ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Studi



La dimensione organizzativa nello “smaltimento dell’arretrato” della giustizia amministrativa.

Di Giovanni Fabio Licata
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La dimensione organizzativa nello “smaltimento dell’arretrato” della giustizia amministrativa

Di Giovanni Fabio Licata

 

 

Abstract

Lo smaltimento dell’arretrato costituisce uno degli obiettivi principali della giustizia amministrativa, anche per gli indirizzi presenti nel Piano di ripresa e resilienza. L’articolo analizza tale problematica soffermandosi in particolare sul potenziamento dell’Ufficio per il processo e sulle conseguenti “linee guida per lo smaltimento dell’arretrato”, evidenziando in particolare talune delle criticità che al riguardo maggiormente rilevano e al contempo suggerendo alcuni aggiustamenti che potrebbero essere utilizzati per rendere più agevole il conseguimento degli obiettivi che tali misure organizzative si prefiggono.

 

The disposal of the backlog is one of the main objectives of administrative justice, particularly under the provisions of the Recovery and Resilience Facility. The article focuses on this issue, analyzing the strengthening of the “Office for the trial” and on the correspondent "guidelines for the disposal of the backlog". The article shows some of the critical issues that are most relevant in this respect, suggesting some of the possible adjustments useful for achieving the objectives that these organizational measures aim to obtain.

 

  1. La giustizia amministrativa nel Piano nazionale di ripresa e resilienza

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza imprime una significativa caratterizzazione al sistema della giustizia nel senso dell’efficienza, ed è importante evidenziare come ai fini dell’incremento di questa nell’ambito del sistema giudiziario si prefigurino non solo interventi sulla disciplina del processo, ma soprattutto innovazioni relative all’organizzazione della giustizia, di modo che le condizioni in cui si sviluppa l’esercizio dell’attività giurisdizionale (propriamente detta) risultino idonee a favorire la tempestività, la quantità e la qualità delle decisioni rese.

Da un punto di vista giuridico interno il PNRR è un atto di programmazione[1] che, tuttavia, ha come sua “base” normativa un regolamento europeo[2]. Il Piano è stato adottato dal Governo, esso ha conosciuto un passaggio parlamentare e, infine, è stato “approvato” con una decisione congiunta

della Commissione e del Consiglio Europeo[3].

In disparte per il momento l’analisi del suo contenuto, che pure rispetto alla sistematica delle fonti che intorno al PNRR si sviluppano una qualche refluenza dovrebbe avere, è da dirsi che, sia per la natura in sé dell’atto, che per la sua forma(zione) complessa, l’efficacia (normativa) del PNRR è stata diffusamente dibattuta, in effetti con esiti speculativi piuttosto diversificati.

Taluni, proprio muovendo dalla forma dell’atto (di pianificazione), ne hanno segnalato la valenza principalmente politica e il limitato grado di vincolatività diretta[4], pur tuttavia evidenziandone il rafforzamento della portata precettiva sulla base di elementi allo stesso esterni, tra cui l’ ottenimento di una rilevante provvista finanziaria che risulta subordinata all’attuazione concreta del piano, i vincoli che derivano dal diritto europeo, e la struttura di governance che, già delineata dal piano, è stata successivamente introdotta con il decreto legge 31 maggio 2021, n. 77[5]. Altri, invece, proprio basandosi su quest’ultimo documento normativo hanno ritenuto di potere emancipare il Piano di ripresa e resilienza da una dimensione esclusivamente amministrativa per ricondurlo al livello della fonte legislativa, e ciò appunto considerando che esso sia stato sostanzialmente “legificato” dal decreto legge n. 77 del 2021 e dalla sua legge di conversione[6]. Qui, peraltro, si riprende e sviluppa l’argomento del vincolo (politico) che la Repubblica italiana ha assunto nei confronti dell’Unione europea, dal che si fanno derivare precise conseguenze nei termini della efficacia giuridica che al piano deve riconoscersi con riferimento alla primazia del diritto europeo[7].

Nelle opinioni prima rappresentate, come anche e più incisivamente in altre, emerge sullo sfondo la consistenza dell’indirizzo politico (normativo) come fattore condizionante di unit(ariet)à nell’attuazione e nell’effettività del piano[8]. Ma si tratta di un presupposto concettuale che, al fine di avallarne la rilevanza, deve essere precisato evidenziandone l’accrescimento della complessità. Si assiste, infatti, a una potenziale inversione tra strumenti e fini e, anche, all’intrecciarsi dei livelli di

competenze che lo determinano, quindi con il contributo, oltre che del Governo, del legislatore parlamentare e dell’amministrazione, ma soprattutto con una consistenza che muove dalla contingenza, per agganciarsi all’orizzonte politico europeo[9].

In questa prospettiva, che vede una congiunzione tra la strutturazione di interessi che si sviluppano articolandosi su più livelli politico-territoriali e l’identificazione degli strumenti interni maggiormente idonei a renderli effettivi, si instaura un rinnovato momento di confronto tra programmazione e (sistema delle) fonti[10].

In realtà, mentre può in generale discutersi circa la perduranza della geometria nell’ordine delle fonti per come descritto dalla tradizione, il progressivo rafforzamento della dimensione europea evidenzia una torsione funzionale nella struttura e nell’uso delle fonti interne, che la continuità dell’indirizzo politico sembra principalmente allocare nell’ambito del Governo, con il Parlamento che è dunque destinato a disegnare confini o a proporre limiti[11]. Così, in un contesto di piano dove si prefigura l’uso della decretazione d’urgenza e della legislazione delegata, alla sostanziale fungibilità della coppia legge di delega - decreto legislativo con quella decreto legge - legge di conversione[12], si accompagna concretamente l’utilizzazione della decretazione d’urgenza per realizzare riforme destinate a produrre effetti nel medio-lungo periodo[13], come è appunto accaduto per la giustizia amministrativa.

Sfumando all’interno della dimensione dell’effettività la distinzione tra vincolo politico e vincolo giuridico, il PNRR manifesta per ciò una forza che supera la mera forma dell’atto (amministrativo) per proporsi piuttosto come strumento funzionale al raggiungimento di specifici obiettivi mediante l’esercizio dell’amministrazione attiva, ma che è anche idoneo a determinare un programma di riforme da attuare attraverso l’uso della normazione. Da questo punto di vista, aggiornando formule in passato autorevolmente proposte, il PNRR può apprezzarsi quale elemento complesso, ossia come programmazione di attività, inclusive di procedimenti e sovvenzioni finanziarie, ma anche di

carattere normativo[14]. Per tale specifico aspetto, quindi, il piano può essere assimilato alle regulatory reform, precisamente come raccordo tra interventi che ambiscono a produrre variabili economiche positive in un contesto di riforme strutturali per il sistema[15].

