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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La sola vicinitas non è sufficiente per l’impugnazione dei titoli edilizi altrui.

Di Daniela D'Amico
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA

SENTENZA 9 dicembre 2021, n. 22

 

La sola vicinitas non e’ sufficiente

per l’impugnazione dei titoli edilizi altrui

Di DANIELA D’AMICO

 

SOMMARIO: 1. Sentenza non definitiva di rimessione del CGARS n. 759/2021; 2. Pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 22/2021; 3. Conclusioni.

 

  1. Sentenza non definitiva di rimessione del CGARS n. 759/2021.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza non definitiva n. 759/2021, rilevato un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 c.p.a., le seguenti questioni di diritto:

  1. a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra illustrato, è di per sé idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione;
  2. b) se, viceversa, la vicinitasè idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;
  3. c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitasnon renda evidente lo specifico vulnuspatito dal ricorrente;
  4. d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica:

- se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas;

- se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta.

 

 

  1. Pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 22/2021.

Le numerose questioni sollevate dal Consiglio di Giustizia sottopongono all’esame dell’Adunanza Plenaria il tema della tutela del terzo a fronte di atti ampliativi della sfera di altri soggetti.

La sentenza in commento individua, in primis, le tipologie di interesse legittimo tutelate dall’ordinamento giuridico, iniziando dall’interesse oppositivo volto ad impedire o comunque a contrastare un atto ampliativo della sfera di altri soggetti, il quale costituisce una delle tre principali figure più comunemente discusse nello studio della legittimazione al ricorso nel processo amministrativo, per differenziare la posizione dei soggetti legittimati da quella della generalità dei consociati.

Le altre due figure tutelate di interesse legittimo corrispondono all’interesse oppositivo per impedire un atto restrittivo nella propria sfera giuridica (esempio paradigmatico quello dei provvedimenti ablatori) e all’interesse pretensivo, diretto a contestare il diniego ovvero il rifiuto di un atto ampliativo della propria sfera vanamente richiesto dallo stesso interessato (ad esempio il rifiuto di un’autorizzazione o di una concessione).

In codeste ultime figure, il Supremo Collegio afferma che l’individuazione di un interesse differenziato, e con essa il riconoscimento della legittimazione a ricorrere, è certamente agevolata dall’essere il soggetto “legittimato” destinatario di un provvedimento che – privandolo di un bene che prima aveva o negandogli un bene che non aveva e che aveva richiesto – lo lede direttamente e, dall’essere parte necessaria del procedimento amministrativo che ha adottato tale atto lesivo.

Nel primo caso dell’interesse oppositivo verso provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei terzi, invece, laddove procedimento e provvedimento non contemplino il soggetto terzo, il problema è quello di stabilire se l’interesse di questi a contrastare un atto ampliativo della sfera altrui sia effettivamente qualificato e differenziato, rispetto all’interesse della generalità, e in base a quali criteri.

Infatti, dove procedimento e provvedimento non siano di particolare ausilio, in quanto il terzo non vi ha partecipato e l’atto finale di lui non fa menzione, l’Adunanza Plenaria afferma che può essere rilevante l’elemento fisico-spaziale della vicinitas, intesa quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato.

Tale criterio di differenziazione si è andato affermando in primo luogo in ambito edilizio, all’indomani della legge 765 del 1967, cd. legge ponte.

E’ in questo quadro storico che si colloca (e si deve leggere) l’art. 10, comma 9, della citata legge ponte, che novellava l’art. 31 della legge urbanistica 1150/1942, prevedendo che: “Chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”.

La pronuncia in esame evidenzia che, leggendo tale disposizione, si era autorizzati a ritenere che in luogo del nessuno, prima del 1967, la legge avesse ora previsto che davvero chiunque potesse ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia altrui, quando in contrasto con leggi, regolamenti e prescrizioni urbanistiche, e che il Legislatore avesse inteso introdurre un’azione popolare a tutela, rafforzata, di una legalità (e di una “giustizia nell’amministrazione”) che molti comuni sino a quel momento non avevano voluto o saputo garantire.

Fosse o meno questo il vero disegno del Legislatore del 1967, il Supremo Collegio rileva che la giurisprudenza diede ben presto una lettura diversa della suddetta disposizione normativa, escludendo che potesse rinvenirsi nella citata disposizione un’azione popolare, e richiedendo che i soggetti ricorrenti potessero considerarsi toccati in un proprio interesse all’insediamento abitativo, ossia alla “radicazione in loco” dei propri “interessi di vita”, familiari, economici o relativi ad altri “qualificati e consolidati rapporti sociali” (Cons. St., V, n. 523/1970, posizione poi consolidatasi con Cons. St., Ad. plen. n. 23/1977).

