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Anno XVII - n. 02 - Febbraio 2025

  Studi



La giurisdizione sui comportamenti della pubblica amministrazione: con riferimento a quelli mediatamente collegati al potere ed a quelli lesivi di diritti fondamentali.

Di Fabio Toto
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La giurisdizione sui comportamenti della pubblica amministrazione: con riferimento a quelli mediatamente collegati al potere ed a quelli lesivi di diritti fondamentali.

 

Di Fabio Toto*

 

 

ABSTRACT

L’oggetto della presente trattazione è focalizzato sull’individuazione del giudice naturale in tema di controversie relative ai comportamenti tenuti dalla pubblica amministrazione, quale esplicazione dell’agere publicum, quantomeno con riferimento ai comportamenti immediatamente collegati al potere amministrativo (sia esso rappresentato da atti o provvedimenti amministrativi) ed a quelli mediatamente legati al potere pubblico.

Il punto nodale dell’approfondimento sarà, pertanto, l’inquadramento del problema generale del comportamento della pubblica amministrazione, individuando le varie questioni sottese, in primis la mancanza di una nozione vera e propria nella teoria giuridica di comportamento amministrativo. Verranno poi individuate tutte le tipologie di comportamenti del soggetto pubblico, ossia 1) quelli immediatamente legati al potere amministrativo, 2) i comportamenti mediatamente riconducibili al provvedimento, 3) ed infine si analizzeranno i comportamenti lesivi di diritti soggettivi costituzionalmente tutelati. Per ciascuno di essi si esaminerà la relativa giurisdizione, amministrativa di legittimità, esclusiva del giudice amministrativo, ovvero ordinaria.

 

The subject of the present reading is focused on the identification of the natural judge in matters of disputes relating to behaviour held by the public administration, as an explanation of act publicum at least with reference to the behaviours directly related to the administrative power (whether it is represented by administrative acts or measures) and those medially linked to the public power.

The nodal point of the deepening will therefore be the framing of the general problem of the behaviour of the public administration, identifying the various underlying issues, first of all the lack of a true notion in the legal theory of administrative behavior. We will then identify all types of behaviour of the public entity, i.e. 1) those directly linked to the administrative power, 2) the behaviours medially attributable to the measure, 3) and finally we will analyse the conduct injuring constitutionally protected subjective rights. For each of them it will be examined the respective jurisdiction, administrative of legitimacy, exclusive of the administrative court, i.e. ordinary.

 

Sommario: 1) L’inquadramento dei comportamenti nel diritto amministrativo, 2) I comportamenti mediati, 3) I nudi comportamenti, 4) I comportamenti lesivi di diritti fondamentali

 

  1. L’INQUADRAMENTO DEI COMPORTAMENTI NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO

 

Occorre, dunque, introdurre l’analisi evidenziando come una vera e propria nozione in termini giuridici di comportamento amministrativo sia assente nell’ordinamento giuridico.

Per cercare di inquadrare la problematica dei comportamenti e del relativo riparto di giurisdizione è necessario, quindi, operare un distinguo delle varie forme in cui si compie l’attività amministrativa.

In primo luogo, vi è l’attività amministrativa cosiddetta di primo livello, modellata secondo lo schema logico di produzione degli effetti giuridici norma-potere-effetto. In tale contesto la pubblica amministrazione agisce con atti autoritativi, dunque con provvedimenti e comportamenti immediatamente esecutivi di atti amministrativi e con atti non autoritativi in virtù della clausola di salvezza contenuta nell’articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 241/ 1990 in forza della quale “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.

Vi è poi l’attività amministrativa intermedia che è il risultato della somma dei due schemi norma-potere-effetto e norma-fatto-effetto, ossia il risultato della commistione tra profili pubblicistici e profili privatistici. Si tratta infatti di un’attività di tipo misto il cui fondamento positivo è da rinvenirsi nell’articolo 11 della l. 241/ 1990 in materia di accordi sostitutivi ed integrativi.

Infine, è opportuno menzionare l’attività amministrativa paritetica, ricondotta nello schema norma-fatto-effetto, attraverso la quale l’autorità amministrativa non si avvale di strumenti pubblicistici ma agisce iure privatorum e non iure publicum. In tale forma di attività amministrativa vi rientrano i comportamenti materiali, non collegati, neppur in via mediata, al pubblico potere.

Ciò posto, per la comprensione del concetto di comportamento amministrativo e della problematica sottesa alla giurisdizione su di esso, è necessario citare le dottrine affermatesi in ordine alla natura giuridica del procedimento amministrativo. Secondo la tesi classica il procedimento amministrativo veniva disciplinato soltanto da norme di azione e non anche da norme di relazione. Ciò che rilevava, dunque, era il perseguimento del pubblico interesse da parte dell’autorità.

Oggi è, invece, prevalente una concezione moderna, cosiddetta dualistica, prodotto del principio di pluriqualificazione del procedimento amministrativo. Ebbene, in virtù di tale tesi il procedimento amministrativo è regolamentato contemporaneamente sia da norme di azione, che da norme di relazione. Si può, quindi, scindere il procedimento amministrativo in procedimento-atto e procedimento-comportamento. La fase attiva del procedimento è regolata da norme di azione, mentre la fase comportamentale da norme di relazione. Ne discende che le condotte amministrative poste in essere in violazione delle norme di azione e di relazione si qualificano come comportamenti connotati sia da illegittimità che da illiceità. I comportamenti posti in essere in violazione delle sole norme di relazione, nel rispetto dunque di quelle di azione, sono qualificabili come illecite ma non illegittime. Alla luce di quanto sopra affermato si possono ricondurre e sussumere i due modelli del procedimento amministrativo nel contesto degli schemi di produzione degli effetti giuridici, ossia inquadrare nello schema norma-potere-effetto (attività amministrativa di livello primo) il procedimento-atto e in quello norma-fatto-effetto (attività amministrativa di livello secondo) il procedimento-comportamento.

Il problema relativo alla giurisdizione sui comportamenti amministrativi si comprende ancor di più evidenziando l’ulteriore dicotomia tra attività giuridica ed attività materiale della pubblica amministrazione. L’attività giuridica riguarda l’emanazione di atti giuridici consistenti in manifestazioni di volontà dirette a produrre effetti giuridici nella realtà giuridica esterna, mentre l’attività materiale concerne i comportamenti materiali tenuti dalla Pubblica amministrazione, ossia comportamenti immediatamente collegati al potere amministrativo, comportamenti mediati e i nudi comportamenti.

La giurisdizione sui comportamenti della pubblica amministrazione è il frutto di una evoluzione storica che si è avuta in giurisprudenza, culminata poi con l’emanazione del codice del processo amministrativo introdotto dal decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nel quale sono fondamentali gli articoli 7 e 133. In particolare, l’articolo 7, al primo comma, stabilisce che “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti, riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”. Tale disposizione normativa enuncia espressamente le diverse modalità dell’agire amministrativo, individuate in provvedimenti, atti, accordi o comportamenti, immediatamente riconducibili al potere pubblico, ma anche quelli collegati in via solo mediata con esso. Si denota quindi come la giurisdizione e i comportamenti siano strettamente legati tra loro. Ancora prima del codice del processo amministrativo, riferimenti di diritto positivo alla tutela giurisdizionale ripartita tra giudice amministrativo, quale giudice naturale degli interessi legittimi, e giudice ordinario, quale giudice dei diritti soggettivi, si rinviene nell’articolo 103 della Costituzione, ai sensi del quale “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”. Si richiama sul punto inoltre l’articolo 113 Cost. che dispone “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.

È però opportuno considerare che in diritto amministrativo non è stata ancora elaborata dalla dogmatica una nozione di comportamento. In effetti secondo la concezione della scuola classica del diritto amministrativo, l’agire amministrativo non poteva essere concepito senza una precisa dimensione procedimentalizzata e funzionalizzata.

Pertanto, in virtù di tale concezione il soggetto pubblico poteva esplicare la propria attività unicamente in atti e provvedimenti amministrativi, mentre i comportamenti materiali venivano annoverati semplicemente tra le mere operazioni amministrative. Il concetto di comportamento non si evince solo nella giurisprudenza amministrativa, soprattutto alla luce degli insegnamenti fondamentali impartiti dalle storiche sentenze della Corte costituzionale in tema di riparto di giurisdizione e precisamente la 204/ 2004, 191/ 2006 e da ultimo la 140/ 2007.