Questo inquadramento dovrebbe restituire una più utile logica funzionale nell’ambito della quale analizzare i rapporti tra innovazioni (organizzative) nella giustizia amministrativa e PNRR, analisi che, tuttavia, le predette considerazioni ancorano puntualmente all’interno della dimensione europea. Così, fermo appunto il principio dell’autonomia procedurale[16], la giustizia amministrativa conosce delle trasformazioni (organizzative) sulle quali il diritto europeo in buona misura si trova a incidere, come d’altra parte, secondo una tradizione di studi che è ormai consolidata, questa incidenza la si ricostruisce nel (più ristretto ambito di questa che è il) processo amministrativo[17].

Il Piano di ripresa e resilienza prevede investimenti per la realizzazione di obiettivi specifici che dislocati nell’ambito dei tre assi strategici della digitalizzazione e innovazione, della transizione ecologica e dell’inclusione sociale[18], elementi poi ulteriormente articolati e specificati all’interno del Piano. Ma il PNRR programma anche un coerente pacchetto di riforme “trasversali”, che sono tutte strumentali a favorire il perseguimento degli obiettivi dello stesso Piano e, più in generale, la modernizzazione del sistema nel suo complesso considerato. Esse concernono la pubblica amministrazione, la (promozione della) concorrenza, e la giustizia. In particolare, quest’ultima riforma mira a ridurre la durata dei procedimenti giudiziari, che condiziona negativamente, e peraltro in termini assai significativi, gli investimenti e gli sviluppi dell’economia del Paese[19].

Ai fini della progressiva strutturazione di una giustizia effettiva ed efficiente, oltre che (per questo anche) più giusta, non vengono esclusivamente proposti interventi che mirano alla modifica delle norme processuali, ma piuttosto si congegna un’opera riformatrice tesa a intervenire su alcuni elementi di carattere organizzativo[20], tra cui l’implementazione delle strutture di supporto nei confronti di chi la giurisdizione esercita[21] e lo sviluppo degli strumenti di digitalizzazione idonei

alla velocizzazione dei tempi, al trasferimento delle conoscenze e, per quanto possibile e consentito, di ausilio all’attività giurisdizionale[22]. Ciascuno di questi interventi dovrebbe risultare idoneo a liberare tempo e risorse da restituire all’esercizio della giurisdizione propriamente detta, migliorandone così i contenuti.

Con riguardo specifico alla giustizia amministrativa tale struttura viene ribadita e ulteriormente declinata, ritenendosi per ciò di dovere coniugare i profili organizzativi di questa e la dimensione extraprocessuale agli stessi connessa con la prospettiva processuale vera e propria. Inoltre, e nell’ambito del piano tale ulteriore proiezione funzionale sembra essere espressamente formulata solo per la giustizia amministrativa, si assume lo scopo di migliorare il prodotto giurisdizionale finale per i profili della coerenza sistematica, della prevedibilità e della razionalità della decisione[23]. Alla dimensione dell’efficienza si affianca quindi quella qualitativa, e si potrebbe essere quasi portati a ritenere che questa competa, se non perfino contrasti, con quella. Si tratta, però, di una contrapposizione solo apparente, e che deve anzi essere evitata nel momento della ricostruzione teorica perché, come si tenterà infine di dimostrare in questo studio, è anche, sebbene non solo, l’efficienza complessiva del sistema che contribuisce ad implementare la “qualità” del (singolo) prodotto giurisdizionale.

 

  1. Il potenziamento dell’Ufficio per il processo

L’Ufficio per il processo costituisce l’espressione di una idea che, nel suo complesso, caratterizza le modalità e le forme di esercizio della giustizia. Esso, infatti, segnala la tensione verso una forma organizzata del lavoro giudiziario che mira al coordinamento di mezzi, strumenti e risorse in modo tale da supportare adeguatamente i giudici, coadiuvandoli in tutte quelle attività complementari o preliminari all’esercizio di quella giurisdizionale (propriamente detta). L’organizzazione della giustizia, in una accezione che così interessa attività distinte ancorché funzionalmente correlate, pone dunque le condizioni affinché, liberandosi tempo e risorse, i magistrati possano più utilmente dedicarsi all’attività giurisdizionale, peraltro nel contesto di condizioni strutturali che, supportando altresì il concreto sviluppo della stessa, dovrebbero risultare funzionali ad accrescerne l’efficacia, l’efficienza e, non ultimo, anche la qualità[24].

Nell’ambito del processo civile, l’Ufficio per il processo viene per la prima volta introdotto con il

decreto legge 24 giugno 2014, n. 90[25], tra l’altro con l’inserimento della disciplina conseguente nell’ambito del corpo normativo inerente alle disposizioni per la giustizia digitale, e quindi con specifiche previsioni di diritto positivo che segnalano da subito la correlazione funzionale tra i due momenti organizzativi. Più precisamente, l’Ufficio del processo è definito come struttura organizzativa congiuntamente costituita da personale di cancelleria, da giudici onorari e da coloro che svolgono il tirocinio (un tempo) abilitante al concorso in Magistratura presso le Corti di appello e i Tribunali ordinari, che adotta anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie modelli innovativi di organizzazione della giustizia, principalmente al fine di garantire la ragionevole durata dei processi. Con un successivo decreto del Ministro della Giustizia del 2015[26], poi, sono state identificate specifiche misure di funzionamento al riguardo, attribuendosi il coordinamento e il controllo dell’ufficio per il processo ai presidenti di sezione o a giudici da questi delegati, sebbene si abbia li cura di precisare che le stesse strutture organizzative possano concretamente essere anche destinate al supporto anche di singoli magistrati (di ruolo).

Sull’Ufficio per il processo è altresì intervenuto, a seguito dell’esercizio di una capillare attività di monitoraggio[27], anche il Consiglio Superiore della Magistratura, che al riguardo ha infatti adottato delle linee guida, successivamente precisate con una circolare[28], dove appunto l’ufficio per il processo è definito quale struttura tecnica in grado di affiancare il giudice nei suoi compiti e nelle sue attività, costituendo uno staff al servizio del giudice e/o dell’ufficio.

La composizione e i compiti dell’Ufficio per il processo sono adesso disciplinate, nell’ambito della più generale riforma del processo civile, dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 251[29].

Con riferimento alla giustizia amministrativa, l’introduzione dell’Ufficio per il processo si deve al decreto legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, il cui articolo 8 ha innovato la legge 27 aprile 1982, n. 186, che disciplina l’ordinamento della giurisdizione amministrativa, appunto inserendovi l’articolo 53 ter, specificamente inerente all’Ufficio per il processo. Anche in questo caso esso viene definito quale struttura organizzativa, interna agli uffici di segreteria del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e dei Tribunali amministrativi regionali, composto sia da personale di

segreteria con la qualifica di funzionario, che da laureati impegnati nello svolgimento dei tirocini formativi per l’accesso alla Magistratura o all’esercizio della professione forense. Si demandava però a un regolamento di organizzazione da adottarsi da parte del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa l’identificazione dei compiti e dell’organizzazione dell’ufficio per il processo, la cui stessa attivazione poteva risultare subordinata alla concreta rilevanza di specifici limiti dimensionali dell’ordinamento giudiziario. 

