ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Temi e Dibattiti



La cultura della prevenzione nel diritto amministrativo. Dai modelli organizzativi ex D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii. al rating di legalità. La codificazione normativa e l’interpretazione della giurisprudenza.

Di Maria Rosaria Amodio
   Consulta il PDF   PDF-1   

La cultura della prevenzione nel diritto amministrativo.

 Dai modelli organizzativi ex D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii. al rating di legalità.

La codificazione normativa e l’interpretazione della giurisprudenza.

 

Di MARIA ROSARIA AMODIO

 

  1. 2. Gli istituti della prevenzione nel diritto amministrativo: il modello ex D.L.gs. n. 231/2001 e ss.mm.ii. 2.1. Gli istituti con finalità preventive e premiali nel codice dei contratti pubblici. 2.2. Principio di proporzionalità e valutazione di idoneità preventiva e terapeutica delle misure di self cleaning aziendale secondo la Giurisprudenza. 3. I criteri premiali ed il rating di legalità. 4. Considerazioni conclusive.

 

  1. Nella visione contemporanea il diritto amministrativo è chiamato a disciplinare “modelli organizzativi” che si sviluppano su più livelli di governance e secondo forme non più solo monistiche ma di interazione tra potere pubblico ed azione privata.

Il fine ultimo è di rendere l’azione amministrativa sempre più diretta ed in grado di penetrare in modo efficace nella sfera individuale e collettiva della “persona” per garantirne la piena ed equilibrata realizzazione nell’ambito sociale.

La funzione legislativa, regolatoria ed esecutiva è dunque diretta alla creazione di “sistemi organizzativi sostenibili” che inducano i soggetti privati, interlocutori delle pubbliche amministrazioni, ad operare secondo criteri di legalità e correttezza.

Obiettivo strategico è quello di incrementare la probabilità di successo nella risoluzione di criticità che ostacolano la costruzione di efficaci modelli gestionali dell’azione pubblica, nello stesso tempo riducendone i tempi ed i costi.

In questo quadro di riferimento per esempio il diritto tributario ha valorizzato il modello delle “Agenzie fiscali”, assetto organizzativo meno burocratico e più legato al perseguimento dei risultati e all’efficienza, finalizzato a ristabilire un rapporto di fiducia tra le parti[1], facendo in modo che l’Agenzia operi non solo in via repressiva ma soprattutto in via preventiva, in modo da convincere i contribuenti all’adempimento spontaneo[2].

Alcuni degli istituti tributari che si radicano nel solco della prevenzione, destinati ad occupare un ruolo sempre più determinante nell’economia globale dei processi organizzativi e di azione dell’Amministrazione Finanziaria, sono per esempio le comunicazioni preventive, l’adempimento collaborativo (coorporative compliance)[3], le istanze di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) e le istanze di accordo preventivo.

Si può pertanto affermare che negli ultimi anni il fil rouge delle principali riforme che hanno coinvolto diversi ambiti del diritto amministrativo è la promozione ed adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento, finalizzate a favorire la prevenzione e la risoluzione alternativa dei conflitti tra interessi.

Da tali premesse nasce la "cultura della prevenzione” alla quale è strettamente connesso il metodo della “gestione del rischio” che permea taluni innovativi istituti introdotti nella legislazione vigente.

  1. Istituto a finalità preventiva è certamente il sistema dei “modelli organizzativi” ex D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii. che sempre di più sta interessando anche il settore pubblico e l’ambito di disciplina del diritto amministrativo[4].

Il sistema, delineato dal D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii., prevede l’utilizzo di modelli organizzativi aziendali “virtuosi”, diretti cioè ad abbassare il rischio di commissione dei reati nell’interesse dell’impresa[5]. La lungimirante scelta di politica criminale sottesa al sistema di responsabilità amministrativa degli Enti[6] consiste nell’incentivare questi ultimi ad adottare modelli organizzativi e protocolli interni preventivi che neutralizzino o comunque contengano il rischio del reato d’impresa; ma consiste anche, qualora tali protocolli non siano stati adottati prima della commissione del reato o non siano risultati idonei a prevenirlo, nell’incentivare continuamente un ritorno alla legalità, attraverso l’adozione di modelli organizzativi remediali e condotte riparative che si ispirano alla cultura della Restorative Justice.

A tale risultato si è giunti in forza:

  1. a) degli impegni internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione (convenzioni e protocolli internazionali);
  2. b) dei modelli di responsabilità degli enti sviluppati nei paesi di common law;
  3. c) degli studi criminologici sull’evoluzione della criminalità riconducibili alla “politica d’impresa”;
  4. d) dell’evoluzione della dottrina che ha posto l’accento sull’insufficienza di un sistema punitivo riferito esclusivamente alla persona fisica.

Negli ambiti di disciplina del diritto amministrativo si rinvengono diversi esempi di applicazione trasversale delle previsioni di cui al D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii e di penetrazione di istituti finalizzati alla diffusione della cultura giuridica remediale e preventiva.

2.1 Nel settore della regolazione dei contratti pubblici, per esempio, emergono interessanti punti di intersezione tra il campo di azione della disciplina amministrativa ed il sistema della responsabilità amministrativa degli Enti.

L’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016 e ss.mm.ii. disciplina i motivi di esclusione dell’operatore economico dalle procedure ad evidenza pubblica in applicazione dei principi eurounitari[7].

La norma prevede l’ipotesi dei motivi di esclusione facoltativi dalle procedure di gara, sottolinea la discrezionalità delle decisioni delle Amministrazioni aggiudicatrici nel valutare se l’operatore si è dimostrato “inaffidabile”, per esempio a causa della violazione degli obblighi ambientali e sociali e/o a causa del coinvolgimento degli organi apicali in fatti penalmente rilevanti che ne mettano in discussione l'integrità e dunque lo rendano inidoneo ad ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico, indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l'esecuzione dell’appalto.

