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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Nullità della clausola escludente atipica del bando di gara ed onere impugnativo dei relativi atti applicativi.

Di Daniela D'Amico
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA

SENTENZA 16 ottobre 2020, n. 22

 

Nullita’ della clausola escludente atipica del bando di gara

 ed onere impugnativo dei relativi atti applicativi

 

Di DANIELA D'AMICO

 

Con la sentenza non definitiva n. 1920 del 17 marzo 2020, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione inerente alla validità della clausola prevista dall’art. 20 del disciplinare di gara oggetto del giudizio, che richiede, a pena di esclusione, il possesso dell’attestazione SOA da parte dell’impresa ausiliata, la quale ricorra all’istituto dell’avvalimento proprio ai fini di avvalersi dell’attestazione SOA dell’impresa ausiliaria.

La necessità di rimettere la questione all’Adunanza Plenaria è rappresentata dal contrasto giurisprudenziale che si registra all’interno della medesima sezione, laddove da un lato la sentenza n. 1772 del 2013 e l’ordinanza cautelare n. 344 del 25 gennaio 2019 negano che la clausola oggettivamente escludente integri un’ipotesi di nullità del bando e dall’altro la sentenza 23 agosto 2019, n. 5834 (intervenuta nelle more del presente giudizio) ne ribalta completamente l’orientamento.

In particolare, la pronuncia di rimessione ha osservato come la clausola del bando di gara in questione –analogamente a quanto ritenuto dalla citata sentenza n. 5834 del 23 agosto 2019- “non tanto si limiti a disciplinare la modalità di esercizio dell’avvalimento, ma direttamente ne limiti il ricorso”, al di fuori dei confini all’avvalimento consentiti alle stazioni appaltanti dalla normativa europea e conseguentemente nazionale.

Nel dettaglio, la lex specialis della gara richiede un requisito, ossia il possesso dell’attestazione SOA da parte dell’impresa ausiliata, non contemplato dall’art. 89 d.lgs. n. 50/2016 ed il cui effetto sarebbe, anzi, quello di vanificare la stessa ratio applicativa di detta norma.

I quesiti posti dalla quinta sezione del Consiglio di Stato nella suddetta sentenza non definitiva e contestuale rimessione n. 1920 del 17 marzo 2020 sono due:

  1. a) se rientrino nel divieto di clausole cosiddette atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, le previsioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento, al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del medesimo decreto legislativo, escluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale;
  2. b) se, in particolare, possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che già ne posseggano una propria.

Ai fini della decisione dell’Adunanza Plenaria, la norma che viene anzitutto in rilievo è l’art. 89 del decreto legislativo n. 50 del 2016, che consente il ricorso all’avvalimento in via generale da parte delle imprese che negoziano con la pubblica amministrazione, prevedendo quali uniche eccezioni alla regola le ipotesi contemplate nei commi 4, 10 e 11 della stessa norma.

La seconda disposizione che viene in rilievo è l’art. 83, comma 8, del medesimo decreto legislativo, laddove, nel disciplinare i criteri di selezione stabilisce che: “le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. … I bandi e le lettere d’invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle.

Infine, la citata clausola del bando (art. 20 del disciplinare di gara) testualmente prevede: “i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel presente disciplinare di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto, ad esclusione delle categorie di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248, ai sensi del comma 11 dell’articolo 89 del codice. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e 89, comma 1, del Codice i concorrenti che ricorrono all’Istituto dell’avvalimento devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17”.

 La prima norma richiamata, l’art. 89 d. lgs. n. 50/2016, disciplina l’istituto dell’avvalimento, incentrandosi sui rapporti tra l’impresa ausiliaria e l’impresa ausiliata, nonché sui rapporti giuridici che ciascuna di esse instaura con la stazione appaltante, prevedendo in capo a quest’ultima penetranti poteri di controllo sull’effettivo possesso dei requisiti professionali e tecnico-finanziari (che si estendono pure alla fase esecutiva) da parte dell’impresa ausiliaria, la quale, pur non diventando parte nel contratto che segue l’aggiudicazione, è obbligata in solido con l’impresa ausiliata nei confronti della stazione appaltante ai sensi del comma 5 del detto art. 89.