Nell’ambito della giustizia amministrativa, ma discorso analogo può forse essere fatto per la giustizia ordinaria, dell’Ufficio del processo sembra per il vero essere mancata una effettiva percezione della complessiva dimensione organizzativa e gestionale che il modello implica(va), sicché esso non si è sin qui dimostrato idoneo a proporsi come elemento qualificante di un rinnovato sistema. 

La questione pare dislocarsi anche al livello del retaggio culturale. Il Magistrato amministrativo opera avvalendosi della collegialità, ma arriva(va) a questo momento di confronto adoperandosi e riflettendo in un contesto di «solitudine», senza quindi che lo stesso si pensasse all’interno di un più ampio meccanismo diretto alla produzione di decisioni giurisdizionali, nell’ambito del quale ogni singola attività (preliminarmente) posta in essere può rappresentarsi strumentale non soltanto al singolo affare, ma anche alla necessità di somministrare giustizia con le modalità più efficienti e qualitativamente più congrue. Si è anche palesato un problema di risorse, posto che proprio per la giustizia amministrativa quella dell’Ufficio per il processo costituiva una “riforma” da attuarsi senza oneri per la finanza pubblica (i.e. senza l’aggiunta di risorse nuove, ma solo avvalendosi di quelle già impiegate in altri affari), e quindi sin dal suo inizio con scarse possibilità di effettiva incidenza.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), vede nella giustizia (amministrativa) una delle riforme di sistema da attuare, che è funzionale alla liberazione di energie e risorse per l’effettivo raggiungimento degli obiettivi sostanziali che allo stesso PNRR risultano propri. In questa prospettiva, prima di tutto diretta all’abbattimento dell’arretrato giudiziario e alla velocizzazione dei processi, l’Ufficio del processo si vede attribuite risorse importanti, ancorché per la giustizia amministrativa limitate ad otto tribunali amministrativi regionali in maggiore sofferenza. E però, gli sviluppi per l’ufficio del processo che alla giustizia amministrativa si correlano proprio con riguardo al PNRR pongono in evidenza importanti sviluppi organizzativi non solo con riguardo alla gestione dell’arretrato, ma anche, e più in generale, con riferimento a tutta un’attività che è preparatoria all’esercizio della giurisdizione e che inoltre, con assoluta evidenza, appare funzionalmente indirizzata al suo più proficuo svolgimento.

Si tratta per ciò di verificare analiticamente la rilevanza di tale (nuova) dimensione organizzativa della giustizia amministrativa, peraltro solo a monte dislocata al livello legislativo, che occorre del resto verificare all’interno della prospettiva funzionale che lo stesso PNRR sembra imprimere alla stessa giustizia amministrativa nel suo complesso considerata.

Una significativa connotazione funzionale della giustizia amministrativa nel senso dell’efficienza è posta in essere mediante interventi di carattere organizzativo. Di questi, sono immediatamente da segnalarsi le refluenze sul processo ovvero, cercando di fare assumere attendibilità e spessore teorico alla distinzione che si è tentato di rappresentare nelle premesse di questo studio, le conseguenze che l’organizzazione della giustizia assume rispetto all’esercizio della giurisdizione propriamente detto.

Nello specifico, con il decreto legge 9 giugno 2021, n. 80, si identifica il contingente massimo che la giustizia amministrativa, e per essa il Segretariato generale, è autorizzato ad assumere con contratti a tempo determinato ai fini del potenziamento dell’Ufficio per il processo[30], e sono anche precisati i profili funzionali da acquisire ai fini di tale potenziamento[31]. Tuttavia, diversamente che nell’ambito della giurisdizione ordinaria, ad esserne interessati sono solo alcuni uffici giudiziari, precisamente indicati all’articolo 12, comma 1, del decreto legge prima richiamato[32].

Come è stato prima indicato, tra gli obiettivi del PNRR vi è quello dello smaltimento dell’arretrato della giustizia (amministrativa), e infatti, tra l’altro, l’articolo 17, comma 5, del decreto legge n. 80 del 2021 richiede al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa di programmare udienze ulteriori oltre a quelle a tale specifico fine già previste, udienze che peraltro si svolgono esclusivamente da remoto ed alle quali i magistrati partecipano solo su base volontaria.

Soprattutto, però, ad essere organizzato in funzione dello smaltimento dell’arretrato è proprio l’Ufficio per il processo, il cui funzionamento e i cui compiti sono precisamente identificati e regolamentati da delle linee guida, adottate con decreto del Presidente del Consiglio di Stato sentito il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Peraltro, come nel paragrafo successivo si esporrà più in dettaglio, nonostante l’apparentemente chiara limitazione posta dalla legge al solo

smaltimento dell’arretrato, tali linee guida disciplinano in concreto il lavoro prodromico all’esercizio della giurisdizione con riferimento a tutti i ricorsi introitati. Si determina quindi uno strumento organizzativo destinato a impattare in via ordinaria, e quindi, se si vuole, anche in termini di sistema, sulle dinamiche del processo amministrativo.

D’altra parte, viene adesso introdotto un elemento di collegamento stabile tra l’attività svolta dall’Ufficio per il processo, la tempistica di fissazione delle udienze e le modalità processuali di definizione dei ricorsi, e ciò deriva dall’inserimento nel codice del processo amministrativo dell’articolo 72 bis ad opera dell’articolo 17, comma 7, del decreto legge n. 81 del 2021[33]. Nello specifico, esso concerne i ricorsi (ritenuti) suscettibili di immediata definizione[34], decisi in camera di consiglio, senza possibilità alcuna di chiedere rinvio se non per eccezionali motivi, e con la facoltà di depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio. Così, alla velocizzazione della decisione si correla una più ridotta articolazione del contraddittorio processuale, che sembrerebbe potere essere recuperato solo quando la causa non sia definibile in rito[35]. L’articolo 72 bis, sebbene mantenga il potere di fissazione dell’udienza in capo al Presidente[36], dice pure che ciò avviene anche a seguito della segnalazione dell’Ufficio per il processo. Occorre quindi avere presente non solo come l’Ufficio per il processo opera, ma più che altro comprendere, anche ma non solo da un punto di vista empirico, quali conseguenze concretamente si determin(eran)no sugli sviluppi effettivi dell’esercizio della giurisdizione in conseguenza all’attività da questo Ufficio posta in essere.

 

 

  1. Le linee guida per lo “smaltimento dell’arretrato”

Come più volte ricordato, lo smaltimento dell’arretrato rappresenta uno degli obiettivi prioritari che il PNRR riferisce alla giustizia amministrativa.

