ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La fattispecie dei gravi illeciti professionali e le conseguenze dell’inottemperanza dell’obbligo dichiarativo.

Di Mario Guarracino
   Consulta i PDF   PDF-1   PDF-2   

NOTA A TAR CAMPANIA - SALERNO, SEZIONE PRIMA

SENTENZA 3 giugno 2020, n. 632

 

La fattispecie dei gravi illeciti professionali e le conseguenze dell’inottemperanza dell’obbligo dichiarativo

 

Di MARIO GUARRACINO

 

Sommario: 1. Il caso di specie 2. I gravi illeciti professionali 3. Il contrasto di giurisprudenza 4. Conclusioni

 

 

  1. Il caso di specie

La controversia oggetto della pronuncia n. 632 del 2020 del TAR Campania riguarda il ricorso, proposto dalla seconda classificata ad una procedura di gara, per l’annullamento, tra i vari atti, dell’aggiudicazione dei lavori aventi ad oggetto “Piano della depurazione e servizio idrico integrato DGR 732/2016 e DGR 366/2018: lavori di estensione rete fognate nel territorio del Comune di Casal Velino e adeguamento impianti di depurazione”.

La ricorrente principale lamentava la mancata esclusione dell’aggiudicataria dalla procedura evidenziale ai sensi dell’art. 80, commi 4 e 5, lett. F-bis D.Lgs. n. 50/2016, colpevole, a suo dire, di aver reso una falsa dichiarazione in ordine all’asserita condizione di regolarità “rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse”.

L’impresa prima classificata, a sua volta, proponeva ricorso incidentale, rappresentando che la ricorrente principale si era resa responsabile di una falsa dichiarazione in ordine al requisito di affidabilità ed integrità professionale, ex art. 80 comma 5 lett. F bis in relazione all’art. 80 comma 5 lett. C. Si tratta, dunque, di un contenzioso tra due ricorsi reciprocamente escludenti, entrambi esaminati nel merito dal TAR, in adesione alla recente sentenza della Corte di Giustizia del 5 settembre 2019, C-133/18, che ha dato continuità alla sua precedente giurisprudenza.

Anticipando le conclusioni, il giudice di prime cure ha accolto sia il ricorso principale, avendo riscontrato la violazione dell’art. 80 comma 4 D.Lgs. 50/2016, sia il ricorso incidentale. L’impresa seconda classificata, infatti, in sede di redazione del DGUE e delle dichiarazioni allegate, ha omesso di dichiarare il rinvio a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta del proprio legale rappresentante, impedendo alla stazione appaltante “di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al rinvio a giudizio sotto il profilo della sussistenza dell’illecito professionale nonché dell’integrità ed affidabilità dell’operatore (art. 80, comma 5, lett. C, D.Lgs. n. 50/2016)”.

La sentenza in commento è di notevole interesse, perché offre l’occasione di affrontare la tematica del regime giuridico dell’inottemperanza dell’obbligo dichiarativo posto dall’art. 80 comma 5 lett. C del Codice dei contratti pubblici. Di tale questione è stata recentemente investita l’Adunanza plenaria, con l’ordinanza n. 2332 del 2020 del Consiglio di Stato, per comporre il contrasto di giurisprudenza formatosi sul punto.

  1. I gravi illeciti professionali

Al fine di comprendere le ragioni del dibattito, è utile spendere alcune righe sulla nozione di grave illecito professionale, richiamata dall’art. 80 comma 5 lett. C, recentemente modificato dall'art. 5 del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito nella legge n. 12 del 2019.

La lett. C del comma 5 stabilisce che il concorrente viene escluso dalla gara qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. La giurisprudenza prevalente reputa che il legislatore abbia legittimato l’amministrazione ad attribuire rilevanza ad ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, che sia contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa, anche in mancanza di un accertamento giudiziale definitivo. La norma ha un rilevante impatto, introducendo una nota di discrezionalità all’interno di un sistema fortemente vincolato. L'art. 83 comma 8, difatti, pone il principio di tassatività delle cause di esclusione, non potendo la stazione appaltante escludere un operatore economico per ragioni praeter legem. La rigidità dell’impianto codicistico è stata attenuata attribuendo all’amministrazione un potere espulsivo fondato su un concetto giuridico indeterminato, sicchè è compito di quest’ultima stabilire quando un comportamento assurga a grave illecito professionale.

La ratio legis sembrerebbe risiedere nell’esigenza di tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra stazione appaltante e aspirante affidatario della commessa pubblica, il quale, in omaggio al principio di correttezza di cui all’art. 30, comma 1 del Codice, deve esplicitare ogni dato o informazione ragionevolmente rilevante ai fini del corretto svolgimento della gara.