Naturalmente i poteri di controllo e di conseguente disciplina specifica vengono esercitati dalla stazione appaltante anche nei confronti dell’impresa ausiliata, che è comunque l’unica che partecipa alla gara e sottoscrive il contratto in caso di aggiudicazione; inoltre, essa è garante dell’esatta esecuzione del contratto di avvalimento da parte dell’impresa ausiliaria.

L’art. 89, comma 1, d. lgs. n. 50/2016 prevede che attraverso l’istituto dell’avvalimento l’operatore economico possa avvalersi della capacità di altri soggetti (anche riguardo l’attestazione SOA), senza richiedere che l’impresa ausiliata debba essere comunque in possesso della medesima attestazione.

Più nello specifico, tale istituto è previsto ai fini del principio del favor partecipationis, con la conseguenza che previsioni più restrittive per il ricorso al medesimo non sono conformi alla sua stessa ratio giustificatrice.  

Infatti, come già rilevato, le sole eccezioni all’avvalimento sono quelle contemplate dallo stesso art. 89 ai commi 4, 10 e 11.

Ebbene, il più volte richiamato art. 20 del disciplinare di gara non contiene una semplice regolamentazione del ricorso all’istituto dell’avvalimento, ma prevede una compressione del medesimo, che non rientra nelle eccezioni previste dalla norma di riferimento.

La disciplina contenuta nella seconda norma individuata (art. 83 codice appalti) non elimina, bensì regolamenta, il potere della stazione appaltante di indicare nel bando le condizioni minime di partecipazione e i mezzi di prova. Questo al fine di consentire, in particolare, la verifica, in via formale e sostanziale, delle capacità realizzative dell’impresa, nonché le competenze tecnico-professionali e le risorse umane, organiche dell’impresa medesima.

Dalle richiamate disposizioni normative, emerge, tuttavia, che, conformemente al diritto dell’Unione Europea, la stazione appaltante incontra il limite di non poter escludere il meccanismo dell’avvalimento se non nei casi tassativamente previsti dalla legge.

 Il codice dei contratti pubblici, in linea con la giurisprudenza di questo Consiglio, divenuta infine prevalente nel vigore del d. lgs. n. 163 del 2006 (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5396; Cons. St., sez. V, 26 maggio 2017, n. 2627), dopo un primo indirizzo che negava l’ammissibilità dell’avvalimento sul presupposto del carattere intrinsecamente e insostituibilmente soggettivo e quasi “personalistico” della certificazione di qualità, ammette ora l’avvalimento delle certificazioni di qualità e, in particolare, delle attestazioni SOA ex art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, poiché riconosce che anche la certificazione di qualità costituisce un requisito speciale di natura tecnico-organizzativa, come tale suscettibile di avvalimento, in quanto il contenuto dell’attestazione concerne il sistema gestionale dell’azienda e l’efficacia del suo processo operativo.

Come già precisato, la stessa formulazione dell’art. 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d. lgs. n. 56 del 2017, prevede che l’operatore economico possa soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, di cui all’art. 83, comma 1, lett. b) e c), del d. lgs. n. 50 del 2016, necessari per partecipare ad una procedura di gara – con esclusione dei requisiti di cui all’art. 80 –, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi: tra i requisiti tecnico-professionali si annoverano, dunque, anche le attestazioni SOA qui di interesse.

Per i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, il possesso di detti requisiti di qualificazione avviene esclusivamente, ai sensi dell’art. 84, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, mediante attestazione da parte delle società organismi di attestazione (SOA), opportunamente autorizzate dall’ANAC.

Tali società rivestono la forma di società di capitali, nel dettaglio s.p.a., e rientrano nella categoria di soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, legge n. 241/1990.