A tal proposito, l’articolo 17 del decreto legge n. 80 del 2021, per un verso appare destinare l’attività lavorativa prestata dagli addetti all’Ufficio per il processo pressoché unicamente alla riduzione dell’arretrato, mentre per un altro richiede l’adozione delle “linee guida per lo

smaltimento dell’arretrato”, con l’indicazione specifica dei compiti attribuiti a tal fine all’Ufficio per il processo[37]. Il PNRR, peraltro, rappresenta la necessità di migliorare il “prodotto giurisdizionale” della giustizia amministrativa, precisamente per i profili della coerenza sistematica, della prevedibilità e della razionalità della decisione[38], di modo che appare necessario argomentare come verso ciò possa propendersi ancorché i documenti normativi (sin qui) resisi disponibili ai fini dell’attuazione del Piano non ne facciano espresso cenno.

Le linee guida previste dal decreto legge prima richiamato sono state adottate dal Presidente del Consiglio di Stato con decreto del 8 febbraio 2022[39]. Si tratta di linee guida “nuove” perché sostituiscono quelle in precedenza emanate[40], innovando o modificandone alcuni profili, soprattutto con riferimento al monitoraggio dei risultati.

Lo strumento giuridico utilizzato è quello, per il vero non poco criticato, delle “linee guida”[41]. Con queste si disciplinano l’organizzazione e il funzionamento di strutture organizzative interne agli uffici giudiziari, quali continuano ad essere gli Uffici per il processo, in un contesto in cui però permane la vigenza dell’articolo 53 ter della legge n. 186 del 1982, che demandava a un regolamento di organizzazione del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa proprio l’identificazione dei compiti e dell’organizzazione dell’Ufficio per il processo. Tuttavia, non sembra doversi concludere per la insanabile inutilizzabilità dello strumento prefigurato dalla più recente legislazione, posto che, come in altri ambiti sostenuto in dottrina[42], e poi ritenuto anche dalla giurisprudenza[43], pure alle linee guida può ricondursi una natura sostanzialmente regolamentare[44].

Al di là della qualificazione giuridica che alle linee guida in questione deve attribuirsi, quantomeno per ragioni di opportunità sarebbe stata utile la sottoposizione delle stesse a una procedura di consultazione pubblica, non solo in quanto la loro applicazione incide nella sostanza sull’attività degli operatori del diritto, ma anche perché il contenuto delle linee guida si troverà necessariamente ad impattare sulle modalità con le quali vengono tutelati diritti e interessi individuali. Le esigenze di democratizzazione della giustizia amministrativa che questo studio si propone di fare emergere, sia da un punto di vista teorico che pratico, chiaramente depongono in tal senso, e ciò proprio in quanto alla tutela di questi diritti e di questi interessi non possono (più) essere considerati indifferenti i termini, eventualmente anche prodromici all’esercizio proprio della giurisdizione, mediante i quali al pronunciamento giurisdizionale si giunge. La necessità di velocizzare nel suo complesso la macchina giudiziaria, dunque, non dovrebbe (più) cedere il passo alla qualità delle pronunce giurisdizionali che debbono essere rese, sulla qual cosa non sembra si possa adesso fare a meno di constatare l’incidere delle modalità concrete attraverso le quali le stesse si producono[45]. In questo senso, sarebbe stato certamente auspicabile un confronto aperto prima dell’emanazione delle linee guida di cui si discute, e ciò va confermato in termini di principio ancorché, nel loro contenuto, le stesse linee guida certamente esprimano per più di un aspetto elementi apprezzabili ed utili.    

Le linee guida per lo smaltimento dell’arretrato riguardano tutti gli Uffici per il processo, e quindi non solo quelli “potenziati” mediante le risorse rese disponibili dal PNRR. Questo dato è importante, perché segnala la necessità di uno sforzo corale di tutta la giustizia amministrativa piuttosto che quello di singoli Uffici, ma anche perché pone in evidenza la complessiva rilevanza dei profili di organizzazione del lavoro giudiziario rispetto alla possibilità di restituire efficienza nell’amministrare la giustizia (in un’accezione ampia che qui ricomprende, nell’ambito di una logica di correlazione, anche l’esercizio della giurisdizione in senso proprio).

Le linee guida per lo smaltimento dell’arretrato, ancora, concernono (primariamente) il flusso normale dell’attività giudiziaria, e quella che è a tal fine rilevante viene poi estesa anche ai ricorsi già pendenti[46]. Così, poiché la base legislativa delle linee guida concerne esclusivamente lo smaltimento dell’arretrato, ad una prima valutazione si potrebbe essere indotti a ritenere che tale fonte di rango diverso da quella primaria sia con questa da ritenersi contrastante, o comunque non coerente. Al di là della formulazione letterale presente nel decreto legge, non sembra però che questa posizione debba necessariamente essere seguita. Vi è, infatti, che una organizzazione complessivamente efficiente del lavoro giudiziario consente di non accumulare ulteriori pendenze,

liberando risorse utili da destinare concretamente all’abbattimento dell’arretrato già pendente. Ciò, quindi, supporterebbe ulteriormente la tesi che vede una correlazione funzionale tra organizzazione della giustizia (amministrativa) ed esiti della (“sua” propria) attività giurisdizionale.

Nello specifico, l’Ufficio per il processo è chiamato a valutare quotidianamente i ricorsi introitati, prima di tutto al fine di accertare la sussistenza di profili che rendono possibile la immediata definizione degli stessi in quanto: presentano prima facie un vizio in rito rilevabile d'ufficio dal Collegio, ovvero reiterano questioni affrontate dall’ufficio con giurisprudenza consolidata[47]. Come si è già indicato, peraltro, tale verifica si estende anche ai ricorsi già pendenti.

In termini generali, posto che la conseguenza della segnalazione dell’Ufficio per il processo rispetto a una eventuale fissazione dell’udienza che il Presidente dispone a seguito di questa stessa segnalazione è quella di una decisione che si produce ai sensi dell’articolo 72 bis, e quindi, come si è nel paragrafo precedente evidenziato, con uno sviluppo del contraddittorio in linea di principio diverso dalle modalità ordinarie, viene naturale chiedersi quanto ciò potrà condizionare la qualità del prodotto giurisdizionale finale, ancorché eventualmente reso con modalità più celeri. Una pronuncia giusta[48], e tanto più una sentenza, è anche quella che si determina nell’ambito di un contraddittorio adeguato tra le parti[49], e non sempre, e comunque non certamente, alla velocità nell’esercizio della giurisdizione corrisponde una effettiva tutela di diritti e interessi[50]. D’altra parte, sebbene la descritta innovazione nell’organizzazione del lavoro giudiziario, per come in particolare correlata alle novità introdotte del codice del processo amministrativo, sia ancora troppo recente per avere disponibili dati empirici sui quali fondare riflessioni in tal senso più approfondite, rimane da verificare quanto la segnalazione dell’ufficio per il processo non condizionerà in termini irreversibili la decisione del Collegio chiamato a pronunciarsi sul merito del ricorso in camera di consiglio. Vero è che l’isonomia del processo non ne rimane definitivamente condizionata, e che il contraddittorio potrebbe potenzialmente riespandersi con le forme consuete[51], ma resta comunque incombente il rischio pratico di una decisione che nella sostanza potrebbe determinarsi fuori dalla sede processuale, dunque con minori possibilità per i difensori delle parti di incidere concretamente sui suoi esiti[52].