In un’ottica di bilanciamento, è evidente come occorra coniugare l’esigenza di estromettere dalla gara i soggetti di dubbia integrità morale ed affidabilità con l’istanza, altrettanto pregnante, di non svilire la garanzia della massima partecipazione e di non compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici e presidiate dalla severa sanzione espulsiva. Per tale ragione, il potere dell’amministrazione, lungi dall’essere illimitato, va esercitato all’esito di un procedimento in contraddittorio con l’operatore economico interessato e dovendo, in base al principio di proporzionalità, dimostrare la concreta incidenza del comportamento illecito sull’integrità o sull’affidabilità dell’operatore economico, in considerazione della specifica attività che lo stesso è chiamato a svolgere in esecuzione del contratto da affidare. A tal fine l’amministrazione deve valutare l’oggetto e le caratteristiche dell’appalto, tutte le circostanze del caso concreto, come ad esempio le circostanze dei fatti, il tempo trascorso, l’idoneità delle misure di self-cleaning eventualmente adottate dall’impresa.

L’esercizio del suddetto potere postula l’adempimento da parte dei concorrenti di un dovere di chiarezza e completezza informativa. Si è osservato, tuttavia, che, qualora non si individuasse un limite temporale di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142). Sul punto l’ANAC con le linee guida n.6/2016, facendo riferimento all’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, ha fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale. Anche la giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso della irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi.

  1. Il contrasto di giurisprudenza

Può accadere che l’operatore economico non ottemperi l’obbligo dichiarativo. La dichiarazione resa nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare “gravi illeciti professionali” può essere omessa, reticente o completamente falsa.

La giurisprudenza ha avuto cura di precisare che:

  1. la dichiarazione è omessa quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”
  2. la dichiarazione è reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate, senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell’ottica dell’affidabilità del concorrente
  3. la dichiarazione è falsa qualora si rappresenti una circostanza di fatto diversa dal vero.

Il mendacio, ossia aver reso una dichiarazione falsa ovvero aver presentato falsa documentazione, comporta l’automatica esclusione dalla procedura, come esplicitato dall’art. 80, comma 5, lett. F bis) del d.lgs. n. 50 del 2016.

Il contrasto di giurisprudenza è sorto in merito alle conseguenze derivanti nelle ipotesi di dichiarazione omessa o reticente.

Secondo un primo orientamento, maggiormente formalistico, (ex multis Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; 25 luglio 2018, n. 4532; 19 novembre 2018, n. 6530; III, 29 novembre 2018, n. 6787; Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70) l’obbligo dichiarativo non va inteso come obbligo strumentale, ma come obbligo finale autonomamente rilevante. Il corollario è la riduzione ad unità delle conseguenze, perché, tanto nel caso di false dichiarazioni quanto nelle ipotesi di dichiarazioni omesse o reticenti, si impone l’automatica espulsione dell’operatore, non residuando in capo all’amministrazione nessuno spazio valutativo in merito all’affidabilità del concorrente e alla gravità della condotta. A sostegno si afferma che una dichiarazione inaffidabile, falsa o incompleta che sia, è essa stessa lesiva degli interessi tutelati dalla norma. L’omissione, la reticenza, l’incompletezza, al pari della falsità, vengono elevate a forme sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.

Tale impostazione ermenutica è stata criticata da una parte della giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142, Cons. Stato, V, 12 aprile 2019, n.) restia ad affermare un regime sanzionatorio unitario ed omogeno, ritendo necessario riconoscere, in caso di dichiarazione omessa o reticente, la facoltà della stazione appaltante di valutare tale condotta ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico.

Le dichiarazioni omesse e reticenti sono ontologicamente diverse dalle dichiarazioni false, in quanto connotate da un diverso disvalore che ne impone un trattamento differenziato. Il mendacio è di per sé dimostrazione della inaffidabilità dell’operatore economico, essendo inutile ogni filtro valutativo da parte dell’amministrazione. L’omissione e la reticenza, invece, non necessariamente sono indici di scarsa integrità ed affidabilità e pertanto occorre subordinare la sanzione espulsiva ad un apprezzamento, da parte della stazione appaltante, dei dati taciuti per vagliare la posizione del concorrente.

Tutto ciò si riverbera anche all’interno del processo, poichè “tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa” (ordinanza 2332/2020).

A sostegno di tale conclusione viene evidenziato come sia lo stesso quadro normativo a rigettare soluzioni unitarie. Le dichiarazioni omesse, reticenti e fuorvianti assumono rilevanza solo qualora emergano nel corso della procedura di gara, mentre la dichiarazione falsa è sottoposta ad un trattamento più afflittivo, dovendo la stazione appaltante segnalarla all’ANAC ai sensi dell’art. 80 comma 12. A conferma del maggiore disvalore, si evidenzia come il mendacio possa operare anche nelle procedure evidenziali successive nei limiti del biennio, come indicato dall’art. 80 comma 5 lett. F-ter e G.

  1. Conclusioni

Il TAR Campania con la sentenza n. 632 del 2020 ha aderito al primo degli orientamenti esposti, accogliendo il ricorso incidentale in ragione dell’omessa dichiarazione del rinvio a giudizio disposto ai danni del legale rappresentante dell’impresa collocatasi seconda in graduatoria. Quest’ultima, dunque, è stata esclusa dalla gara prescindendo da ogni apprezzamento di rilevanza da parte della stazione appaltante.

Non resta che attendere la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per capire quale debba essere il corretto approccio ermeneutico.