Di comportamento si parla nell’ordinamento penale quando si fa riferimento alla condotta materiale (attiva od omissiva) distaccata dall’elemento psicologico del reato. Ancora: nell’ordinamento civile sono contenuti chiari riferimenti ai comportamenti concludenti e taciti.

Una definizione di comportamento, giuridicamente rilevante, venne elaborato dalla dottrina tedesca, la quale concepiva un comportamento strettamente legato alla componente psicologica e soggettiva. Nell’ordinamento italiano invece non esiste, come detto, una nozione di comportamento in termini giuridici.

Nell’ordinamento giuridico amministrativo si è, tuttavia, iniziato a parlare di comportamenti con riferimento al riparto di giurisdizione e di tutti i conflitti e le evoluzioni giurisprudenziali sul punto. In particolar modo, per analizzare nello specifico il problema, occorre menzionare in primo luogo l’articolo 34 del decreto legislativo 80/ 1998 relativo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in relazione alle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, successivamente modificato dall’articolo 7 della legge n. 205/ 2000, ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparate in materia urbanistica ed edilizia”.

La disposizione in esame è stata oggetto di una storica sentenza della Corte costituzionale n. 204/ 2004, la quale ha costituito e costituisce tutt’ora uno dei pilastri fondamentali del diritto amministrativo. In forza di tale pronuncia, il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34 del decreto legislativo 80/ 1998 nella parte in cui devolveva alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie relative ai comportamenti della Pubblica amministrazione che non costituiscono attuazione, nemmeno in via mediata, dei poteri amministrativi. Non potevano dunque essere deferite nell’alveo della cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva i meri comportamenti, i quali non presentassero un collegamento nemmeno mediato con il potere pubblico.

Fondamentale è stato anche l’articolo 53 del d.p.r. 327/ 2001 in tema di espropriazione per pubblica utilità, in forza del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad essa equiparati”.

La suddetta disposizione normativa era oggetto poi di censura da parte della Corte costituzionale la quale, con la storica sentenza 191/ 2006, dichiarava costituzionalmente illegittimo l’articolo 53 del d.p.r 327/ 2001 nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio del pubblico potere. Tracciato il panorama evolutivo giurisprudenziale che si è sviluppato relativamente alla giurisdizione sui comportamenti della Pubblica amministrazione, si impone una analisi maggiormente analitica, incentrata sulla distinzione tra le diverse tipologie di comportamenti che un soggetto pubblico può porre in essere, individuando per ciascuno di essi la relativa giurisdizione.

In primo luogo, occorre esaminare i comportamenti immediatamente esecutivi di poteri pubblici, rientranti nella forma dell’attività amministrativa di primo livello, modellata secondo lo schema norma-potere-effetto. Si tratta di condotte che costituiscono esplicazione del potere pubblico diretta ed immediata ed incidono su situazioni giuridiche sostanziali di interesse legittimo. Rientrano pertanto nell’alveo della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

A ciò si deve il menzionato articolo 7 del codice del processo amministrativo, il quale devolve alla giurisdizione amministrativa di legittimità le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere dalle pubbliche amministrazioni. Da tale norma sulla giurisdizione si evincono, pertanto, le diverse modalità che connotano l’agere amministrativo: provvedimenti, atti, accordi e comportamenti, a loro volta distinti in immediatamente collegati al potere amministrativo e mediati.

Importante, al riguardo, è anche il quarto comma dell’articolo 7 del decreto legislativo 104/ 2010, in virtù del quale “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”.

Dal disposto combinato tra il primo ed il quarto comma dell’articolo 7 del codice del processo amministrativo si evince che sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, laddove arrechino una lesione a posizioni giuridiche di interesse legittimo i comportamenti immediatamente connessi con il potere pubblico.

Si tratta quindi di condotte che presentano un legame diretto con il provvedimento amministrativo del quale costituiscono l’attuazione materiale. È interessante osservare che il quarto comma dell’articolo 7 citato non menzioni, a differenza del primo comma, espressamente i comportamenti amministrativi come oggetto della giurisdizione. La norma in esame fa però un riferimento esplicito alle omissioni tenute dalle pubbliche amministrazioni. Sul punto la dottrina si è a lungo soffermata, giungendo alla conclusione che la nozione di comportamento amministrativo sia in realtà evincibile dal termine “atti”, da interpretarsi perciò in senso estensivo, come attività e non come atti giuridici in senso stretto. Deve inoltre rilevarsi come il termine “omissioni” citato dall’articolo 7 sia strettamente legato alla procedimentalizzazione e alla formalizzazione dell’agere publicum.

Si tratta quindi di condotte omissive procedimentalizzate. Un esempio è dato dall’inerzia tenuta dalla pubblica amministrazione a fronte dell’obbligo, sancito dall’articolo 2 della l. 241/ 1990, di provvedere entro un termine legislativamente imposto. Tale condotta omissiva si identifica nel silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento. Alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale che si è avuto sul punto si deve considerare il silenzio-inadempimento non già come provvedimento amministrativo tacito ma come comportamento (omissivo) del soggetto pubblico.

L’analisi sul punto è stata elaborata dalla giurisprudenza amministrativa di merito nel 2005, seguito poi tale orientamento dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nello stesso anno, in forza della quale il contegno amministrativo può avere qualsiasi forma, attiva od omissiva. Si tratta quindi di omissioni amministrative qualificate. Una parte della dogmatica ha ritenuto però possibile scindere l’omissione amministrativa dal dovere di intervento qualificato giuridicamente.

Il fondamento normativo di tali omissioni non procedimentalizzate è rinvenibile nell’articolo 25 del testo unico degli impiegati civili dello Stato, ma ancora più pregnante è l’articolo 328 del codice penale, ai sensi del quale “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo”.

La norma penale qui fa un esplicito riferimento alle omissioni non legate al procedimento amministrativo. Le condotte amministrative commissive, invece, consistono in comportamenti attivi tenuti dalla Pubblica amministrazione in stretto legame diretto con il potere pubblico.

Si è detto, quindi, che tali comportamenti rientrano nella giurisdizione amministrativa di legittimità se lesivi di interessi legittimi. Il problema della giurisdizione sui comportamenti, nello specifico i comportamenti immediatamente riconducibili al potere amministrativo ora analizzati, pone un’ulteriore questione, oggetto anch’essa di dibattiti giurisprudenziali e risolta solamente con la sentenza n. 500/ 1999 delle Sezioni unite della Cassazione e dall’articolo 30, secondo comma, del codice del processo amministrativo. Se è vero infatti che la giurisdizione amministrativa di legittimità attiene alla lesione di interessi legittimi (pretensivi o oppositivi), è ovvio che a monte ci debba essere una condotta amministrativa lesiva di tali situazioni. Tuttavia, per ammettere che un comportamento amministrativo possa incidere su posizioni giuridiche di interesse legittimo, e quindi radicare la giurisdizione in capo al giudice amministrativo e non già al giudice ordinario, occorre ricondurre sillogisticamente l’attività amministrativa di primo livello (della quale fanno parte, come detto, i comportamenti immediatamente esecutivi del potere pubblico) all’intero dello schema della responsabilità extracontrattuale descritto dall’articolo 2043 del codice civile, ai sensi del quale “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. La disposizione è strutturata secondo lo schema norma-fatto-effetto.

Si presenta, dunque, un problema attinente alla qualificazione giudica del provvedimento o del comportamento autoritativo in termini di “fatto”. La qualificazione viene disposta dal giudice amministrativo in sede di annullamento dell’atto o del comportamento che ne è diretta esecuzione.

 

  1. I COMPORTAMENTI MEDIATI

 

Vanno adesso analizzati i problemi relativi alla giurisdizione sui comportamenti cosiddetti mediati, o mediatamente riconducibili al potere amministrativo. Innanzitutto, è opportuno esaminare una questione di carattere preliminare, ossia che tali comportamenti non possono essere ricondotti nell’alveo dello schema logico di produzione degli effetti giuridici norma-potere-effetto, in quanto ontologicamente non sono legati e quindi non rappresentano una proiezione del provvedimento o dell’atto dal quale promana il potere pubblico.

A differenza, quindi, dei comportamenti immediatamente legati al potere amministrativo, questi comportamenti mediati incidono su posizioni giuridiche di diritto soggettivo. Rientrano quindi nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il dato positivo è, ancora una volta, fornito dall’articolo 7, primo comma, del codice del processo amministrativo, il quale descrive le modalità dell’agere publicum, ovvero: provvedimenti, atti, accordi, o comportamenti riconducibili, anche mediatamente all’esercizio del potere pubblico, posti in essere dalle Pubbliche amministrazioni.

Il quinto comma dell’articolo 7 dispone invece che “nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”.

Dei richiami normativi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo relativamente ai comportamenti mediatamente riconducibili al potere pubblico si rinvengono nell’articolo 133 del codice del processo, e nello specifico nelle lettere g) e p).

Ai sensi della lettera g) dell’articolo 133 si stabilisce che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

La lettera p) del suindicato articolo prevede, invece, che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi per oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative ai diritti costituzionalmente tutelati”. Si nota da subito che nella lettera g) dell’articolo 133 del decreto legislativo 104/ 2010 viene ripreso esattamente il testo dell’articolo 34 del d.lgs. 80/ 1998, mentre nella lettera p) del medesimo articolo si fa riferimento espresso all’annosa questione del rapporto tra potere amministrativo e tutela dei diritti soggettivi fondamentali, definitivamente risolta, come si dirà tra poco, dalla importantissima sentenza della Corte costituzionale 140 del 2007, seguita poi dalle Sezioni unite della Cassazione nel medesimo anno.

Traguardato il problema relativo alla giurisdizione sui comportamenti mediati, è opportuno soffermarsi sull’individuazione del nesso di collegamento esistente tra tali comportamenti amministrativi e il relativo potere pubblico.

Si è già detto che, a differenza dei comportamenti immediatamente riconducibili al potere pubblico, qui non sussiste alcun legame diretto ed immediato con il centro di potere, rappresentato dall’atto o dal provvedimento amministrativo.

Si deve, pertanto, ricostruire il rapporto tra provvedimento e comportamento facendo riferimento al principio di causalità, tradotto però in termini di causalità giuridica. Sebbene infatti la lesione provocata dal comportamento materiale della pubblica amministrazione attenga a diritti soggettivi e non ad interessi legittimi non è possibile ricondurre le relative controversie nell’alveo della giurisdizione del giudice ordinario, dal momento che tali condotte si inseriscono comunque all’interno di una sequenza causale in relazione alla quale il centro del potere pubblico (il provvedimento o l’atto) rappresenta un antecedente logico e causale, seppur remoto, rispetto al comportamento amministrativo.

È per questo motivo, quindi, che il legislatore con il codice del processo amministrativo ha radicato la giurisdizione per tali controversie in capo al giudice amministrativo.

 

  1. I NUDI COMPORTAMENTI

 

Proseguendo la disamina della giurisdizione sui comportamenti della pubblica amministrazione, ci si sofferma sui cosiddetti nudi comportamenti o comportamenti di fatto. Tali condotte sono annoverabili nell’attività amministrativa di diritto comune o paritetica, di secondo livello, rappresentata dal modello di produzione degli effetti giuridici norma-fatto-effetto.

In tale contesto la pubblica amministrazione opera come qualsiasi soggetto di diritto, trattandosi di comportamenti materiali non collegati nemmeno in via indiretta o mediata al potere pubblico.

Ed è con riferimento a tali comportamenti di fatto che la Corte costituzionale nelle due fondamentali sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006 che ha pronunciato la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, espungendo pertanto dall’ordinamento giuridico le vie di fatto, rientranti come tali nella giurisdizione del giudice ordinario e lesivi di diritti soggettivi.

Le condotte materiali di fatto della pubblica amministrazione possono assumere vari aspetti: negozi, comportamenti meri, fatti.

In particolare, è utile analizzare le condotte materiali cosiddette sine titulo e quelle adottate in carenza assoluta di potere.

Invero, nell’ambito dei primi vi rientrano i comportamenti adottati dall’autorità amministrativa in esecuzione di comportamenti nulli ai sensi dell’articolo 21-septies della legge 241/ 1990. Si tratta infatti di condotte che sono si poste in essere in esecuzione di provvedimenti amministrativi viziati ma da nullità e non già da illegittimità. Per tale ragione, queste condotte sono del tutto spogliate del crisma dell’autoritatività, caratteristica essenziale degli atti di imperio quali i provvedimenti amministrativi, perché il potere pubblico manca.

Non è possibile quindi inquadrare anche il minimo legame causale con il provvedimento amministrativo, neppur in via mediata.

Parte della dottrina tuttavia non concorda con tale impostazione, ritenendo che in presenza di vizi di nullità che determinano una inefficacia sopravvenuta del provvedimento amministrativo, ad eccezione quindi del vizio del difetto assoluto di attribuzione, il comportamento che ne deriva è esecuzione del potere ed è quindi ad esso collegato, quantomeno in via mediata.

Deve quindi, ad avviso di tale dogmatica, ricondursi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia relativa a tale condotta posta in essere in attuazione del provvedimento nullo, laddove lesiva di posizioni giuridiche di diritto soggettivo.

Deve però trattarsi, secondo la dottrina, di inefficacia sopravvenuta del provvedimento, e non già di inefficacia originaria. All’interno della categoria dei comportamenti sine titulo si annoverano anche le condotte attuative di provvedimenti amministrativi già annullati (in via giurisdizionale dal giudice amministrativo o in via di autotutela dalla pubblica amministrazione). Si tratta sempre in tali casi di nudi comportamenti perché il potere pubblico è venuto meno, con relativa giurisdizione del giudice ordinario.

Quanto invece ai comportamenti posti in essere medio tempore, ossia prima dell’annullamento del provvedimento, bisogna considerare che in tale situazione, anche se l’annullamento abbia effetto retroattivo, esso non travolge il comportamento posto in essere dalla pubblica amministrazione, dal momento che il centro di potere pubblico dal quale scaturisce il relativo comportamento, nel momento in cui questo veniva posto in essere, era perfettamente produttivo di effetti giuridici.

Passando invece ai comportamenti adottati in caso di carenza assoluta di potere, occorre considerare che la condotta in tal caso è realizzata come nudo comportamento e pertanto, ove lesivo di diritti soggettivi, verrà devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario.

I nudi comportamenti, appartenenti quindi all’attività amministrativa di secondo livello, dal punto di vista della qualificazione giuridica, in rapporto quindi alla possibilità di sussumerli all’interno dello schema dell’articolo 2043 del codice civile, norma-fatto-effetto, sono da considerarsi come veri e propri fatti illeciti, come tali rientranti plasticamente all’interno della premessa maggiore del sillogismo che connota il 2043.

 

  1. I COMPORTAMENTI LESIVI DI DIRITTI FONDAMENTALI

 

Ci si sofferma ora sulla problematica relativa alla giurisdizione sui comportamenti lesivi di diritti soggettivi fondamentali.

Questione da sempre oggetto di dibattiti in seno alla dottrina e alla giurisprudenza amministrativa e di legittimità, nonché costituzionale, il cui perno ruota intorno al rapporto tra potere amministrativo e diritti soggettivi fondamentali.

La problematica si attaglia, tra l’altro, con il fenomeno del cosiddetto affievolimento dei diritti soggettivi in interessi legittimi, per effetto dello scontro di tali situazioni giuridiche con il potere amministrativo.

Tradizionalmente, infatti, era opinione consolidata che le relative controversie fossero devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, intenso come giudice naturale per la tutela giurisdizionale di tali diritti soggettivi.

L’importanza che la dogmatica e la giurisprudenza riconoscevano ai diritti costituzionali fondamentali era tale che essi non potevano essere suscettibili di affievolimento di fronte all’agere publicum.

Prima di esaminare quindi la relativa giurisdizione che sussiste in ordine a tali controversie, è opportuno procedere ad un sintetico excursus giurisprudenziale sviluppatosi sul tema.

In passato, la pregressa concezione seguita in dottrina e in giurisprudenza, riscontrava una evidente e palese incompatibilità tra potere amministrativo e tutela dei diritti fondamentali della persona che trovano fondamento positivo nella nostra Carta costituzionale.

Ad avviso di tale tradizionale indirizzo, il potere amministrativo non poteva in alcun modo avere una incisione sui diritti soggettivi fondamentali. Si reputava infatti nullo quel potere amministrativo che avesse come oggetto diritti costituzionalmente tutelati dell’uomo.

La conseguenza immediata di ciò era la devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice amministrativo delle controversie relative a tali diritti fondamentali.

Il giudice ordinario, quindi, secondo consolidata giurisprudenza, era ritenuto l’unico e solo giudice naturale in materia di tutela di diritti costituzionali. La svolta a tale orientamento classico si ebbe con una storica sentenza della Corte costituzionale 140 del 2007, la quale insieme alle sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006, rappresenta il mosaico del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

L’importantissima pronuncia del 2007 della Corte costituzionale sviluppa un fondamentale e rivoluzionario principio di diritto: non esiste nell’ordinamento giuridico una norma o un principio in forza del quale l’unico giudice naturale per la tutela dei diritti soggettivi fondamentali sia solo ed esclusivamente il giudice ordinario, con conseguente estromissione del giudice amministrativo.

Il potere pubblico può quindi incidere su diritti soggettivi fondamentali e tale orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale è stato perseguito anche dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nel 2007 in merito all’emergenza rifiuti che ha coinvolto la Regione Campania.

Si discuteva infatti del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in ordine alle controversie attinenti ai comportamenti adottati dalla pubblica amministrazione nella gestione dei rifiuti, posti in essere in attuazione del provvedimento amministrativo del Commissario nominato per far fronte al fenomeno dell’emergenza dei rifiuti.

Le Sezioni Unite del 2007 si soffermano ad analizzare la natura giuridica di tali comportamenti, escludendone la qualifica di condotte di mero fatto, rientranti come tali nella giurisdizione del giudice ordinario laddove lesivi di diritti soggettivi. Nell’enunciazione di tale massima il Supremo Consesso di legittimità ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi in ordine all’articolo 34 del d.lgs. 80 del 1998 con riferimento ai nudi comportamenti adottati in materia urbanistica ed edilizia, come tali espunti dal mondo giuridico per effetto della sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale e attribuiti alla giurisdizione ordinaria e non alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a differenza di quello che prevedeva la disposizione originaria della norma.

Le Sezioni unite citate pertanto riconoscono la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione alle controversie attinenti ai comportamenti della Pubblica amministrazione in materia di diritti soggettivi fondamentali. Viene inoltre ripercorso l’iter giurisprudenziale che ha portato alla parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’articolo 53 del d.p.r. 327 del 2001, anch’esso dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministravo le controversie in materia di edilizia ed urbanistica aventi ad oggetto i nudi comportamenti.

Deve pertanto, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale che vi è stata sull’argomento, reputarsi superato il dogma dell’incompatibilità tra diritti soggettivi fondamentali e poteri amministrativi. Questa evoluzione è stata accolta con favore dal legislatore, precisamente nell’articolo 21 della legge 1034 del 1971 (legge T.A.R.), e precisamente nella parte in cui prevede che “la concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la richiesta cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale”.

Ulteriori riferimenti di diritto positivo attinenti alla problematica sono contenuti del testo dell’articolo 4, comma primo, del decreto legge n. 90 del 2008 recante “misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”, il quale stabilisce che “ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 3 del decreto-legge 30 novembre 2005 n. 245, convertito con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21, con le risorse umane e strumentali previste a legislazione vigente, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati. La giurisdizione di cui sopra si intende estesa anche alle controversie relative ai diritti costituzionalmente tutelati”.

La disposizione in esame è stata poi recepita pedissequamente dal codice del processo amministrativo nell’articolo 133, comma primo, lettera p) il quale riconosce che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative ai diritti costituzionalmente tutelati”.

 

Riferimenti normativi

 

  • 103 e 113 Cost.
  • 1, comma 1 bis e 21 septies legge n. 241/1990
  • 7 e 133 c.p.a.
  • 34 d.lgs. n. 89/1998
  • 53 d.p.r. 327/2001
  • 238 c.p.
  • 2043 c.c.

 

Riferimenti giurisprudenziali

 

  • Corte Costituzionale, sentenza n. 204/2004
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 191/2006
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 140/2007
  • Sezioni unite, n. 500/1999

 

Riferimenti bibliografici

 

  • Francesco Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo vol. 3, 2018, p. 232 e ss.
  • Mazzarolli e D. Girotto, Elementi di diritto amministrativo per il corso di istituzioni di diritto pubblico, 2019, pag. 53 e ss.

 

 * Avvocato e Professore Aggiunto di Diritto Penale presso Università degli Studi di Palermo