I ricorsi “segnalati” dall’Ufficio del processo vengono in ogni caso definiti con sentenza in forma semplificata, e ciò anche quando la decisione non è (più) adottata in camera di consiglio[53]. Si aggiunge dunque, tra le altre, una ulteriore ipotesi di sentenza in forma semplificata al di là della previsione generale di cui all’articolo 74 del codice del processo amministrativo[54]. La motivazione del provvedimento giurisdizionale finale, per ciò, perde consistenza, potendosi peraltro riassumere in riferimenti sintetici alle questioni di fatto o di diritto considerate risolutive. Tuttavia, mentre questa modalità di esternazione della decisione vorrebbe corrispondere a una logica di efficienza[55], proporre un alleggerimento dell’obbligo di motivazione delle sentenze che sarà di proporzioni tanto più ampie quanto più verranno effettivamente realizzate le condizioni per lo smaltimento dell’arretrato, rischia di depotenziare per un largo numero di decisioni quell’elemento di razionalizzazione che, mediante lo strumento della motivazione, restituisce alla giurisdizione un momento di legittimazione che si correla alla trasparenza dello sviluppo dei suoi processi decisionali[56].

La questione, in realtà, assume anche risvolti più pratici. Semplificare l’esternazione della decisione come metodo rischia infatti di creare confusione, perché non determina validi punti di riferimento sui quali parametrare le decisioni future[57]. Ed è proprio nel rapporto tra estrinsecazione della motivazione, forma della decisione e correlazione tra decisioni passate e future, che possono essere criticamente valutate le linee guida nel momento in cui riconducono la possibilità di immediata definizione del caso alla presenza di profili che reiterano questioni affrontate dall’ufficio con giurisprudenza consolidata[58]

Ora, per un verso vi è un evidente scollamento tra la disposizione legislativa su cui la decisione deve conformarsi in punto di motivazione, che pone riferimento al precedente e non alla giurisprudenza, e la fonte diversa da quella primaria che organizza l’attività della giustizia

amministrativa ai fini dello smaltimento dell’arretrato[59]. Ma è l’evocazione della giurisprudenza (come insieme di casi decisi) che può ingenerare confusione e incertezza. Nella giurisprudenza, formata da un insieme di sentenze, sovente raggruppabili in sottoinsiemi pur all’interno di un orientamento in linea di principio comune, convivono infatti contraddizioni[60]. Non sfugge a tale stato nemmeno la giurisprudenza (che può ritenersi di definire) costante, e ciò perché la stessa può (anche eventualmente) reiterare un principio o una regola ma, dato spesso l’ampio numero di decisioni rilevanti all’interno del quadro giurisprudenziale di riferimento, quasi mai l’applicazione ai fatti, identici o assimilabili, che interessano il caso da decidere. Così, sebbene possa darsi il riscontro di criteri giurisprudenziali rispetto ai quali le circostanze della controversia si dimostrano indifferenti ai fini della decisione, spesso anche con riferimento a una giurisprudenza uniforme e financo costante nelle affermazioni di principio possono manifestarsi variazioni significative nella decisione dei casi, che per lo più dipendono dal mutevole apprezzamento fattuale nel confronto con quelle regole che la giurisprudenza esprime.

Sarebbe quindi stato forse più utile, e non certo solo per le descritte ragioni di coerenza con il dato normativo, fare riferimento nelle linee guida al precedente piuttosto che alla giurisprudenza[61]. Questo perché il precedente trova identificazione nel fatto o, meglio, nella norma giuridica così come restituita dall’applicazione al cospetto di determinate circostanze fattuali rilevanti, e pur con tutti i problemi che la “dottrina” del precedente porta con sé, appare certo più intuitivo e agevole procedere muovendo dai fatti e con questi confrontarsi, piuttosto che con (la sintesi di) fattispecie astratte da applicare a casi (nuovi)[62]. Ragioni di efficienza e di certezza giuridica, quindi, deponevano e depongono per la preminente rilevanza del precedente, che del resto le stesse linee guida, in effetti con dubbia coerenza, pure indicano nell’ambito delle ulteriori attività di ricerca cui è tenuto l’Ufficio per il processo[63].

Sempre per ragioni di certezza, poi, sembra piuttosto asfittico il solo riferimento alle questioni affrontate dall’ufficio[64]. Se tra gli scopi del PNRR vi è (anche) quello di migliorare il prodotto giurisdizionale per i profili della coerenza sistematica, della prevedibilità e della razionalità della decisione, tale risultato dovrebbe interessare l’intera estrinsecazione della giustizia amministrativa, ed è all’interno della complessiva attività di questa che vanno per ciò ricercati punti di riferimento affidabili. Peraltro, appiattirsi sulla giurisprudenza di un ufficio potrebbe paradossalmente determinare dei problemi di efficienza, eventualmente permettendo una maggiore velocità delle decisioni in prime cure, per poi però ingolfare i ruoli, e aumentare i tempi di decisione, del giudice di appello, e questo soprattutto laddove quella dell’ufficio presa come riferimento sia una giurisprudenza che non trova conferme presso il giudice di secondo grado.

La ricongiunzione tra efficienza e certezza, poi, avrebbe dovuto forse suggerire, e in effetti suggerisce, un puntuale riferimento ai precedenti dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la cui funzione è proprio quella di stabilizzare il momento giurisdizionale dell’applicazione giuridica fornendo parametri di riferimento certi sui quali fondare le decisioni future, di modo che queste siano non solo più agevolmente rese ma anche complessivamente caratterizzate da un maggiore grado di uniformità[65].

Ancora, tra le altre attività di “segnalazione” attribuite all’Ufficio per il processo rientrano quelle relative alla necessità di integrare il contraddittorio, di sospendere o interrompere il giudizio ovvero di acquisire documentazione istruttoria[66]. Soprattutto quest’ultimo aspetto, però, alimenta più di una perplessità. Come noto, nell’ambito del processo amministrativo la sostanziale assenza di preclusioni spinge le parti a postergare le richieste istruttorie più avanti nel giudizio, e del resto, soprattutto laddove non sia richiesta una qualche misura cautelare, non è nemmeno detto che la controparte o i controinteressati si siano già costituiti nel momento in cui l’Ufficio per il processo verificherà il ricorso (non appena) introitato, e dunque lo stesso quadro fattuale su cui la potenziale istruttoria si fonda potrebbe risultare incompleto. Qui, però, emerge soprattutto il dato di un impulso istruttorio che si sgancia dalla disponibilità delle parti processuali per invece ricollocarsi presso chi la decisione deve rendere, e per di più con una valutazione che nella sostanza si promuove non solo all’esterno della dinamica processuale, ma anche dell’attività giurisdizionale propriamente detta. Ad esserne potenzialmente intaccata, quindi, è proprio la struttura del processo amministrativo come processo di parti, verso cui anche l’attività istruttoria pareva invero faticosamente direzionarsi.