In sintesi, il considerando 102 della Direttiva 2014/24/UE, cui si ispira la norma interna, introduce un’ancora di salvataggio. La disposizione indica agli Stati membri l'opportunità di prevedere sistemi che consentano che gli operatori economici possano adottare misure per garantire l'osservanza degli obblighi, volte a porre rimedio alle conseguenze di reati o violazioni e a impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo. Tali misure potrebbero consistere, in particolare, in misure riguardanti il personale e l'organizzazione quali la rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell'attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell'adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento. Qualora tali misure offrano garanzie sufficienti, l'operatore economico interessato non dovrebbe più essere escluso solo sulla base di tali motivi.

L’art. 57, comma 6 della Direttiva prevede che la valutazione da parte della stazione appaltante circa l’idoneità delle misure adottate dall’operatore economico per garantire l’affidabilità, sia improntata al principio di proporzionalità[8].

La stessa Direttiva induce lo Stato membro a riconoscere una posizione di interesse qualificato dell’operatore economico, riguardo la possibilità di attivare, in capo all’Amministrazione aggiudicatarie, il procedimento di valutazione di idoneità remediale e preventiva delle misure di riorganizzazione aziendale, alfine di ottenere l’ammissione e/o la non esclusione dalla procedura di aggiudicazione.

Nell’ambito della normativa interna di recepimento, il comma 7 dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici prevede espressamente la possibilità dell’operatore economico coinvolto in un procedimento penale, di evitare l’esclusione dalla gara se dimostri di avere adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti[9].

Sinteticamente, l’adozione delle “misure organizzative di prevenzione” consente all’impresa - previa valutazione di “sufficienza” da parte della stazione appaltante - di non essere esclusa dalla procedura.

2.2. È interessante condurre una prima indagine sulla casistica amministrativa delle ipotesi di “sufficienza” delle misure organizzative ritenute idonee a salvare l’impresa dall’esclusione dalla procedura di affidamento dei lavori, servizi e/o fornitura.

Il mezzo attraverso cui condurre l’indagine non può che essere l’esame della Giurisprudenza resa in materia.

La sentenza n. 5732 del 30 settembre 2020 della V sezione del Consiglio di Stato chiarisce la portata applicativa delle norme di cui al paragrafo 6, art. 57 della Direttiva 2014/24, recepite dall’ordinamento interno con le previsioni di cui ai commi 7 e 8 dell’art. 80 del D.L.gs n. 50/2016[10].

La sentenza, premesso il quadro normativo di riferimento, osserva che, in assenza di una sentenza definitiva di accertamento della legittimità della risoluzione disposta ai danni dell’operatore economico partecipante alla gara, l’Amministrazione aggiudicatrice avrebbe dovuto attivare, prima di procedere all’estromissione dalla gara dello stesso operatore, il sub-procedimento prescritto dall'art. 57, paragrafo 6 della Dir. 2014/24/UE, volto a garantire il contraddittorio con l'operatore economico e verificare se lo stesso avesse adottato delle misure riparatorie (self-cleaning) e, solo all'esito di detto procedimento, avrebbe potuto valutare in merito alla sua eventuale esclusione.

Il Consiglio di Stato pone l’attenzione sull’esistenza indiscussa, data la sua previsione normativa e la sua procedimentalizzazione[11], di un vero e proprio “onere del contraddittorio” da parte dell’Amministrazione che è tenuta a condurre l’istruttoria del sub procedimento introdotto con la richiesta dell’operatore economico di esame delle misure di self-cleaning, misure che lo stesso operatore invoca quale cause escludenti l’applicazione della sanzione espulsiva (esclusione dalla procedura di gara).

Il Giudice interno trae argomentazione dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sentenza C-41/18, EU/C/2019/507 del 19/06/2019) secondo cui "la succitata direttiva ha carattere innovativo, in particolare nella misura in cui istituisce, all'articolo 57, paragrafo 6, il meccanismo delle misure riparatorie (self-cleaning). Tale meccanismo, che si applica agli operatori economici non esclusi da una sentenza definitiva, tende a incoraggiare un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui all'articolo 57, paragrafo 4, della medesima direttiva, a fornire prove del fatto che le misure da esso adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l'esistenza di un pertinente motivo facoltativo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l'operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura d'appalto. A tal fine, l'operatore economico deve dimostrare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti [...]".

Il Tar Lazio, sez. III quater, con la sentenza n.14119 del 30/12/2020, resa in materia di aggiudicazione a seguito di procedura ristretta per l’affidamento di un servizio di pulizia, ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di aggiudicazione del servizio ad un operatore economico, il cui organo apicale era stato coinvolto in procedimenti penali. La stazione appaltante, nonostante l’esistenza del procedimento penale, esprime un giudizio di idoneità (escludente la sanzione espulsiva) del piano strategico di misure di self cleaning per l’adozione di un modello organizzativo ex art. 17 del D.Lgs. n. 231/2001 e s.s.mm.ii.[12]

Viene confermata, dunque, la discrezionalità del potere dell’Amministrazione di valutare - a seguito dell’adozione delle misure cd. di self cleaning da parte dell’operatore economico - la sua affidabilità professionale ed in particolare la definitiva insussistenza di elementi ostativi alla aggiudicazione dell’appalto, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016. 

Tale valutazione deve emergere chiaramente ed adeguatamente dall’iter motivazionale del provvedimento. 

