltro già presente in precedenti decisioni[10], e ribadita dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale i professionisti svolgono un’attività economica e sono dunque imprese e di conseguenza gli ordini professionali, anche se riconosciuti quali pubbliche autorità dalle normative statali, devono essere qualificati quali associazioni di imprese ai sensi degli articoli del Trattato relativi alla concorrenza.
Nella sentenza si afferma che, secondo una giurisprudenza costante nell'ambito del diritto della concorrenza la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un'attività economica a prescindere dallo status giuridico della detta entità e dalle sue modalità di finanziamento[11], risulta poi, da una giurisprudenza anch'essa costante, che costituisce un'attività economica qualsiasi attività consistente nell' offrire beni o servizi su un mercato determinato[12] .
Gli avvocati offrono dietro corrispettivo, servizi di assistenza legale consistenti nella predisposizione di pareri di contratti o di altri atti nonché nella rappresentanza nella difesa in giudizio. Inoltre essi assumono i rischi finanziari relativi all'esercizio di tali attività poiché in caso di squilibrio tra le spese e le entrate l'avvocato deve sopportare direttamente l'onere dei disavanzi.
Di conseguenza gli avvocati iscritti all'albo nei Paesi Bassi svolgono un'attività economica e pertanto costituiscono imprese ai sensi degli articoli sulla concorrenza del trattato senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l'esercizio della loro professione sia regolamentato siano elementi tali da modificare questa conclusione[13].
Occorre determinare se, quando emana un regolamento, un ordine professionale debba essere considerato come un'associazione di imprese o al contrario come una pubblica autorità.
Secondo la giurisprudenza della Corte un'attività che per la sua natura, per le norme alle quali è soggetta, e per il suo oggetto, esuli dalla sfera degli scambi economici o si ricollega all'esercizio di prerogative dei pubblici poteri sfugge all'applicazione delle regole di concorrenza del trattato.
Un'organizzazione professionale che dispone di poteri normativi, quale l'ordine olandese degli avvocati, non può sfuggire all'applicazione dell'articolo 85 del Trattato.
Occorre innanzitutto rilevare che quando emana un regolamento come la Samenwerkingsverordening 1993, con cui si vieta agli avvocati la possibilità di costituire associazioni professionali con i revisori dei conti, un'organizzazione professionale, quale l'ordine olandese degli avvocati, non esercita né una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà né prerogative tipiche dei pubblici poteri, essa appare come l'organo che disciplina una professione il cui esercizio costituisce per il resto un'attività economica.
Gli organi direttivi dell'ordine olandese degli avvocati sono esclusivamente composti da avvocati i quali sono eletti soltanto da appartenenti alla professione, le autorità nazionali non possono intervenire nella designazione dei membri dei comitati di vigilanza del collegio dei delegati e del consiglio generale[14] .
D'altra parte quando emana atti l'ordine olandese degli avvocati non è vincolato neppure al rispetto di un certo numero di criteri di interesse pubblico. La legge che lo autorizza a emanare regolamenti si limita a esigere che ciò avvenga nell'interesse del corretto esercizio della professione.
Nella sentenza del 2002 si afferma che, alla luce delle considerazioni richiamate, risulta chiaramente che un'organizzazione professionale quale l'ordine olandese degli avvocati deve essere considerata come un'associazione di imprese ai sensi dell'articolo 85 n. 1 del Trattato quando essa emana un regolamento quale quello oggetto di causa. Un siffatto regolamento costituisce infatti L'espressione della volontà di rappresentanti degli appartenenti a una professione volta ad ottenere da questi ultimi che essi adottino un determinato comportamento nell'ambito della loro attività economica[15].
Poco importa del resto che l'ordine olandese degli avvocati sia soggetto una disciplina di diritto pubblico.
Secondo la sua stessa formulazione l'articolo 85 del trattato si applica ad accordi tra imprese e a decisioni di associazioni di imprese. L'ambito giuridico entro il quale ha luogo la conclusione di detti accordi e sono adottate dette decisioni nonché la definizione giuridica di tale ambito data dai vari ordinamenti giuridici nazionali sono irrilevanti ai fini dell'applicazione delle regole comunitarie di concorrenza e in particolare dell'articolo 85 del trattato[16].
Tale interpretazione non sfocia nella violazione del principio dell'Autonomia istituzionale.
Nell'attribuire poteri normativi ad un'associazione professionale uno Stato membro può aver cura di definire i criteri di interesse generale e i principi essenziali ai quali la normativa dell'ordine deve conformarsi nonché di conservare il proprio potere di decisione in ultima istanza. In questo caso le norme emanate dall'Associazione professionale conservano un carattere pubblico e sfuggono alle norme del trattato applicabili alle imprese. Altrimenti le norme emanate dall'Associazione professionale sono imputabili ad essa sola.
Alla luce delle considerazioni che precedono La Corte conclude nel senso che un regolamento relativo alla collaborazione tra gli avvocati e altre professioni liberali adottato da un ente quale l'ordine olandese degli avvocati deve essere considerato come una decisione presa da un'associazione di imprese ai sensi dell'articolo 85 numero 1 del trattato.
4) Conclusioni.
Nella sentenza della Corte di Giustizia 25 gennaio 2024, in causa C-438/22, oggetto del presente commento, e in quella quasi contestuale 18 gennaio 2024, in causa C-128/21, la Corte di Giustizia europea rinnova e radicalizza una serie di principi giuridici che ha iniziato ad affermare fin dagli anni ‘90 del secolo scorso.
I liberi professionisti svolgono attività economica e pertanto sono equiparati a delle imprese. Gli ordini professionali, se composti esclusivamente da professionisti eletti da professionisti, sono associazioni di imprese ai fini della disciplina del Trattato a tutela della concorrenza e restano associazioni di imprese anche se la disciplina legislativa statale ne riconosce la qualifica di ente pubblico[17].
Gli ordini professionali, nel momento in cui adottano atti destinati a disciplinare l’esercizio della professione, incidono in modo negativo sulla concorrenza.
Tali atti possono essere ritenuti validi solo se sono finalizzati a perseguire obiettivi legittimi di interesse generale, i mezzi concreti adottati devono essere necessari, il pregiudizio alla concorrenza deve essere il minimo indispensabile e non deve portare all’eliminazione di qualsiasi concorrenza.
Tuttavia sono in ogni caso nulli gli atti assunti dagli ordini professionali che hanno come oggetto e non soltanto come effetto la restrizione della concorrenza. Stabilire un tariffario vincolante nei minimi o nei massimi consiste in un’attività che ha per oggetto una restrizione della concorrenza e quindi si tratta di atti nulli anche se assunti da un’associazione di imprese riconosciuta quale pubblica autorità dalla disciplina statale.
Per quanto concerne invece atti destinati a stabilire regole deontologiche, organizzative ed altro si tratta di atti che provocano come effetto una restrizione della concorrenza e non hanno come oggetto la restrizione stessa pertanto, in alcuni casi, potranno non essere considerati nulli.
Affinchè un ordine professionale possa essere considerato davvero un ente pubblico deve avere nella propria organizzazione rappresentanti di interessi diversi da quelli degli esercenti la professione, primi fra tutti gli utenti del servizio, e la legge che attribuisce all’ente la potestà pubblica, secondo un principio di legalità sostanziale, deve anche disciplinare il procedimento e i criteri di esercizio del potere discrezionale in modo che davvero l’ente pubblico persegua interessi generali e non gli interessi di categoria degli esercenti la professione.
In ogni caso bisogna ricordare che la giurisprudenza della Corte rispetto ad atti che hanno come oggetto la restrizione della concorrenza li considera nulli comunque se si pongono in contrasto con l’art. 56 TFUE (ex art.49 del trattato CE) che stabilisce che “le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione”.
La Corte di Giustizia[18] a tal proposito ha affermato che le tariffe possono costituire una restrizione per il professionista straniero in quanto esso viene privato della possibilità di fare concorrenza, chiedendo onorari inferiori a quelli tariffari, ai professionisti stabiliti permanentemente nello Stato membro in cui intende esercitare la propria attività, i quali professionisti dispongono, per tale ragione, di una maggiore facilità di crearsi una clientela rispetto agli avvocati stabiliti all'estero. Inoltre le tariffe limitano la possibilità per i consumatori di uno Stato membro di servirsi di professionisti di altri Stati membri che richiedano tariffe inferiori ai minimi tariffari. Queste deroghe alla libera concorrenza non sono vietate in assoluto, ma possono essere giustificate qualora rispondano a ragioni imperative di interesse pubblico.
In sostanza delle tariffe professionali decise da un ordine professionale, anche se poi recepite dalla normativa statale ed anche se la normativa statale riconosce all’ordine la natura di ente pubblico, sono senz’altro nulle perchè sono atti di un’associazione di imprese che hanno per oggetto una restrizione della concorrenza.