Sempre all’insegna del collegamento tra organizzazione della giustizia e attività giurisdizionale, all’Ufficio del processo sono attribuiti vari altri compiti, comunque indicati all’interno della “Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato”. Tra questi possono segnalarsi l’analisi delle pendenze e dei flussi delle sopravvenienze, l’organizzazione delle udienze, l’assistenza ai Magistrati nelle attività preparatorie relative ai provvedimenti giurisdizionali (attività che include le ricerche di giurisprudenza, di legislazione e di dottrina), la identificazione dei contrasti giurisprudenziali, attuali come potenziali. L’Ufficio per il processo, infine, svolge ogni altro compito utile al perseguimento del primario obiettivo di smaltimento dell’arretrato, sicché l’attività conseguente è finalisticamente e non contenutisticamente determinata.

Come già prima si è accennato, ancorché tali attività possano per lo più manifestare un contenuto (prettamente) materiale, diverrà importante verificarne l’incidenza effettiva rispetto all’esercizio della giurisdizione, sia al fine di considerarne l’utilità, ma anche per valutare la permanenza di una reale autonomia della giurisdizione. Questa in uno Stato di diritto non deve mai venire meno, e non può per ciò risultare avvilita, ma eventualmente solo arricchita dalle varie forme di estrinsecazione dell’«amministrazione» della giustizia amministrativa.

 

[1] Sul rapporto tra PNRR e pianificazione economica M. D’Alberti, Diritto amministrativo e ripresa, in Giorn. dir. amm., 2022, 5 ss., ma si veda anche Id., Il PNRR nel contesto delle pianificazioni, in Federalismi, 2023, 1-4. Sul PNRR come strumento di pianificazione funzionale all’attuazione di investimenti pubblici per lo sviluppo di particolari politiche cfr. B. Tonoletti, L’investimento pubblico nel Dispositivo di ripresa e resilienza e lo Stato come agente macroeconomico dell’economia di mercato, in Riv. reg. merc., 2022, 37 ss.

[2] Regolamento UE 2021/241.

[3] Più precisamente, il PNRR è stato approvato con decisione di esecuzione del Consiglio europeo in data 13 luglio 2021, decisione che ha recepito la relativa proposta della Commissione europea.

[4] Cfr. M. Clarich, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza tra diritto europeo e nazionale: un tentativo di inquadramento giuridico, in Corr. giur., 2021, 1025 ss., per il quale non è ipotizzabile che il PNRR, a differenza di esperienze di pianificazione passate nemmeno approvato per legge, “sotto il profilo anzitutto costituzionale possa creare vincoli giuridici per il Parlamento, né in ordine alle tempistiche previste per le numerose leggi da approvare, né per quanto riguarda i contenuti”, ivi, 1031.

[5] M. Clarich, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza tra diritto europeo e nazionale: un tentativo di inquadramento giuridico, cit., 1032 ss.

[6] Così precisamente F. Cintioli, Risultato amministrativo, PNNR e contratti pubblici, in Dir. e proc. amm., 2022, 521 ss., 538 ss., dove appunto si afferma che tale legificazione sarebbe avvenuta “implicitamente ma incontestabilmente”, ivi, 540.  

[7] Cfr. ancora F. Cintioli, Risultato amministrativo, PNNR e contratti pubblici, cit., 544 ss. In termini E. Catelani, PNRR e ordinamento costituzionale: un’introduzione, in Rivista AIC, 2022, 210 ss., 219.

[8] In tal senso, come elemento caratterizzante dell’intero impianto argomentativo presente nello scritto, A. Sciortino, PNNR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico «normativo», in Federalismi, 2021, 235 ss., 250 ss.

[9] Molto nette in tal senso sono le parole di E. Catelani, PNRR e ordinamento costituzionale: un’introduzione, cit., per la quale “l’indirizzo politico di uno Stato, che vive all’interno di un ordinamento sovranazionale, non può più essere espressione solo della maggioranza governativa e la New Generation EU ha rafforzato e incrementato ancora di più tale relazione”, ivi, 220.  

[10] Confronto che ha in passato occupato la migliore dottrina. Cfr. tra gli altri I.M. Marino, Amministrazione e giustizia. La programmazione, Acireale, 1989, 15 ss., 74 ss.; V. Bachelet, Legge e attività amministrativa nella programmazione economica, Milano, 1975, 47 ss.; A. Barbera, Leggi di piano e sistema delle fonti, Milano, 1968, 8 ss.; A. Predieri, Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963, 171 ss.

[11] A. Sciortino, PNNR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico «normativo», cit., 250 ss.

[12] E. Catelani, PNRR e ordinamento costituzionale: un’introduzione, cit., 212 ss.

[13] Ci si riferisce a M.S. Giannini, Sull’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia, in Riv. dir. comm., 1959, I, 321 ss.

[14] Per l’analisi del raccordo tra attività di programmazione e interventi settoriali si veda N. Rangone, Le programmazioni economiche. L’intervento pubblico tra piani e regole, Bologna, 2007, 181 ss., 201 ss. 

[15] OECD, Report on Regulatory Reform, Paris, 1997.

[16] Per il cui funzionamento cfr. D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost? Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funzionalizzata, Torino, 2009.

[17] E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, Padova, 1997; A. Barone, Giustizia comunitaria e funzioni interne, Bari, 2008, 11 ss; G. della Cananea - C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2013 (2° ed.), 299 ss.     

[18] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 9 ss.

[19] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 55 ss.

[20] G. Verde, Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e la riforma della giustizia, in Nuove autonomie, 2021, 169 ss., 176 ss.

[21] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 57 ss.

[22] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 58 ss.

[23] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 99 ss.

[24] Per una applicazione delle teorie dell’organizzazione alla giustizia cfr. in termini generali S. Zan, Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna, 2003.

[25] Convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114.

[26] D.M. 1 ottobre 2015, Misure organizzative necessarie per il funzionamento dell’Ufficio del processo.

[27] Cfr. la delibera del 18 giugno 2018, L’ufficio per il processo oggi: esito del monitoraggio del CSM sulla istituzione e sul funzionamento dell’Ufficio per il processo negli uffici giudiziari; ruolo della magistratura onoraria e diritto transitorio.

[28] Circolare per la formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici per il triennio 2020-2022 ha offerto infine l'occasione per puntualizzare le linee guida attraverso regole tabellari. Le norme rilevanti sono gli art. 10 (UPP nei Tribunali), 11 (UPP dei TpM, TdS e CdA), 176, 178 e 179 (GOP in servizio nell'UPP), 180 (utilizzo dei GOP nell'UPP).

[29] Ed è interessante osservare che, tra questi compiti (e così non è nell’ambito della giustizia amministrativa), vi è espressamente quello inerente la “predisposizione di bozze di provvedimenti” (cfr. art. 5, co. 1, lett. a) d.lgs. n. 251/2022).

[30] Cfr. art. 11, co. 1, d.l. n. 80 del 2021, dove si indica un contingente massimo di 326 unità di addetti all’ufficio per il processo.

