Temi e Dibattiti
Mercato, certezza dei traffici giuridici e testamento digitale: tra digital assets e intermediari digitali.
Di Giuseppe Maria Marsico
Mercato, certezza dei traffici giuridici e testamento digitale: tra digital assets e intermediari digitali.
Di Giuseppe Maria Marsico
Abstract
Le disposizioni del patrimonio digitale che non abbiano rilevanza patrimoniale rientrano tra le disposizioni non patrimoniali c.dd. atipiche. Pertanto ha efficacia ogni disposizione anche non patrimoniale contenuta nel testamento. Ne consegue che deve essere interpretato in senso estensivo l'art. 587 c.c. che fa riferimento alle disposizioni non patrimoniali “che la legge consente siano contenute in un testamento”, dovendosi ritenere che il testatore possa dettare disposizioni a contenuto non patrimoniale anche non contemplate nella disciplina tipica o per le ipotesi tipizzate dal legislatore, data l'ampiezza del campo applicativo dell'autonomia testamentaria, con il limite della liceità dei motivi. La “successione nei rapporti digitali” offre, oggi piú che mai, una prospettiva d'indagine privilegiata sul vastissimo campo, in costante formazione ed evoluzione, della disciplina dei digital contents o digital assets.
The provisions of the digital heritage that do not have patrimonial relevance are included among the so-called non-patrimonial provisions. atypical. Therefore, every provision, including non-pecuniary ones, contained in the will is effective. It follows that the art must be interpreted broadly. 587 c.c. which refers to the non-pecuniary provisions "that the law allows to be contained in a will", it being considered that the testator can dictate provisions with non-pecuniary content even if not contemplated in the typical regulations or for the hypotheses typified by the legislator, given the breadth of the field of application of testamentary autonomy, with the limit of the lawfulness of the reasons. The "succession in digital relationships" offers, today more than ever, a privileged perspective of investigation on the vast field, in constant formation and evolution, of the discipline of digital contents or digital assets.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il testamento digitale. Le disposizioni sulle credenziali di accesso – 3. Brevi note sul mandato testamentario e sulla nomina dell'esecutore ex art. 700 c.c. – 4. Il contratto di mandato: tra privacy e autonomia testamentaria. 5. Brevi riflessioni conclusive.
La “successione nei rapporti digitali” offre, oggi piú che mai, una prospettiva d'indagine privilegiata sul vastissimo campo, in costante formazione ed evoluzione, della disciplina dei digital contents o digital assets: beni immateriali con riferimento ai quali l'individuo sviluppa un interesse alla trasmissione o alla condivisione[1].
Tra le principali questioni emergenti dall'incremento quantitativo e qualitativo del ricorso a sistemi di intelligenza artificiale, quale peculiare — per quanto ormai diffusa — modalità dell'agire finalizzata ad orientare i comportamenti umani, si segnala quella relativa alla legittimazione all'esercizio di un potere di controllo-gestione ovvero di un diritto o interesse all'accesso ai dati personali e ai contenuti digitali a séguito del decesso del soggetto al quale sono riferibili. La complessità fenomenica del tema e le relative implicazioni sugli istituti tradizionali del diritto civile impongono, a fortiori in funzione delle riflessioni qui proposte, una preliminare definizione dell'oggetto d'indagine, alla luce dello stato dell'arte della dottrina e dell'elaborazione giurisprudenziale in materia. Seguendo la tendenza a valorizzare le suggestioni terminologiche che, se ben intese, a volte evidenziano scelte logiche e tendenze culturali, appare interessante notare come lo stesso sintagma “successione digitale” non sia ancora condiviso dalla dottrina, sia italiana sia straniera. Infatti, nella riflessione giuridica accennata ricorrono altre espressioni: morte digitale, eredità digitale, successione nel patrimonio digitale, meccanismi di devoluzione ereditaria del patrimonio digitale, successione nei rapporti digitali.
Volgendo lo sguardo alla prevalente casistica in materia, l'attenzione dei giudici, della dottrina e del legislatore appare tendenzialmente concentrata sulla sorte di account e contenuti di natura personale. Circostanza, quest'ultima, che deve essere messa in connessione con l'impostazione consegnataci dalla tradizione, secondo la quale le successioni (non digitali) sono tradizionalmente incentrate sul patrimonio, sulle “sostanze” (ex art. 587 c.c.), giungendo a definire “atipico” il contenuto del testamento estraneo alla disposizione delle situazioni non patrimoniali.
Nel fenomeno oggetto di indagine emergono, nonostante la rilevata inconsistenza delle variabili del tempo e dello spazio nella dimensione virtuale, le reciproche interrelazioni e le relative implicazioni esistenziali e sistematiche sulle vicende giuridiche. All'attenzione dell'interprete si segnala, tra gli altri, il pericolo di mercificazione dei dati digitali. Il dato assume la fisionomia di nuova entità immateriale produttiva di valore (economico, sociale e giuridico) e, come tale, si presta ad ottenere la qualificazione di bene in quanto oggetto di situazioni giuridiche soggettive.
Alla luce di queste circostanze, in dottrina si tende a sostituire l'espressione “successione nel patrimonio” con “successione nei rapporti digitali”: scelta semantica che sottende indici culturali e sociali intesi ad evidenziare come il nodo della questione riguardi prevalentemente posizioni contrattuali (con riferimento alla gestione degli account e, pertanto, rapporti (a contenuto patrimoniale ma anche non patrimoniale[2]).
Inoltre, non si è mancato di ricorrere all'espressione “eredità digitale” per sottolineare la posizione dei familiari del defunto, per esempio, per quanto riguarda la loro legittimazione all'accesso alle informazioni che riguardavano il congiunto e disponibili sul social network. Fenomeno nel quale emergono le eterogeneità della natura degli interessi coinvolti nonché delle posizioni giuridicamente rilevanti (da meri interessi a diritti). D'altronde i profili assiologico e teleologico permettono di rinvenire nell'interesse lo strumento mediante il quale adeguare il diritto al caso concreto, permettendo di estendere la ratio di una disposizione ai casi non previsti, mediante il collegamento fra realtà e valori.
Alla luce e in applicazione di tale premessa metodologica, emerge come l'ingresso dei c.dd. beni non fisici virtuali (new properties) nel patrimonio del de cuius determini un mutamento della composizione del compendio patrimoniale, con conseguente espansione dell'oggetto della delazione ereditaria. Procedendo con ordine, il primo passo da compiere è tentare di chiarire il ruolo, il contenuto e la portata dell'“identità digitale”, quale specificazione dell'identità tout court della persona, conosciuta e tutelata nel sistema a livello valoriale e quale soggetto del diritto. Nel tema in esame essa assume la forma di espressione tendenzialmente elettiva (nell'attuale società, dominata dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione) della personalità nelle interrelazioni con altre personalità (nelle relazioni c.dd. digitali), con riflessi sulla consequenziale rivisitazione della categoria della soggettività[3]. Riprova di tale ultimo rilievo si rinviene nel d.l. 16 luglio 2020 n. 76, il quale attesta l'uso generalizzato dell'identità digitale come mezzo di identificazione personale nelle relazioni in rete, con un intervento di modifica del codice dell'amministrazione digitale. La scelta è dettata anche per far fronte ad esigenze congiunturali legate all'emergenza sanitaria nonché al fine di una maggiore efficienza nella fruizione dei servizi messi a disposizione dalla pubblica Amministrazione. D'altronde, le problematiche accennate si inseriscono nel dibattito sulla portata e sul contenuto — anche in termini di pluralizzazione — dell'identità personale: ad un primo orientamento, inteso a sottolineare gli elementi e i dati esterni alla persona (quali il nome, la cittadinanza, la professione), si affianca un secondo indirizzo — anche in seguito al progresso scientifico e tecnologico — diretto a promuovere una veritiera raffigurazione della propria identità in tutti gli aspetti della vita umana. L'esigenza è avvertita anche in un ambiente artificiale, sia per finalità relazionali sia per finalità commerciali. In questa prospettiva, la società dell'informazione e della comunicazione ha contribuito a tale dinamismo e, per alcuni profili, lo ha condotto alle estreme conseguenze: la raccolta di dati in rete genera una frantumazione e una incontrollabile moltiplicazione dell'identità dell'individuo, contribuendo a renderla “plurale”.
Le informazioni personali relative a un determinato soggetto sono raccolte ed elaborate mediante un numero indefinito di tecniche, canali e strumenti, che configurano un soggetto “virtuale”, spesso non corrispondente o deformato (anche a scopi commerciali o volontariamente dal soggetto agente) rispetto a quello reale, e comunque distinto dalla correlativa entità fisica, per i più svariati fini. La stessa nozione e portata della “morte”, da evento naturale, si configura quale concetto-categoria convenzionale rilevante per finalità e secondo prospettive differenziate. A ciò si accompagnano le categorie della “persistente vitalità”, del “corpo virtuale”, del “soggetto digitale”. In particolare, fra gli elementi che connotano la posizione dell'individuo in rete assume rilevanza la manifestazione di alcune proiezioni della propria personalità, sia nella mutata fisionomia dei rapporti sociali in vita sia a séguito del decesso del soggetto: frutto di una dinamica relazionale fra gli utenti, alla quale non è estraneo il mezzo che può consentire o facilitare tale attività, per esempio, mediante la incorporazione su un supporto.
Al dato immateriale trasmesso o condiviso si combina l'aspetto dell'entità materiale. Infatti, l'incorporazione del dato in un supporto rende trasmissibile l'informazione in esso contenuta; mentre l'elemento informatico è caratterizzato dalla assoluta replicabilità e dal suo carattere immanente. La circostanza che tali pretese possano essere fatte valere anche in un momento successivo alla morte dell'interessato propone, con evidenza, l'interrogativo sulla sorte dei dati personali del de cuius che rimangono in rete, o comunque in sistemi di archiviazione telematici. Una premessa si impone. L'elaborazione teorica deve porsi in costante dialettica con l'evoluzione tecnologica. In particolare, l'identità digitale di un soggetto (social network, account email, etc.) sarà tendenzialmente ricondotta alla categoria dei servizi non aventi contenuto patrimoniale, anche se la rapidità con la quale si evolvono le tecnologie connesse ad internet implica un confronto continuo con fenomeni ibridi (sul piano descrittivo e classificatorio); si pensi, ad esempio, al titolare di un account ebay, servizio di vendita di prodotti online che favorisce chi, nel tempo, ottiene referenze positive dagli acquirenti.
A ben vedere — e iniziando a far emergere un criterio discretivo utile alla selezione della disciplina applicabile — l'aspetto richiamato dell'identità digitale del de cuius assume un contenuto patrimoniale e per tale entra nell'eredità del soggetto[4]. Si pensi ancora, in proposito, al decesso di un soggetto che gestisce un celebre (e redditizio) account social di fotografia o di condivisione di brevi filmati, eventualmente collegato a contratti di sponsorship, ovvero ad un account YouTube, che produce guadagni grazie alla pubblicità associata. Nel tentativo di sintetizzare la complessa fenomenologia sottesa alla successione nei rapporti digitali, emerge la molteplice diversità delle situazioni concrete investite: si pensi alla successione nell'account di posta elettronica e nella corrispondenza digitale intrattenuta dal titolare o nella “memoria salvata” su un cloud e nei files che vi sono stati conservati; nei “profili” sui social network con foto, video, dati e informazioni personali caricati sulle pagine web gestite dai provider che forniscono questi servizi; nell'account attraverso il quale viene svolta un'attività di e-commerce, dei conti online di pagamento e dei fondi monetari che vi si trovano depositati, delle app e dei software scaricati dagli utenti, con i contenuti digitali che vi sono stati riversati, con i “punti” virtuali raccolti da clienti “fedeli” a un determinato servizio digitale. Tale articolato insieme di entità e contesti eterogenei, strettamente correlati alle sfere personale e patrimoniale del portatore principale degli interessi ad essi sottesi, arricchisce e complica ulteriormente i già numerosi interrogativi che alimentano il dibattito teorico e applicativo sulle nuove forme e modalità di titolarità e di circolazione della ricchezza[5].
In altri termini si è di fronte a “forme moderne di appartenenza” che accentuano, accanto al valore di scambio, il valore d'uso e che sottendono la interrelazione fra titolarità della situazione, sua circolazione e relativo controllo. Tale dimensione induce a rimeditare i tradizionali attributi dei poteri di godimento, di disposizione e di controllo , nella prospettiva informazione-circolazione-controllo. S'impone al riguardo una reinterpretazione della disciplina ereditaria, capace di individuare soluzioni frutto di bilanciamento. Bisogna ricordare che esistono siti web specializzati nella gestione dei patrimoni digitali, dopo la morte del titolare, i quali, verso corrispettivo, offrono all'utente un servizio di custodia delle credenziali, e successiva comunicazione ai destinatari indicati per il caso di morte del titolare. Le implicazioni di tali fattori nella materia oggetto della presente indagine sono alquanto complesse e determinanti. La composizione e la natura del c.d. patrimonio digitale e la frequente rilevanza di diritti, di interessi virtuali e di beni immateriali privi di connotazione patrimoniale in senso stretto, o ancóra caratterizzati da una valutabilità in termini economici soltanto indiretta o parziale, hanno determinato una commistione tra la tutela dei diritti della personalità e i profili della pianificazione ereditaria, ove la prima — alla luce della piú facile circolazione — si presta a un processo di commodification, e la seconda assume connotati non piú limitati alla sfera patrimoniale dell'individuo, ma riferibili a tutti quegli ulteriori interessi, informazioni, beni, diritti che possono incidere sulla sfera personale del singolo e che lo connotano nel suo determinarsi personale, sociale, professionale, culturale e familiare[6].
Dall'ampiezza della nozione di “proprietà digitale” e dall'impostazione metodologica attenta a sottolineare il profilo funzionale nella costruzione del contenuto del patrimonio consegue la difficoltà di elaborare una disciplina generale della successione per causa di morte valevole per tutti i beni digitali ovvero per la digitalizzazione delle relazioni umane. In proposito pare sussistere soltanto la possibilità di richiamare alcuni princípi generali, da integrare di volta in volta con la disciplina giuridica specifica dei singoli oggetti e delle loro particolari caratteristiche. In relazione a questi è possibile proporre l'applicazione analogica di istituti già conosciuti nel diritto successorio. Sí che oggetto della successione mortis causa sono le situazioni giuridiche, esistenziali e patrimoniali, che non si estinguono con la morte del loro titolare. Pertanto, la trasmissione dei “diritti” digitali per causa di morte assume particolare complessità per l'ampiezza e la varietà delle “proprietà” — o delle situazioni giuridiche soggettive — digitali configurabili. Ulteriore elemento di riflessione attiene all'evoluzione dell'oggetto della successione ereditaria, connessa anche all'elaborazione teorica delle c.dd. “nuove proprietà”, che ha condotto ad una rimeditazione del “dogma di intrasmissibilità dei diritti della personalità” anche a causa di morte; inoltre, sulla scorta di una sensibile letteratura deve essere sottolineato che la vicenda successoria non si risolve esclusivamente in un fenomeno attributivo, bensí con maggiore frequenza assume la caratteristica di un fenomeno costitutivo ed estintivo di diritti , anche mediante la costruzione automatizzata dell'identità personale in rete. La funzione (o utilità) sociale della successione mortis causa è caratterizzata dalla necessità di garantire la continuazione nel successibile delle situazioni giuridiche soggettive del de cuius, realizzando la solidarietà.
Ampliando lo spettro dell'analisi e considerando il fenomeno del governo della “successione” digitale, diverse sono le opzioni regolatorie che combinano in vario modo tre principali modelli: a) il modello successorio; b) il modello personalistico; c) il modello dell'autonomia negoziale. Non mancano commistioni tra i tre modelli richiamati: per esempio il legislatore tende a combinare il secondo e il terzo (come accade nella normativa per la tutela e il trattamento dei dati personali); mentre nella giurisprudenza, anche per la complessità dei fenomeni analizzati e delle soluzioni selezionate (per garantire, tra l'altro, la continuità nei rapporti c.d. digitali), la tendenza è a combinare il primo con il secondo dei modelli richiamati.
Inoltre, è necessario distinguere le situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale (o patrimonialmente valutabili), che possono essere prevalentemente annoverate nel c.d. patrimonio digitale, dalle situazioni giuridiche soggettive che coinvolgono interessi esistenziali (seppur valutabili in una certa misura sul piano economico, basti pensare ai servizi di comunicazione digitali), che possono essere ricomprese nella c.d. identità digitale
- Il testamento digitale. Le disposizioni sulle credenziali di accesso
Un primo istituto al quale far ricorso per disciplinare in modo unitario la successione del patrimonio digitale è rappresentato dal testamento, soprattutto là dove ciò che viene in considerazione sia l'eredità nel suo complesso, quale insieme di beni e diritti di natura patrimoniale e non patrimoniale. In questi casi, infatti, il negozio di ultima volontà si rivela essere un valido strumento per disciplinare le sorti postume dell'intero patrimonio digitale. Anche perché in presenza di un “testamento digitale”[7], il provider non potrà rifiutarsi di comunicare agli eredi o ai legatari le credenziali per accedere ai profili o agli account dell'utente.
L'accesso ai beni digitali è spesso condizionato infatti dalla conoscenza dell'username e della password, il cui trasferimento a terzi è necessario per operare sui contenuti dell'account. Cosicché occorre tener distinte le disposizioni dirette a comunicare a terzi le credenziali di accesso per consentire la cura, conservazione, gestione o cancellazione dei digital asset, dagli atti nei quali la trasmissione delle credenziali sia strumentale per l'attribuzione a terzi delle utilità economiche che dalla commercializzazione dei beni digitali possono derivare. È la polifunzionalità della password che richiede di accertare quale sia l'effettiva volontà del testatore, dal momento che è da tale valutazione che deriva la qualificazione, la disciplina e la validità della disposizione.
Limitando l'esame alle disposizioni riguardanti le credenziali di accesso, è dato osservare che un primo problema che si pone riguarda la qualificazione e la disciplina delle disposizioni che le contengono e, cioè, se esse possano configurarsi come legati ed essere soggette alle regole dettate per le attribuzioni mortis causa a titolo particolare. Quesito al quale deve però darsi risposta negativa, dal momento che là dove la disposizione abbia ad oggetto soltanto le username e le password, sganciate dai contenuti che ad esse normalmente si accompagnano, si è in presenza di un atto privo del requisito di patrimonialità, tipico delle attribuzioni a titolo particolare. Questo perché le credenziali, in sé e per sé considerate, esauriscono la loro funzione nell'autenticazione informatica dell'utente e, come tali, non hanno alcun valore economico, acquistando importanza solo quali elementi strumentali e indispensabili per l'esercizio delle attività e dei diritti sui beni digitali che il de cuius intende trasferire ai beneficiari.
Esse, pertanto, non sono qualificabili come «beni immateriali» rientranti nella sfera patrimoniale del disponente, né si identificano con le utilità economiche che le risorse alle quali si accede possono produrre, ma costituiscono soltanto dei media necessari ai fini dell'esercizio di determinati diritti sui beni digitali. Tant'è vero che, anche allorquando l'account al quale le credenziali danno accesso abbia un valore economico, la loro comunicazione a un determinato soggetto mediante un atto mortis causa legittima il terzo a gestire l'account ed a conservare i dati in esso contenuti, ma non anche a trarre le utilità economiche che dalla commercializzazione dei dati possono derivare, le quali possono con un autonomo atto essere attribuite agli eredi o legatari.
In questo senso, può dirsi che il valore delle password si determina soltanto attraverso la relatio con l'oggetto mediato della disposizione, ossia con i diritti sui beni digitali che le stesse custodiscono. Relatio che ha natura meramente formale e non sostanziale, visto che l'individuazione dell'oggetto del lascito non è rimessa (né in ordine all'an, né al quantum) alla volontà di un terzo, bensì a quella personale del testatore[8].
Conseguentemente, perché si possa individuare un legato di password è necessario che la disposizione si configuri come un'attribuzione ad oggetto complesso, caratterizzata dalla comunicazione delle credenziali di accesso e dalla devoluzione al beneficiario dei beni custoditi in rete[9]. Infatti, nonostante la molteplicità di contenuti che il legato può avere, è solo in presenza di un atto a contenuto patrimoniale, capace di realizzare un arricchimento per il beneficiario che la disposizione potrà qualificarsi come attribuzione a titolo particolare ed essere regolata dalle norme per essa previste[10].
Diversamente, là dove la comunicazione dell'username e della password sia disgiunta da una volontà attributiva di un'utilità economica e sia finalizzata ad accedere ai dati digitali per svolgere esclusivamente attività di natura non patrimoniale[11] si sarà in presenza di una disposizione testamentaria atipica ex art. 587 II comma c.c., qualificabile come mandato testamentario
- Brevi note sul mandato testamentario e sulla nomina dell'esecutore ex art. 700 c.c.
Si può, agilmente, rilevare come la trasmissione post mortem delle sole credenziali di accesso si traduca nel conferimento, in via unilaterale, di un incarico gestorio teso a soddisfare gli interessi non patrimoniali che l'ereditando vuole regolamentare per il tempo in cui avrà cessato di vivere. [12]
Incarico che si differenzia sia dal mandato post mortem exequendum, sia da quello mortis causa, dal momento che questi ultimi trovano la loro fonte in un accordo inter vivos da eseguirsi dopo la morte del mandante e non in un atto di ultima volontà[13]. Più precisamente, la disposizione in esame si configura come un atto autorizzativo, unilaterale, recettizio e liberamente revocabile, che lascia il terzo libero di decidere se esercitare o meno il potere conferitogli dal de cuius.
Esso ha la caratteristica di essere contenuto in un testamento, dall'avere una finalità gestoria sostanzialmente analoga a quella del mandato[14] e di essere conciliabile con i principi vigenti in materia successoria, poiché nel nostro sistema non solo vi sono ipotesi nelle quali viene conferito al terzo un potere gestorio in via unilaterale, ma anche perché – si è detto – in virtù del principio di autonomia testamentaria, possono oggi considerarsi ammissibili le disposizioni mortis causa atipiche a contenuto non patrimoniale. Il de cuius per assicurarsi che le disposizioni riguardanti il suo patrimonio digitale siano esattamente eseguite, può far ricorso anche alla nomina di un esecutore testamentario al quale comunicare le credenziali di accesso per consentirgli lo svolgimento di tutte le attività materiali e/o giuridiche con i provider[15]. È proprio in detto ambito, infatti, che tale istituto, rimasto fino ad oggi un po' in ombra, potrebbe rivitalizzarsi e, in armonia con la ratio della normativa dettata dagli artt. 700 c.c., consentire al testatore di avvalersi di un soggetto che, non solo possa comporre gli eventuali dissidi nascenti tra i suoi successori, ma che abbia anche le necessarie conoscenze tecnico-informatiche per eseguire le disposizioni di ultima volontà[16]. D'altronde, è sufficiente pensare che il nostro patrimonio digitale non è archiviato solo su computer, tablet, smartphone, chiavette usb, hard disk periferici ecc., ma anche su server di società straniere specializzate nella conservazione di archivi fisici e digitali, nella gestione documentale, nell'acquisizione ottica, nei servizi di storage on line o di logistica avanzata. Ed è in questi casi che la figura dell'esecutore testamentario potrebbe rivelarsi utile, sia perché è un istituto conosciuto anche negli ordinamenti giuridici in cui hanno sede i maggiori provider, sia perché, ove dotato delle necessarie competenze, potrebbe rapportarsi con i big player della rete e promuovere anche alcune procedure particolarmente complesse, quali quelle volte alla cancellazione, eliminazione, trasmissione a terzi, conservazione o divisione dei beni digitali ex artt. 733 e 734 cod. civ. Non solo, ma potendo il de cuius limitare le funzioni alla sola gestione e amministrazione degli account, dei profili social e delle altre risorse informatiche di cui è titolare, l'esecutore testamentario garantirebbe altresì che detti beni siano utilizzati per le specifiche finalità indicate nell'atto di ultima volontà, senza interferire nell'attuazione delle altre disposizioni successorie[17]. Tali figure presentano però un duplice rischio. Da un lato sia il mandatario che l'esecutore testamentario potrebbero non accettare l'incarico oppure richiedere un compenso assai elevato; dall'altro, potrebbe verificarsi che la loro nomina pregiudichi l'esigenza di segretezza insita nelle credenziali di accesso, poiché esse potrebbero essere conosciute anche da terzi soprattutto in occasione delle formalità richieste per la pubblicazione del testamento. Di qui l'esigenza di individuare altri e diversi negozi in grado di regolamentare in maniera più efficiente la trasmissione dell'username e della password e delle attività che la loro conoscenza consente di svolgere. In un contesto digitale qual è quello attuale, dotato di poche regole prive di un sufficiente grado di effettività, l'accesso ai contenuti informatici è spesso disciplinato dai regolamenti contrattuali, i quali contengono apposite clausole che stabiliscono le condizioni per l'estinzione, la trasmissione[18] o la gestione post mortem dell'account e del profilo social degli utenti. In particolare, mentre alcune clausole prevedono l'estinzione automatica del rapporto tra il de cuius e il server provider (c.d. clausole di intrasmissibilità), altre consentono agli eredi di accedere ai digital asset, ovvero offrono agli utenti la possibilità di gestire la propria eredità digitale attraverso specifiche funzioni.
Attraverso tali previsioni i provider attribuiscono all'utente la possibilità di disporre post mortem del proprio account e dei dati in esso contenuti; gli permettono, cioè, di individuare uno o più contatti di fiducia ai quali, dopo la sua morte, in caso di prolungata inattività dell'account [19], il provider invierà una mail con un elenco dei dati che il de cuius ha scelto di condividere con loro e un link che gli permette di scaricarli e conoscerli. Si tratta, in realtà, di un meccanismo che richiama lo schema del mandato, dal momento che consente all'utente di pianificare le sorti degli spazi di memoria occupati in rete per il tempo successivo alla sua morte tramite il conferimento dell'incarico al provider di trasmettere, in modo automatico, le nuove credenziali di accesso ad un terzo preventivamente designato. Terzo che potrà accedere e conoscere i dati dell'utente deceduto e soddisfare in tal modo l'interesse dei suoi familiari, che spesso costituisce il motivo da cui traggono origine le controversie. Tale strumento è infatti particolarmente apprezzato dai gestori del servizio, i quali sono così esonerati dall'accertare la legittimazione dei successibili ad operare sui dati della persona deceduta e vedono ridursi le querelle giudiziarie promosse dagli eredi reclamanti diritti sull'eredità digitale, con conseguente impiego di risorse umane ed economiche. Uno schema analogo è stato predisposto anche da Facebook, il quale si assume contrattualmente l'obbligo di trasmettere ad un terzo, preventivamente indicato dall'utente, dopo la sua morte, le nuove credenziali di accesso (c.d. contatto erede).
In particolare, in forza del contratto stipulato con Facebook, il de cuius può nominare un soggetto di sua fiducia che, al momento dell'apertura della successione, provveda ad eliminare l'account in modo permanente oppure a renderlo “commemorativo”.
In quest'ultimo caso, la persona designata come contatto erede potrà esercitare le sole attività preventivamente individuate, tra le quali vi è quella di convertire le pagine della persona deceduta in uno spazio dove scrivere post, rispondere a nuove «richieste di amicizia», aggiornare l'«immagine del profilo e di copertina» e far sopravvivere così l'identità digitale del caro estinto, secondo le indicazioni che, al momento della nomina, gli sono state fornite dal de cuius. Mentre non potrà rimuovere o modificare i contenuti dell'account già esistenti, leggere le conversazioni private che l'utente aveva intrattenuto con i propri contatti e rimuovere gli amici[20]. Il contatto erede è quindi un soggetto che ha poteri limitati, specificamente previsti nel contratto stipulato tra l'utente e il provider con il quale quest'ultimo si impegna a trasferire al terzo le nuove password ed a garantire un adeguato livello di segretezza e protezione delle stesse, in modo da evitare un eventuale illegittimo utilizzo dell'account o del profilo social da parte di soggetti non autorizzati. Ciò contempera una duplice esigenza: permette al de cuis di scegliere le sorti dei propri dati per il tempo successivo alla sua morte ed assicura la segretezza dei documenti e delle informazioni personali dell'utente.
- Il contratto di mandato: tra privacy e autonomia testamentaria
Tuttavia, tra i negozi idonei a garantire la trasmissione dei propri dati digitali per il tempo in cui si sarà cessato di vivere, vi è anche il contratto di mandato, che trova oggi un espresso riconoscimento normativo nel D.lgs n. 101/2018, emanato in attuazione del Regolamento UE 2016/679. L'art. 2-terdecies di tale decreto prevede infatti che determinati diritti – quali, ad esempio, il diritto all'accesso, alla rettifica, alla opposizione, alla cancellazione (diritto all'oblio), alla integrazione e alla portabilità dei dati relativi a persone decedute – possano essere esercitati «da chi agisce a tutela dell'interessato in qualità di «mandatario» o per ragioni familiari meritevoli di protezione”»[21] . Ciò significa non solo riconoscere una legittimazione ad agire in capo a coloro che sono membri della famiglia e che possono essere persone diverse dagli eredi o legatari, ma altresì ammettere la potenzialità dei dati personali di essere oggetto di specifici negozi mortis causa a carattere non patrimoniale. Tale normativa, riprendendo quanto previsto dall'abrogato art. 9 del codice della privacy, che permetteva il trattamento dei dati delle persone decedute è apprezzabile per un triplice ordine di ragioni. Essa infatti: a) sposta la normazione a un livello territoriale e ordinamentale suscettibile di maggior effettività rispetto a quella dei singoli Stati membri; b) estende la categoria dei diritti suscettibili di essere esercitati post mortem, includendo anche quello relativo alla portabilità dei dati, in modo che gli stessi possano essere acquisiti al patrimonio dell'interessato e non rimangano per un tempo indefinito nella disponibilità del titolare del trattamento; c) richiama espressamente lo schema del mandato post mortem[22], quale negozio funzionale alla gestione dei dati personali dell'utente. Di qui l'espresso e formale riconoscimento della validità di tale contratto, sostanzialmente già diffuso e recepito dalla prassi, in grado di intervenire in un ambito del tutto nuovo, qual è quello della trasmissione mortis causa dei dati digitali.[23]
Al riguardo è dato rilevare peraltro che in assenza di uno specifico e diverso atto devolutivo-attributivo il mandatario ha solo un potere gestorio[24], senza acquistare alcun potere dominicale, di guisa che, alla morte dell'interessato, si verifica una vera e propria scissione tra l'attribuzione delle utilità economiche che dai dati digitali è possibile trarre – i quali possono essere devoluti agli eredi o ai legatari – e l'esercizio dell'attività gestoria su tali beni. Il conferimento al terzo della possibilità di accedere al proprio account o profilo social non significa quindi attribuirgli anche la titolarità dei rapporti giuridici sui beni che dette risorse custodiscono. Cosicché, quand'anche i dati digitali avessero una valenza patrimoniale, il mandato in esame è comunque valido ed efficace, in quanto diretto a soddisfare esclusivamente gli interessi personali del de cuius e non già a produrre un effetto di natura attributiva. Esso pertanto non solo non incontra ostacoli nella previsione di cui all'art. 1722, n. 4, c.c., visto che tale norma soffre già di numerose eccezioni ed è derogabile dalla volontà delle parti, ma neppure contrasta con il divieto dei patti successori.
L'ambito di operatività di tale proibizione si definisce infatti in base a quella che è la sua ratio, che – è noto – è diretta a tutelare la piena libertà di testare, l'affidamento dei terzi e la sicurezza e la stabilità dei traffici giuridici, ossia tende a proteggere interessi ricollegabili ad una logica patrimonialistica e di scambio, legata alla circolazione dei beni, che è del tutto ultronea rispetto agli accordi in esame, i quali, essendo legati alle aspirazioni personali e intime del de cuius, si pongono al di fuori di una vicenda devolutiva – attributiva.. Si tratta quindi di un contratto funzionale alla realizzazione degli interessi di cui agli artt. 15-22 del Regolamento UE 2016/679 che, a differenza del contatto erede, consente di bypassare la intermediazione del provider, visto che il mandante comunica, inter vivos, alla persona di sua fiducia le credenziali di accesso, permettendogli di opporre alla società che tratta i dati il contratto gestorio, quale valido ed idoneo titolo per lo svolgimento dell'incarico conferito. Non solo, ma detto schema negoziale non incontra neppure i limiti connessi alla trasformazione dell'account in “commemorativo”, ben potendo il mandatario accedere e gestire i dati digitali attinenti alla sfera personale del de cuius.
- Brevi riflessioni conclusive.
In conclusione, il testatore potrà disporre della propria eredità digitale con testamento, anche quando le disposizioni non abbiano un valore strettamente patrimoniale ed economico. Un ulteriore istituto utile per disporre della propria eredità digitale è il mandato post mortem exequendum o con effetti post mortem con prestazioni da eseguirsi dopo la morte del mandante. L'art. 2-terdecies fa riferimento al “mandatario” quale soggetto legittimato all'esercizio dei diritti dell'interessato. Il legislatore ha preso atto dell'esistenza di una prassi consolidata nel campo dei rapporti online, in ragione della quale le persone affidano, generalmente mediante apposite piattaforme, o sezioni dedicate all'interno dei maggiori social networks, le proprie credenziali di accesso, oppure l'intera gestione della propria identità digitale a soggetti di propria fiducia, come amici, parenti o professionisti. Tali disposizioni con le quali il de cuius provvede ad incaricare un terzo affinché compia per suo conto, dopo la propria morte, determinati atti giuridici, sono riconducibili alla fattispecie del mandato post mortem exequendum. Segnatamente il mandatario assume l'obbligo di eseguire l'incarico attribuitogli dopo la morte del mandante. Come regola generale, il mandato, ex art. 1722, , n. 4, c.c. si estingue per morte del mandante. Si ritiene, tuttavia, che tale regola sia derogabile per volontà delle parti. Inoltre, il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per la morte del mandante (ex art. 1723 c.c.). Il mandato post mortem exequendum è un contratto concluso tra le parti, in vita del mandante, con il quale si stabilisce che il mandato: a) dovrà essere eseguito, mediante il compimento di attività non patrimoniali o anche patrimoniali, ma in quest'ultima ipotesi meramente esecutiva di un'attribuzione patrimoniale già effettuata in vita oppure rafforzata da una disposizione testamentaria devolutiva; b) non dovrà (di regola) essere dispositivo di diritti, ossia avere ad oggetto il trasferimento di beni dal mandante a terzi dopo la morte di quest'ultimo, fatta eccezione per l'ipotesi riferita alla lett. a); c) ha ad oggetto l'incarico di compiere uno o più atti sia meramente materiali sia giuridici per conto dell'altra parte (mandante) dopo la sua morte. Tale figura riceve dall'art. 2-terdecies[25] un espresso riconoscimento normativo. L'interprete è chiamato, pertanto, a valutare se le ipotesi di mandato indicate consentano una adeguata attuazione degli interessi personali del de cuius altrimenti non perseguibili, per esempio, con la medesima efficacia, mediante il testamento. Come accennato, in letteratura è stata individuata un'altra figura che può essere utilizzata per l'adempimento delle volontà del soggetto in merito al proprio patrimonio digitale: l'esecutore testamentario ex art. 700 ss. c.c., quale soggetto ritenuto idoneo dal testatore ad assolvere un determinato compito. Qualche notazione si impone. L'esecutore testamentario, dato il carattere fiduciario del suo incarico, deve eseguire esattamente e diligentemente le disposizioni di ultima volontà del defunto (art. 703, comma 1, c.c.), deve amministrare i beni ereditari, salva contraria volontà del testatore (art. 703, comma 2, c.c.) e può esercitare tutte le azioni processuali relative all'esercizio del suo ufficio (art. 704 c.c.). L'attività dell'esecutore testamentario (art. 707, comma 2, c.c.) ha, pertanto, una funzione strumentale all'adempimento delle disposizioni di ultima volontà del defunto. Tuttavia, data la natura composita delle situazioni soggettive che sul web trovano visibilità e realizzazione, nelle quali non di rado si sovrappongono interessi patrimoniali ed extrapatrimoniali, la dichiarazione del de cuius fatta appena oggetto di riflessione potrebbe involgere l'amministrazione e la gestione di diritti su contenuti digitali del de cuius a carattere patrimoniale. La devoluzione mortis causa di tali situazioni soggettive rimarrebbe comunque regolata dalle uniche due forme di vocazione ammesse nel nostro ordinamento, ossia quella testamentaria e quella legittima e dei successori a tal fine individuati. D'altro canto si potrebbe richiamare l'ipotesi nella quale la gestione post mortem dei contenuti digitali in funzione dello sfruttamento economico e commerciale verrebbe affidata ad un terzo designato dal defunto in un atto di ultima volontà in forma digitale. In particolare — come sottolineato in dottrina —, risulta centrale l'inquadramento del ruolo svolto da un soggetto nominato dal de cuius, il quale assumerà la fisionomia dell'esecutore testamentario, se l'atto di ultima volontà definirà in modo puntuale contenuti e limiti dei poteri da esercitare. Altro strumento richiamato in letteratura, al fine di disciplinare aspetti che riguardino la propria “successione digitale”, è il legato di password . Secondo la dottrina si tratterebbe di un legato a contenuto atipico, che assumerebbe un oggetto complesso, composto da un contenuto immediato (le password) ed uno mediato (il materiale al quale le password danno accesso).
Le argomentazioni proposte e le vicende ricostruite consentono di rilevare come la rivoluzione digitale” — che in sintesi si potrebbe descrivere come il passaggio dalle tecniche alle tecnologie — abbia mutato radicalmente le modalità mediante le quali l'individuo s'interfaccia con la realtà e interagisce con i suoi simili. Il contatto quotidiano con dispositivi informatici e virtuali — le c.dd. Information Technologies — ha determinato una progressiva dematerializzazione nel compimento degli atti e delle attività in qualsiasi settore della vita umana, generando uno “sdoppiamento” della “realtà”, in virtuale o artificiale rispetto a quella tangibile o materiale[26].
Emerge l'utilità di una riflessione complessiva sugli artt. 810, 1173, 1174, 1321, 1322, 1346 e 1379 c.c., in quanto risultano decisive le teorie del contratto e dell'obbligazione, come le ricostruzioni della nozione di prestazione e il processo di oggettivazione delle entità immateriali (ripensando la relazione fra oggettivazione giuridica, patrimonialità, commerciabilità e negoziabilità), sulla base della “depatrimonializzazione” e della “funzionalizzazione” degli istituti del diritto civile. La tutela postmortale della personalità è correlata ma non si identifica con la successione nel “patrimonio digitale”. L'azionabilità dei rimedi (ragionevoli, effettivi e sostenibili) a garanzia della dignità del defunto può essere prevista anche quando non coinvolga una vicenda successoria. È questo il caso della legittimazione riconosciuta ai congiunti senza andare ad intaccare la tesi dell'intrasmissibilità dei diritti della personalità in quanto il potere si configura quale mero acquisto iure proprio di un nuovo potere di azione o come legittimazione fiduciaria dei prossimi congiunti. Analogamente, le prerogative attribuite ai terzi ex art. 2-terdecies non presuppongono necessariamente una vicenda successoria (il terzo che intenda accedere ai dati del defunto può essere estraneo alla cerchia degli eredi e invocare la sussistenza di un semplice “interesse proprio”).
Tuttavia sovente ricorre la circostanza che l'iniziativa della tutela giudiziaria sia promossa da parte dei congiunti che sono al contempo eredi. Inoltre, il fenomeno della trasmissione del patrimonio digitale può interessare posizioni giuridiche di natura patrimoniale e che non coinvolgono i diritti della personalità. D'altronde, l'art. 2-terdecies prevede l'estensione del novero dei diritti suscettibili di esercizio post-mortale includendo anche il diritto alla portabilità dei dati, che a sua volta rappresenta una delle piú importanti novità del Reg. 679 del 2016 (art. 20). In proposito, l'approccio della giurisprudenza statunitense e quello della giurisprudenza tedesca mettono in evidenza come l'accesso ai dati digitali del defunto sia oggetto di un diritto esercitabile dagli eredi iure hereditatis, segnatamente per effetto diretto del procedimento successorio. Nel mondo digitale, la gran parte dei beni che assumono giuridica rilevanza sono inseriti in contratto e, piú in generale, in un fascio di rapporti originati dal contratto medesimo. Infatti dalla fonte contrattuale nascono i rapporti che hanno quale punto di riferimento oggettivo i “beni virtuali”; e sempre nel contratto si rinvengono lo statuto di appartenenza (o di fruizione) e il regime di circolazione dei beni stessi. Si pensi, ad esempio, agli avatar utilizzati su Second life, a un profilo Facebook, o agli stessi file musicali “scaricati” da ITunes in base ad un contratto di licenza d'uso. Il loro trasferimento è possibile soltanto nei limiti consentiti dal regolamento negoziale: la disponibilità di tali risorse risiede, di fatto e di diritto, non tanto nella sfera giuridica degli utenti, quanto in quella degli intermediari digitali, quali Google, Facebook, eBay, Twitter, Vimeo o Hotmail.
Ne consegue che la successione nei beni digitali coinvolge e sottende in tali àmbiti la questione della trasmissibilità della posizione contrattuale coinvolta. Nel nostro ordinamento è accolto il principio dell'universalità della successione e, pertanto, la successione per causa di morte determina di regola il trasferimento agli eredi delle posizioni contrattuali del defunto. Tale principio incontra diverse deroghe, in quanto lo stesso legislatore prevede ipotesi di vocazioni c.dd. anomale (per esempio, la successione nel rapporto locatizio), o in quanto la natura del rapporto o l'assetto di interessi predisposto dalle parti nell'esercizio dei propri poteri di autonomia escludono la prosecuzione del rapporto dopo la morte.[27]
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[2] A. Zaccaria, Diritti extrapatrimoniali e successione: dall'unità al pluralismo nelle trasmissioni per causa di morte, Padova, 1988, definiva i beni digitali diffusi in internet, nella maggior parte dei casi come “personal-patrimoniali” proprio perché caratterizzati da connotati sia patrimoniali che personali; G. Marino, La successione digitale, cit., p. 186, parla di «ibridazione del patrimoniale nel personale e del personale nel patrimoniale» dal momento che nell’information society si assiste ad una «metamorfosi dei dati personali da oggetto di un diritto fondamentale dell’individuo a fondamentali assets delle attività degli operatori economici digitali, a beni negoziabili sul mercato virtuale, a possibile controprestazione nei contratti di fornitura di contenuti digitali che non prevedano altro corrispettivo da parte dell’utente (…).
Nell’ambito della successione digitale, pertanto, la scissione concettuale e normativa in senso forte del momento personale da quello patrimoniale si rivela allora artificiosa e controfattuale rispetto a figure complesse nelle quali questi momenti appaiono commisti». In senso analogo P. Rescigno, Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1977, II, p. 871; V. Zeno Zencovich, voce Personalità, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sez. civile, vol. XIII, 1995, p. 441; A. Zoppini, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., 2000, p. 237.
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[4] A. Magnani, La figura di erede e la qualità ereditaria, comprendenti sia rapporti e diritti patrimoniali sia qualità personali, morali, ideali. Conseguenze ed applicazioni, in Riv. not., V, Milano, 1998, pp. 1044 ss. Fin dalle sue origini storiche prevaleva nella figura di erede addirittura l’aspetto personale rispetto all’aspetto patrimoniale: piuttosto che acquirente di un patrimonio, l’erede era «persona investita di una qualità personale».
La «qualità di erede», come qualità personale, era ed è «intrasmissibile». Una volta acquistata «non si cancella» nella persona, è «perpetua» e «imprescrittibile», non si riesce a spogliarsi di essa «neppure cedendo l’eredità» (memento la regola iuris “semel heres semper heres” [Ulpiano, Digesto, 4, 4,7,10: “sine dubio heres manebit, qui semel extitit”]. Fin dall’antichità il succedere al defunto era concepito come il «prendere» il suo posto. La successione era intesa come «subentro nella posizione giuridica» del defunto, come «continuazione» nei «rapporti giuridici trasmissibili», non solo nei ‘diritti’, ma anche negli ‘obblighi’ e nel ‘possesso’, tanto da ritenere applicabile all’erede la definizione di “successore a titolo universale” e di “continuatore della personalità” del ‘defunto’. Tale concetto, ‘proprio’ del ‘diritto romano’, è frequente anche nella ‘dottrina attuale’: l’erede è investito di una «qualità personale», tanto che si parla di “status di erede”. A riprova, ancora, che nella qualità di erede vi sono ‘contenuti personalissimi’, si ricordi che nella vendita di eredità tra i beni venduti «non» si intendono inclusi quelli oggetto di ‘diritti aventi carattere strettamente familiare’, come la proprietà di ‘carte di famiglia’, ‘ritratti’, ‘ricordi storici’, etc. e così «anche» i «beni digitali» di «natura non patrimoniale».
Ed ancora si ricordi il «diritto dell’erede» di «difendere la memoria e il nome del defunto» e il «diritto di sepolcro». L’eredità, inoltre, può non avere immediatamente un contenuto economico, ma «lo può avere in futuro. Lo stato di erede non è “un diritto patrimoniale”, ma un bene e un diritto di natura strettamente personale, che l’esercizio dei diritti ereditari implica una valutazione squisitamente personale del soggetto e presuppone la valutazione di un interesse precipuamente morale, che “risulta difficile non riconoscere al diritto di accettare o meno l’eredità una connotazione anche extrapatrimoniale, fondata su considerazioni di natura personalissima che implicano scelte e valutazioni di natura morale» in relazione alla personalità del de cuius, che l’acquisto della «qualifica di erede è personale e coinvolge anche «valutazioni di carattere morale che l’ordinamento intende salvaguardare.
[5] B. Biondi, Oggetto dell’antica hereditas, in Iura, I, 1950, p. 150 ss.; B. Albanese, La successione ereditaria nel diritto romano antico, in Annali dell’Università di Palermo, vol. XX, 1949, pp. 127 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1959, n. 18, p. 85 e Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, pp. 194 ss.; L. Coviello J., Lezioni di diritto successorio, Bari, 1958, p. 11; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio di inventario, Milano, 1942, pp. 44 ss.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, L’amministrazione durante il periodo antecedente l’accettazione, II, L’amministrazione nel periodo successivo all’accettazione, I, Milano, 1947-1949 (ed. 1°), 1968-1969 (ed. 2° riv. e agg.), pp. 75 ss.; F. S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per cause di morte e donazione, Padova, 1979, pp. 3 ss.; A. Palazzo, Le Successioni, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1996, p. 416; A. Proto Pisani, Petizione di eredità e mero accertamento della qualità di erede, in Foro Italiano, 1961, pp. 1999 ss; A. Palazzo, Commento sub. art. 533 c.c., in Commentario al codice civile a cura di P. Cendon, Torino, 1991, p. 106; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, tt. I e II, Napoli, 1959, p. 593; W. D’Avanzo, Delle successioni, Firenze, 1941, p. 161; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, p. 21; L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Comm. al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, p. 204; A. Magnani, La figura di erede e la qualità ereditaria etc ; S. Stefanelli, Destinazione post mortem dei diritti sui propri dati personali, cit., 1, p. 137. In giurisprudenza: Trib. Cuneo, 27.2.1953, in Giust. civ., 1953, p. 1895; Trib. Roma, 11.8.1961, in Foro pad., 1962, 1°, p. 695; Cass., 13. 5.1969, n. 1628, in Giust. civ., 1969, p. 1207
[6] V. Barba, Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto delle successioni, in Riv. dir. priv., 2018, pp. 515 ss. 32 G. D’Amico, La revocazione della disposizioni testamentarie, in E. Gabrielli (diretto da), Commentario al codice civile, V. Cuffaro - F. Delfini, (a cura di), Delle Successioni, Torino, 2010, p. 816; vedasi anche G. Perlingieri, Il ruolo del giurista nella modernizzazione del diritto successorio tra autonomia ed eteronomia, in Dir. succ. fam., 2018, p. 2, secondo il quale la distinzione tra contenuto c.d. tipico – patrimoniale-attributivo – e atipico (non patrimoniale) del testamento non ha valenza determinante, giacché nel nostro ordinamento, semmai, è tipico solo ciò che riceve una precisa ed espressa disciplina di legge. In questo senso, l’Autore precisa che la tipicità (sia nel senso di «patrimonialità», sia nel senso di espressa previsione legislativa) non è di per sé idonea a garantire la liceità e la meritevolezza di tutela dell’operazione negoziale; così come la mancanza di una previsione legislativa non determina per ciò solo l’illiceità della disposizione. L’A. prospetta, infatti, l’assunzione di un diverso metro di valutazione, che sia fondato esclusivamente sulla liceità e meritevolezza di tutela del negozio e non sulla sua tipicità o atipicità.
[7] Sulla nullità delle clausole impeditive del diritto a succedere si v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Milano, 2015, pp. 197 ss.; L. Bigliazzi Geri, Il testamento, Milano, 1976, p. 160, che evidenziava come mediante il testamento venga predisposto un «determinato regolamento post mortem dei propri interessi»; M.C. Tatarano, Il testamento, in P. Perlingieri (diretto da), Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, Napoli, 2003, p. 22., secondo la quale, in quest’ottica, «il testamento manifesta la sua potenzialità multipla di strumento di predisposizione di un regolamento di interessi transmorte, al di là della mera attitudine dispositiva, confermando, pure, di essere strumento principe dell’autonomia privata, in quanto in grado di dettare precetti privati, destinati ad avere effetto dopo la morte. Vedasi anche V. Cuffaro, Il testamento in generale: caratteri e contenuto, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, 763, che considera la diversa opinione “inappagante”, soprattutto ove si pensi che, essendo il testamento espressione dell’autonomia riconosciuta al privato di manifestare la propria volontà, non risultano esservi ostacoli né sul piano logico, né sul piano della disciplina positiva ad ammettere la rilevanza anche di disposizioni non patrimoniali atipiche.
[8] G.F. Basini, L'oggetto del legato, e alcune sue specie, in P. Perlingieri (diretto da), Tratt. dir. civ. Cons. naz. not. I, G. Bonilini, G.F. Basini (a cura di), I legati, Napoli, 2003, p. 165.
[9] Tale tematica è stata affronta dalla dal Bundesgerichtshof (BGH), con una sentenza (12.7.2018, III ZR 183/17 in Nuova Giur. civ. comm., 2019, 2, pp. 691 ss. con nota di R. Mattera, La successione nell’account digitale, il caso tedesco. La sentenza aveva ad oggetto la vicenda di una ragazza quindicenne morta perché investita da un treno. I genitori venivano citati in giudizio dal conducente per il risarcimento dei danni che quest’ultimo asseriva aver subito. I genitori, pertanto, chiedevano di poter accedere all’account facebook della figlia scomparsa per verificare se avesse espresso propositi suicidi. Tuttavia, il social network, avendo acquisito la notizia della morte della giovane, aveva posto il suo profilo in modalità commemorativa, negando, di fatto, ai genitori la possibilità di accedere a parte dei contenuti del profilo.
A questo punto, la madre della ragazza conveniva in giudizio il gestore chiedendo la tutela del proprio diritto di accedere, in qualità di erede, ai contenuti e alle comunicazioni conservate nell’account. La domanda veniva accolta dal giudice di primo grado con sentenza poi riformata in appello. Tuttavia, la III sez. del BGH, la Corte federale di Giustizia tedesca, annullava la sentenza di secondo grado affermando che «alla morte del titolare di un account di social networking, il relativo contratto – in via di principio – si trasmette ai suoi eredi, ai sensi del par. 1922 BGB. Non impediscono l’accesso all’account, e ai dati lì contenuti, né la tutela post-mortale della personalità della defunta, né la riservatezza delle telecomunicazioni, né le norme sulla protezione dei dati».
[10] V. Cuffaro, Il testamento in generale: caratteri e contenuto, cit., p.760; che osserva come non sia necessario che l'attribuzione patrimoniale si traduca in un arricchimento del beneficiario, potendo il valore del legato essere assorbito da un onere testamentario o da un sub legato.
[11] Quale, ad esempio, distruggere i contenuti informatici, ovvero imprimere agli stessi una determinata destinazione, custodire i documenti contenuti nell'account, gestire il profilo social, valutare l'opportunità di pubblicare o meno una determinata opera dell'ingegno.
[12] Per la validità del mandato testamentario post mortem si v. G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell'atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 37 ss.; Si veda anche Cass., 23 maggio 2006, n. 12143, in Riv. not. 2007, p. 693, con nota di G. Musolino, Le disposizioni sulla sepoltura fra testamento e mandato post mortem.
[13] La dottrina e la giurisprudenza distinguono tre diverse fattispecie di mandato: il mandato testamentario, il mandato post mortem exequendum e il mandato mortis causa. Il primo riguarda il trasferimento di diritti del testatore, dopo la sua morte, a favore di un terzo. Il mandato post mortem exequendum si configura come contratto la cui esecuzione deve avvenire dopo la morte del mandante e che ha per oggetto il compimento di un'attività materiale riferita ad un'attribuzione patrimoniale perfezionata in vita dal mandante. Il mandato mortis causa che è volto invece a trasmettere a terzi beni del mandante dopo la sua morte
[14] L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Comm. al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, p. 204; A. Magnani, La figura di erede e la qualità ereditaria etc ; S. Stefanelli, Destinazione post mortem dei diritti sui propri dati personali, cit., 1, p. 137.
[15] G. Pelingieri e G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019, pp. 189 ss.; G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 2013, p. 763.
[16] G. Bonilini, Degli esecutori testamentari, in Il Codice civile Commentario, 2015.
[17] La ricostruzione maggiormente condivisa in dottrina e in giurisprudenza, pertanto, è quella secondo cui la fattispecie in esame configura un ufficio di diritto privato agendo l’esecutore in nome proprio ma nell’interesse all’esatta attuazione delle disposizioni testamentarie; interesse che presenta anche un carattere pubblico come dimostrato dalle norme in materia che sottopongono l’attività dell’esecutore al controllo dell’autorità giudiziaria in ordine alla durata dell’incarico, agli atti di alienazione e al suo esonero per fatti di particolare gravità.
[18] Tra i numerosi contributi in materia v., almeno, G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, pp. 37 s.; Id., voce Atto « mortis causa », in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 232 s.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, 394; L. Ferri, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 1965, p. 81 ss.; M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, pp. 27 ss.; Id., Istituti alternativi al testamento, in Tratt. dir. civ., diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2003, pp. 10 ss.; C. Caccavalle, Contratto e successioni, in Trattato sul contratto Roppo, VI, in V. Roppo (a cura di), Interferenze, Milano, 2006, p. 472; Id., Il divieto dei patti successori, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, pp. 25 ss.; L. Balestra e M. Martino, I patti successori, in Tratt. dir. success. e donaz. Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, pp. 63 ss.; F.A. Moncalvo, I così detti negozi “transmorte”, ivi, pp. 187 ss.; V. Barba, Il divieto dei patti successori, Napoli, 2016. Per una sintesi del dibattito v. M. Bonavita, Sub art. 458, in G. Perlingieri (a cura di), Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, II, Delle Successioni, Napoli, 2010, pp. 10 ss
[19] G. Resta, La morte digitale, cit., 897, che considera il predetto profilo una sorta di “ibernazione virtuale”. M. Cinque, L'eredità digitale, cit., p. 78, parla invece di “mausoleo on line”
[20] La «necessità di offrire il più ampio margine di libertà al testatore anche con riguardo a disposizioni di contenuto diverso da quello patrimoniale (e la giustificazione dei momenti formalistici del testamento rimane probabilmente legata all’esigenza di sottolineare anche in quei termini l’importanza dell’atto che si pone in essere)» è sottolineata da S. Ciccarello, Persona e successione ereditaria, Napoli, 1994, p. 163. Vedasi ancora G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 2013, p. 763, il quale rileva che «i criteri di compatibilità, adeguatezza e congruenza [...] non consentono al giurista di rimanere ingessato alla distinzione tra atto inter vivos e mortis causa e tra atto unilaterale e bilaterale, ma, al contrario, devono indurlo ad individuare la disciplina applicabile attraverso un attento esame delle singole e specifiche peculiarità che presentano le diverse fattispecie concrete» e non già tramite astratte e acritiche trasposizioni normative tratte soltanto dal diritto contrattuale. Vedasi anche P. Femia, Interessi e conflitti culturali nell’autonomia privata e nella responsabilità civile, Napoli, 1996, p. 307.
[21] Di recente, infatti, la Corte di legittimità ha stabilito che “l’istituto dell’esecutore si concreta in un ufficio di diritto privato con alcuni tratti pubblicistici, in base al quale l’esecutore, nominato dal testatore intuitu personae in forza della clausola testamentaria è investito del potere di compiere in nome proprio determinati atti, i cui effetti ricadono direttamente sul patrimonio ereditario, come se li avessero compiuti gli eredi. In particolare compito dell’esecutore, è quello di dare attuazione alle disposizioni di ultima volontà del de cuius, a tal fine prendendo possesso della massa ereditaria, amministrandola e compiendo tutti gli atti di gestione occorrenti (art. 703 c.c.)”. Cass. 26 novembre 2015, n. 24147, in D&G, 2015, p. 74, con nota di Villani, La volontà del de cuius deroga alla regola della gratuità dell’ufficio testamentario. In precedenza nello stesso senso tra le altre Cass. 22 marzo 1994, n. 2707, in Giust. civ., 1994, I, 2525; Cass. 27 aprile 1993, n. 4930, in Giur. it., 1993, I, 1 2252; Trib. Lecce 20 gennaio 2010, in Riv. not., 2010, La rinuncia del coesecutore e gli effetti sul regime dell’esecuzione, Cass. 24 aprile 1965, in Giust. civ., 1965, I, p. 293, Cass. 16 marzo 1977, n. 1044, in Giust. civ., 1977, I, p. 719; Trib. Roma 1° aprile 1992, in Giur. mer., 1993, I, p. 347
[22] Assumerà invece la fisionomia di un amministratore fiduciario del patrimonio digitale e dell’identità virtuale del defunto, se i compiti a lui attribuiti saranno ampi e discrezionali. Pertanto, tali manifestazioni di ultima volontà configurano un negozio destinato a spiegare efficacia dopo la morte del dichiarante, funzionalmente ordinato all’attribuzione di un potere e alla designazione di un terzo chiamato a esercitarlo. Esse vanno ascritte alla categoria dei negozi di ultima volontà, diversi dal testamento, ammissibili purché unilaterali, personalissimi e sempre revocabili dal de cuius. Si tratta di negozi aventi natura autorizzatoria, volti a disciplinare il profilo “esterno” dei rapporti tra il nominato e i terzi: N. Di Staso, Il mandato post mortem exequendum, cit., 691 ss.; M. Cinque, La successione nel « patrimonio digitale »: prime considerazioni, cit., p. 654; G. Resta, Dignità, persone, mercati, cit., 400. La disposizione con la quale è nominato l’esecutore testamentario può accedere a qualsivoglia disposizione mortis causa, quindi anche a disposizioni non patrimoniali, come ad esempio le clausole con le quali il testatore decide sulla destinazione del proprio patrimonio digitale, anche di valore non patrimoniale: G. Bonilini, Degli esecutori testamentari, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 2005, p. 33; anche in tal senso G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 1085 ss. Vedasi M. Palazzo, La successione nei rapporti digitali, cit., p. 1331.
[23] G. Resta, La successione nei rapporti digitali, cit., 91, che evidenzia come soltanto un “lettore frettoloso o poco avvertito” potrebbe considerare il predetto inciso come una svista del legislatore, poiché proprio il richiamo alla figura del mandato formalizza una prassi ormai consolidata nell'ambito dei rapporti on line.
[24] Con riferimento all’attività di amministrazione dei beni ereditari va inoltre sottolineato come l’amministrazione dell’esecutore testamentario si differenzia dalle altre fattispecie di amministrazione dei beni ereditari, quale quella che compete al chiamato all’eredità o al curatore dell’eredità giacente, giacché quella dell’esecutore trova riscontro nel testamento oltre che nel disposto normativo ed è quindi al contenuto dello stesso che occorre riferirsi per disegnarne il suo perimetro operativo. Il campo dell’attività dell’esecutore attiene, infatti, non solo a tutti gli atti di ordinaria amministrazione ma anche ad atti di straordinaria amministrazione per i quali la legge prevede specifiche cautele, a cominciare dalla richiesta di autorizzazione giudiziaria. La previsione dell’obbligo dell’autorizzazione appare ispirata ad una ratio di tutela degli interessi dell’erede, il quale è in definitiva l’effettivo titolare dei beni caduti in successione, di tal che, a parer di parte degli autori, l’autorizzazione appare sempre necessaria.
[25] D’altronde, l’art. 2-terdecies prevede l’estensione del novero dei diritti suscettibili di esercizio post-mortale includendo anche il diritto alla portabilità dei dati, che a sua volta rappresenta una delle piú importanti novità del Reg. 679 del 2016 (art. 20). In proposito, l’approccio della giurisprudenza statunitense e quello della giurisprudenza tedesca mettono in evidenza come l’accesso ai dati digitali del defunto sia oggetto di un diritto esercitabile dagli eredi iure hereditatis, segnatamente per effetto diretto del procedimento successorio. Nel caso Apple, deciso dalla corte meneghina, la gestione dei beni virtuali del de cuius, secondo l’art. 2-terdecies novellato del d.lgs. n. 101 del 2018, deve ricomprendersi fra i diritti attribuiti ai successibili quale legittimazione ad agire iure proprio. Nel mondo digitale, la gran parte dei beni che assumono giuridica rilevanza sono inseriti in contratto e, piú in generale, in un fascio di rapporti originati dal contratto medesimo. Infatti dalla fonte contrattuale nascono i rapporti che hanno quale punto di riferimento oggettivo i “beni virtuali”; e sempre nel contratto si rinvengono lo statuto di appartenenza (o di fruizione) e il regime di circolazione dei beni stessi. Si pensi, ad esempio, agli avatar utilizzati su Second life, a un profilo Facebook, o agli stessi file musicali “scaricati” da ITunes in base ad un contratto di licenza d’uso. Il loro trasferimento è possibile soltanto nei limiti consentiti dal regolamento negoziale: la disponibilità di tali risorse risiede, di fatto e di diritto, non tanto nella sfera giuridica degli utenti, quanto in quella degli intermediari digitali, quali Google, Facebook, eBay, Twitter, Vimeo o Hotmail.
[26] G. Perlingieri, Il ruolo del giurista nella modernizzazione del diritto successorio tra autonomia ed eteronomia, in Dir. succ. fam., 2018, p. 2, secondo il quale la distinzione tra contenuto c.d. tipico – patrimoniale-attributivo – e atipico (non patrimoniale) del testamento non ha valenza determinante, giacché nel nostro ordinamento, semmai, è tipico solo ciò che riceve una precisa ed espressa disciplina di legge. In questo senso, l'Autore precisa che la tipicità (sia nel senso di «patrimonialità», sia nel senso di espressa previsione legislativa) non è di per sé idonea a garantire la liceità e la meritevolezza di tutela dell'operazione negoziale; così come la mancanza di una previsione legislativa non determina per ciò solo l'illiceità della disposizione. L'A. prospetta, infatti, l'assunzione di un diverso metro di valutazione, che sia fondato esclusivamente sulla liceità e meritevolezza di tutela del negozio e non sulla sua tipicità o atipicità.
[27] In merito ai «diritti dell’oblio»: S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, p. 398 ss.; M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Riv. dir. media, 2019, 1, pp. 39-53; T.E. Frosini, Google e il diritto all’oblio preso sul serio, in Dir. inf., 4-5, 2014, pp. 563 ss.; F. Pizzetti, Le autorità garanti per la protezione dei dati personali e la sentenza della Corte di giustizia sul caso Google Spain: è tempo di far cadere il velo di Maya, in Dir. inf., 2014, pp. 805 ss.; G. Sartor, M. Viola De Azevedo Cunha, Il caso Google e i rapporti regolatori USA/EU, in Dir. inf., 2014, pp. 658 ss.; A. Azurmendi, Por un «derecho al olvido» para los europeos: aportaciones jurisprudenciales de la Sentencia del Tribunal de Justicia europeo del caso Google Spain y su recepción por la Sentencia de la Audiencia Nacional española de 29 de diciembre de 2014, in Rev. de Derecho Político, 92, 2015, pp. 273 ss.