Tuttavia, per evitare che l’avvalimento dell’attestazione SOA, ammissibile in via di principio per il detto favor partecipationis che permea l’istituto dell’avvalimento, divenga in concreto un mezzo per eludere il rigoroso sistema di qualificazione nel settore dei lavori pubblici, la giurisprudenza di questo Consiglio e la lettera dell’art. 89, comma 1 ultimo periodo, d. lgs. n. 50/2016 stabiliscono che l’avvalimento e il relativo contratto tra l’impresa ausiliata e quella ausiliaria, anche avente ad oggetto l’attestazione SOA, è consentito ad una duplice condizione:

  1. a) che l’impresa ausiliaria si obblighi nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto, dunque l’intero setting di elementi e requisiti che hanno consentito all’impresa ausiliaria di ottenere il rilascio dell’attestazione SOA; b) che il contratto di avvalimento contenga, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria, senza ricorrere a formule generiche o di mero stile.

In effetti, anche le negoziazioni private conoscono tali tipi di collaborazione tra imprese, che hanno lo stesso (o comunque simile) risultato economico a quello che si realizza con l’avvalimento, solamente che per esse si fa ricorso ad istituti e meccanismi propri di quell’ordinamento (noleggio, affitto, consorzio, gruppo societario, subappalto, cessione di ramo d’azienda e così via).

In realtà, sia gli strumenti civilistici sia l’avvalimento sono destinati ad amplificare l’effetto c.d. reale proprio del contratto di società, ossia la creazione di una struttura economica che vive oltre il contratto che l’ha generata. Sicché, l’avvalimento serve “ad integrare una organizzazione aziendale realmente esistente ed operante nel segmento di mercato proprio dell’appalto posto a gara, ma che, di certo, non consente di creare un concorrente virtuale costituito solo da una segreteria di coordinamento delle attività altrui, né di partecipare alla competizione ad un operatore con vocazione statutaria ed aziendale completamente estranea rispetto alla tipologia di appalto da aggiudicare (Cons. di Stato, V, sent. n. 1772 del 20 novembre 2013; Cons. di Stato, III, sent. n. 3702 del 10 giugno 2020). Con la conseguenza che è stata ben presto avvertita l’esigenza di evitare il possibile fenomeno del c. d. “avvalificio”, in cui cioè potessero operare imprese che si limitassero ad utilizzare la capacità economica di altre imprese senza essere delle imprese che, a loro volta, operano effettivamente all’interno del mercato.

Nel delineato quadro normativo, l’obbligo, imposto all’ausiliata dal disciplinare di gara, espressamente a pena di esclusione, di produrre la propria attestazione SOA, quando questa vorrebbe avvalersi dell’attestazione SOA dell’ausiliaria, non solo è contraddittorio rispetto alla previsione dello stesso articolo 20 (il quale consente che “i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel disciplinare di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto”), ma si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89 d. lgs. n. 50 del 2016, che non escludono, anzi prevedono, la possibilità dell’avvalimento dell’attestazione SOA né, tantomeno, subordinano tale possibilità alla condizione di depositare in sede di gara l’attestazione SOA in proprio dell’impresa ausiliata: una siffatta previsione si traduce in un vero divieto di applicare l’istituto dell’avvalimento mediante la previsione di un adempimento apparentemente formale che, in realtà, ne riduce l’operatività senza alcuna idonea copertura normativa.

L’Adunanza Plenaria cita, tra le eccezioni normative all’istituto dell’avvalimento, l’art. 89, comma 4, d. lgs. n. 50 del 2016, che consente alle stazioni appaltanti di prevedere “nei documenti di gara che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente”, ponendo, così, un limite all’avvalimento in ragione delle peculiari caratteristiche dell’opera richiesta.