Nel caso preso in esame dal Giudice Amministrativo, viene rilevato come il Responsabile Unico del procedimento avesse giustificato e motivato, sul piano formale, la compiuta valutazione di rilevanza terapeutica delle misure di “self cleaning”, richiamandone il fondamento normativo ovvero il comma 7 dell’art. 80 del codice degli appalti pubblici, che trae origine dai principi del diritto euro unitario (considerando n. 102 e dall’art. 57, par. 6 della direttiva 2014/24/UE)[13].

Per esempio, misure idonee a rendere efficace l’intervento “terapeutico” sono state considerate le seguenti:

  • le dimissioni e la nuova nomina dei rispettivi organi amministrativi;

- l’introduzione, negli Statuti delle due società interessate, delle modifiche necessarie ad escludere la soggezione dell’una ai poteri di direzione e coordinamento dell’altra, nonché a superare la presunzione di cui all’art. 2947 sexies c.c.[14];

- l’approvazione di un modello di Organizzazione e Gestione ex D.Lgs. 231/2001 pienamente idoneo ad individuare e prevenire i reati richiamati dal citato decreto e che possano essere commessi, a vantaggio o nell’interesse della Società, da soggetti apicali o da soggetti sottoposti alla loro direzione e vigilanza, con l’approvazione in particolare del documento di “Risk Assessment” ovvero della mappatura dei rischi di commissione dei reati.

In altri casi[15] il Giudice Amministrativo ha ritenuto legittima l’esclusione dalla procedura di gara se motivata per l’esistenza del rinvio a giudizio dell’amministratore unico della società ma illegittima per l’assenza di riferimenti motivazionali alla valutazione delle misure di self cleanig introdotte dall’operatore economico.

Alla luce di tali prime coordinate giurisprudenziali, emerge chiaro come lo strumento dei modelli organizzativi diretti ad escludere la responsabilità amministrativa degli Enti possa essere un valido strumento di salvataggio aziendale anche in presenza di gravi indizi di responsabilità penale a carico dei soggetti gestori.

In tal senso viene fortemente valorizzata dal legislatore la cultura preventiva e rimediale con l’evidente fine di tutelare l’interesse pubblico e collettivo sotteso al mantenimento in vita dell’Azienda.

  1. L’adozione di modelli organizzativi improntati alla cultura della prevenzione nella commissione dei reati viene incentivata anche attraverso il sistema dei criteri premiali previsto dall’art. 95, comma 13 del codice dei contratti pubblici[16].

In particolare, il riferimento è al punteggio aggiuntivo attribuibile in relazione al maggior rating di legalità, raggiungibile anche grazie all’adozione dei modelli organizzativi ex D.L.gs. n. 231/2001 e ss.mm.ii.[17]

  1. Considerazioni conclusive.

In sintesi, da tutte le disposizioni e pronunce sin qui esaminate, emergono le finalità preventive che il legislatore intende perseguire attraverso l’adozione di sistemi normativi e regolatori che inducano alla diffusione di modelli culturali, prima ancora che organizzativi, improntati alla legalità e trasparenza quale volano di sostenibilità etica e giuridica ma anche e soprattutto economica e sociale.  

Particolarmente proficuo è dunque lo studio delle interconnessioni tra le discipline, penale, amministrativa e di organizzazione aziendale, in relazione all’area dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal libro II, Titolo II del codice penale ed inseriti nel catalogo dei cd. “reati - presupposto” del D.Lgs. n. 231/2001 e ss.mm.ii. (cfr. art. 314 e ss c.p. e artt. 24, 25 e ss. del D.Lgs. n. 321/2001 e ss.mm.ii.).

Ciò in quanto un’organizzazione aziendale che attui un efficace e tempestivo sistema di rilevazione della responsabilità del singolo agente, stimolata dalla previsione normativa di meccanismi “premiali” o “terapeutici” che consentano all’impresa di incrementare la propria competitività (probabilità di conquistare la commessa pubblica) e/o di ravvedersi (probabilità di non perdere la commessa pubblica), svolge una triplice funzione:

  • migliora la “qualità” dei sistemi produttivi e dunque migliora la competitività dell’operatore economico con ricadute in termini di miglioramento del benessere individuale e collettivo;
  • valorizza la funzione preventiva e deterrente del sistema penale con positive ricadute in termini di maggiore efficacia degli strumenti di lotta alla corruzione, di riduzione dell’esternalità negative quale è il radicarsi di sistemi anti concorrenziali causati dai meccanismi corruttivi stessi;
  • incrementa la diffusione di best practices aziendali ed amministrative più trasparenti e razionali e l’efficacia dei sistemi di gestione delle organizzazioni pubbliche a discapito della tendenza all’affermarsi di processi degenerativi della funzione pubblica quali, per esempio, i sistemi che fondano le scelte pubbliche, non ottimali, sullo scambio di voti attraverso i cd. “gruppi di pressione”[18], determinando un vorticoso, patologico e quindi pregiudizievole aumento della spesa pubblica in danno della collettività.

Dunque l’auspicio è che l’operatore del diritto si renda sempre più consapevole e partecipe dello spirito innovatore che permea taluni istituti di matrice europea ed internazionale, improntati alla cultura della prevenzione, quale strumento indispensabile per il contrasto efficace dei sistemi corruttivi delle pp.aa., nell’ottica di uno sviluppo sostenibile della collettività.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Cfr. l’art. 1, comma 634 - 636, L 190/2014 (Legge di stabilità 2015) che introduce le cd. norme sul cd. “cambio verso” ovvero il cambiamento del rapporto tra fisco e collaboratori contribuenti. Le origini del cambiamento sono da ricondursi altresì alla l. delega n. 23 dell’11/3/2014 “Delega al Governo per la revisione di un sistema fiscale, più equo, trasparente ed orientato alla crescita” ed alla Convenzione MEF-Agenzia delle Entrate per gli esercizi 2016-2018. Cfr. Relazione tecnica alla l. n. 23/12/2014 n. 190.

[2] D.Lgs. 24/9/2015 n. 215 Misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle Agenzie fiscali, in attuazione dell'articolo 9, comma 1, lettera h), della legge 11 marzo 2014, n. 23.

[3] Il regime dell’adempimento collaborativo, cooperative compliance, introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico e nelle altre giurisdizioni dei Paesi aderenti all’OCSE, una forma di cooperazione tra le due parti contrapposte del rapporto d’imposta, ossia tra il contribuente, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e l’Amministrazione finanziaria. In buona sostanza, con l’adempimento collaborativo viene individuato un momento procedimentale ad hoc idoneo a stimolare il confronto tra i contribuenti e l’autorità fiscale, prima della trasmissione della dichiarazione tributaria, onde evitare che l’eventuale controversia, una volta definitiva, venga suggellata in un atto impositivo. La peculiarità di tale regime è che, rispetto al passato, garantisce una maggiore cooperazione nonché dialetticità tra fisco e cittadino-contribuente, i quali si ritrovano ad operare in un contesto chiaro e trasparente che permette, in primo luogo, di contrastare i fenomeni di evasione fiscale e ridurre, al contempo, il carico del contenzioso tributario su fattispecie giuridicamente incerte. Seguendo le indicazioni dell’OCSE, alcuni ordinamenti fiscali dei Paesi occidentali hanno istituto specifici regimi collaborativi tra contribuenti e autorità fiscali, con lo scopo di ridurre i fenomeni evasivi e, allo stesso tempo, le controversie tributarie. Per completezza espositiva, qui di seguito, si elencano alcuni tra i più significativi modelli di cooperative compliance attualmente in vigore tra i Paesi membri dell’OCSE: il sistema di Tax Compliance Program adottato dal Regno Unito; il Compliance Assurance Program adottato negli Stati Uniti d’America; la Tax payers Engagement Strategy adottata dal Sud Africa; il c.d. Horizontal Monitoring adottato dall’Irlanda e dai Paesi Bassi. Cfr. OECD, Taxpayers rights and obligation. A survey of the legal situation in OECD countries, 1990. Con tale rapporto, essenzialmente veniva evidenziato come le contestazioni fiscali non procedute dalla partecipazione del contribuente alla fase istruttoria eseguita dall’autorità di controllo, avrebbe potuto compromettere la fiducia e la stabilità dei rapporti coinvolti, fungendo da deterrente agli investimenti e alla crescita economica in detti paesi. Le medesime osservazioni sono state ribadite, sempre dall’OCSE, nel rapporto del 2008, OECD, Annual Report, 2008 Guidelines for Multinational Enterprises, dell’11 marzo 2009. Questo documento ha rimarcato la necessità, negli ordinamenti tributari, di addivenire a forme di cooperazione tra contribuenti di grandi dimensioni e Amministrazioni finanziarie. Nel 2013 l’OCSE ha pubblicato il successivo rapporto denominato Cooperative Compliance: A Framework. From Enhanced Relationship to Cooperative Compliance, per mezzo del quale sono stati approfonditi i concetti di “relazione rafforzata” e di “adempimento collaborativo”. Il Provv. dell’Agenzia delle Entrate, n. 101573 del 26 maggio 2017, definisce il “rischio fiscale” quale rischio di operare in violazione delle norme tributarie ovvero in contrasto con i principi e le finalità dell’ordinamento giuridico. L’art. 6, comma 4, D.LGS. 128/2015, sulla scia dell’art. 6 e 8 della Legge delega n. 23/2014, specifica come i soggetti potenzialmente esposti a contestazioni di natura penale, possano chiedere all’Agenzia delle Entrate di trasmettere al P.M. la loro adesione al regime collaborativo, al fine di attenuare o escludere la colpevolezza in relazione all’eventuale illecito contestato.

[4] D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231 in Gazz. Uff., 19 giugno, n. 140 - Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[5] Il D.Lgs n. 231/2001 attua la delega contenuta nell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300  che è normativa di ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali:
– Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996;
– Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996;
– Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997.

Il contesto europeo ed internazionale invita a riflettere, anche alla luce di alcune pronunce della Corte di Cassazione, su come tali iniziative remediali potrebbero risultare particolarmente efficaci se adottate in relazione a programmi di giustizia riparativa, dei quali vengono sinteticamente illustrati i principi fondamentali sanciti da Nazioni Unite, Unione Europea e Consiglio d’Europa. L’ambiente culturale all’interno del quale ci si muove è quello della cd. “RESTORATIVE JUSTICE”.

La nuova e più ampia dimensione dell’attività imprenditoriale è stata determinata non solo da esigenze legate alla ricerca di maggiore competitività, ma anche da un diverso e più recente fenomeno di vera e propria “scelta della legge”, in base al quale anche imprese destinate ad operare in un singolo Paese decidono di costituirsi e gestire la propria attività secondo le regole di un diverso ordinamento, in quanto più favorevoli. Proprio il descritto fenomeno, alla base della “globalizzazione dell’economia”, ha determinato quello che è stato definito il «momento genetico della responsabilità da reato degli enti». Come noto, infatti, la “messa in soffitta” dei fattori culturali e storici alla base delle scelte “negazioniste” in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche è da ascrivere soprattutto agli impegni assunti in sede internazionale ed europea, dove, alla constatazione che “le più diverse forme di attività imprenditoriali generano patologie su scala internazionale, esponendo a pericolo o ledendo beni individuali, collettivi, istituzionali, spesso con vittimizzazione di massa” ha fatto da contrappeso una “prepotente” risposta sanzionatoria. Nella dimensione europea, inoltre, l’esigenza di punire l’ente si è manifestata per evitare lo svantaggio concorrenziale insito nell’esistenza di “zone franche” per le imprese all’interno del mercato unico. Infatti, mentre alcuni Paesi europei, e fra questi l’Italia, rimanevano saldamente legati ad una visione antropocentrica del diritto penale, altri avevano provveduto autonomamente ad una rivisitazione dei principi penalistici sul punto, avendo constatato il ruolo sempre crescente delle entità collettive nelle manifestazioni criminose ed avendo conseguentemente anteposto le esigenze pratiche alle alchimie teoriche. Nonostante la sua matrice internazionale, l’introduzione della responsabilità da illecito penale in capo ai soggetti giuridici diversi dalla persona fisica è un’innovazione epocale per l’ordinamento giuridico italiano.

[6] Cfr. relazione Ministeriale al D.L.gs n. 231/2001 e ss.mm.ii “…Il provvedimento, nel delegare al Governo (art. 11) l'articolazione di un sistema di responsabilità sanzionatoria amministrativa degli enti, ottempera dunque agli obblighi previsti dalla Convenzione OCSE e da altri strumenti di prossima ratifica (si pensi al secondo Protocollo PIF). Più in generale, la quasi totalità degli strumenti internazionali e comunitari in specie, in una pluralità (eterogenea) di materie, dispone la previsione di paradigmi di responsabilità delle persone giuridiche, a chiusura delle previsioni sanzionatorie. Sicché la riforma appariva oramai improcastinabile. Si aggiunga soltanto che essa interpreta l'esigenza, oramai diffusa, di colmare un'evidente lacuna normativa del nostro ordinamento, tanto più evidente in quanto la responsabilità della società è già una realtà in molti paesi dell'Europa (così in Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Portogallo, Irlanda, Svezia, Finlandia). Dal punto di vista della politica criminale, le istanze che premono per l'introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi appaiono infatti ancora più consistenti di quelle legate ad una pur condivisibile esigenza di omogeneità e di razionalizzazione delle risposte sanzionatorie tra Stati, essendo ormai pacifico che le principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere - come si avrà modo di esemplificare di seguito - da soggetti a struttura organizzata e complessa. L'incremento ragguardevole dei reati dei "colletti bianchi" e di forme di criminalità a questa assimilabili, ha di fatto prodotto un sopravanzamento della illegalità di impresa sulle illegalità individuali, tanto da indurre a capovolgere il noto brocardo, ammettendo che ormai la società può (e spesso vuole) delinquere. La complessità del modello industriale post-moderno è anzi notoriamente contraddistinta dall'incremento dei centri decisionali, da una loro accentuata frammentazione e dall'impiego di "schermi fittizi" a cui imputare le scelte e le conseguenti responsabilità. Nella relazione al progetto preliminare di riforma del codice penale, elaborato dalla commissione ministeriale presieduta dal prof. Grosso, si trova efficacemente scritto che la persona giuridica è ormai considerata "quale autonomo centro d'interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell'interesse dell'ente".

[7]Considerando n. 102 e all’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE “…Tuttavia, è opportuno consentire che gli operatori economici possano adottare misure per garantire l'osservanza degli obblighi volte a porre rimedio alle conseguenze di reati o violazioni e a impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo. Tali misure potrebbero consistere, in particolare, in misure riguardanti il personale e l'organizzazione quali la rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell'attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell'adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento. Qualora tali misure offrano garanzie sufficienti, l'operatore economico interessato non dovrebbe più essere escluso solo sulla base di tali motivi. Gli operatori economici dovrebbero avere la possibilità di chiedere che siano esaminate le misure adottate per garantire l'osservanza degli obblighi ai fini di una possibile ammissione alla procedura di aggiudicazione. Occorre tuttavia lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare le esatte condizioni sostanziali e procedurali applicabili in tali casi. Essi dovrebbero essere liberi, in particolare, di decidere se consentire alle singole amministrazioni aggiudicatrici di effettuare le pertinenti valutazioni o affidare tale compito ad altre autorità a livello centrale o decentrato..”.

[8] cfr. art. 57, comma 6 della Direttiva 2014/24/UE “…Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l'esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l'operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l'operatore economico dimostra di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell'illecito. Se si ritiene che le misure siano insufficienti, l'operatore economico riceve una motivazione di tale decisione. Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi della possibilità prevista a norma del presente paragrafo nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza negli Stati membri in cui la sentenza è effettiva…”.

[9]cfr. art. 80, comma 7 e 8 del D.L.gs n. 50/2016 e s.m.i. che prevede: “ 7. Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, e' ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

  1. Se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l'operatore economico non e' escluso della procedura d’appalto”.

[10] Consiglio di Stato, 30/9/2020, sez. V n. 5732  si esprime nei seguenti termini: “Alla luce della richiamata normativa:

  1. a) le Stazioni Appaltanti possono procedere all'esclusione di un concorrente unicamente dopo che le stesse dimostrano, con mezzi adeguati, che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, vietando qualsiasi automatismo all'esclusione dalle procedure di gara;
  2. b) il concorrente che si trova in una delle ipotesi di esclusione, deve essere messo nelle condizioni di fornire la prova di aver adottato tutte le misure contestate, dimostrando la sua affidabilità per non essere escluso dalla gara (principio di proporzionalità).

La normativa europea è stata recepita, per la parte di interesse, dall'art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 50/2016 (nella specie rilevante, ratione temporis, nella formulazione antecedente alla riscrittura operata con il d.l. n. 135/2018, in termini peraltro non rilevanti), la quale prevede che "la Stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.".

Inoltre, il procedimento in contraddittorio è espressamente previsto dai commi 7 e 8, dell'art. 80 del D.Lgs. 50/2016, i quali dispongono che "un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, [...] o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti" e che "se la Stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l'operatore economico non è escluso della procedura d’appalto". L'onere del contraddittorio - oltre ad esser stato introdotto normativamente - è stato anche ribadito e procedimentalizzato dall'ANAC nel paragrafo VI delle Linee Guida n. 6-2017, ove è stato previsto che "l'esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lettera c), deve essere disposta all'esito di un procedimento in contraddittorio con l'operatore economico interessato".

La ratio di tali disposizioni è da ricercare nella volontà del legislatore di consentire ad un operatore economico, che ha subìto una risoluzione contrattuale ma che ha successivamente posto rimedio, di partecipare ad altre procedure d'appalto, previa valutazione da parte della stazione appaltante. Gli operatori economici che si trovano in una delle situazioni di esclusione devono avere la possibilità di chiedere che siano esaminate tutte le misure dagli stessi adottati (quali ad es: riguardanti la rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell'attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell'adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento) per garantire l'osservanza degli obblighi imposti e ad impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo, al fine di valutare se tali misure offrano garanzie sufficienti e, in caso positivo, la loro ammissione alla procedura d'appalto. Diversamente opinando, detti operatori economici non potrebbero mai più partecipare ad una procedura di gara, anche nel caso in cui avessero rimediato ai loro eventuali errori, con l'ovvia conseguenza che gli stessi sarebbero costretti a chiudere le rispettive attività ed avviare le procedure di liquidazione e/o fallimento…”.

[11] cfr. il paragrafo n. 6 delle linee Guida ANAC n. 6/2017

[12] Il Giudice amministrativo si esprime nei seguenti termini: “…l’adozione di misure di self cleaning non consente automaticamente di eliminare la rilevanza escludente degli illeciti professionali commessi dal concorrente, poiché l’idoneità sanante di tali misure deve essere a sua volta oggetto di valutazione da parte della stazione appaltante, mediante un giudizio espresso (cfr: T.A.R. Roma n. 8288/2018; cfr. Tar Lazio, sez. IIIquater n.14119 del 30/12/2020)…”.

[13] Tar Lazio sez.IIIquater n. 14119 del 30/12/2020: “…Il RUP premette che “va tenuto conto infatti che, ai sensi dell’art. 80, comma 7, del Codice (conformemente al considerando n. 102 e all’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE), un operatore economico intenzionato a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione, deve essere ammesso a dimostrare di essersi, per un verso, adoperato per l’eliminazione retrospettiva del danno cagionato e, per altro verso, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico ed organizzativo idonei a prevenire, pro futuro, la commissione di ulteriori reati o illeciti”. Ciò perché “le Linee Guida ANAC n. 6 (par.7.3) precisano che "Possono essere considerati idonei a evitare l’esclusione, oltre alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall’illecito: 1) l’adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative; 2) l’adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale; 3) la rinnovazione degli organi societari; 4) l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l’affidamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento; 5) la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell’esclusivo interesse dell’agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo.”.

[14]Tar Lazio sez. IIIquater n. 14119 del 30/12/2020: “..Il Collegio ritiene invece che le valutazioni operate dall’Amministrazione non concretizzino un “puro formalismo”, perché, come correttamente evidenziato dal RUP nella citata proposta di provvedimento, “le delibere di variazione degli organi amministrativi del-OMISSIS-S.p.a., precedute dalle delibere di variazione degli organi amministrativi della società --OMISSIS- S.p.a., socio di maggioranza del-OMISSIS-S.p.a., consentono di garantire l’indipendenza dei processi decisionali infragruppo: i poteri di amministrazione conferiti all’amministratore delegato sono stati infatti controbilanciati da specifiche deleghe gestorie conferite ad altri consiglieri di amministrazione indipendenti con particolare riferimento alla gestione dei rapporti infragruppo, all’esercizio del voto in sede assembleare, all’attuazione del modello 231 e della gestione delle gare di appalto pubblico (cfr. delibera societaria del-OMISSIS-S.p.a. del 17.7.2017 riportata nella visura camerale storica nonché richiamata a pag. 28 del suddetto “Risk Assessment” e a pag. 14 del Modello Organizzativo ex d.lgs. 231/2001 – parte generale)”. In sostanza, “le specifiche delibere adottate dai rispettivi CdA con lo scopo di escludere l’assoggettamento del-OMISSIS-alle influenze della controllante -OMISSIS- forniscono la prova del c.d. “opting out” ossia l’espressa rinuncia all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della holding e quindi della volontà di non interferire nelle decisioni gestorie della società controllata contrariamente a quanto previsto in via presuntiva dall’art. 2497 sexies del c.c.”….2) Per quanto riguarda il fatto che Inail sostenga che il pericolo di eventuali interferenze del socio persona fisica -OMISSIS- nell’attività di -OMISSIS-sia altresì scongiurato in ragione delle modifiche operate da -OMISSIS-con riguardo al proprio Modello di Organizzazione e Gestione – MOG di cui al d.lgs. n. 231/2001, la ricorrente sostiene che Inail si sia limitata “a prendere atto che -OMISSIS-abbia implementato tali modifiche del MOG ma non spiega perché dette misure siano idonee a superare il giudizio negativo sull’affidabilità del concorrente come contraente pubblico”. Sul punto il Collegio ritiene sufficiente rilevare la circostanza, valorizzata dal RUP, che le modifiche al modello di organizzazione ex D.lgs. 231/2001 sono state ritenute congrue perfino dal Tribunale di Roma, che con ordinanza del 1° agosto 2017, ritenuto che il modello è stato “modificato nel rispetto dei rilievi critici formulati dal GIP” e che è stato “integralmente risarcito il danno” e che l’Operatore ha “eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato” ovvero si è “comunque efficacemente adoperato in tal senso”, ha disposto la revoca della misura interdittiva cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, già disposta nei confronti della -OMISSIS-. dal GIP di Roma con ordinanza del -OMISSIS-, nonché la conseguente restituzione alla società della somma versata a titolo di cauzione, ritenuto che la società ha “adeguatamente adempiuto alle condizioni indicate dal GIP, elaborando e adottando un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, la cui serietà è ulteriormente comprovata dalla circostanza che sono state irrobustite pure le modalità di gestione dei flussi finanziari, benché già ritenute idonee dal GIP”.

D’altra parte, come ben spiegato dal RUP, nel senso da esso prospettato possono essere valorizzate le suddette modifiche al MOG, “con l’esclusione di qualsiasi forma di soggezione dell’Organismo di vigilanza di cui all’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, al fine di assicurarne la piena indipendenza dagli amministratori della società, con conseguente abilitazione a esercitare i poteri di iniziativa e controllo anche nei confronti dello stesso organo amministrativo che lo ha nominato, con la dotazione di un autonomo budget di spesa, e con l’individuazione di nuovi componenti (nell’ambito della seduta del Consiglio di Amministrazione del 28 marzo 2017 e successive integrazioni contenute nel Modello ex d.lgs. 231/01 approvato con delibera del CdA del-OMISSIS-del 25 luglio 2017, cfr. pag. 26 e seguenti del Modello 231 citato)”. Vale a dire, spiega il RUP, che “l’Organismo di Vigilanza ha assunto un ruolo più pregnante nell’esercizio dei poteri di iniziativa e controllo su ogni attività aziendale e livello gestionale sia nei confronti del personale che nei confronti dello stesso Consiglio di Amministrazione. In particolare, la definizione di un adeguato budget di spesa, non subordinato ad autorizzazioni da parte dell'organo amministrativo, rappresenta un aspetto fondamentale per ritenere l’Organismo di Vigilanza effettivamente dotato di "autonomi poteri di iniziativa e controllo" per poter concretamente vigilare sul funzionamento e l'osservanza di quanto previsto dal Modello organizzativo”. E “la presenza di un adeguato budget di spesa partecipa quindi a definire la credibilità dell'Organismo di Vigilanza e del complessivo sistema di gestione del rischio penale messo in atto dalla Società. Un budget limitato, ovvero l'impossibilità di spenderlo senza il nulla osta dell'organo amministrativo, impedirebbe ad esempio all'Organismo di Vigilanza di commissionare, in maniera riservata, adeguate indagini per l'accertamento della fondatezza di una segnalazione effettuata ai sensi dell'art. 6, comma 2-bis, D.lgs. 231/2001 (c.d. whistleblowing)”. Inoltre, “rilevanti misure in tal senso appaiono l’adozione di protocolli di tracciabilità dei contratti di consulenza ed affidamento di incarichi a terzi al fine di impedire il fenomeno delle consulenze fittizie o assegnate a soggetti riconducibili alle persone politicamente esposte con l’intento di conseguire indebiti vantaggi nonché la revisione delle modalità di gestione dei flussi finanziari finalizzate ad impedire la distrazione di somme per fini extrasociali o per scopi estranei all’attività aziendale (trattasi del “Sistema di Gestione Integrato”, del “Protocollo Gestione Consulenze” e del “Protocollo Flussi informativi all’OdV” che costituiscono parte integrante del Modello 231 adottato dal-OMISSIS--OMISSIS-, cfr. Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo - parte speciale reati contro la P.A. punti 6.8, 6.9 e 7)”. In sostanza, chiarisce il RUP, “l’adozione del modello organizzativo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 e le conseguenti modalità di tracciamento di ogni processo decisionale se, da un lato, offrono garanzie sulla trasparenza del modus operandi della società, dall’altro hanno sterilizzato il rischio di ulteriori condizionamenti illeciti nella pianificazione e gestione dell’attività aziendale connessa alla partecipazione alle procedure pubbliche d’appalto”. Cosicché, “dalla copiosa documentazione prodotta, con riferimento ai fatti sopra menzionati, emerge una netta presa di distanza del-OMISSIS-S.p.a. dalla pregressa gestione societaria, riconducibile al dominus occulto -OMISSIS-”, perché “l’attuazione di condotte riparatorie (risarcimento del danno a Consip Spa) e la realizzazione di una serie di misure di autodisciplina finalizzate alla costituzione di un nuovo assetto societario, sono indici che portano a ritenere la nuova governance indipendente ed impermeabile alle possibili pressioni ed agli eventuali tentativi di condizionamento sia del socio di minoranza -OMISSIS- Alfredo che della holding --OMISSIS-”.

[15] Tar Toscana, Firenze sez. II n. 713 del 14/5/2021: “…i fatti che emergono dalla richiesta di rinvio a giudizio dell’amministratore unico della ricorrente sono certamente suscettibili di incidere sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Egli è imputato per avere alterato fraudolentemente la regolarità di una procedura di affidamento inducendo una stazione appaltante ad invitare imprese di cui conosceva la mancanza di interesse per il contratto da aggiudicare, ma al quale era interessata la ricorrente che non avendo possibilità di eseguirlo, si era accordata per farli eseguire integralmente ad altra impresa. Inoltre è imputato della violazione della normativa sul subappalto. Questi sono elementi suscettibili di spiegare influenza diretta sulla regolarità delle procedure di affidamento dei contratti pubblici e che per tale ragione ben possono essere negativamente apprezzati dalla stazione appaltante. È stato stabilito che anche il rinvio a giudizio, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dall'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, può incidere sulla moralità professionale dell’impresa (T.A.R. Toscana I, 14 febbraio 2020 n. 203). A fronte di tali circostanze non occorreva una motivazione particolare per disporre l’esclusione della ricorrente poiché le condotte ascritte al suo legale rappresentante, si ripete, sono suscettibili ictu oculi di incidere sulla trasparenza e l’imparzialità delle procedure di gara e, quindi, sull’affidabilità dell’impresa. In tale situazione spettava alla ricorrente dimostrare l’estraneità dell’interessato ai fatti ascrittigli, cosa che non è avvenuta. Il primo motivo deve quindi essere respinto. 3.2 A fronte della richiesta di chiarimenti inoltrata dalla stazione appaltante, prima dell’esclusione, con nota -OMISSIS-, la ricorrente ha rappresentato di avere adottato misure di self cleaning (nota 10 febbraio 2021) le quali, però, non sono state prese in esame dalla stazione appaltante. Né nel verbale della seduta di gara in data -OMISSIS-, nel corso della quale è stata disposta l’esclusione della ricorrente, né nella nota di comunicazione dell’esclusione -OMISSIS- inviata da Anas, la stazione appaltante prende posizione in ordine a tali misure, limitandosi unicamente a richiamare l’esistenza del rinvio a giudizio a carico dell’amministratore unico della ricorrente stessa. La sua esclusione è quindi illegittima per tale motivo. La stazione appaltante avrebbe dovuto valutare le misure adottate al fine di prevenire successivi eventi in grado di incidere sulla sua affidabilità professionale ma a tanto non ha provveduto, se non in sede processuale con memoria depositata il 7 maggio 2021. Le argomentazioni in essa contenute, tuttavia, non possono essere prese in considerazione perché costituiscono inammissibile motivazione postuma del provvedimento amministrativo (sull’inammissibilità della motivazione postuma, ex multis, C.d.S. III, 29 settembre 2020 n 5719; T.A.R. Lombardia-Milano II, 11 febbraio 2021 n. 388; T.A.R. Lazio-Roma III, 4 gennaio 2021 n. 98)…”.

[16]cfr. art. 95, comma 13 del D.L.gs. n. 50/2016 e s.m.i.: “..Compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parita' di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalita', le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara, nell'avviso o nell'invito i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell'offerta in relazione al maggiore rating di legalita' e di impresa, alla valutazione dell'impatto generato di cui all'articolo 1, comma 382, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, anche qualora l'offerente sia un soggetto diverso dalle societa' benefit, nonche' per agevolare la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese, dei giovani professionisti e delle imprese di nuova costituzione alle procedure di affidamento. Indicano altresi' il maggiore punteggio relativo all'offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull'ambiente, ivi compresi i beni o i prodotti da filiera corta o a chilometro zero…”.

[17]Delibera AGCM del 12 novembre 2012 - Regolamento attuativo in materia di rating di legalità (ultima modifica delibera n. 28361 del 28 luglio 2020). In particolare, l’art. 3, comma 2 prevede che il “…Il punteggio base sarà incrementato di un + al ricorrere di ciascuna delle seguenti condizioni:

  1. a) adesione ai protocolli o alle intese di legalità finalizzati a prevenire e contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale, sottoscritti dal Ministero dell’Interno o dalle Prefetture-UTG con associazioni imprenditoriali e di categoria;
  2. b) utilizzo di sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per somme di importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge;
  3. c) adozione di una funzione o struttura organizzativa, anche in outsourcing, che espleti il controllo di conformità delle attività aziendali alle disposizioni normative applicabili all’impresa o di un modello organizzativo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
  4. Il punteggio base sarà incrementato di un + al ricorrere di ciascuna delle seguenti condizioni:
  5. a) adesione ai protocolli o alle intese di legalità finalizzati a prevenire e contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale, sottoscritti dal Ministero dell’Interno o dalle Prefetture-UTG con associazioni imprenditoriali e di categoria;
  6. b) utilizzo di sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per somme di importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge;
  7. c) adozione di una funzione o struttura organizzativa, anche in outsourcing, che espleti il controllo di conformità delle attività aziendali alle disposizioni normative applicabili all’impresa o di un modello organizzativo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
  8. d) adozione di processi organizzativi volti a garantire forme di Corporate Social Responsibility, anche attraverso l'adesione a programmi promossi da organizzazioni nazionali o internazionali e l'acquisizione di indici di sostenibilità;
  9. e) di essere iscritta in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa istituiti ai sensi delle vigenti disposizioni di legge (white list);
  10. f) di aver aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di categoria o di aver previsto, nei contratti con i propri clienti, clausole di mediazione, quando non obbligatorie per legge, per la risoluzione di controversie o di aver adottato protocolli tra associazioni di consumatori e associazioni di imprese per l’attuazione delle conciliazioni paritetiche; 
  11. g) di aver adottato modelli organizzativi di prevenzione e di contrasto della corruzione. 

[18] Il riferimento è ai sistemi corruttivi indotti dai meccanismi di assunzione delle decisioni pubbliche secondo interessi individualistici in contrasto con gli interessi della collettività. La classificazione di tali meccanismi decisionali, disancorati da logiche razionali e trasparenti (cd. logrolling), risale alle teorie statunitensi della Public Choice (Buchanan e Tullock 1962). Il cd. logrolling rappresenta una delle più importanti criticità dell’azione pubblica, ostacolo al corretto funzionamento dei meccanismi di concorrenza leale e dunque ostacolo allo sviluppo del tessuto socio-economico. Seppure in assenza di fonte certa, piace ricordare, vista la colorata ed ironica espressione, efficace nel riassumere quanto sin qui detto, come si narri che la genesi del termine, nella sua applicazione legislativa, sembrerebbe ricondursi al pioniere Davy Crockett, membro del Congresso statunitense che nel 1835 avrebbe riferito alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti “…alla mia gente non piace che io registri i loro affari e voti via prima del diritto di prelazione ai borsisti in altri stati che non accendono mai un fuoco sulla propria terra…”.