Se invece una tariffa professionale è approvata da un ente davvero pubblico e nell’effettivo perseguimento di interessi che trascendono gli interessi della categoria di esercenti la professione si tratta comunque di atti che incidono negativamente sulla libertà di prestazione di servizi e potranno essere considerate valide solo se si è in presenza di ragioni imperative di interesse pubblico.
La Corte di Giustizia pertanto con la sentenza oggetto di commento, e quella ad essa contestuale relativa alle tariffe dei notai lituani, ha chiarito la generalizzata nullità dei tariffari approvati dagli ordini professionali che non possono essere giustificati da pretesi obiettivi legittimi asseritamente perseguiti perché è evidente che un ente, in cui sono rappresentati solo gli interessi di una certa categoria, nei propri atti non potrà che perseguire, esclusivamente, gli interessi della categoria stessa.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia, partendo dalla necessaria tutela della concorrenza, pone un tema più ampio: è ammissibile demandare agli ordini un potere autoritativo e regolatorio dell’attività professionale o lo Stato in questo modo sta delegando a dei privati delle potestà pubbliche? E, in ogni caso, nell’ordinamento giuridico italiano, gli ordini professionali rispondono al principio di imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione? Sono davvero enti in grado di identificare l'utilità sociale o tutelare la salute, l'ambiente, la sicurezza, la libertà, e la dignità umana? sono idonei a indirizzare l’attività professionale a fini sociali e ambientali ?.
Le attività professionali devono sicuramente essere disciplinate e conformate per assicurare effettiva tutela ai rilevantissimi interessi coinvolti nell’esercizio di lavori connotati da particolare tecnicismo e complessità. Tale disciplina deve però essere posta in essere, sulla base della legge, da enti pubblici nella cui organizzazione trovano espressione gli interessi da tutelare e non solo gli interessi di chi esercita l’attività.
NOTA:
[1] DV n.55 del 25 giugno 2004 e succ. mod. e int..
[2] Corte di Giustizia Europea, 23 novembre 2017, CHEZ Elektro Bulgaria in causa C-427/16 e C-428/16.
[3] Si richiama anche la giurisprudenza facente parte del medesimo filone interpretativo, da ultimo, Corte di Giustizia Europea del 21 dicembre 2023, European Superleague Company SL in causa C-333/21, punto 183.
[4] Precisamente, dalla sentenza oggetto di commento, punto 30, si ricava che accordi o decisioni che possono avere per effetto una limitazione della concorrenza sono ammissibili in presenza di tre presupposti:
1) dal contesto economico e giuridico si può ricavare che gli accordi e le decisioni sono giustificati dal perseguimento di uno o più obiettivi legittimi di interesse generale privi di per sé di carattere anticoncorrenziale;
2) i mezzi concreti ai quali si fa ricorso per perseguire tali obiettivi sono effettivamente necessari a tal fine;
3) anche qualora risulti che tali mezzi hanno l'effetto intrinseco di restringere o falsare, per lo meno potenzialmente, la concorrenza tale effetto intrinseco non si spinge oltre quanto necessario in particolare eliminando qualsiasi concorrenza.
[5]L’art. 101 paragrafo 3 TFUE, statuisce:
“ 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
— a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di:
- a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;
- b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.”
[6] In questo senso, Corte di Giustizia Europea, 21 settembre 2016 (causa C‑221/15).
[7] In questo senso, Corte di Giustizia Europea, 4 settembre 2014 (cause C‑184/13 a C‑187/13, C‑194/13, C‑195/13 e C‑208/13) punto 34.
[8] Corte di Giustizia Europea 19 febbraio 2002, (causa C 309/99,) punto 97; Corte di Giustizia Europea,18 luglio 2013, (causa C -136/12) punto 53; Corte di Giustizia Europea, 4 settembre 2014, (cause C 184/13 a C 187/13, C 194/13, C 195/13 e C 208/13) punto 47.
[9] Punto 97 della sentenza, ove si richiama Corte di Giustizia 12 dicembre 1996, Reisebüro Broed in causa C-3/95.
[10] Per tutte Corte di Giustizia 18 giugno 1998 (causa C – 35/96) a proposito degli spedizionieri doganali italiani in un giudizio che ha visto contrapporsi la Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
[11]Corte di Giustizia Europea 23 aprile 1991, (causa C-41/90); 16 novembre 1995, (causa C-244/94), 11 dicembre 1997, (causa C-55/96).
[12] Corte di Giustizia 16 giugno 1987, (causa 118/85) e 18 giugno 1998, (causa c-3596).
[13] Sentenza 12 settembre 2000, (cause riunite da C-180/98 a C-184/98) a proposito dei medici.
