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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Studi



Nuove considerazioni in tema di aiuti di stato per imprese culturali e creative: tassonomie generiche, contrasti normativi e programmazione 2021-2027.

Di Salvatore Aurelio Bruno
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Nuove considerazioni in tema di aiuti di stato per imprese culturali e creative: tassonomie generiche, contrasti normativi e programmazione 2021-2027

 

Di SALVATORE AURELIO BRUNO

 

All’indomani del completamento di sforzi statistici per la classificazione unitaria[1] di definizioni e funzioni regolate da diverse normative nazionali, prima la programmazione 2014-2020 ed oggi quella in fieri 2021-2027 hanno tracciato la fattispecie delle “industrie creative e culturali” nell’accesso alle risorse europee.

Il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) ha, però, introdotto nell’ordinamento italiano l’istituto delle “imprese culturali e creative”.

Ancorchè similare, la definizione europea di “industrie creative e culturali”, tanto dal punto di vista della semantica e dell'ordine sequenziale delle parole, non è a stretto rigore assimilabile all’istituto italiano, comunque non ancora regolamentato, delle imprese culturali e creative.

Recentemente è stato predisposto uno schema di disegno di legge recante misure per lo sviluppo del turismo e per le imprese culturali e creative, insieme alla delega al Governo in tema di spettacolo. In tale articolato di disegno di legge si trova un articolo 9, rubricato “Imprese culturali e creative”, che al comma 1 punto a) è speculare al disposto del detto comma 57 dell’articolo 1 della Legge 205/2017 in ordine alla definizione dell’impresa culturale e creativa.

La crisi pandemica ha fermato i lavori per l’approvazione del DDL in questione.

L’articolato definitorio, ripetuto con il recente disegno di legge, contiene varie possibili criticità in termini di coerenza, non solo con la normativa nazionale in materia di patrimonio culturale, ma con la stessa normativa Europea sugli aiuti di Stato. Ci concentreremo su questo ultimo tema.

Pur senza illusioni, ancor meno iattanza, intento di questo breve saggio è quello di tracciare qualche umile effemeride che possa servire quale riferimento nell’accidentato percorso di legiferazione.

 

LA PROGRAMMAZIONE 2014-2020 E LO STATE OF ART DELLA NUOVA PROGRAMMAZIONE IN TEMA DI INDUSTRIE CREATIVE E CULTURALI

Nelle Conclusioni del Consiglio europeo sul contributo della cultura all’attuazione della strategia di Europa 2020 (2011/C175/01) e nella Comunicazione della Commissione “Valorizzare i settori culturali e creativi per favorire la crescita e l'occupazione nell'UE” (COM(2012) 537 final) sono state descritte le potenzialità dei settori culturale e creativo e della cultura in senso lato rispetto ai tre cardini della strategia Europa 2020 (crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva). 

Anche nelle iniziative un'agenda digitale europea e L'Unione dell'innovazione, il Consiglio europeo ha riconosciuto i settori culturali e creativi come importanti fonti d'innovazione tecnologica e non tecnologica, per usare l'elevato potenziale economico delle industrie culturali e creative per accelerare il processo di trasformazione dell’Europa[2].

Coerentemente, a detti indirizzi e comunicazioni, con l’azione 3. a. 1a del PON Cultura e Sviluppo 2014-2020 per “Interventi di supporto alla nascita di nuove imprese sia attraverso incentivi diretti, sia attraverso l’offerta di servizi, sia attraverso interventi di micro-finanza” si è inteso rafforzare la competitività delle PMI della filiera culturale e creativa.

Il successivo decreto del Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo 11 maggio 2016, ha istituito un regime di aiuto per lo sviluppo ed il sostegno di attività imprenditoriali nella filiera culturale e creativa.

Con direttiva operativa del Segretariato Generale Servizio II n.55 del 20/07/2016 sono stati poi fissati i termini e modalità di presentazione delle domande per l’accesso alle agevolazioni in favore di iniziative imprenditoriali nell’industria culturale e creativa.

L’azione 2 del POC Cultura e Sviluppo 2014-2020 mira, anch’essa, al supporto allo sviluppo di prodotti e servizi complementari alla valorizzazione di identificati attrattori culturali del territorio anche attraverso l'integrazione tra imprese delle filiere culturali, turistiche, creative e dello spettacolo, e delle filiere dei prodotti tradizionali e tipici.

Per come evidente, sia il DM 11/05/16 che la direttiva operativa n. 55 non hanno fatto riferimento all’istituto della impresa culturale e creativa giacché ancora non esistente nel nostro ordinamento, bensì a generiche “filiere o industrie culturali e creative”.

Il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) ha, però, introdotto nell’ordinamento italiano l’istituto delle “imprese culturali e creative”.

Tale articolato contiene varie possibili criticità in termini di coerenza, non solo con la normativa in materia di patrimonio culturale, ma con la stessa normativa Europea sugli aiuti di Stato. Di seguito proveremo ad esporre qualche annotazione su quest’ultimo tema.

Al momento della scrittura di queste note non è intervenuto l’ivi previsto decreto interministeriale (MIBACT-MISE), previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni e parere parlamentare, che avrebbe dovuto essere adottato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per la definizione della procedura per il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa e per la definizione di prodotti e servizi culturali e creativi.

Il 30 maggio 2018 la Commissione ha adottato la proposta di regolamento (COM (2018) 372) relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione (FESR / Regolamento del Fondo di coesione), in parallelo alla proposta di nuovo CPR Common Provisions Regulation 2021-2027.

Nel trilogue, la prima lettura del Parlamento europeo è stata completata 27 marzo 2019.

Il Consiglio Europeo il 13 dicembre 2019 ha espresso la propria posizione sugli strumenti aggiungendo alla proposta di Regolamento FESR il seguente considerando: (10 bis) Gli investimenti a sostegno delle industrie creative e culturali, dei servizi culturali e dei siti del patrimonio culturale potrebbero essere finanziati nell'ambito di qualsiasi obiettivo politico a condizione che contribuiscano agli obiettivi specifici e che rientrino nell'ambito del sostegno del FESR. Tale considerando è relativo all’Obiettivo di Policy 5 "un'Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali" ("OS 5").

Inutile, sottolineare un’altra volta la diversità dell’espressione “industrie creative e culturali” (anche dal punto di vista della semantica e dell'ordine delle parole): essa non è perfettamente assimilabile all’istituto italiano delle imprese culturali e creative.

La nuova regolamentazione è stata rallentata dalla fase emergenziale Covid-19[3]. Purtuttavia, presto dovrebbe essere emanata , secondo le nuove previsioni adottate dal Consiglio Europeo del 23 aprile 2020 e secondo la nuova proposta modificata della Commissione di regolamento FESR del 28 maggio 2020[4].

Infine, va detto che in data 18 febbraio 2020 il DAGL della Presidenza del Consiglio dei Ministri con nota rif.51013/10.3.111, ha mandato ai capi degli Uffici legislativi uno schema di disegno di legge recante misure per lo sviluppo del turismo e per le imprese culturali e creative, insieme alla delega al Governo in tema di spettacolo. In tale articolato di disegno di legge si trova un articolo 9, rubricato “Imprese culturali e creative”, che al comma 1 punto a) è speculare al disposto del comma 57 dell’articolo 1 della Legge 205/2017 in ordine alla definizione dell’impresa culturale e creativa.

La crisi pandemica ha fermato i lavori per l’approvazione del DDL in questione.

 

 

CLASSIFICAZIONE DELL’IMPRESA CULTURALE E CREATIVA

Per anni gli studiosi hanno tentato di tracciare confini definitori adeguati per le imprese culturali e creative (di seguito ICC).

Lo sforzo tassonomico ha preso in considerazione criteri tanto sul lato dell’offerta (“creatività individuale”, “lavori di tipo artigianale non di mercato o ”Subsidized Muses)”) quanto sul lato della domanda (“valore d’uso simbolico” per l’utente) ed infine criteri basati sul diritto d’autore. Tutti i tentativi si sono rivelati insufficienti[5].

Una prima classificazione delle attività delle ICC venne proposta dall'Institute for Statistics dell'UNESCO. L'ultima classificazione è del 2009 ed individua in sette «classi» il  core del settore. Tra esse la prima è “il patrimonio culturale e naturale”[6].

Successivamente un accordo tra esperti a livello Europeo venne raggiunto nel 2012 in seno all’European Statistical System Network on Culture (ESSnet-Culture)[7]: Per individuare le attività da introdurre tra le Imprese Culturali e Creative,  il gruppo di esperti ha individuato dieci domini come specifici del settore, tra essi: “1) Heritage (Museums, Historical places, Archaeological sites, Intangible heritage); 2) Archives; 3) Libraries”[8].  Purtroppo, appartengono allo stesso “Cultural domain” anche le seguenti macro-categorie “Books and press, “Visual arts”, “Architecture”, “Performing Arts”, “Audiovisual & Multimedia”, “Advertising” “Interdisciplinary products for several domains[9].

E’ evidente che a fronte di un Codice dei Beni Culturali che nella sostanza è rimasto basato sulle “res qui tangi possunt” di impronta Bottai, e in mancanza dell’atteso Codice dello Spettacolo, tali tassonomie aggreganti diversi settori merceologici e discipline normative possono ingenerare solo grosse confusioni.

Succede talvolta che il processo di armonizzazione normativo tra i diversi sistemi ordinamentali dei vari Stati membri dell’Unione Europea, oltre a peccare della solita (e necessaria) genericità atecnica, si ponga in contraddizione rispetto all’ordinamento costituzionale degli Stati membri.

In conclusione, i risultati dell’accordo classificatorio di tipo statistico intrapreso dall’European Statistical System Network on Culture (ESSnet-Culture) potrebbero creare, a nostro giudizio, dei problemi di compatibilità, oltre che con l’impianto costituzionale di tutela del patrimonio culturale previsto all’articolo 9 della Costituzione e con la collocazione come LEP degli obblighi di tutela di cui al DL 146/2015, anche con lo stesso incardinamento europeo degli Aiuti di Stato e con il regolamento sui regimi esenti. Di seguito proveremo ad elencare qualche possibile criticità.

 

PERIMETRO DI ANALISI

In quest’analisi tenteremo di sgombrare il settore da alcuni equivoci con riferimento in particolare agli Aiuti di Stato.

Ci accingiamo, pertanto, ad una actio finium regundorum tra istituti giuridici diversi nei loro rapporti di compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato.

Il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017), nel normare un credito d’imposta per “attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi” disciplina anche il nuovo istituto delle “imprese culturali e creative”. Il secondo periodo del comma fa riferimento a “prodotti culturali, intesi quali (…) beni, servizi ed opere dell’ingegno (…) inerenti agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale[10]”.

Il successivo comma 58 prevede che con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della  legge  23  agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore della legge[11], sentite le competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta  giorni  dalla  richiesta,  e  previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  tenendo conto delle necessità  di  coordinamento  con  le  disposizioni  del codice del Terzo settore, di cui  al  decreto  legislativo  3  luglio 2017, n. 117, è disciplinata, senza nuovi o maggiori  oneri  per  la finanza pubblica e nell'ambito delle  risorse  umane,  strumentali  e finanziarie disponibili a legislazione vigente, la procedura  per  il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa e  per la definizione di prodotti e servizi  culturali  e  creativi  e  sono previste adeguate forme di pubblicità.

Per come detto sopra, l’art. 9 comma 1 punto a) del DDL sopraccennato riporta alla lettera l’articolato definitorio del comma 57. Non se ne accenna stante lo stato ancora embrionale del disegno di legge.

 

BIRD EYE VIEW - CONTRASTO CON NORMATIVA ITALIANA (RINVIO) E PRIMI CENNI SUL CONTRASTO CON QUELLA EUROPEA: REFLUENZE SUL RUOLO DEL RESPONSABILE DI PROCEDIMENTO E SULLE IMPRESE

In dottrina si è osservato che la norma ha impropriamente unito gli aggettivi “culturale” e “creativo” al sostantivo “impresa” a mezzo di una congiunzione, unendo, però, non solo aggettivi ma diversi schemi normativi.

Nel seguito di questa analisi tenteremo di capire se detta unione di diverse concezioni semantiche e classificatorie sia stato un errore: anticipiamo solo che la classificazione normativa sulla creatività ha tali e diverse peculiarità che, come vedremo tra breve, nell’accezione degli “spettacoli” (cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale) piuttosto che dei “prodotti culturali audiovisivi” (si pensi alla gigantesca fruizione culturale via internet su YouTube o in streaming), possono determinare o meno l’applicazione della normativa sugli Aiuti di Stato. Tale normativa non si applica, invece, su tutte le altre attività culturali, segnatamente aventi ad oggetto la valorizzazione del patrimonio culturale, su cui vige un regime di esenzione.

Esamineremo la fattispecie degli spettacoli nel successivo paragrafo, ora analizziamo la categoria dei “prodotti culturali”.

La categoria “prodotti culturali”, citata dal comma 57, viene normata nella normativa regolamentare europea di esenzione dall’applicazione della normativa sugli Aiuti di Stato.

L’articolo 54 comma 2 del Regolamento UE 651/14 recita “Gli aiuti (alle opere audiovisive) sostengono un prodotto culturale”.

In generale nel settore dei prodotti audiovisivi si prevede l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato, salvo alcuni casi disciplinati nel succitato art.54 che tratteremo tra breve.

Le “imprese culturali”[12] sono anche quelle che, invece, per legge esercitano le “attività culturali” di cui alla diversa categoria della “cultura e conservazione del patrimonio” disciplinata dall’art.53 dello stesso Regolamento UE 651/14 che riconosce al suo interno attività sia di tipo economico che di tipo non economico, sottoposte al regime degli aiuti di Stato le prime e non sottoposte le seconde.

Le attività delle imprese culturali sono, secondo la lettera del detto comma 57,  inerenti anche agli “archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale, in generale”: tali attività si sovrappongono con gli ambiti di funzione pubblica di “conservazione, ricerca, valorizzazione  e gestione”, previste dal detto comma, ma esercitate, per legge, dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali e dagli altri enti pubblici in generale (per questi ultimi con riferimento alla sola conservazione e fruizione, ex-commi 3 e 4 dell’art. 1 del D.Lgs 42/04 e smi).

Medesima funzione con riferimento alla conservazione, ricordiamo, esercitano anche i privati con riferimento al patrimonio in loro titolarità (comma 5 dell’art. 1 del D.Lgs 42/04 e smi).

Ricordiamo che, nello specifico, esiste un obbligo pubblico di valorizzazione di Ministero, Regioni ed enti pubblici territoriali sui beni in titolarità  (ex-art.112 comma 1 CbC) mentre i soggetti privati (solo alcuni, ovvero proprietari e associazioni culturali e di volontariato ex-art.112 comma 9) non sono titolari di un obbligo, ma del diritto a partecipare alla valorizzazione, ex-art.6 comma 3 CbC.

Tali funzioni pubbliche sono qui allargate, dal comma 57 in esame della Legge di Bilancio 2018, a tutte le imprese culturali e creative private, da quelle che esercitano funzioni pubbliche in concessione (artt.115 e 117 CbC) a quelle che fanno prodotti culturali generici.

Viene dunque, messa in comune la funzione di conservazione, valorizzazione e gestione di prodotti culturali senza distinguere tra soggetti privati incaricati di pubbliche funzioni e soggetti privati tout court, senza specificare, inoltre, all’interno del “patrimonio culturale” se trattasi di patrimonio pubblico o privato.

Sul tema del contrasto con la normativa italiana se ne fa un breve cenno e si rinvia alla migliore dottrina specialistica in materia.

Ritornando alla normativa europea, i “prodotti culturali” sono, invece, relativi solo ad attività di tipo economico e sono nominalmente ed esclusivamente relativi alle opere audiovisive.

E’ bene ricordare, inoltre, che le classificazioni relative a “spazi culturali e artistici, teatri, teatri lirici, sale da concerto, spettacolo dal vivo, cineteche, organizzazioni e istituzioni culturali e artistiche (art. 53 comma 2 punto a del Regolamento UE 651/14) e “eventi artistici o culturali, spettacoli, festival, mostre e altre attività culturali analoghe” (art. 53 comma 2 punto d del Regolamento UE 651/14) non sono “prodotti culturali”, bensì “attività culturali” di rilievo sociale (anche atteso l’inquadramento delle attività di valorizzazione all’interno dei livelli essenziali delle prestazioni a norma dell’articolo 01 del DL 146/2015).

Attività culturali sono, inoltre, come detto, quelle rese dalle imprese concessionarie o affidatarie di un servizio al pubblico ex-artt.115 e 117 del C.B.C.

Tanto premesso, in prima analisi si osserva, che il nuovo istituto dell’impresa culturale e creativa risulterebbe essere una sovrapposizione tra leggi incardinate su diversi classificazioni statistiche europee nonché su diverse fonti ordinamentali del diritto europeo, oltre che come sopraccennato su diverse funzioni nel settore culturale svolte dal pubblico e dal privato [13].

Si è paventato, inoltre, che l’unione delle due categorie di regimi di aiuto di tipo economico e non economico con la congiunzione “e” potrebbe avere creato confusione.

Tale normativa potrebbe, infatti, in primis, portare incertezze al lavoro dei responsabili di procedimento tenuti all’iscrizione degli incentivi sul Registro Nazionale degli Aiuti di Stato, istituito ai sensi dell’art. 14 della legge 115/2015, che modifica l’art. 52 della legge 234/2012[14].

Tali obblighi, soprattutto per le piccole amministrazioni, costituiscono un onere tutt'altro che irrilevante.[15]

L'istituzione del Registro rappresenta uno degli impegni che l'Italia ha volontariamente assunto nei confronti della Commissione europea nell'accordo sottoscritto il 3 giugno 2016 dal sottosegretario Gozi e dalla Commissaria alla Concorrenza Vestager (Common understanding on strengthening the Institutional setup for State aid control in Italy).

Orbene, l'adempimento degli obblighi di interrogazione del Registro costituisce "condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni degli aiuti".

L’errore commesso dal funzionario, responsabile del procedimento, nella individuazione degli aiuti “ad attività economiche o attività incidenti sugli scambi intracomunitari” o il difetto di compilazione costituisce presupposto di responsabilità disciplinare dello stesso funzionario, oltre che, causa l'annullamento degli atti connessi, anche causa di eventuale rivalsa risarcitoria da parte dei privati eventualmente danneggiati dalla mancata erogazione degli incentivi, quali aiuti di Stato revocati.

Medesima confusione si teme per gli operatori: un’impresa culturale che, per il ragionevole motivo di volere usufruire di un credito d’imposta pari al 30% dei costi per “attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi” dovesse essere classificata come “impresa culturale e creativa” non potrà anche essere, causa la collocazione nell’ambito delle attività economiche sottoposte al regime degli aiuti di Stato, un’impresa del terzo settore. Ovvero non potrà beneficiare delle agevolazioni, previste dal Codice del Terzo Settore o dalla normativa per le Imprese Sociali, tanto di tipo fiscale quanto di tipo amministrativo (accreditamenti, co-progettazione, convenzioni, etc.) nel rapporto concessorio con le pubbliche amministrazioni per gestione indiretta di attività di valorizzazione ed altro[16]. Ancor di più, lo vedremo meglio tra poco, allorché a mezzo di altre agevolazioni (fiscali, contributive o sul credito, etc.) dovesse superare il limite del 49% di agevolazioni sui costi (ovvero 30+20) ricadrebbe nella normativa sugli aiuti di Stato e, dunque, a procedure di revoca degli aiuti stessi.

 

CONTRADDIZIONI ED APORIE RIVENIENTI DALLA NORMATIVA SUGLI AIUTI DI STATO

Ricordiamo che grazie alla Comunicazione interpretativa n. 262/16, la Commissione Europea, dopo anni di incertezze, ha finalmente precisato che all’interno della stessa classificazione di cui all’articolo 53 del Regolamento 651/14 vi sono, le innanzi citate, attività culturali “dello spettacolo” che, poiché presentano caratteristiche di “attività di tipo economico”, laddove pagate prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali, poiché in grado di “distorcere gli scambi tra Stati membri”, sono oggetto di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato.  Tutti gli altri settori di attività delle imprese culturali gestrici dei luoghi della cultura sono esenti da detta applicazione.

Per necessità di sintesi, rimandiamo agli studi in materia di aiuti di stato sulla cultura citati nelle note.

 

PROBLEMATICHE SULL’ACCEZIONE “PRODOTTI CULTURALI INTESI QUALI BENI, SERVIZI ED OPERE DELL’INGEGNO INERENTI AL PATRIMONIO CULTURALE”

Se tanti problemi interpretativi si sono posti all’interno della classificazione delle attività culturali di cui all’articolo 53 del Reg.651, a fortiori problemi ben più gravi si porranno con riferimento alla nuova accezione normativa del comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) relativa a “prodotti culturali, intesi quali (…) beni, servizi ed opere dell’ingegno (…) inerenti agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale”, laddove si consideri che i prodotti culturali sono, come si diceva, classificati dal diverso articolo 54 del Regolamento (“Gli aiuti sostengono un prodotto culturale”) ove, salvo i casi ristretti elencati dallo stesso articolo, è pacifica l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato.

La previsione dell’articolo 54 è relativa a “sceneggiatura, sviluppo, produzione, distribuzione e promozione di opere audiovi­sive” intese quali prodotti culturali.

Il Regolamento stabilisce al proposito che al fine di “evitare errori palesi nella classificazione di un prodotto come prodotto culturale, ciascuno Stato membro stabilisce procedure efficaci, quali la selezione delle proposte da parte di una o più persone incaricate o la verifica rispetto a un elenco predefinito di criteri culturali”.

Ci sembra che, paradossalmente, il comma 57 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (L.205/2017) più che chiarire la classificazione dei prodotti culturali abbia confuso le acque prevedendo prodotti culturali, di cui all’art.54, negli stessi settori regolamentati dall’articolo 53 del Regolamento di esenzione.

La problematica dei prodotti audiovisivi è vasta. Merita fare ulteriore cenno però al fatto che l’esenzione dagli aiuti di Stato per i prodotti culturali audiovisivi vige se l'aiuto è limitato a precisi “obblighi di spesa a livello territoriale” nei termini quantitativi previsti al punto 4 dello stesso articolo 54 del Regolamento.

Inoltre, il punto 197 d) della Comunicazione 262/16 chiarisce che il finanziamento di prodotti culturali che, per motivi geografici e linguistici, “non hanno un pubblico limitato a livello locale” incide sugli scambi tra stati membri.

Ulteriormente osserviamo, dunque, che è pacifico che il doppio ostacolo della “spesa sul territorio dello Stato membro” che ha concesso l'aiuto e quello del “pubblico limitato a livello locale”, pongono di default i finanziamenti di prodotti culturali relativi al patrimonio culturale pubblico Italiano, oggetto di un flusso turistico di livello mondiale (58,3 milioni di turisti l’anno secondo dati 2020[17]), di default sotto le forche caudine dell’applicazione degli aiuti di Stato.

I grandi flussi turistici in Italia, pubblico per definizione non limitato a livello locale, ordinariamente vedono l’acquisto di enormi quantitativi di prodotti culturali audiovisivi (oggi estesi ovviamente anche alle produzioni digitali fruite via internet e sui social network) relativi al patrimonio culturale visitato.

Se si considera poi che la grandissima parte della fruizione dei contenuti ovvero dei prodotti culturali avviene in remoto, via internet, su Youtube, o social media, ne riviene un consumo non certamente locale ma mondiale.

Non si può revocare in dubbio che agli aiuti sui prodotti culturali audiovisivi relativi al patrimonio culturale Italiano si applichi la normativa sugli Aiuti di Stato.

E’ innegabile, per contro, che tali prodotti audiovisivi sono anche ancillari all’offerta del patrimonio culturale dei luoghi della cultura per come previsto dall’articolo 117 comma 2 punto a) del Codice dei Beni Culturali (servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali).

In proposito, si segnala che l'ultimo periodo del cpv 207 della Comunicazione 262/16 prevede che di norma il finanziamento pubblico concesso per servizi comunemente aggiuntivi a infrastrutture che sono quasi esclusivamente utilizzate per attività non economiche (ovvero i servizi al pubblico disciplinati dall’art.117 del D.Lgs 42/04 sui luoghi della cultura di cui all’art. 101 del medesimo Codice Beni Culturali) “non ha, generalmente, alcuna incidenza sugli scambi tra Stati membri in quanto è improbabile che tali servizi attraggano clienti da altri Stati membri e che il loro finanziamento abbia un'incidenza più che marginale sugli investimenti o sullo stabilimento transfrontaliero”.

Causa la previsione normativa di cui al comma 57 della Legge di Bilancio 2018, la fattispecie di esenzione dalla legislazione Unionale sugli aiuti di Stato, di cui all’articolo 53 del Reg.UE 651/14, relativa ai prodotti culturali audiovisivi venduti nei luoghi della cultura quali servizi aggiuntivi al pubblico ex-art.117  comma 2 punto a) CBC, entra in contrasto, dunque, con la parallela casistica sull’obbligo di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato agli incentivi dati ai medesimi prodotti culturali audiovisivi.

Ancora ed infine, si consideri la ovvia problematica derivante dal regime di agevolazione del credito d’imposta pari al 30% dei costi per “attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti culturali intesi quali servizi culturali e creativi”.

La sopra esaminata attività di sviluppo, produzione e promozione dei detti prodotti audiovisivi (servizi editoriali di sussidi audiovisivi e informatici) forniti per i servizi al pubblico dei luoghi della cultura ex-art.117 comma 2 punto a)  (servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali), esente dagli aiuti di Stato, laddove agevolata con il credito d’imposta (30% dei costi) potrebbe rischiare di fare transitare l’impresa concessionaria dei servizi al pubblico da esente a soggetta al regime degli aiuti di Stato, e forse oggetto di procedimento di revoca degli stessi aiuti, ove si superasse il limite del 49% di aiuti pubblici, se beneficiaria di altri aiuti pubblici sullo spettacolo, ad esempio, a mezzo di aiuti fiscali, contributi sul costo del lavoro, garanzie o finanziamenti agevolati o sovvenzioni, acquisto biglietti, etc..[18], ex-art.180 comma 6 del Codice dei Contratti in merito al partenariato pubblico privato e a rigore delle indicazioni Eurostat-EPEC indicate nell’ultima nota.

Altrettanto,  l’attività di sviluppo, produzione e promozione di servizi culturali e creativi  quali le attività di servizio al pubblico di cui all'art.117, comma 2 punto g) del D.Lgs 42/04 e smi, (“l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali”), laddove attività non a  carattere economico poiché non prevalentemente (o per nulla) finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali, potrebbero fare superare il limite del 49% di aiuti pubblici, ex-art.180 comma 6 del D.Lgs 50/16 e smi, con il 30% di agevolazione fiscale sui costi di attività di spettacolo (cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale) e/o per prodotti audiovisivi, rientranti nel calderone dei servizi al pubblico, ove sommata ai sopraccitati altri aiuti pubblici.

Infine, si ricorda che all’interno della classificazione “prodotti audiovisivi” sono contemplate le attività (e gli interessi) delle corporations internazionali dell’editoria multimediale (cinematografica e televisiva), digitale e telematica, dei social networks, etc., nel settore dell’intrattenimento tramite offerte culturali (vere o presunte), offerte che sembra evidente non si concilino con il senso dei compiti rimessi alla Repubblica dall’articolo 9 della Costituzione in ordine alla promozione dello sviluppo della cultura della Nazione.

Facciamo un breve appunto, infine, sui problemi di compatibilità con la normativa del diverso istituto giuridico delle “opere dell’ingegno”.

Le opere dell’ingegno potrebbero riguardare, in particolare, oltre a quelle opere tutelate dalla normativa sul diritto d’autore,  l’inesplorato settore della riproduzione o utilizzo di elementi grafici distintivi del patrimonio culturale pubblico in marchi commerciali, ai sensi dell'articolo 107 del Codice e della Legge sulla proprietà industriale (decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30), il cui articolo 8 comma 3 dispone: “Se notori, possono essere registrati come marchio con il consenso dell’avente diritto (ad esempio, MiBACT) (...) i segni usati in campo artistico (...)[19]”.

Siamo sicuri che attività di creazione, diffusione, valorizzazione o gestione di un marchio relativo ad un segno usato in campo artistico-culturale possano vedere alla pari soggetti pubblici, quali il MIBACT, titolari di un obbligo pubblico di valorizzazione sui beni in titolarità  (ex-art.112 comma 1 CbC) e soggetti privati (proprietari e associazioni culturali e di volontariato ex-art.112 comma 9), per come visto prima,  non titolari di un obbligo ma del diritto a partecipare alla valorizzazione, ex-art.6 comma 3 CbC?.

 

CONCLUSIONI

Su tutte le problematiche sopra trattate non ci sono in atto risposte certe. Nè le precedenti considerazioni a tanto ambiscono.

Certamente bisognerà meglio analizzare e ponderare le possibili conseguenze tecniche ed operative causate dalla confusione di diverse funzioni pubbliche (conservazione, ricerca, valorizzazione e gestione), ed attività private (ma non solo), quali la l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione di prodotti culturali.

In conclusione, per quanto sopra rilevato, non è azzardato dire che la normativa in esame potrebbe causare, allorchè regolamentata, una mancanza di certezza del diritto sull’applicazione o meno della legislazione europea sugli aiuti di Stato ai finanziamenti per prodotti culturali audiovisivi, per le attività di spettacolo, o per le opere dell’ingegno inerenti il patrimonio culturale (archivi, biblioteche e musei nonché in generale patrimonio culturale, per come recita il comma 57).

Tale mancata certezza potrebbe indurre soggetti concessionari di servizi al pubblico a cumulare tra aiuti per spettacoli, cinema etc e prodotti audiovisivi non in regime di esenzione e credito d’imposta un totale di aiuto pubblico superiore al 49% previsto dal Codice dei Contratti con tutte le problematiche rivenienti in termini di restituzione degli aiuti di Stato ricevuti.  

Ancora detta incertezza potrebbe, inoltre, costituire un vulnus al corretto adempimento dei compiti, anche per le connesse responsabilità disciplinari gravanti sui RUP, di cui alla compilazione del Registro Nazionale Aiuti (RNA) ex-art.14 della legge 115/2015.

La mancanza di certezza del diritto potrebbe, infine, con specifico riferimento alla programmazione del nuovo periodo 2021-2027, comportare future incertezze circa il regime esente o non esente delle agevolazioni cumulate (all’interno o al di fuori del limite del 49%) ad imprese concessionarie di servizi al pubblico, tanto quali beneficiarie dirette di aiuti di Stato, in atto erogati a titolo dell’Asse II del PON Cultura e Sviluppo, quanto finanche concessionarie di servizi al pubblico su beni culturali oggetto di finanziamento pubblico per lavori[20].

Si auspica, infine, che, anche con riferimento all’articolo 9 comma 1 del disegno di legge citato in premessa, le criticità qui rappresentate possano essere oggetto di una qualche riflessione da parte del decisore politico.

 

 

 NOTE:

 

[1]  Si veda oltre il lavoro Ess-NET Culture

[2] Raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 relativa all’orientamento n.4 per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione

[3]  Il programma “Recovery and resilience facility” a sostegno dei piani di ricostruzione nazionali dovrebbe partire da gennaio prossimo. Il contributo della politica di coesione e dei fondi strutturali dovrebbe concretizzarsi nell’anticipo e riallocazione di 50 miliardi di euro da spendere tra il 2021 e il 2022, destinati a mercato del lavoro, sanità e Pmi, cfr. CHIELLLINO, Sole 24 Ore “Per finanziare il Recovery fund serviranno gli eurobond” del 25 aprile 2020.

[4]  Proposta modificata della Commissione di regolamento FESR del 28 maggio 2020 COM(2020) 452 final

[5]             Per una ricostruzione del dibattito sul tema e sulle conclusioni tassonomiche tra esperti a livello internazionale e nazionale si veda P.A. VALENTINO “L’impresa Culturale e Creativa verso una definizione condivisa” su Economia della cultura - a. XXIII, 2013, n. 3, pag. 273 e ss.

[6]             UNESCO INSTITUTE FOR STATISTICS (2009), The 2009 UNESCO frameworkfor cultural statistics, http://unesdoc.unesco.org. I

[7]             ESSnet-CULTURE (European Statistical System Network on Culture) (2012), FinalReport, http:// ec.europa.eu/culture/our-policy-development/ documents/. L'European Statistical System network on Culture (ESSnet-Culture) è nato nel 2009 per armonizzare le statistiche culturali dei singoli Paesi su proposta dell'European Union Council of Culture Ministers, che, alla fine del 2007, aveva individuato nel miglioramento e nella comparabilità delle statistiche culturali una delle cinque aree prioritarie del Work Plan for Culture2008-2010. La rete di esperti è stata creata nell'ambito degli Open Method of Coordination (OMC), un meccanismo di cooperazione volontario tra gli stati membri dell'UE per trovare approcci comuni sulle tematiche che sono ancora di stretta pertinenza dei singoli Stati.

[8]             In una Indagine Civita attività dell'ICC, collocate nel cerchio dei “subsidized muses” e nel gruppo dei Beni culturali, comprendono: la gestione biblioteche e archivi; la gestione dei musei; la gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili, si veda P. VALENTINO, ibidem, pag. 183

[9]  Conseguentemente l’art. 1 comma 57 della  L. 205/2017 include nel “cultural domain” della impresa culturale e creativa, “letteratura, musica,  arti  figurative,  arti applicate, spettacolo  dal  vivo,  cinematografia  e audiovisivo, archivi, biblioteche e musei nonché patrimonio culturale e processi di innovazione ad esso collegati”: Sul tema si veda oltre.

[10]          La definizione data dal comma 57 è la seguente: “Sono  imprese  culturali  e  creative  le imprese o i soggetti che svolgono attività stabile  e  continuativa, con sede in Italia o in uno degli Stati membri dell'Unione europea  o in uno  degli  Stati  aderenti  all'Accordo  sullo  Spazio  economico europeo, purché siano soggetti passivi di  imposta  in  Italia,  che hanno  quale  oggetto  sociale,  in  via  esclusiva   o   prevalente, l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione  o  la  gestione  di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e  opere  dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle  arti  figurative,  alle arti applicate, allo  spettacolo  dal  vivo,  alla  cinematografia  e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati”.

[11]          Pubblicata sulla GU n.302 del 29-12-2017 - Suppl. Ordinario n. 62

[12]          Sulla strutturazione dell'impresa culturale si veda innanzitutto, G.BOSI, in “L’impresa culturale”, Il Mulino, Bologna 2017 e sui temi più generali di rapporto tra pubblico e privato si veda M.FIORILLO, in “Fra stato e mercato: spunti in tema di costituzione economica, costituzione culturale e cittadinanza” su A.I.C. Rivista N°: 2/2018, del 13/05/2018 e P.FORTE "Considerazioni sparse sull’impresa culturale", Impresa Cultura. Creatività, Partecipazione, Competitività, XIII Rapporto Annuale Federculture, ROMA, Gangemi, pp. 17–28, 2017.

[13]        Per un inquadramento più vasto sul tema degli aiuti di Stato nel settore si consenta rinviare a BRUNO A. "Primi appunti circa la possibile confusione nell’applicazione delle normative sugli aiuti di stato discendente dal nuovo istituto dell’impresa culturale e creativa" su "www.diritto.it" del 11.03.2020; BRUNO A."Aiuti di Stato: nella cultura" pubblicato il 14 dicembre 2018 su "www.diritto.it"; BRUNO A. “Appunti sul recupero alla fruizione di beni marginalizzati, imprese culturali ed aiuti di stato” con DAVID P.R.- Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali Ravello -Territori della Cultura Rivista on Line Numero 34 anno 2018 pag. 102;

[14]          Dopo il Reg. 651 si è aperto un acceso dibattito pubblico sull’applicabilità del regime degli aiuti di Stato al settore culturale. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome è intervenuta più volte. Il 24 luglio 2013, con documento 13/079/CR8/C3/C6“Analisi e proposta delle Regioni e delle Province Autonome sull'applicazione delle regole in materia di aiuti di stato alla cultura” ha sostenuto che le regole del Trattato che disciplinano gli aiuti di Stato “non possano e non debbano essere applicate a quelle sfere dell’attività pubblica che vedono lo Stato svolgere la propria missione istituzionale quale è la garanzia e la promozione del patrimonio culturale e paesaggistico di un territorio –quello europeo –valorizzandone le potenzialità, che nella sua storia e nelle sue tradizioni può trovare occasioni di sviluppo e di competitività con il mondo esterno all’Unione“ e per tale via ritengono che “il sostegno pubblico finalizzato alla conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale non configuri aiuto di Stato”. Nello stesso senso, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,18 febbraio 2015, documento 15/10/CR7bis/C3 e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,25 marzo 2015, documento 15/27/CR07bis/C3

[15]          Sul tema si vedano gli scritti di Baldi, autore che meritoriamente ha acceso la luce sul tema degli aiuti di Stato alla cultura: “Disciplina comunitaria degli aiuti di stato e politica culturale europea. Le incoerenza di un sistema fortemente burocratizzato” di C.E.BALDI in AEDON 2014, 3, “L’intervento pubblico in campo culturale. Il faticoso iter di linee guida condivise” di C.E.BALDI in AEDON 2018, 2, e il sopraccitato “Finanziamento della cultura e regole di concorrenza” C.E.BALDI in AEDON 2018, 3. La citazione è presa dall’ultimo saggio a pagina 3.

[16]          BRUNO A. “Note a margine e de iure condendo - seconda parte:  cooperazione in forme sussidiarie e partecipate per  la valorizzazione del patrimonio culturale”, pubblicato il 20 maggio 2019, su "www.ildirittoamministrativo.it", ISSN2039-693711, pag. 9

[17]          Report statistico 2018 fornito dalla World Tour Organization (UNTWO)

[18]          Per tutti si veda il documento EUROSTAT -  EPEC “A Guide to the Statistical Treatment of PPPs”, September 2016

[19]          Sul tema A.L.TARASCO “Potenzialità redditive del patrimonio culturale e dinamiche organizzative” in in “Il patrimonio culturale modelli di gestione e finanza pubblica”, 2017, pag. 274, A.L.TARASCO “Beni e attività culturali tra materialità ed immaterialità“ in “Il patrimonio culturale modelli di gestione e finanza pubblica”, 2017, pag. 19 e C. LAMBERTI, Ma esistono i beni culturali immateriali ? (in margine al Convegno di Assisi sui beni culturali immateriali), in Aedòn, 1/2014.

[20] Si veda il noto caso del Porto di Augusta oggetto della Decisione della Commissione europea del 19.12.2012 (SA.34940) ove emerge la economicità dell’attività svolta da un organismo di diritto pubblico a diretto beneficio dei concessionari privati gestori economici dei beni oggetto di interventi finanziati. Le infrastrutture del porto risultanti dal progetto notificato saranno di proprietà dello Stato italiano e amministrate dall’autorità portuale di Augusta (ente pubblico autonomo disciplinato dalla legge n. 84/1994 - la legge quadro italiana sui porti). Le autorità portuali italiane hanno il potere di concludere contratti di concessione per l’uso delle infrastrutture del porto con società che esercitano attività commerciali e/o industriali, in cambio di un canone di concessione; i contratti di concessione saranno conclusi a seguito di procedure di gara pubbliche, aperte e incondizionate. Secondo la Commissione, il progetto notificato riguarda la costruzione d'infrastrutture che saranno sfruttate commercialmente dall’autorità portuale di Augusta attraverso il loro noleggio/concessione agli operatori di terminali. Pertanto, l’autorità portuale di Augusta intraprenderà un'attività economica ed è quindi considerata un'impresa. Si veda ancora il caso della sentenza della CGUE Leipzig-Halle sugli aiuti alle infrastrutture aeroportuali, in BRUNO A. "Primi appunti...” op.cit. su "www.diritto.it" del 11.03.2020, pagg. 12 -13.