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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Studi



La tormentata natura della S.C.I.A. ed il mancato riscontro della Riforma Madia

A cura di Antonio Mitrotti
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La segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) costituisce quel tipico modello di semplificazione amministrativa erede della vecchia Dichiarazione di inizio attività (D.I.A.), introdotta, in via generale, con l'art. 19 della legge n. 241 del 1990 e poi, per l'appunto, trasformata in S.C.I.A. dal d.l. n. 78/2010 (convertito con legge n. 122/2010).

Ratio dell'istituto è valorizzare l'autoresponsabilità del privato nei confronti del potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, nell'ottica di una progressiva liberalizzazione dell'iniziativa economica e del più ampio riconoscimento possibile del principio di concorrenza e delle fondamentali libertà europee di circolazione.

Come noto la legislatura messa da poco alle spalle si è caratterizzata per il tema delle riforme, tra cui sicuramente spicca la riforma introdotta con legge n. 124/2015 - e con i relativi decreti attuativi - in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, intervenuta, fra le altre cose, anche sulla semplificazione amministrativa e, precipuamente, sulla disciplina della S.C.I.A., con l'obiettivo di agevolare gli spazi di iniziativa privata, favorire l'avvio di attività economiche e cercare di migliorare il quadro macroeconomico del Paese.

La riforma Madia, in particolare, avrebbe potuto incidere - risolvendolo definitivamente - sul vecchio nodo gordiano presentatosi in passato in merito alla natura giuridica della S.C.I.A. ed alle sue concrete ricadute applicative discendenti dal caso in cui il termine a disposizione della p.a. per l'esercizio dei poteri inibitori e ripristinatori dell'attività segnalata fosse spirato: ciò con particolare riguardo alla disciplina contemplata per l'esercizio dei poteri di autotutela decisoria dell'amministrazione.

In passato dottrina e giurisprudenza sono state fortemente divise su due differenti posizioni inerenti la natura giuridica della SCIA: una parte sostenitrice della tesi pubblicistica, che considerava la S.C.I.A. come fosse un provvedimento amministrativo tacito a formazione progressiva¹ (dal che se ne faceva discendere la sua diretta impugnabilità); altra parte, invece, fautrice della tesi privatistica, che assumeva la D.I.A./S.C.I.A. essere un atto dalla natura privata², sul presupposto che il cittadino si considerasse legittimato ad avviare la propria attività non già in base ad un provvedimento amministrativo, bensì in forza di una diretta prescrizione legislativa; in questo senso si rammentava che, del resto, il controllo della p.a. fosse privo di una discrezionalità amministrativa, estrinsecandosi nella semplice verifica di rispondenza tra quanto dichiarato dal privato e quanto normativamente prescritto.

La querelle sembrava essere stata pacificamente risolta con il d.l. n. 138/2011 (convertito con legge n. 148/2011) che, all'ultimo comma dell'art. 19, introduceva una disposizione ben chiara: «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili».

Tale intervento legislativo recepiva, in realtà, l'orientamento manifestato dal Consiglio di Stato in seno all'Adunanza Plenaria n. 15/2011, in cui il Supremo Consesso amministrativo chiariva energicamente che: «la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge».

I problemi, tuttavia, erano stati soltanto apparentemente e formalmente risolti³

Sebbene, infatti, fosse stata definitivamente dichiarata la natura non provvedimentale della S.C.I.A. continuava a essere contemplato - e privo di effettivo coordinamento - l'esercizio del potere di autotutela decisoria da parte dell'amministrazione: la cui esistenza costituiva, fra l'altro, l'argomentazione più forte a sostegno dei fautori sulla natura pubblicistica della S.C.I.A.

Come ammettere, infatti, l'operatività del potere di autotutela decisoria rispetto a una segnalazione dalla natura dichiaratamente non provvedimentale? 

Il potere di autotutela - presupposto per l'adozione di un provvedimento di secondo grado - in tanto può essere esercitato in quanto esista un oggetto, ab origine, dalla natura provvedimentale.

Su questo punto controverso, per altro connotato da indiscutibili ricadute processuali, erano fiduciose le aspettative che la riforma Madia intervenisse a chiarimento e semplificazione.

Ad onor del vero il comma 4 dell'art. 19 della citata legge 241/1990 - disciplinante proprio l'esercizio del potere in autotutela sulla S.C.I.A. - è stato rivisitato dalla l. 124/2015, sebbene in un senso che sembrerebbe lontano dalla via di un riscontro chiarificatore.

In forza del vigente testo normativo l'amministrazione che abbia lasciato spirare inutilmente il termine dei 60 giorni (30 in materia edilizia) dal ricevimento della S.C.I.A. può, comunque, adottare provvedimenti in autotutela al fine di vietare la prosecuzione dell'attività segnalata e rimuovere gli eventuali effetti dannosi: «[…] in presenza delle “condizioni” previste dall'art. 21 nonies». 

L’art. 21 nonies - a propria volta riformato dalla stessa l. 124/2015 - non ha, però, introdotto quelle particolari condizioni normative - rispetto alla disciplina generale - richieste per le peculiari ipotesi di decorso del termine fissato per inibire l'attività oggetto di S.C.I.A., limitandosi soltanto a disporre che nei casi di provvedimenti autorizzatori l'autotutela decisoria debba essere esercitata entro il termine ragionevole di 18 mesi dall'adozione del provvedimento di primo grado.

Questa empasse normativa, accentuata dalle concrete necessità di rendere compatibili la disciplina procedimentale contemplata per l'esercizio del potere di autotutela decisoria con la sostanziale natura dichiaratamente non provvedimentale della S.C.I.A., ha portato il Consiglio di Stato - proprio in sede consultiva dello schema di decreto legislativo di attuazione della riforma Madia in materia si S.C.I.A. - a propendere per una soluzione, sicuramente elegante, di portata "creativa", che suggerisce di interpretare l'art. 21 nonies (richiamato dal corpo normativo dell’art. 19 l. 241/1990) in funzione innovativa, nel senso, cioè, che la disposizione non possa definirsi come il presupposto di esercizio dell'autotutela decisoria in senso tecnico (che abbisognerebbe, appunto, di un originario provvedimento di primo grado) ma, semplicemente, come quella 'disciplina normativa di riferimento' in tema di S.C.I.A., intesa, cioè, come disposizione prescrittiva di quali siano le necessarie condizioni per il corretto esercizio ex post dei poteri dell'amministrazione: conclusione, questa, suffragata, fra le altre motivazioni, da una chiara argomentazione logico/letterale, per cui se la S.C.I.A. avesse avuto una natura provvedimentale non vi sarebbe stato nemmeno il bisogno di richiamare espressamente l'art. 21 nonies quale condizione per l'esercizio in autotutela dei poteri inibitori e ripristinatori dell'amministrazione.

Codesta elegante soluzione pretoria, tuttavia, non ha sfortunatamente trovato dei significativi sviluppi nel testo di riforma definitivamente licenziato ed entrato poi in vigore, perdendo l'occasione per un prezioso quanto necessario coordinamento del testo legislativo di riforma.

Certo non si può far a meno di osservare che per quanto il richiamo all'art. 21 nonies possa avere una funzione innovativa - non rappresentando l'esercizio in senso tecnico del potere di autotutela decisoria - le condizioni ivi contemplate ricorrano, sostanzialmente, in modo pressoché automatico ogni qual volta l'amministrazione non inibisca l'attività oggetto di segnalazione nei termini concessi dall'art. 19, comma 3 e 6 bis, della l. 241/1990: e una attività non inibita e contemporaneamente priva dei necessari requisiti e presupposti richiesti ex lege, sarà sempre illegittima, nonché suscettibile di essere rimossa d'ufficio per ragioni di interesse pubblico. 

Sotto questo profilo le "condizioni" dell'art. 21 nonies hanno sulla la S.C.I.A. una funzione non soltanto innovativa bensì un carattere del tutto "atipico" rispetto la stessa autotutela decisoria: atipicità evidente nel fatto che quelle condizioni che normalmente sono oggetto di valutazione discrezionale per l'esercizio dell'autotutela decisoria - e, dunque, per l'adozione dell'annullamento d'ufficio - sembrano essere nel caso di S.C.I.A. dei meri presupposti 'di fatto' per un provvedimento vincolato. 

Del resto lo stesso Consiglio di Stato, in sede consultiva sul testo di riforma, ha tenuto a precisare che:« [...] per un efficace coordinamento occorrerà tener conto 'in concreto' dei contenuti del potere di intervento ex post (repressivo, inibitorio o conformativo) nel caso di SCIA: trattandosi 'a monte' di attività vincolata da parte dell'amministrazione, limitata alla sola verifica della sussistenza dei requisiti di legge, anche l'intervento 'a valle' deve avere le medesime caratteristiche di attività vincolata».  

Il richiamo all'autotutela - ed alle sue "condizioni" - verrebbe, così, nella S.C.I.A. totalmente snaturato. 

In conclusione, l'interpretazione creatrice della funzione innovativa assolta dall'art. 21 nonies in materia di S.C.I.A. sembrerebbe avere sedato - almeno per il momento - le antiche ansie sulla tormentata natura giuridica della D.I.A./S.C.I.A., a patto, però, di non interpretare l'esercizio ex post dei poteri inibitori dell'amministrazione come effetti di un provvedimento di secondo grado, bensì quale espressione di un originario provvedimento amministrativo; sebbene sostanzialmente privato delle stesse condizioni discrezionali/valutative contemplate nella richiamata disposizione di cui all'art. 21 nonies.. 

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¹ In giurisprudenza si è sostenuto che il decorso del tempo assegnato all'amministrazione per la verifica di sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge ai fini dell'esercizio dell'attività privata desse vita ad una fattispecie complessa, a formazione progressiva, con l'adozione di un provvedimento tacito; fra le prime pronunce C.d.S., sez. VI, 10 maggio 2003, n. 3265; 20 ottobre 2004, n. 6910; 5 aprile 2007, n. 1550; 25 novembre 2008, n. 5811; 13 gennaio 2010, n. 72.  

² Fra le tante in particolare C.d.S., sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453 e sez. V, 4 febbraio 2004,  n. 376.

³ Per una ricostruzione sull'amplissima letteratura sul punto E. ZAMPETTI, D.i.a. e s.c.i.a. dopo l'Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello procedimentale, in Dir. amm. 2011/4.  

C.d.S., Adunanza della Commissione Speciale, 30 marzo 2016, n. 839, paragrafo 8.2.

C.d.S., Adunanza della Commissione Speciale, 30 marzo 2016, n. 839, paragrafo 8.2.2.