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Le società in house e il principio di auto – produzione amministrativa: tratti morfologici e principi disciplinari.
Di Cesare Valentino
Le società in house e il principio di auto – produzione amministrativa: tratti morfologici e principi disciplinari
Di Cesare Valentino
Abstract
La società in house, quale espressione del principio di auto-organizzazione amministrativa, costituisce una delle più rilevanti deroghe al principio di concorrenza. Obiettivo di tale elaborato é individuare la disciplina in concreto applicabile a tale organismo, regolamentato da diverse fonti, non sempre coerenti tra loro. A tal fine si rende necessaria una previa disamina dei tratti morfologici dell’istituto, di cui é tuttora controversa la natura giuridica.
The in-house company, as an expression of the principle of administrative self-organization, constitutes one of the most significant exceptions to the principle of competition. The objective of this paper is to identify the regulations specifically applicable to this body, regulated by various, not always coherent, sources. To this end, a prior examination of the morphological features of the institution is necessary, the legal nature of which is still controversial.
Sommario
- Nozione ed evoluzione. - 2. Le condizioni per procedere ad affidamento diretto tramite società in house. - 2.1. L’onere di motivazione. - 2.2. Il controllo analogo. - 2.3. La partecipazione privata minoritaria e il requisito dell’attività prevalente. - 3. Le diverse configurazioni che può assumere la società in house. - 4. La natura e il regime delle società in house. - 5. In house e organismo di diritto pubblico. - 6. Il rapporto tra le diverse fonti disciplinanti l’in house providing. - 7. L’in house nella gestione dei servizi pubblici locali. - 8. Sulla fallibilità degli organismi in house.
- Nozione ed evoluzione.
In generale, con l’espressione società in house[1] si intende l’ente costituito in forma di società destinatario di affidamenti diretti, ossia senza gara, da parte di una o più pubbliche amministrazioni controllanti[2].
Per lungo tempo, in assenza di una normativa specifica, i tratti essenziali e il regime applicabile a tale ente sono stati individuati dalla giurisprudenza[3], specie sovranazionale[4].
Una compiuta disciplina dell’istituto ha avuto luogo per effetto dell’approvazione della direttiva appalti pubblici 2014/24/UE del 26.2.2014.
Attualmente, il regime applicabile alla società in house è contemplato in diversi corpi normativi. Anzitutto rileva l’art. 7 d.lgs. 36/2023, che codifica il principio di auto - organizzazione amministrativa, secondo cui le pubbliche amministrazioni organizzano autonomamente l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni o servizi tramite l’autoproduzione, affidando direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi enucleati agli artt. 1, 2, 3 d.lgs. 36/2023, ed in particolare del principio del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato[5].
Non meno importante è il d.lgs. 175/2016[6], che nell’ottica di ridurre l’impatto sulla finanza pubblica delle c.d. società partecipate, in ossequio ai dettami della giurisprudenza sovranazionale e nazionale, prefigura i tratti morfologici e disciplinari dell’in house[7], individuando in particolare i requisiti per procedere ad affidamento diretto ricorrendo a tale organismo[8].
Infine, completa l’articolato normativo congegnato per la società in house il d.lgs. 201/2022, che, come si avrà modo di rilevare, intravede in tale ente una delle possibili forme di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
- Le condizioni per procedere ad affidamento diretto tramite società in house.
2.1. L’onere di motivazione.
Come dianzi indicato, l’in house providing costituisce un’espressione del principio di auto - organizzazione amministrativa, secondo cui le pubbliche amministrazioni possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi di risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato. In tal guisa tali società costituiscono una deroga al principio di concorrenza, ed in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica, che di tale principio costituisce proiezione applicativa.
La deroga tuttavia, proprio alla luce della rilevanza degli interessi coinvolti[9], è subordinata a diverse condizioni[10], che devono esser tratte dal composito quadro normativo dianzi indicato.
Ed infatti, nel nuovo codice dei contratti pubblici il legislatore si limita, tramite l’art. 7, a prevedere la possibilità di procedere ad affidamenti diretti tramite società in house, senza tuttavia indicare le condizioni richieste dal diritto europeo, richiamate tramite un rinvio alle previsioni delle direttive sovranazionali, contemplato in un allegato al codice.
Ciò che la norma de qua statuisce in via generale quale condizione legittimante l’affidamento in house è l’onere di motivazione “aggravata”, pur essendo lo stesso ridimensionato rispetto alle previsioni contemplate nel d.lgs. 50/2016. Ed infatti non è più richiesta l’indicazione delle ragioni sottese al mancato ricorso al mercato[11]. Le ragioni di siffatto mutamento si ricollegano al diverso peso che il legislatore attribuisce ai diversi principi, giacché nell’impianto di cui al d.lgs. 50/2016, l’avversione avverso gli affidamenti in house, palesata tramite un onere di motivazione particolarmente accentuato, costituiva logica conseguenza dell’elevazione della concorrenza a principio dominante.
Nel tessuto del d.lgs. 36/2023 invece il principio di concorrenza costituisce un mezzo, più che un fine, un principio da rispettare, più che da perseguire, come si desume dal coordinamento sistematico degli artt. 1, commi 1 e 2 e art. 3, d.lgs. 36/2023. Il che porta a ridimensionare, e per questa via ad alleggerire, il suindicato onere motivazionale.
Sul versante strutturale, occorre dar atto che nella motivazione che accompagna l’affidamento diretto in house le pubbliche amministrazioni devono dar conto dei vantaggi che lo stesso può arrecare alla collettività, nonché della congruità economica della prestazione.
Sul piano funzionale, è possibile ritenere che la ratio sottesa a siffatto onere motivazionale risiede nell’esigenza di garantire la qualità della prestazione, la celerità del procedimento nonché il razionale impiego di risorse pubbliche.
La previsione di un onere di motivazione per gli affidamenti in house consente infine di risolvere una questione che per lungo tempo ha affannato gli interpreti. Ci si è chiesti infatti, relativamente alla portata applicativa dell’istituto in analisi, se lo stesso assumesse carattere eccezionale e derogatorio, o se invece rappresentasse un modello generale e alternativo rispetto al ricorso al mercato.
Al riguardo è possibile propendere nel primo senso, postulando l’eccezionalità degli affidamenti in house, muovendo dalle particolari cautele e condizioni che circondano l’istituto, come appunto il succitato onere di motivazione, che non avrebbe senso se tali affidamenti assumessero carattere generale e alternativo.
2.2. Il controllo analogo.
Oltre al succitato obbligo di motivazione, l’affidamento in house è soggetto ad ulteriori condizioni[12], prefigurate nel corpo del d.lgs. 175/2016. Nello specifico, per poter procedere a tale affidamento, è necessario che:
- i) sulla società in house una o più amministrazioni esercitino un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi[13];
- ii) l’80% della produzione della società in house sia diretta a realizzare l’esigenza della pa o delle pa controllanti;
iii) che la partecipazione di capitali privati sia minoritaria ed in ogni caso non implicante poteri di veto o di controllo.
Quanto al requisito del controllo analogo, occorre rilevare che lo stesso ricorre allorquando una pa esercita su un ente societario un controllo equiparabile a quello esercitato sui propri uffici, spiegando un’influenza determinante tanto sugli obiettivi strategici quanto sulle decisioni significative della società controllata.
Tale controllo può esser esercitato non solo da una pa, ma anche da un diverso ente su cui la pa esercita un controllo analogo.
Sussiste un controllo analogo “congiunto” invece allorquando il controllo sull’ente è esercitato da diverse pubbliche amministrazioni. La perimetrazione dei contorni di tale requisito consente di ritenere che la società in house rientri nel novero delle c.d. società a controllo pubblico, atteggiandosi alla stregua di una mera articolazione interna della pa o delle pa controllante/i titolari del capitale sociale[14].
Costituiscono indizi contrari alla sussistenza di tale tipo di controllo, oltre ad una partecipazione privata “maggioritaria”: i) l’estensione dell’oggetto sociale dell’ente a plurimi settori; ii) la previsione statutaria di apertura obbligatoria dell’ente a capitali privati; iii) l’espansione territoriale delle attività dell’ente oltre l’ambito dell’amministrazione controllante.
Sul piano concreto, la sussistenza del requisito del controllo analogo deve esser accertata caso per caso, al fine di individuare la reale capacità di influenza che l’amministrazione affidante detiene.
Infine, non è superfluo rilevare che per le società in house, la particolare relazione che lega le stesse alla pa controllante, che si è definita in termini di controllo analogo, è volta unicamente a consentire all’azionista pubblico l’esercizio di un’influenza dominante su tali società, anche tramite deroghe rispetto al diritto societario “comune”, ma non incide sull’alterità soggettiva dell’ente societario rispetto all’ente pubblico controllante. Nella sostanza il primo rimane pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni soggettive autonomo rispetto alla pa controllante.
2.3. La partecipazione privata minoritaria e il requisito dell’attività prevalente.
Accanto alla sussistenza di una situazione di controllo analogo, il legislatore pone ulteriori condizioni per poter procedere ad affidamento diretto in house.
Anzitutto è necessario che la partecipazione all’ente di capitali privati sia minoritaria, e in ogni caso non implicante poteri di veto o di controllo. La soluzione normativa dunque non esclude in toto la partecipazione del socio privato, come invece aveva richiesto inizialmente la giurisprudenza sovranazionale[15].
La legittimità di un affidamento diretto “in house” passa anche attraverso il rispetto del requisito della c.d. attività prevalente, prefigurato all’art. 16, comma 3, d.lgs. 175/2016. Tale requisito si concreta in particolare nella esigenza che almeno l’80% dell’attività della società in house sia effettuata nello svolgimento dei compiti ad esse affidati dalla pa o dalle pa controllanti.
Si pone dunque il problema delle conseguenze configurabili nell’ipotesi di produzione ulteriore rispetto a tale limite e del mancato rispetto di tale limite.
A tali quesiti, ha fornito soluzione il legislatore.
Quanto alla produzione ulteriore rispetto a tale limite è prescritto, all’art. 16, comma 3bis, che la stessa, che ben può essere rivolta al soddisfacimento di finalità diverse, è ammessa solo a condizione che consenta il conseguimento di economie di scala o altri recuperi di efficienza tenuto conto del complesso dell’attività principale della società.
Relativamente al mancato rispetto del suddetto limite quantitativo dell’80%, è previsto, all’art. 16, comma 4, che lo stesso costituisca grave irregolarità legittimante l’attivazione del rimedio prefigurato all’art. 2409 cod. civ.[16]
Purtuttavia il legislatore, per il tramite dell’art. 16, comma 5, d.lgs. 175/2016, consente alla società di sanare dette irregolarità, a condizione che rinunci ad una parte dei rapporti con i soggetti terzi, sciogliendo nell’uno e nell’altro caso i relativi rapporti.
Nell’ipotesi di rinuncia agli affidamenti diretti occorre procedere a “riaffidamento” delle attività in precedenza affidate alla società controllata, attraverso procedure competitive, entro i 6 mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. In tal modo è garantito ex post il rispetto del principio di concorrenza, che potrebbe esser menomato al cospetto di un affidamento in house illegittimo, ossia non rispettoso delle cautele e delle condizioni prefigurate dal legislatore.
- Le diverse configurazioni che può assumere la società in house.
Sul versante tipologico, non è superfluo rilevare che la società in house costituisce un istituto poliedrico, potendo assumere diverse forme[17].
Si discorre di in house “a cascata” allorquando la società è controllata da altra società a sua volta controllata da una pubblica amministrazione, che indirettamente controlla la prima società tramite controllo diretto sulla società in house controllante, e che consentirebbe un affidamento diretto da parte dell’ente pubblico alla società in house controllata “indirettamente”.
Si configura un in house “orizzontale” qualora due società sono controllate dallo stesso ente, sebbene tra di esse non sussista alcuna relazione, se non la soggezione al medesimo controllo.
Si ha in house “verticale” invece quando è la società controllata a procedere ad affidamento diretto senza gara nei confronti della pa controllante.
Si configura una società in house “mista”, allorquando al capitale partecipano anche soci privati. Purtuttavia, a differenza della società mista, in tale ipotesi, come dianzi rilevato, la partecipazione del privato è minoritaria, e non implicante poteri di veto o di controllo. E ciò per non alterare il meccanismo concorrenziale, attribuendo al socio privato un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti, derivante dalla titolarità di capitale di una società sottratta, alle condizioni ex lege, alla disciplina dell’evidenza pubblica.
La società in house “mista” diverge da quella mista “in senso stretto”[18], ove invece la partecipazione del privato non può essere inferiore al 30%. In tale ultimo ente in particolare, ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 175/2016, il socio privato è selezionato all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, in cui si procede tra l’altro anche all’affidamento del contratto di appalto o concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista[19].
- La natura e il regime delle società in house.
Si è detto che l’affidamento diretto in house può aver luogo alle condizioni dianzi indicate[20], e dunque sempre che sussistano i requisiti del controllo analogo (anche congiunto), dell’attività prevalente, e della partecipazione privata minoritaria, oltre al succitato onere di motivazione, la cui ratio si ricollega, come evidenziato, all’esigenza di evitare che dietro affidamenti senza gara possano celarsi violazioni del principio di concorrenza, che colora e innerva la materia dei contratti pubblici.
Della società in house è particolarmente discussa la natura giuridica. Ci si chiede in particolare se debba esser valorizzato il dato formale che si riconnette alla veste societaria, e dunque privatistica, o il dato sostanziale derivante dal perseguimento di una finalità pubblicistica[21].
Al riguardo occorre dar atto che il legislatore nazionale sembra aver avallato una soluzione intermedia. Ed infatti, all’art. 1, comma 3, d.lgs. 175/2016, lo stesso assoggetta le società in house alla disciplina privatistica, salvo le deroghe al diritto comune contemplate in tale corpo normativo, la cui ratio è appunto tener conto della funzionalizzazione del modulo societario privatistico al perseguimento di interessi pubblicistici[22].
L’assunto sembra trovare conferma esaminando le diverse previsioni normative disciplinanti tali società.
In proposito si pensi all’art. 4, commi 1 e 2, d.lgs. 175/2016, che al fine di evitare un dispendio di risorse pubbliche, prevede che la costituzione di società in house o l’acquisto o il mantenimento di partecipazioni in tale società, può aver luogo a condizione che l’operazione sia finalizzata al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente pubblico controllante.
Nello specifico, l’atto deliberativo di costituzione di società in house o di acquisto di partecipazioni in società in house preesistenti, deve esser analiticamente motivato in relazione alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente[23].
Tale atto va poi trasmesso all’Agcm che al riguardo può esercitare i poteri di cui all’art. 21bis l. 287/1990, nonché alla Corte dei Conti, che deve vagliare la conformità di tale atto sotto il profilo della sostenibilità finanziaria e della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
Una deviazione rispetto al diritto societario comune la si scorge finanche volgendo l’attenzione alla disciplina prevista per le eventuali azioni di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi sociali e dei dipendenti delle società in house. Ed infatti l’art. 12, comma 1, d.lgs. 175/2016, prevede che le azioni di responsabilità avverso tali figure appartengono alla giurisdizione della Corte Conti, e non già del giudice ordinario, come invece accade per le altre società pubbliche partecipate[24]. La ratio della previsione normativa si ricollega verosimilmente ad un inquadramento delle società in house da parte del legislatore in termini di mere articolazioni interne della pa controllante (o pa controllanti nell’ipotesi di controllo analogo congiunto)[25], sebbene le stesse mantengano, sul piano formale, autonomia soggettiva rispetto al socio pubblico. Siffatta conclusione interpretativa sembra trovare conferma nella lettera dell’art. 12, comma 1, d.lgs. 175/2016, che qualificando come “erariale” il danno cagionato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house, suppone implicitamente lo stretto collegamento sostanziale, nonostante l’alterità formale, tra tali società e gli enti pubblici controllanti.
- In house e organismo di diritto pubblico.
Particolarmente discusso è il rapporto tra società in house e organismo di diritto pubblico[26], intendendosi con tale ultima espressione qualunque organismo, anche in forma societaria: i) istituito per soddisfare esigenze di carattere generale aventi carattere non industriale o commerciale; ii) avente personalità giuridica; iii) la cui attività è finanziata in modo maggioritario da enti pubblici o la cui gestione è sottoposta al controllo di questi ultimi[27].
In proposito è possibile rilevare che la nozione di in house providing, al pari di quella di organismo di diritto pubblico, assume natura funzionale, e si connota per il carattere trasversale rispetto alle categorie del pubblico e del privato adoperate all’interno dei singoli ordinamenti. In tale prospettiva, mentre la nozione di organismo di diritto pubblico è volta ad intercettare le ipotesi in cui deve trovare applicazione la disciplina europea in materia di appalti pubblici, l’in house providing indica i casi sottratti all’applicazione di tale disciplina.
Sulla base di tali coordinate, è possibile ritenere che almeno in teoria le due nozioni potrebbero corrispondere, giacché ambedue individuano figure sostanzialmente (anche se non formalmente) pubbliche che da un lato possono ricevere affidamenti senza gara, dall’altro devono espletare le gare per affidare commesse a terzi[28].
- Il rapporto tra le diverse fonti disciplinanti l’in house providing.
Il nuovo regime dell’in house providing delineato dal d.lgs. 36/2023 introduce una differenziazione disciplinare dell’istituto tenuto conto del tipo di attività da affidare, distinguendo in proposito tra prestazioni strumentali e servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Per le prime si assiste ad un allentamento dell’onere motivazionale, che potrà dirsi rispettato allorquando venga dato conto dei vantaggi dell’affidamento in termini di economicità, celerità e di perseguimento di interessi strategici.
Relativamente ai servizi pubblici di rilevanza economica vi è invece un rinvio alla disciplina tratteggiata al d.lgs. 201/2022, che sarà oggetto di specifica analisi nel presente scritto.
Si pone dunque un problema generale di coordinamento tra le diverse fonti disciplinanti l’in house.
Al riguardo, sulla base di quanto dianzi rilevato, è possibile ritenere che la disciplina generale contemplata nell’impianto del d.lgs. 36/2023, che si riduce al succitato onere di motivazione, pur essendo integrata dall’impianto disciplinare di cui al d.lgs. 175/2016, assume portata residuale, trovando applicazione, in sostanza, relativamente all’affidamento diretto di: i) attività amministrativa non strumentale; ii) servizi pubblici nazionali di rilevanza economica; iii) servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
- L’in house nella gestione dei servizi pubblici locali.
Un diverso approccio avverso gli affidamenti in house[29] sembra potersi cogliere valorizzando la rigorosa disciplina apprestata per tale forma di affidamento dal d.lgs. 201/2022, contemplante il regime giuridico applicabile alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica[30].
In proposito non è superfluo rilevare una maggior gravosità dell’onere di motivazione rispetto al succitato regime disciplinare “generale”, ricompreso nel codice dei contratti pubblici. A differenza di tale regime infatti il d.lgs. 201/2022 “recupera” l’obbligo di dar conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato, che come dianzi rilevato, è presente nel d.lgs. 50/2016, ma non anche all’art. 7, d.lgs. 36/2023, e che sembra esprimere verosimilmente una sorta di favor verso la gara.
Vengono inoltre introdotti ulteriori requisiti da tener in considerazione, che possono complicare l’onere motivazionale sotteso all’affidamento in house, come ad esempio gli investimenti, i costi per gli utenti e l’impatto sulla finanza pubblica. Il che implicherebbe, all’atto pratico, ulteriori costi di consulenza, per consentire alla decisione sull’affidamento diretto di assumere una veste razionale e legittima, senza tuttavia la garanzia che all’arricchimento e alla razionalizzazione della motivazione si accompagni necessariamente un miglioramento del dispositivo. Inoltre, aggravando in tal modo l’onere motivazionale, e rendendo quasi necessario il ricorso a consulenti esterni, si assisterebbe ad un ridimensionamento del ruolo spettante ai vertici dell’amministrazione, relativamente a decisioni di particolare importanza, come appunto quello di internalizzare un affidamento tramite gestione diretta in house.
- Sulla fallibilità degli organismi in house.
Tra le questioni più problematiche che ha generato la società in house rientra la possibilità di sottoporre la stessa a liquidazione giudiziale (ex fallimento, d’ora in avanti “l.g.”).
Questione la cui origine radica nel discusso inquadramento di tale società, che come dianzi rilevato, pur assumendo forma societaria privatistica, per effetto del controllo analogo su di essa esercitato da parte del socio pubblico, può esser considerata un’articolazione interna di quest’ultimo.
Al riguardo, la sottoposizione della società in house alla procedura di liquidazione giudiziale, può esser sostenuta sulla base dei seguenti rilievi.
Sul piano testuale, una conclusione in tal senso sembra potersi inferire dalla piana formulazione letterale dell’art. 1 cod. crisi ed insolvenza, che esclude dalla sottoposizione a liquidazione giudiziale gli enti pubblici ma non già le società pubbliche, come appunto le società in house.
Sul versante sistematico siffatta soluzione risulta coerente con quanto previsto all’art. 14 d.lgs. 175/2016, a tenore del quale le società a partecipazione pubblica, come le in house, soggiacciono alle previsioni normative sul fallimento (ora l.g.) e sul concordato preventivo.
Dal coordinamento delle previsioni è possibile desumere una chiara scelta del legislatore nel senso di consentire l’esercizio di determinate attività ad enti societari per il perseguimento del pubblico interesse, controbilanciato tuttavia dall’assunzione da parte degli stessi dei rischi correlati alla loro insolvenza[31].
Sul piano strutturale, la sottoposizione della società in house a liquidazione giudiziale può esser sostenuta valorizzando il rapporto che la medesima intrattiene con il socio pubblico controllante, che consente di postulare, almeno sul piano formale, un’alterità soggettiva tra gli stessi. Ed infatti una società di capitali in house, quale società pubblica, non muta la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché soggetta a controllo pubblicistico, giacché l’identità dell’azionista non rileva relativamente alle complesse vicende della società, che opera nel pieno esercizio della propria autonomia negoziale, rispetto alla quale è da escludere qualsivoglia incidenza da parte del socio pubblico mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali.
[1] F. Figorilli, I servizi pubblici, in Diritto Amministrativo, a cura di F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 561.
[2] C. Ibba, Società in house: nozione e rilevanza applicativa, in Munus, 2015, p. 7 ss.
[3] G. Urbano, L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, in Amministrazione in cammino, 2012, p. 8 ss.
[4] Al riguardo, celebre è la sentenza Teckal, Corte Giust. CE, 18 novembre 1999, C – 107/98. In dottrina v. G. Greco, Imprese pubbliche, organismi di diritto pubblico, affidamenti “in house”: ampliamento o limitazione della concorrenza?, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2005, p. 77 ss.
[5] Secondo il principio del risultato, cristallizzato all’art. 1 d.lgs. 36/2023, le pubbliche amministrazioni perseguono il risultato dell’affidamento, nel caso di specie “diretto”, del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, in ossequio ai principi di legalità, trasparenza e concorrenza. Sul versante sistematico tale principio costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento, che si concreta nell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Il perseguimento del principio in parola è nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’UE. In ordine alla funzione, il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per valutare un’eventuale responsabilità del personale che svolge funzioni nelle diverse fasi che connotano l’affidamento e l’esecuzione dei contratti, nonché per attribuire gli incentivi secondo modalità prescritte dalla contrattazione collettiva. Per il principio della fiducia invece l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, corretta e trasparente dell’amministrazione e dei funzionari, nonché degli operatori economici. Sul versante funzionale il principio de quo favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, in relazione alle valutazioni e scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato. Secondo il principio dell’accesso al mercato, le stazioni appaltanti favoriscono l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità.
[6] F. Figorilli, I servizi, cit., p. 564.
[7] M.P. Santoro, L’in house tra riforma delle società partecipate e diritto dei contratti pubblici, in Un nuovo diritto delle società pubbliche? Processi di razionalizzazione tra spinte all’efficienza e ambiti di specialità, a cura di R. Miccù, Napoli, 2019, p. 176 ss.
[8] M. Dugato, Le società in house, in Le imprese a partecipazione pubblica, a cura di G. Presti e M. Renna, Milano, 2018, p. 66 ss.
[9] Cfr. H. Bonura - M. Villani, Ancora sull’eccezionalità del ricorso all’in house: una possibile rilettura alla luce della giurisprudenza più recente, in Riv. C. conti, 2020, p. 18.
[10] M. Cian, I requisiti qualificatori della società in house, in Giur. comm., 2019, I, p. 196.
[11] Un ulteriore alleggerimento è consistito nella eliminazione dell’elenco Anac delle amministrazioni operanti affidamenti in house e dei relativi organismi, appunto in house. Tale scelta legislativa tuttavia instilla più di un dubbio, alla luce del ruolo assolto da tale elenco, che nel tempo ha consentito l’emersione di affidamenti illegittimi ed il cui mantenimento non avrebbe implicato chissà quali sacrifici.
[12] M. Libertini, Le società di autoproduzione in mano pubblica: controllo analogo, destinazione prevalente dell’attività ed autonomia statutaria, in Federalismi.it, 2011, p. 2 ss.
[13] Sulle caratteristiche del controllo analogo v. in particolare CGUE, 13 ottobre 2005, causa C - 458/03, Parking Brixen.
[14] F. Figorilli, I servizi, cit., p. 561.
[15] Cfr. sentenza Stadt Halle, 11 gennaio 2005, C-26/03. Le originarie resistenze della giurisprudenza poggiavano in particolare su due argomenti. Anzitutto si rilevava che qualsiasi investimento di capitale privato in un’impresa rispondesse ad interessi privati e perseguisse obiettivi di diversa natura rispetto a quelli di pubblico interesse. Non meno importante era la considerazione secondo cui l’affidamento diretto di un appalto ad un soggetto partecipato anche in minima parte da privati avrebbe pregiudicato l’obiettivo di una concorrenza libera, giacché avrebbe offerto ad un’impresa privata presente nel capitale della società affidataria un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti.
[16] La norma de qua disciplina il c.d. controllo (esterno) giudiziario, costituente un rimedio attivabile su denuncia di soci, collegio sindacale o pm allorquando sussiste il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità gestionali potenzialmente dannose per la società. Si richiede il fondato sospetto in quanto diversamente sarebbe difficile per i soci esperire tale rimedio, atteso che gli stessi, almeno nelle spa, non possono accedere ai documenti amministrativi.
[17] F. Guerrera, Autonomia societaria e tipologia delle società in house, in Le società a partecipazione pubblica tra diritto dell’impresa e diritto dell’amministrazione, a cura di F. Cintioli e F. Massa Felsani, Bologna, 2017, p. 185 ss.
[18] F. Figorilli, I servizi, cit., p. 565.
[19] C.F. Giampaolino – F. Panetti, Rassegna di giurisprudenza, cit., p. 549.
[20] P. Piazza, Sui requisiti qualificanti le società in house providing e sulle contraddizioni che ancora caratterizzano tale modello, in Giur. comm., 2020, II, p. 602.
[21] Cfr. M. Antonioli, L’in House Providing identifica un modello societario? Antinomie e dissonanze dell’istituto dopo il decreto n. 175/2016, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2018, p. 578.
[22] Cfr. A. Maltoni, Le società “in house” nel T.U. sulle partecipate pubbliche, in Urb. e appalti, 2017, p. 7 ss.
[23] C.F. Giampaolino – F. Panetti, Rassegna di giurisprudenza - Le società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., II, 2023, p. 543.
[24] In argomento v., tra gli altri, V. Tenore, Ancora sulla (auspicabile) giurisdizione contabile per i danni arrecati dagli amministratori delle società a partecipazione pubblica alla luce dell’art. 12. D.lgs. n. 175 del 2016, in Le società a partecipazione pubblica tra diritto dell’impresa e diritto dell’amministrazione, a cura di F. Cintioli e F. Massa Felsani, Bologna, 2017, p. 99 ss.
[25] Cfr. F.G. Scoca, La responsabilità dei funzionari e dei dirigenti, in Diritto amministrativo, a cura di F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 491.
[26] L. Giani, L’organizzazione amministrativa, in Diritto amministrativo, a cura di F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 137.
[27] Alla luce degli sviluppi normativi e giurisprudenziali, è possibile ritenere che i succitati requisiti debbano sussistere in maniera cumulativa.
[28] Cfr. G. Rossi, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 411.
[29] Cfr. C. Iaione, Le società in-house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione e auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2012, p. 120 ss.; G. Urbano, L’affidamento in house al tempo della transizione, in Rivista di diritto ed economia dei comuni, 2022, p. 46 ss.
[30] In argomento v., tra gli altri, M. Dugato, Servizi pubblici locali, in Enc. dir., Funzioni amministrative, Milano, 2022, p. 1097 ss.
[31] Sul punto v., in giurisprudenza, Cass., ord. 16 marzo 2023, n. 7646.