Pertanto, data l’esclusione dell’azione popolare, il Supremo Consesso ribadisce come emergesse sin da allora un criterio o concetto, quello della vicinitas, piuttosto elastico, la cui concreta individuazione era (e sarebbe stata in seguito) rimessa al prudente apprezzamento giurisprudenziale.

Un criterio, certamente meno totalizzante di un ricorso popolare, ma pur sempre potenzialmente molto espansivo e che si sarebbe rivelato come una sorta di cerniera tra il piano sostanziale degli interessi, più o meno differenziati, e quello processuale della loro tutela.

Un criterio altresì flessibile, da misurare ogni volta sulla base della situazione di fatto, del tipo di provvedimento contestato e dei suoi concreti contenuti, dell’ampiezza e della rilevanza delle aree coinvolte.

Alla luce di tali premesse, la Plenaria parte dalla ricostruzione del quadro giurisprudenziale offerta nella sentenza di rimessione del CGARS, nella quale si dà atto (al punto 39 della motivazione) di un orientamento maggioritario (v. ad esempio, Consiglio di Stato II, n. 2056/2021; IV, n. 4387/2021; VI, n. 6500/2021 e conferme anche nella giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione nn. 18493 e 21740/2021), per cui la vicinitas, quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbe in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso; e di un secondo indirizzo (v. Cons. St., IV, n. 962/2020, V, n. 4650/2021, VI, n. 4830/2017, CGA nn. 488/2020 e 62/2012, in quest’ultimo si legge che “l’interesse al ricorso del vicino contro provvedimenti ampliativi della posizione giuridica dei terzi in materia urbanistico/edilizia presuppone l’allegazione e la dimostrazione di un concreto pregiudizio che quel provvedimento reca alle facoltà dominicali del ricorrente”) per cui la vicinitas da sola non basta a fondare anche l’interesse, dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un pregiudizio sofferto.

La pronuncia in analisi, tuttavia, rileva che tale contrasto giurisprudenziale probabilmente è meno acuto, e quindi meno problematico, di quanto si potrebbe a prima vista ritenere, nella misura in cui, da un lato, in molti casi l’adesione al primo indirizzo è basata sulla (riconosciuta o riconoscibile) presenza, nei fatti, anche del pregiudizio, e, dall’altro, anche i precedenti più qualificanti ascrivibili al secondo indirizzo “scontano” situazioni nelle quali a mancare potrebbe essere già la stessa legittimazione (è il caso della richiamata sentenza 962/2020 in cui i ricorrenti non erano proprietari di edifici immediatamente contigui all’area oggetto dell’intervento).

L’Adunanza Plenaria sottolinea, dunque, come nella realtà dei fatti e nella dinamica dei giudizi la riflessione sulla legittimazione proceda non disgiunta da quella sull’interesse, quali condizioni dell’azione, e siano entrambe fortemente dipendenti dalla situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa.

La pronuncia de qua ha poi posto attenzione sulle tendenze della legislazione degli ultimi dieci anni a costruire legittimazioni speciali, in capo a talune Amministrazioni indipendenti (quali AGCM, ANAC), a presidio di determinati beni pubblici (in particolare la tutela della concorrenza), tendenze che si legano e seguono i casi, divenuti più frequenti nello Stato policentrico delle autonomie, in cui a proporre ricorso davanti al giudice amministrativo siano soggetti pubblici (i comuni in particolare) nella loro veste di enti esponenziali che si contrappongono ad altri livelli di governo.

Su un piano diverso, e si direbbe anzi opposto, la legittimazione a ricorrere è da altri messa in relazione con il principio di sussidiarietà in senso orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., trovandovi il fondamento per nuovi “diritti civici” sui quali costruire una cittadinanza attiva che nella tutela dinanzi al giudice amministrativo troverebbe una delle sue possibili forme di espressione e manifestazione.

Nella stessa direzione, la legittimazione al ricorso “rivisitata” è collegata alla teoria dei cd. beni comuni e diventerebbe uno strumento per controllare, anche in forme giurisdizionali, i governanti e i poteri pubblici, come in parte sembrerebbe confermare la recente disciplina sull’accesso civico di cui al d.lgs. 33/2013 dove all’art. 5, comma 2 riappare, a distanza di molti decenni, la parola “chiunque”.

Ancora, sempre nel quadro della tutela degli interessi meta-individuali, si invoca una sorta di “liberazione” della vicinitas dal suo perimetro originario, sino a ritenerla esistente anche quando la relazione di prossimità tra il soggetto ed il bene protetto non sia fisica ma assiologica, come accade per la legittimazione delle associazioni portatrici di interessi super-individuali.

L’insieme di queste tendenze per così dire espansive, sul terreno della legittimazione al ricorso, denunciano, secondo la sentenza in commento, la (o muovono dalla denuncia della) “crisi” dei controlli amministrativi e i limiti sempre maggiori, di tempo e di spazio, che incontra l’autotutela amministrativa, nella convinzione che molto spesso, complice anche l’oblio dei ricorsi amministrativi e l’assenza di validi rimedi alternativi, la sola via per rimediare agli errori, anche gravi, delle amministrazioni pubbliche sia quella giurisdizionale.

Tornando alla riflessione dottrinale sulle condizioni dell’azione, il Supremo Collegio afferma che l’autonomia della nozione dell’interesse al ricorso, rispetto a quella della legittimazione, è un dato oramai acquisito, nonostante i dubbi di carattere teorico sollevati in passato (quando l’interesse ad agire era stato definito persino come “la quinta ruota del carro” o considerato, nel processo amministrativo, “ridondante”).

La Plenaria asserisce, in particolare, che l’interesse a ricorrere svolge una funzione di filtro processuale, sino a farne uno strumento di selezione degli interessi meritevoli di tutela (in questo senso, v. Cons. St. Ad. plen. 9/2014, al punto 8.3.4).

Il suo fondamento è rinvenuto, come noto, nell’art. 100 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., ed è caratterizzato dalla “prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato” (v. Cons. St., Ad. plen. n. 4/2018, al punto 16.8).

Lo stesso codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa.

Verifica, tuttavia, da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e alla luce delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della lesione che il ricorrente afferma di aver subito, nel senso che va verificato che la situazione giuridica soggettiva affermata “possa” aver subito una lesione, ma non anche che la medesima “abbia” subito una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite.

Con specifico riferimento alla vicinitas, in ambito edilizio-urbanistico, dove la “qualificazione” dell’interesse del terzo può farsi discendere in ultimo dall’art. 872 c.c., dopo l’abrogazione dell’art. 31 della legge urbanistica ad opera dell’art. 136, comma 1, lett. a) del d.p.r. 380/2001, il discorso è stato ricondotto dal Supremo Collegio entro gli schemi generali ricavabili dal c.p.a..

Nel dettaglio, il ragionamento intorno all’interesse al ricorso in materia edilizia si lega necessariamente all’utilità ricavabile dall’annullamento del titolo edilizio del terzo e dall’effetto ripristinatorio; utilità che a sua volta è in funzione e specchio del pregiudizio sofferto.

Tale pregiudizio, a fronte di un intervento edilizio contra legem, è stato individuato dalla giurisprudenza nel possibile deprezzamento dell’immobile, confinante o comunque contiguo, ovvero nella compromissione dei beni della salute e dell’ambiente in danno di coloro che sono in durevole rapporto con la zona interessata.

Il riferimento al godimento dell’immobile in uno con il richiamo a salute e ambiente è peraltro un piano di indagine già sufficientemente ampio ed è su di esso che la giurisprudenza ha fatto leva per ravvisare il pregiudizio sofferto dal terzo non solo ad esempio nella diminuzione di aria, luce, visuale o panorama, ma anche nelle menomazioni di valori urbanistici e nelle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico (v., da ultimo, Cons. St., IV, n. 6130/2021).

L’indagine sul pregiudizio patito dal ricorrente è, quindi, strettamente legata al tipo di provvedimento contestato e all’entità e alla destinazione dell’immobile edificando o edificato, come dimostra il peculiare caso dal quale ha tratto origine la pronuncia in esame.

Il caso di specie è un caso nel quale la vicinitas è in termini di stretto collegamento tra la proprietà di parte ricorrente e l’area oggetto dell’intervento edilizio, trattandosi di immobili direttamente e immediatamente confinanti, sebbene la violazione, ossia il mancato rispetto delle distanze si abbia non nei confronti dell’edificio di parte ricorrente, bensì di quello di chi a sua volta confina dall’altro lato con quello confinante.

Dal pregiudizio la Plenaria passa all’utilità, per la quale si deve considerare che l’accoglimento del ricorso condurrebbe all’annullamento, almeno in parte, della concessione edilizia, il che produrrebbe oltre all’effetto giuridico legato al venir meno retroattivamente del titolo, conseguenze conformative non prevedibili, poiché legate all’applicazione, a valle dell’annullamento giurisdizionale, dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, il quale contempla diversi scenari possibili quali la rimozione dei vizi amministrativi, la riduzione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria alternativa (alle condizioni ribadite da ultimo da Cons. St., Ad. plen. n. 17/2020).

La sentenza de qua evidenzia, altresì, come sempre sul piano della suddetta utilità l’interesse ad agire dovrebbe ad esempio escludersi nei casi in cui il titolo edilizio impugnato fosse affetto da vizi solamente formali o procedurali, sicuramente emendabili, quand’anche ne fosse possibile l’annullamento, quindi senza che a tale annullamento possa seguire l’applicazione di una qualunque sanzione; o, ancora più in radice, laddove al rilascio illegittimo del titolo edilizio non fosse poi seguita alcuna attività e nel frattempo fosse maturato il termine di decadenza del permesso.

Tirando le fila di tutto questo ragionamento, ricostruite le linee generali della materia, l’Adunanza Plenaria ritiene che al primo dei quesiti (di cui alla lettera a) debba rispondersi nel senso che, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario in via di principio che ricorrano entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di differenziazione, valga da solo ed in automatico a soddisfare anche l’interesse al ricorso.

Dopodiché, ai quesiti di cui alle lettere b) e c), la medesima Plenaria risponde nel senso che lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante, essendo questione rilevabile d’ufficio nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e quindi nel contraddittorio tra le parti.

Venendo poi al (sotto)tema della violazione delle distanze, posto con il quesito di cui alla lettera d), il Collegio ritiene che, traendo anche spunto dalla vicenda che ha originato la rimessione, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione possa essere rilevante, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.

Sulla base di tutto quanto finora considerato, l’Adunanza Plenaria formula i seguenti principi di diritto sulle questioni deferite alla stessa ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a.:

  1. a) Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;
  2. b) L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso;
  3. c) L’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
  4. d) Nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo.

 

La pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 22/2021 ha affrontato e risolto una questione strettamente processuale in ordine alle condizioni dell’azione, con particolare riferimento alla materia urbanistico-edilizia.

In linea generale, possono definirsi “condizione dell’azione” i requisiti di fondatezza della domanda, necessari affinché l’azione possa raggiungere la finalità concreta cui essa è diretta e cioè che il giudice possa pronunciare nel senso favorevole all’attore.

Le condizioni dell’azione afferiscono alla legittimazione ad agire/ricorrere e  all’interesse ad agire/ricorrere.

La sentenza in commento, dopo aver richiamato talune ipotesi introdotte dal Legislatore negli ultimi anni che hanno esteso la legittimazione ad agire per la tutela, tuttavia, di interessi e beni pubblici particolarmente rilevanti in uno stato di diritto sociale, ha posto un punto fermo in relazione alla necessità della verifica rigorosa della sussistenza di entrambe le citate condizioni dell’azione, e in relazione alla distinzione e all’autonomia delle medesime.

La Plenaria ha incentrato la sua pronuncia sul citato interesse a ricorrere, il quale è correlato, nel caso de quo, allo specifico pregiudizio subito dal ricorrente derivante dal titolo edilizio del terzo, affermando che deve essere considerato in via del tutto autonoma e distinta rispetto alla legittimazione a ricorrere e non può essere assorbito da quest’ultima, ma anzi funge da filtro processuale per individuare gli interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

Il Supremo Collegio ha, dunque, riconosciuto una propria entità autonoma all’interesse a ricorrere, che non si colloca affatto in posizione subalterna rispetto alla legittimazione attiva e che può ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, con possibilità di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.

Di talché, nell’ipotesi di impugnazione di titoli edilizi altrui, oramai ampiamente superata dalla giurisprudenza la tesi dell’azione popolare introdotta dalla legge ponte del 1967, il criterio della vicinitas, intesa quale stabile collegamento tra il ricorrente e l’area dove si trova il bene oggetto del titolo in contestazione e utilizzata dagli interpreti per consentire al detto ricorrente la proposizione dell’azione caducatoria,  non è sufficiente a fondare insieme la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso, quali condizioni dell’azione di annullamento, concernendo la menzionata vicinitas soltanto la legittimazione ad agire/ricorrere e non assorbendo in sé anche l’interesse a ricorrere, il quale ha una sua propria rilevanza.

Tale interesse a ricorrere corrisponde ad una concreta lesione subita dal ricorrente.

Inoltre, l’Adunanza Plenaria ha statuito che l’interesse al ricorso attiene non solo alla sussistenza e alla dimostrazione di un pregiudizio sofferto dal ricorrente, ma anche alla concreta utilità che il medesimo ricorrente potrà trarre dall’annullamento del titolo edilizio altrui.

Pertanto, solo ricorrendo tutte tali condizioni, il soggetto che si trova in posizione di vicinitas potrà agire dinanzi al G.A. per sentire annullare il titolo edilizio altrui, senza correre il rischio di una pronuncia di inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a.