[31] Cfr. art. 11, co. 3, d.l. n. 80 del 2021, dove sono indicati funzionari amministrativi, funzionari informatici, funzionari statistici e assistenti informatici.

[32] Precisamente: il Consiglio di Stato, in ogni sezione giurisdizionale; il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma; il Tribunale amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano; il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto; il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli; il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Salerno; il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede di Palermo; il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania.

[33] Per una valutazione fondamentalmente critica cfr. R. De Nictolis, Tra (dis)proporzionalità e (in)efficienza, un nuovo giudizio immediato (art. 72-bis c.p.a.) per la giustizia amministrativa, in www.giustiziainsieme.it, 2021.

[34] L’art. 72 bis, co. 1, del c.p.a. così recita: “Il Presidente, quando i ricorsi siano suscettibili di immediata definizione, anche a seguito della segnalazione dell’Ufficio per il processo, fissa la trattazione alla prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio. Salvi eccezionali motivi, non è possibile chiedere il rinvio della trattazione della causa. Se è concesso il rinvio, la trattazione del ricorso è fissata alla prima camera di consiglio utile”.

[35] Cfr. art. 72 bis c.p.a., co. 2.

[36] Così come, in termini generali è nell’art. 71 del c.p.a., ed anche nelle altre disposizioni del codice che lo prevedono, e si tratta di un potere presidenziale che, pur doveroso nel suo esercizio, può ritenersi che (sia pure entro certi limiti) rimanga discrezionale nel quando. L’attribuzione di cui all’art. 72 bis è invece solo discrezionale nell’ an, perché se esercitata impone la trattazione alla prima camera di consiglio utile (fermi comunque i venti giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica, e i dieci giorni dal deposito del ricorso).

[37] Cfr. art. 17 d.l. n. 80/2021, rispettivamente ai commi terzo e secondo.

[38] Cfr. Piano nazionale ripresa e resilienza, 99 ss.

[39] Decreto del Presidente del Consiglio di Stato, 8 febbraio 2022, Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa.

[40] Decreto del Presidente del Consiglio di Stato, 28 luglio 2021, Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa.

[41] Sulle c.d. “linee guida” si ha il riscontro di una letteratura copiosa, che si è per lo più formata a seguito dell’utilizzazione dello strumento nella materia dei contratti pubblici. Anche per riferimenti ulteriori sia per ciò consentito il rinvio a M. Corradino - G.F. Licata, Autorità nazionale anticorruzione, in M.A. Sandulli - R. De Nictolis (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019, vol. I, 411 ss., 441 ss. Si veda anche C. Deodato, Fonti di secondo livello e linee guida, ivi, 231 ss., 248 ss. In termini (più) generali M. Ramajoli, Soft law e diritto amministrativo, in Dir. amm., 2017, 147 ss. e B. Boschetti, Soft law e normatività: un’analisi comparata, in Riv. reg. merc., 2016, 32 ss.

[42] F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di ANAC, in Dir. proc. amm., 2017, 381 ss.; G. Morbidelli, Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli, in Dir. amm., 2016, 273 ss.

[43] Corte Costituzionale, 23 novembre 2021, n. 218, punto 8; Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2020, n. 5097, punti 7 ss.

[44] Sul rapporto tra (la) forma dell’atto e (la) sostanza regolamentare delle linee guida cfr. ancora M. Corradino - G.F. Licata, Autorità nazionale anticorruzione, cit., 445 ss.

[45] Segnatamente secondo quello che, con varie modalità ed a vari livelli, costituisce il filo conduttore di questo lavoro. 

[46] Cfr. Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa, art. 3.

[47] Cfr. Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa, art. 3, lett. a). 

[48] Che può interpretarsi come garanzia delle forme del procedimento giurisdizionale o come effettività della tutela che deriva dall’esercizio di questa, su di che diffusamente M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2013, 100 ss., dove anche per il collegamento sistemico e «metodologico» tra (giusto) processo e giurisdizione, “nel senso che il processo è giusto solo se la sua struttura e il conseguente suo funzionamento siano idonei ad attuare la giurisdizione”, ivi, 105. Sempre nella prospettiva del giusto processo, per una accentuazione della legalità (formale) nell’esercizio della giurisdizione, M. Luciani, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, in Dir. proc. amm., 2018, 36 ss., 56 ss., per cui “è “giusto” il processo “legale” ed è parimenti giusta la sentenza che alla fine di un simile processo legale è resa”, ivi, 62.

[49] M. Luciani, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, cit., 45 ss.; M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, cit., 130 ss. Questa proiezione necessaria del giudizio amministrativo non ha certo avuto bisogno, nelle ricostruzioni della dottrina, di suggestioni recenti e nemmeno di riforme legislative, dalla modifica dell’art. 111 della Costituzione alla introduzione del codice del processo amministrativo, cfr. infatti F. Merusi, Il contraddittorio nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1985, 1 ss., anche per riferimenti ulteriori.

[50] Molto nettamente in tal senso M.A. Sandulli, Il tempo del processo come bene della vita, in Dir. soc., 2014, 503 ss., dove specularmente viene invece segnalata la necessità del “giusto tempo” per il più opportuno esercizio delle pubbliche funzioni, ivi, 525 ss., anche per le specificità proprie al processo amministrativo, diverse dalla semplice esigenza di definire una lite, e piuttosto (anche) funzionali al corretto, in primo luogo perché legale, esercizio dell’attività amministrativa, ivi, in particolare 527 ss. Sul tema anche M. Sinisi, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di effettività della tutela, Torino, 2017, 219 ss. Più in generale, sempre rispetto alle criticità del rapporto tra efficienza e tutela nel processo amministrativo, sia pure con argomenti e sfumature diverse, cfr. anche I. Pagni, La giurisdizione tra effettività ed efficienza, in Dir. proc. amm., 2016, 401 ss., 409; M. Luciani, Garanzie ed efficienze nella tutela giurisdizionale, in Dir. soc., 2014, 433 ss., 483 ss.; E.M. Marenghi, Processo senza modello e giustizia semplificata, in Dir. proc. amm., 2012, 885 ss., 905 ss.

[51] E tuttavia, ai sensi dell’art. 72 bis, co. 2, solo nel caso in cui la causa non possa essere definita in rito.

[52] Nella letteratura straniera ci sono studi suggestivi con i quali si spiega il “peso” degli assistenti delle Corti rispetto alle decisioni di queste, anche se certo le modalità di reclutamento ne rendono in quei contesti molto diversa la consistenza specifica, cfr. per esempio l’accurato lavoro di T.C. Peppers, Courtiers of the Marble Palace: The Rise and the Influence of the Supreme Court Law Clerk, Stanford, 2006, in particolare 206 ss. Più di recente può vedersi N. Holvast, The Power of the Judicial Assistant/Law Clerk: Looking Behind the Scenes at Courts in the United States, England and Wales, and the Netherlands, in International Journal for Court Administration, 2016, 10 ss.