Tuttavia, si deve escludere che sia questa l’ipotesi di cui si controverte, in quanto la stazione appaltante non ha mai previsto o richiesto che i lavori, per le loro specifiche caratteristiche tecniche, dovessero essere eseguiti direttamente dall’impresa ausiliata e anzi, come detto, ha ammesso in linea di principio il ricorso all’avvalimento, anche in merito all’attestazione SOA, salvo richiedere contemporaneamente il possesso e la produzione dell’attestazione SOA in capo all’impresa ausiliata.

Si tratta di un adempimento che contrasta con le previsioni degli artt. 84 e 89 d. lgs. n. 50/2016 e con la ratio dell’avvalimento stesso, applicabile per espressa scelta normativa anche alle attestazioni SOA, senza condizionarlo al possesso di dette attestazioni anche da parte dell’impresa ausiliata.

Pertanto, risulta illegittima, per violazione degli artt. 84 e 89, comma 1, d. lgs. n. 50/2016, la clausola del disciplinare di gara che, senza indicare le specifiche ragioni ai sensi dell’art. 89, comma 4, d. lgs. n. 50/2016, subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA da parte dell’impresa ausiliata in aperta violazione del principio della libera concorrenza.

Ritenuta l’illegittimità della clausola escludente in contestazione, l’attenzione dell’Adunanza Plenaria si focalizza sulla tipologia dell’illegittimità, ossia annullabilità o nullità.

Sopra si è detto come l’altra norma di riferimento per la risoluzione della questione sia l’art. 83, comma 8, d. lgs. n.  50/2016, il quale prevede il principio di tassatività delle clausole di esclusione, cosicché la discrezionalità, comunque non illimitata né insindacabile, della pubblica amministrazione non può estendersi alla previsione, all’interno dei bandi e delle lettere di invito, di ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dallo stesso codice degli appalti e da altre disposizioni di legge vigenti, comminando la sanzione della nullità alle clausole che violano tale dettato normativo.

In via preliminare, va evidenziato che per la giurisprudenza, cui poi si è allineata anche la dottrina, il principio basilare su cui si è retta la teoria dell’atto amministrativo e dei conseguenti rapporti sostanziali e processuali -e che ha operato per decenni alla stregua di una norma positiva- è quello secondo cui lo stato naturale della fattispecie invalida è l’annullabilità. Sicché il sistema relativo all’invalidità dell’atto amministrativo si è incentrato sull’unico vizio principale, ossia sulla detta annullabilità.

In questo sistema non ha trovato spazio la nullità, così come disciplinata dal codice civile a proposito dell’invalidità del contratto.

In coerenza con l’indicato sistema, incentrato sul binomio invalidità/annullabilità, è andata anche la legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo sino a quando non è intervenuta la legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha inserito, all’interno dell’originario impianto, l’intero capo IV bis, che all’art. 21-septies, rubricato “nullità del provvedimento”, stabilisce: “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.

Alla disciplina sostanziale è seguita quella processuale, ossia quella contenuta nell’art. 31 del codice del processo amministrativo, rubricato “azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità”, che, al comma 4, prevede: “la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’art. 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV”. L’ultimo rimando si riferisce al procedimento relativo al giudizio di ottemperanza, dove nella lettera indicata si stabilisce: “dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato”.

Infine, l’art. 133 del codice del processo amministrativo, che, elencando le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva, al comma 1, lett. a), n. 5 vi include: “(la) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato.

Dalla normativa indicata, si ricava che sono state circoscritte a quattro le ipotesi di nullità ammesse: nullità strutturale, nullità per difetto assoluto di attribuzione, nullità per violazione o elusione del giudicato e nullità testuali.

La scelta legislativa non comprende l’ipotesi della nullità virtuale, ossia per contrarietà a norme imperative, di cui all’art. 1418, comma 1, c.c., in quanto le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative, la cui violazione da parte dei provvedimenti della P.A. comporta l’annullabilità degli stessi per violazione di legge ex art. 21-octies legge n. 241/1990, con conseguente impugnabilità entro il termine di 60 giorni ex art. 29 del codice del processo amministrativo, così da salvaguardare la stabilità e la certezza dell’azione amministrativa.

Le ipotesi di nullità, dunque, sono ipotesi tipiche e a numero chiuso, mentre l’annullabilità è la causa di invalidità generale e residuale dei provvedimenti amministrativi.

Dal raffronto con la nullità civilistica dei contratti, emergono due macro-differenze: la prima attiene al breve termine decadenziale di 180 giorni per proporre l’azione di accertamento della nullità dei provvedimenti amministrativi ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a., a fronte dell’imprescrittibilità dell’azione dichiarativa della nullità dei contratti ai sensi dell’art. 1422 c.c., fatti salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione;  la seconda attiene alla nullità cd. strutturale, ossia per mancanza degli elementi essenziali, per la quale nel codice civile vi è l’art. 1325 che individua quali siano detti elementi necessari del contratto, mentre per i provvedimenti amministrativi non vi è un’analoga norma che indichi quali siano gli elementi costitutivi dell’atto.

In relazione al detto termine di 180 giorni, occorre chiarie che esso risponde alla ratio di assicurare certezza e stabilità ai rapporti amministrativi; d’altronde anche il codice civile non è estraneo alla previsione di termini di decadenza per l’azione di nullità (si pensi all’art. 117, comma 4, c.c. in materia di nullità matrimoniali).

Analoga questione è stata affrontata dalla sentenza n. 94 del 2017 dalla Consulta, la quale ha considerato conforme al dettato costituzionale la previsione del termine decadenziale di 120 giorni, previsto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. per l’azione di condanna al risarcimento del danno, da un lato per l’esigenza della stabilità e certezza dell’agere amministrativo e dall’altro per esigenze di bilancio pubblico, di talché anche il termine decadenziale di  180 giorni dell’azione di nullità dei provvedimenti amministrativi deve intendersi conforme ai principi dell’ordinamento giuridico.

Le ulteriori ipotesi di nullità dell’atto amministrativo per difetto assoluto di attribuzione e per violazione o elusione del giudicato sono proprie del diritto amministrativo e sconosciute dal diritto civile, dove il problema della violazione del giudicato non si pone, essendo sufficiente per fornire la tutela necessaria l’actio iudicati.

Tuttavia, ai fini della decisione in commento, più che le differenze con la nullità civilistica vanno individuati i punti di contatto, poiché sono essi che consentono di delineare una sorta di quadro unico del sistema delle nullità.

Va premesso che al momento in cui la nullità è stata espressamente inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo, la giurisprudenza e la dottrina civilistica avevano già da tempo superato l’impostazione derivante dalla tradizione pandettistica e, analizzando le norme del codice civile, così come applicate nel diritto vivente, avevano dovuto prendere atto che in materia di invalidità le teorizzazioni generali costituiscono una via metodologicamente non esaustiva. 

Non a caso si è sempre più assottigliata la differenza tra nullità e annullabilità, a lungo ritenute categorie impermeabili e poi progressivamente sfumate in figure intermedie, quali, ad esempio, le nullità relative, ovvero le annullabilità assolute, cosicché è venuta meno anche la distinzione classica originariamente fondata tra rimedi dettati a tutela di interessi generali (nullità) e rimedi volti a proteggere uno solo dei contraenti (annullabilità).

Tuttavia, la nullità dell’atto amministrativo può essere riguardata non solo come vizio, ma anche come azione, eccezione in senso tecnico e come sanzione, e, dunque, va analizzata nel contesto ordinamentale specifico, diverso da quello civile.

Essa opera in presenza di un provvedimento amministrativo, che viene emanato nell’ambito di un procedimento rigorosamente disciplinato e che costituisce la forma necessaria dell’azione tendenzialmente unilaterale, ancorché sempre più partecipata, del potere amministrativo.

Nel delineato contesto ordinamentale, l’Adunanza Plenaria ritiene che la clausola escludente, che si ponga in violazione dell’art. 83, comma 8, d. lgs. n. 50/2016 non si possa considerare annullabile (e dunque efficace), ma nulla (e dunque inefficace).

In particolare, deve ritenersi che la clausola escludente del bando sia affetta da nullità, e, pertanto, da considerare come non apposta e quindi disapplicabile da parte della stessa stazione appaltante ovvero da parte del giudice, poiché essa finisce per integrare un requisito ulteriore rispetto a quelli espressamente previsti dagli artt. 80 e 83 del codice dei contratti pubblici: una clausola siffatta non è consentita dall’ordinamento quale causa di esclusione dalla gara, stante il principio di tassatività e tipicità delle medesime cause di esclusione  ai sensi dell’art. 83, comma 8, d. lgs. n. 50/2016, e viene sanzionata con la nullità, così come prevede la norma appena citata, la quale testualmente stabilisce che “dette prescrizioni sono comunque nulle”.

Pertanto, ritenere che la nullità sancita dal detto comma 8, ultima parte, dell’articolo 83 vada intesa come annullabilità si porrebbe del tutto in contrasto con la scelta del legislatore di qualificare come nulla la clausola escludente atipica e contra legem.

Tuttavia, si tratta di una nullità parziale che non invalida l’intero bando e non si configura una fattispecie di nullità derivata o successiva, bensì propria, ossia di una singola clausola in contrasto con una norma imperativa di legge, che non può produrre alcun effetto, ma è valido il resto del bando.

Sul significato di tale nullità si è pronunciata anche l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 9 del 2014, per la quale “la sanzione della nullità… è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei principi in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, comma 2, c.c. (vitiatur sed non vitiat).

L’Adunanza Plenaria afferma, dunque, che la nullità della clausola escludente contra legem, prevista dall’art. 83, comma 8, del codice appalti, vada intesa come nullità in senso tecnico, con la conseguente improduttività di effetti giuridici.

In altri termini, la clausola è nulla, ma tale nullità, se da un lato non si estende al provvedimento nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), d’altro canto impedisce all’amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi e quindi, attesa l’autoritatività di tali atti applicativi, annullabili secondo le regole ordinarie.

Nello specifico, al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara, non vi è l’onere per l’impresa partecipante di proporre alcun ricorso: tale clausola, in quanto inefficace e improduttiva di effetti, si deve intendere come non apposta, a tutti gli effetti di legge.

Non si possono considerare applicabili l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 31 del codice del processo amministrativo, i quali si riferiscono ai casi in cui un provvedimento sia integralmente nullo e improduttivo di effetti: la clausola escludente affetta da nullità, in base al detto principio vitiatur sed non vitiat, non incide sulla natura autoritativa del bando di gara, quanto sulle ulteriori e successive determinazioni della stazione appaltante, che siano adottate sulla base di detta clausola.

I successivi atti del procedimento, inclusi quelli di esclusione e di aggiudicazione, pur basati sulla clausola nulla, conservano il loro carattere autoritativo e sono soggetti al termine di impugnazione previsto dall’art. 120, comma 5, del codice del processo amministrativo, entro il quale si può chiedere l’annullamento dell’atto di esclusione (e degli atti successivi) per aver fatto illegittima applicazione della clausola escludente nulla.

L’art. 120 non prevede alcuna deroga al termine di decadenza di trenta giorni, che sussiste qualsiasi sia il vizio – più o meno grave – dell’atto impugnato. Né può farsi discendere la nullità di un atto applicativo di un precedente provvedimento solo parzialmente affetto da una nullità riferita a una sua specifica clausola inidonea a inficiare la validità di quel provvedimento nel suo complesso.

Non vi è, dunque, alcun onere per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi inefficace ex lege, ma vi è uno specifico onere di impugnare, nei termini previsti dalla legge, gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente.

Per le ragioni che precedono, l’Adunanza Plenaria enuncia i seguenti princìpi di diritto:

  1. a) la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo;
  2. b) la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa;
  3. c) i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, ivi compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.