[14] Si richiama la sentenza della Corte di Giustizia 18 giugno 1998 (causa C – 35/96) a proposito degli spedizionieri doganali.
[15] Nella sentenza della Corte, Grande Sezione, 5 dicembre 2006 ,( nei procedimenti riuniti C-94/04 e C-202/04), la Corte ha affermato che la disciplina legislativa italiana dell’epoca relativa alla tariffe forensi, (art. 57 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36, secondo cui i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovuti agli avvocati ed ai procuratori in materia civile, penale e stragiudiziale erano stabiliti ogni due anni con deliberazione del CNF, dopo essere stata deliberata dal CNF, la tariffa doveva, essere approvata dal Ministro della Giustizia, sentiti il Comitato interministeriale dei prezzi e il Consiglio di Stato), non significava che lo Stato italiano avesse rinunciato ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l’applicazione di tale tariffa. Da un lato, il CNF era incaricato soltanto di approntare un progetto di tariffa privo, in quanto tale, di forza vincolante. In mancanza di approvazione da parte del Ministro della Giustizia, il progetto di tariffa non entrava in vigore, e restava in vigore la tariffa precedentemente approvata.
Poiché il Ministro aveva il potere di far emendare il progetto da parte del CNF ed Inoltre, il Ministro era assistito da due organi pubblici, il Consiglio di Stato ed il CIP, dai quali doveva ottenere il parere prima di qualsiasi approvazione della tariffa, la Corte ha affermato che, non si potesse ritenere che lo Stato italiano abbia rinunciato ad esercitare il proprio potere delegando ad operatori privati la responsabilità di prendere decisioni di intervento nel settore economico, il che avrebbe portato a privare del suo carattere pubblico la normativa di cui trattasi.
La dottrina che si è occupata delle tariffe professionali è naturalmente molto vasta, per limitarsi a dei riferimenti recenti sulla disciplina si vedano per tutti: R. Sguera, Tariffe professionali e normativa comunitaria: un’incompatibilità solo apparente, in Rivista del Notariato, fasc.3, 2024, pag. 653, che ripercorre l’evoluzione normativa e la giurisprudenza dell’Unione Europea sule tariffe professionali; precedentemente, in modo ampio e ricco di riferimenti bibliografici, si veda A. G. Grasso, La sfida dell’innovazione per le professioni intellettuali: il bilanciamento di interessi nella giurisprudenza, in Persona e Mercato, 2020, fasc.4, pagg. 477, ss..
[16] Sentenze 30 gennaio 1985 causa 123/83, e 18 giugno 1998 causa C – 35/96. Il TAR del Lazio, sez. I, 28 gennaio 2000, n. 466, in Giornale di Diritto amministrativo, 2000, 356 ss con nota di G. Fonderico, riconosce la natura di Associazioni di imprese al Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali e al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti.
[17] Consiglio di Stato, sez. VI, 22.03.2016, n. 1164, in Foro it. 2016, 9, III, 457, ha affermato: “La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, con orientamento che la Sezione condivide anche in ragione della sua coerenza con la nozione elastica di soggetto pubblico fissata dal diritto comunitario in attuazione del principio dell’effetto utile, che: «l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico», con la conseguenza che «si ammette ormai senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica». Questa nozione “funzionale” di ente pubblico, si è sottolineato, «ci insegna, infatti, che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa». La conseguenza che ne deriva è «che è del tutto normale, per così dire “fisiologico”, che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico, possa non esserlo ad altri fini, rispetto all’applicazione di altri istituti che danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali» (in questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660).”
In tale sentenza è stata riconosciuta la natura di “associazione d’imprese” al Consiglio Nazionale Forense nel momento in cui ha limitato ai professionisti iscritti l’impiego di un canale di diffusione delle informazioni ed ha pubblicato una circolare tesa a sollecitare negli stessi il rispetto delle tariffe professionali pur dando atto della loro non vincolatività sul piano civilistico.
Su tale vicenda è intervenuto nuovamente il Consiglio di Stato, nella sentenza 30.04.2020 n. 2764, esprimendosi tuttavia solo su aspetti del procedimento sanzionatorio posto in essere dall’AGCM. Su tale sentenza si veda: D. Granara, Tutela della concorrenza e tutela della professione forense nell’ordinamento italiano: divergenza o coincidenza con il diritto europeo?, in Federalismi.it, 30/2020,119 ss.
[18] Corte di Giustizia, 5 dicembre 2006 (procedimenti riuniti C-94/04 e C-202/04).