[53] Cfr. art. 72 bis c.p.a., co. 2.

[54] Per l’indicazione degli ambiti in cui possono essere rese sentenze semplificate nel processo amministrativo cfr. F. Caporale, Le ambiguità della sentenza semplificata tra modello redazionale e strumento di accelerazione nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2018, 606 ss., 608, dove anche per le conseguenze tipologiche (e stilistiche) che alle distinte “funzioni” delle diverse fattispecie di sentenze semplificate si correlano, ivi, 622 ss. In tema anche C. Criscenti - A. Storto, Le sentenze semplificate nel nuovo codice del processo amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 1087 ss., nonché nella veste monografica A. Clini, La forma semplificata della sentenza nel “giusto” processo amministrativo, Cedam, Padova, 2009.

[55] Circostanza che può tuttavia anche essere posta in discussione. Infatti, sebbene la “motivazione semplificata” della sentenza possa essere intesa quale strumento di accelerazione del processo, e quindi come corrispondente ai canoni dell’efficienza, potrebbe tuttavia determinarsi il paradosso che la stessa funzioni come un moltiplicatore del contenzioso, posto che proprio la semplificazione della motivazione (i.e. una motivazione insufficiente e per nulla soddisfacente) potrebbe spingere la parte soccombente a promuovere ulteriori gradi di giudizio. Cfr. al riguardo M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata, in Dir. proc. amm., 2017, 894 ss., 916 ss., e in particolare alla pagina 921 per una affermazione in termini di principio corrispondente a quella di cui al testo.

[56] Cfr. ancora M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata, cit., 923 ss., 924. Ma la motivazione della sentenza è, come noto, considerata anche come elemento di rilevanza extraprocessuale, e più precisamente quale problematica di amministrazione della giustizia funzionale a rendere possibile un controllo “esterno”, che ha per ciò luogo al di fuori del sistema giurisdizionale dei meccanismi di impugnazione, e si presenta piuttosto quale forma di controllo “diffuso” rispetto alle modalità di (giustificazione e di) esercizio del potere giudiziario. Su questi profili rimane ancora fondamentale lo studio di M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, in particolare 319 ss.; ma del chiarissimo Autore, più di recente, cfr. anche Id., Motivazione della sentenza civile (controllo della), in Enc. dir., Agg. III, Milano, 1999, 772 ss., 775-776. Peraltro, anche alla luce dei più recenti interventi normativi e di alcune pronunce delle Corti superiori che hanno approcciato la giurisdizione come risorsa non illimitata, sono stati sviluppati studi che guardano alla motivazione in un’ottica funzionalmente differenziata e che quindi, con il solo limite della esposizione da parte del giudice dell’iter logico-giuridico seguito per spiegare la propria decisione, facendo applicazione dei principi di flessibilità e di semplificazione processuale considerano che competa al giudice la verifica della “giusta” motivazione richiesta al cospetto delle specificità di ogni singolo caso. Così di recente C. Rasia, La crisi della motivazione nel processo civile, Bologna, 2016, in particolare 65 ss., 254 ss., 321 ss. Sebbene tale ricostruzione mantenga il pregio di intercettare talune delle principali tendenze in punto di motivazione delle decisioni giurisdizionali, provando anzi a razionalizzarle e a ricondurle a sistema, sembra tuttavia potersi segnalare la sostanziale contraddittorietà di una speculazione teorica che, pur assumendo (a parere di chi qui scrive correttamente) la prospettiva d’azione non del singolo processo ma piuttosto dell’organizzazione delle risorse dell’amministrazione della giustizia come (aventi ad) oggetto (del)la gestione dell’insieme dei processi, finisce poi con l’attribuire (solo) al singolo organo non solo il “governo” di una specifico affare, ma la stessa “ricerca dell’equilibrio tra quel processo e il complesso dell’attività giurisdizionale” (così appunto C. Rasia, op. ult. cit., 327). Infatti, appare difficile immaginare una qualche forma di utile organizzazione che si sviluppi dal particolare, e ciò precisamente in quanto la sostanza del principio organizzativo sembra invece necessariamente presuppore forme preliminari di razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni dirette a garantire la loro migliore estrinsecazione al cospetto delle fattispecie concrete. Dunque, ed è quanto con questo studio ci si propone di fare, lo svolgersi di ogni singola attività giurisdizionale sembra piuttosto presupporre elementi di validazione da ricercare all’interno di una più ampia ricostruzione di form(ul)e organizzative della giustizia.

[57] Come bene espresso da F. Patroni Griffi, Forma e contenuto della sentenza amministrativa, in Dir. proc. amm., 2015, 17 ss., la sentenza amministrativa sviluppa dei processi di razionalizzazione che superano il caso deciso, “in quanto un ordinamento razionale tende a evitare che comportamenti di una pubblica amministrazione già ritenuti illegittimi siano ripetutamente portati in giudizio per essere ripetutamente sanzionati; il che accresce il valore del precedente”, ivi, 20. Del resto, già prima delle novità del codice del processo amministrativo la considerazione per il precedente nell’ambito del giudizio amministrativo aveva già ottenuto attenzione da parte della dottrina, tra cui quella di F. Saitta, Valore del precedente giudiziale e certezza del diritto nel processo amministrativo del terzo millennio, in Dir. amm., 2005, 585 ss., anche per le specificità che il precedente assume nel contesto delle sentenze rese in forma semplificata, ivi, 599 ss.

[58] Cfr. Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa, art. 3, lett. a).

[59] Sembrerebbe per ciò esservi contrasto, quantomeno lessicale, tra l’art. 72 bis del c.p.a., e il conseguente richiamo all’art. 74 c.p.a. (dove si pone riferimento a un precedente conforme), e la previsione presente all’art. 3, lett. a) delle Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa.

[60] G. De Nova, Lo stato di informazione circa le future sentenze giudiziarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 1227 ss.

[61] Per la distinzione cfr. M. Taruffo, Precedente e giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 709 ss., 711 ss.

[62] C. Consolo, Il valore del precedente fra interpretazione giuridica e scandaglio del fatto del caso concreto, in Dir. proc. amm., 2018, 25 ss., 30 ss.

[63] Cfr. Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa, sempre all’art. 3, dove si precisa che all’Ufficio del processo compete anche la “compilazione della scheda del fascicolo di causa, indicante anche l’esistenza si eventuali precedenti specifici”.

[64] L’articolo 3 delle Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa pone infatti espresso riferimento a un esame relativo alla reiterazione di “questioni affrontate dall’ufficio con giurisprudenza consolidata”.

[65] E ciò può (di)mostrarsi tanto più rilevante quanto più le modalità di formazione degli stessi ne consentano la permanenza all’interno di un orizzonte temporale più ampio (il che, a sua volta, si pone quale autonomo problema di amministrazione della giustizia). Cfr. più in dettaglio quanto dedotto infra nella sezione seconda di questo secondo capitolo.

[66] Cfr. ancora l’art. 3 delle Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministrativa.