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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La convalida nel corso del giudizio.

Di Laura Pergolizzi
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE SESTA,

SENTENZA 27 aprile 2021, n. 3385

 

La convalida nel corso del giudizio

Di Laura Pergolizzi

 

Con la decisione in commento il Consiglio di Stato ha affermato l’emendabilità, tramite l’atto di convalida, del vizio di motivazione del provvedimento amministrativo nel corso del giudizio già instaurato per il suo annullamento.

 

  • Premessa
  • Il Caso
  • Il principio di conservazione degli atti giuridici. La convalida
  • L’emendabilità con la convalida del vizio di motivazione
  • La convalida nel corso del giudizio già instaurato per l’annullamento dell’atto. Evoluzione giurisprudenziale

 

  • Premessa

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento prende immediatamente le distanze dal dibattito sul tema della motivazione postuma e precisa che nel giudizio in esame viene in rilievo la diversa fattispecie della conservazione dell’atto amministrativo operata mediante un nuovo atto integrativo della motivazione insufficiente, la convalida.

A tal fine chiarisce che il problema della integrazione dell’atto amministrativo può essere tematizzato in relazione a diverse fattispecie:

  1. i) la motivazione postuma fornita dall’amministrazione resistente attraverso gli scritti difensivi;
  2. ii) la motivazione postuma attraverso la regola del raggiungimento dello scopo in applicazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990;

iii) la possibilità di sanare la motivazione carente o insufficiente con un provvedimento di convalida.

Con riguardo alle prime due fattispecie il Collegio ricorda come sia la dottrina che la giurisprudenza abbiano sostenuto l’opinione di inammissibilità della motivazione postuma sia attraverso gli scritti difensivi che attraverso la regola del raggiungimento dello scoporitenendola in contrasto con le regole del giusto procedimento amministrativo come delineato dal diritto euro-unitario.

La questione sollevata pone invece il problema dell’integrazione della motivazione dell’atto amministrativo in corso di giudizio mediante la convalida ed è in parte nuova.

Al fine di decidere sulla possibilità della conservazione dell’atto amministrativo operata mediante la convalida in corso di giudizio il Collegio,dopo una puntuale e dettagliata digressione sull’istituto della convalida, affronta due temi:

  1. i) l’emendabilità tramite l’atto di convalida del vizio di motivazione, in termini generali
  2. ii) la possibilità della convalida e nel corso del giudizio già instaurato per l’annullamento dell’atto.

All’esito di tale disamina il Collegio conclude sulla possibilità di emendare l’atto con la convalida, in quanto l’integrazione della motivazione non costituisca l’esito di una rinnovata istruttoria e di valutazioni autonome e distinte rispetto a quelle esplicitate in origine. Questa soluzione è conforme a principi di effettività e concentrazione del nuovo processo amministrativo contenuti nell’art. 7, comma 7, del c.p.a., i quali postulano il massimo ampliamento del contenuto di accertamento del giudicato amministrativo.

L’ammissibilità, nei limiti anzidetti, di una motivazione successiva non comporta una ‘dequotazione’ dell’obbligo motivazionale.

 

  • Il Caso

Il caso esaminato nella sentenza in commento prende le mosse dall’organizzazione dell’edizione italiana della manifestazione “Eletto prodotto dell’anno”, ad opera della società Marketing e Innovazione Italia s.r.l..

Il Codacons, con esposto in data 2 aprile 2013, segnalava all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito: l’Autorità) che: l’intera manifestazione avrebbe costituito una pratica commerciale scorretta per orientare in maniera ingannevole i consumatori verso determinati prodotti, scelti soltanto tra quelli iscritti ed ammessi alla manifestazione; il conseguimento del titolo “Eletto prodotto dell’anno” costituirebbe il ritorno di un mero investimento effettuato dalle aziende della grande distribuzione quantificato nella somma richiesta dalla Società, a titolo di contributo per le spese di organizzazione della manifestazione, suscettibile di ingenerare nei consumatori un falso affidamento nel marchio in questione.

L’Autorità con nota del 23 settembre 2013 comunicava al Codacons l’archiviazione per “manifesta infondatezza” dell’esposto motivando «risultino assenti gli elementi di fatto idonei a giustificare ulteriori accertamenti».

Il Codacons, con ricorso e successivi motivi aggiunti, impugnava anche il provvedimento di archiviazione dell’esposto del 23 settembre 2013, lamentandone a vario titolo l’illegittimità ed in particolare l’insufficiente motivazione, richiedendone il riesame.

Con atto del 18 aprile 2014, prot. n. 23782, l’Autorità confermava il non luogo a provvedere.

Con nuovi motivi aggiunti il Codacons impugnava il nuovo provvedimento.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 1118 del 2018, dichiarava l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti (relativi alla nota di archiviazione del 23 settembre 2013). Respingeva nel merito i secondi motivi aggiunti (aventi ad oggetto l’atto di archiviazione come confermato in data 18 aprile 2014), affermando che la nota dell’Autorità ha adeguatamente motivato circa l’assenza della ingannevolezza nella pratica oggetto di segnalazione.

Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Codacons, rilevando, in particolare, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato improcedibili il ricorso e i motivi aggiunti, non essendosi il giudice di prime cure avveduto che il successivo provvedimento di archiviazione assunto in data 18 aprile 2014, - con il quale l’Autorità non si era limitata a confermare l’archiviazione ma aveva fornito le ragioni a sostegno della decisione - si sarebbe posto in contrasto con il divieto di motivazione postuma.

Il Consiglio di Stato perviene alla conclusione che l’Autorità, nel caso esaminato, con la convalida in corso di giudizio ha semplicemente esplicitato con maggiore chiarezza i fatti ‒ già acquisti al procedimento ‒ che a suo parere escludono in radice il carattere scorretto della pratica commerciale segnalata.

 

  • Il principio di conservazione degli atti giuridici. La convalida

L’esigenza di conservazione degli atti giuridici in presenza di vizi di validità ha ispirato la riflessione di giuristi di ogni epoca nel tentativo di bilanciare l’osservanza di precetti legislativi (principio di legalità) con la necessità di non disperdere l’attività giuridica compiuta (principio di conservazione) in ragione degli effetti materiali prodotti dal comportamento o dall’atto giuridico posto in essere.

Il principio di conservazione degli atti giuridici è un principio trasversale che permea di sé l’intero ordinamento giuridico in virtù della naturale vis espansiva che lo caratterizza .

Occorre rilevare come il principio di conservazione assuma un rilievo centrale in ambito privatistico, nell’attività di interpretazione del contratto e più in generale del negozio giuridico e nella salvaguardia della loro efficacia giuridica nei casi di invalidità. Nel sistema tratteggiato dal codice civile rinviene il proprio fondamento da un lato nel principio di economia dei mezzi giuridici, dall’altro dall’intentio legis di preservare la volontà negoziale dei contraenti nei limiti di ragionevolezza degli interessi perseguiti .

In ambito pubblicistico, e in particolare nel diritto amministrativo,l’esigenza di preservare taluni atti ammnistrativi viziati nell’esercizio della funzione amministrativa sebbene trovi la sua ragion d’essere nel principio di economia dei mezzi giuridici, opera con modalità diverse.

La forma procedimentale di esercizio del potere, la natura degli interessi perseguiti tendono a differenziare l’attività della P.A. dalla attività dei privati determinando modalità applicative diversedel principio di conservazione .

L’esigenza di salvaguardare la validità e l’efficacia degli atti compiuti si manifesta con particolare intensità nella funzione di riesame della P.A..

E’ possibile in tal senso distinguere i procedimenti ad esito conservativo (convalida, sanatoria, conversione e conferma) da quelli ad esito demolitorio (annullamento d’ufficio e revoca).

Il potere di convalida, quale espressione di diritto positivo del principio di conservazione degli atti giuridici, trae fondamento dall'art. 6 della Legge 18 marzo 1968, n. 249, norma con valenza generale, e consente di sanarecon efficacia retroattiva l'atto viziato da incompetenza, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente.

Prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate alla legge n.241/1990, il potere della P.A. diconvalidare un atto amministrativo viziato era espressamente previsto a livello normativo solo conriguardo al vizio di incompetenza e la legge espressamente consentiva la convalida retroattiva in pendenza di giudizio; nel silenzio della legge, con riguardo agli altri vizi si escludeva la possibilità della convalida in corso di giudizio.

Con l’introduzione dell’art. 21-nonies comma 2 della legge n. 241/1990, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 15/2005 si prevede “la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di pubblico interesse ed entro un termine ragionevole”.

In via generale, per effetto dell’art. 21-nonies, comma 2, il potere di convalida da parte della P.A.  viene esteso anche ai vizi diversi da quello di incompetenza.

La collocazione della norma – spiega il Collegio - nel medesimo articolo dedicato all’annullamento d’ufficio, conferma la comune ambientazione dei due istituti nell’ambito dell’autotutelaovvero della potestà generale dell’amministrazione di prevenire o risolvere le controversie sulla legittimità dei propri atti, inquadrandoli fra i procedimenti di secondo grado. La correlazione con l’annullamento d’ufficio appare altresì espressiva di un principio di preferenza per la scelta amministrativa volta alla correzione e alla conservazione ‒ ove possibile ‒ di quanto precedentemente disposto, rispetto all’opzione eliminatoria.

Si tratta dunque di un potere positivo diretto alla conservazione del provvedimento viziato mediante l'eliminazione di un vizio di legittimità invalidante e come tale annullabile: l’Amministrazione, anziché procedere al ritiro dell’atto, può con una propria determinazione volitiva mantenere in vita l’atto.

La competenza, come in generale per tutti i provvedimenti adottati nell’esercizio dell’autotutela, consegue alla titolarità del potere di adozione dell’atto. In altri termini il potere di convalida spetta all'amministrazione procedente in primo grado e all'autorità a questa gerarchicamente superiore. Non potrà più legittimamente essere esercitato da quell'autorità che, seppur competente ad emanare l'atto di primo grado, sia stata successivamente privata dell'attribuzione o della legittimazione per ius superveniens.

Per costante giurisprudenza la convalida di un atto amministrativo viziato è effettuata dalla P.A. nell'esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all'esito di un procedimento di secondo grado, laddove sussistano ragioni di pubblico interesse e non sia decorso un termine ragionevole dall'adozione dell'atto illegittimo.

La convalida è quindi il nuovo provvedimento con cui in modo espresso la Pubblica Amministrazione conclude il procedimento di riesame, intervenendo su un provvedimento amministrativo viziato emendandolo dai vizi che hanno determinato l’illegittimità e dunque l’annullabilità.

Pur sussistendo la necessità di motivare in ordine all’adozione del provvedimento di convalida, ciò, tuttavia, non comporta che l’organo adottante debba ripercorrere, con obbligo di dettagliata motivazione, tutti gli aspetti (e gli atti del procedimento) relativi al provvedimento convalidato, essendo sufficiente che emergano chiaramente dall’atto convalidante le ragioni di interesse pubblico e la volontà dell’organo di assumere tale atto.

Sul piano della dinamica giuridica, - afferma il Collegio - la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla “saldatura” con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma. L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato

L'orientamento prevalente della dottrina e della più consolidata giurisprudenza ritiene la decorrenza ex tunc connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. Infatti se gli effetti della convalida non retroagissero sino all'emanazione dell'atto invalido, la convalida perderebbe ogni suo effetto pratico: lo stesso risultato potrebbe ottenersi con l'annullamento dell'atto invalido e l'emissione di un nuovo atto.

Sono stati tuttavia individuati alcuni limiti alla efficacia retroattiva della convalida, non tutti pacificamente accolti.

Si discute, per esempio, se siano convalidabili gli atti divenuti inoppugnabili nonché quelli relativi alle posizioni consolidate del terzo.

Dati vizi, inoltre, non possono essere rimossi con la convalida (es., un travisamento dei fatti; la mancanza di urgenza) perché legati a difetti o circostanze esterne non dipendenti dalla volontà della pubblica amministrazione.

La retroattività della convalida trova senz’altro un importante limite espressamente codificato nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere sia sottoposto ad un termine perentorio, scaduto il quale anche il potere di convalida viene necessariamente meno.

 

  1. L’ emendabilità tramite l’atto di convalida del vizio di motivazione

Operata dunque una dettagliata digressione sull’istituto della convalida, il Collegio affronta il tema dell’emendabilità tramite l’atto di convalida del vizio di motivazione, in termini generali.

La pronuncia si pone in linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cuinon tutti i vizi di motivazione dell’atto sono emendabili con la convalida, ma solo quelli che non attengono alla sostanza decisionale del provvedimento.

La convalida sembra limitare la sua operatività nei confronti dei vizi di legittimità formale.

Per ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e di conservazione dei valori giuridici, è possibile la convalida di atti amministrativi affetti da vizi non afferenti al loro contenuto sostanziale.

Deve ritenersi inoltre possibile per la pubblica amministrazione anche di procedere alla convalida di un provvedimento non annullabile ai sensi del citato comma 2 dell’art. 21-octies (la cui regola si muove sul piano processuale), sebbene in tal caso l’utilità giuridica consista al più soltanto in una maggiore certezza e stabilità del rapporto amministrativo.

Il Collegio sul punto condivide alcuni recenti arresti della giurisprudenza amministrativa intervenuti a seguito dell’introduzione dell’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, il quale esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La disposizione in parola, dunque, consentirebbe all’Amministrazione di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato, almeno in caso di potere vincolato.

Non sono invece sanabili i vizi che possono definirsi “sostanziali” ‒ derivanti cioè dall’insussistenza di un presupposto o requisito di legge, ovvero dall’irragionevolezza e non proporzionalità del decisum ‒ rispetto ai quali la semplice dichiarazione dell’Amministrazione di volerli convalidare non può che rimanere priva di effetto.

La convalida, in questi casi, non potrebbe mai assicurare il permanere, senza alterazioni, della parte dispositiva del provvedimento su cui intende operare. Se infatti l’illegittimità attiene al contenuto dell’atto, la stessa può essere eliminata solo attraverso la sua riforma.

Poste le basi per comprendere entro quali limiti è possibile convalidare il vizio di insufficiente motivazione il Collegio declina la seguente distinzione:

  1. i) se l’inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), il difetto degli elementi giustificativi del potere non potrà essere emendato e l’atto dovrà comunque essere annullato;
  2. ii) se invece la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza del discorso giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione presa, siamo di fronte ad un vizio formale dell’atto e non della funzione.

In definitiva nelle ipotesi di vizi formali dell’atto  non vi sono ragioni per non riconoscersi all’amministrazione la possibilità di munire l’atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente, lasciandone ferma l’essenza dispositiva, in quanto rifletta la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento.

 

            5 La convalida nel corso del giudizio già instaurato per l’annullamento dell’atto. L’evoluzione giurisprudenziale.

Da quanto esposto appare del tutto evidente che l’esercizio del potere di convalida presuppone un atto non ancora annullato (quale che sia stata la sede in cui l’annullamento è intervenuto), mancando, in difetto di ciò, lo stesso “oggetto” dell’esercizio del potere di autotutela decisionale.

Muovendo da tale premessa il Collegio affronta il tema della possibilità per la P.A. di adottare un autonomo e distinto provvedimento volto ad ovviare alle lacune motivazionali del primo, oggetto di un giudizio pendente.

A lungo, in giurisprudenza è stata esclusa l’ammissibilità di interventi provvedimentali “sananti” in pendenza del giudizio, ritenuti non compatibili con l’esigenza di salvaguardare il rispetto del principio costituzionale di parità delle armi nel processo amministrativo.

Nel vigore del modello processuale amministrativo primigenio ‒ rileva il Collegio -  in cui la res litigiosa era tutta incentrata “sull’atto”, si è sempre ritenuta ineludibile condizione di ammissibilità della convalida la circostanza che non fosse pendente l’impugnativa dell’atto da convalidare. Se infatti ‒ si diceva ‒ la convalida valesse ad impedire l’annullamento dell’atto invalido in pendenza di una impugnativa giurisdizionale, l’Autorità finirebbe con l’eludere le garanzie predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento, il quale «ha acquisito il diritto a ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato».

In proposito è stato evidenziato dalla giurisprudenza che l’adozione di un nuovo atto, quando non sia meramente confermativo di un provvedimento precedente già oggetto di impugnazione giurisdizionale ma costituisce (nuova) espressione di una funzione amministrativa, comporta la pronuncia d'improcedibilità del giudizio in corso per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l'interesse del ricorrente dall'annullamento dell'atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, all’annullamento di quest'ultimo.

Affinché possa escludersi che un atto sia meramente confermativo del precedente occorre che la sua formulazione sia preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e diritto caratterizzanti la fattispecie considerata, può dar luogo ad un atto non propriamente confermativo, in grado, come tale, di dar vita ad un provvedimento diverso dal precedente e, quindi, suscettibile di autonoma impugnazione

La teorica esposta è stata ripensata dalla stessa giurisprudenzaamministrativa.

Un primo argomento addotto a sostegno della tesi contraria, volta ad ammettere la riedizione del potere da parte dell’Amministrazione, in funzione correttiva delle lacune motivazionali dell’impugnato provvedimento, è quello tratto dalla considerazione degli effetti sistemici e di più ampio respiro derivanti dalla famosa svolta segnata dalle Sezioni unite di Cassazione n. 500 del 22 luglio 1999 in tema di risarcibilità dei danni da lesione di interesse legittimo.

Ammesso, infatti, che l’Amministrazione possa essere chiamata a rispondere in sede risarcitoria delle illegittimità dei suoi atti, si è ritenuto che non possa più essere negata alla stessa, quando abbia riscontrato un’ipotesi di illegittimità nel proprio operato e benché sia pendente al riguardo un giudizio, il potere-dovere di intervenire per porvi rimedio, allo scopo di circoscrivere, così, la propria eventuale responsabilità limitando possibili danni per l’erario.

L’Amministrazione, pertanto, deve essere posta in condizioni tali da poter esercitare un ampio jus poenitendi in autotutela. Diversamente, verrebbe violato il principio della parità tra le parti del processo, finendo la pendenza del ricorso del privato per impedire all’Amministrazione, pur assoggettata al principio paritario del neminem laedere, di assumere iniziative di diligenza a difesa (oltre che della legalità) dei propri interessi anche patrimoniali.

Ulteriore argomento utilizzato per ripensare la tematica in esame è quello tratto dalla riscrittura della disciplina relativa all’estensione del rimedio costituito dal ricorso per motivi aggiunti .

Secondo più avanzate puntualizzazioni giurisprudenziali sul tema è dunque legittima l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo che avvenga, da parte dell’amministrazione competente, mediante gli atti del procedimento od un successivo provvedimento di convalida. Non si vede come l’integrazione dell’atto con la convalida, in luogo del suo autoannullamento, unitamente agli atti conseguenti, comprimano il diritto di difesa, dal momento che sia la rettifica, sia il nuovo provvedimento, ove ritenuto parimenti lesivo in quanto recante lo stesso dispositivo del primo, non avrebbero potuto non essere entrambi oggetto di impugnazione con ricorso autonomo o con motivi aggiunti, come pure consentito dall’art. 43 c.p.a.

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento muove in parte dalla superiore considerazione rilevando come le ragioni di preclusione in pendenza di una impugnativa giurisdizionale, nel vigore del modello processuale amministrativo primigenio, siano totalmente venute meno nell’impianto del nuovo processo amministrativoche riconosce al privato con la proposizione dei motivi aggiunti la possibilità di impugnare tutti i provvedimenti adottati in pendenza di ricorso.

La novità della pronuncia è data dalla valorizzazione del principio di effettività e di  concentrazione della tutela, contenuti negli articoli 1 e  comma 7 del c.p.a., i quali postulano il massimo ampliamento del contenuto di accertamento del giudicato.

Prima della espressa codificazione nell’art 1 c.p.a., il principio di effettività era rimesso alla sensibilità del giudice nazionale veniva  utilizzato come strumento di estensione della tutela ad aree o questioni per le quali il giudice non disponeva di una norma positiva di specie .

La codificazione del principio nell’art 1 c.p.a. porta a compimento un lungo percorso  di affinamento degli strumenti necessari ad assicurare una tutela piena ed effettiva ai singolisecondo i principi della Costituzione e del diritto europeo, rappresentando un indice cui deve attenersi  non solo il Legislatore nel definire gli strumenti di tutela azionabili da parte dei singoli, ma anche il Giudice, nell’esercizio della funzione giurisdizionale.

Il giudice è chiamato ad accertare l’effettiva consistenza della pretesasostanziale prospettata dal ricorrente e ad assicurare, a fronte di una legittima lesione, la soluzione più satisfattiva tra quelle in concreto disponibili, ivi compreso il risarcimento nelle sue varie forme.

Parte integrante dell’effettività della tutela è la sua concentrazione espressamente enunciata all’articolo 7 comma 7, ove si legge che il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione dinanzi al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e,  nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.

Sulla scorta di tali premesse il Collegio afferma che il principio di effettività e di concentrazione della tutela ex art 7 comma 7 del c.p.a. coniugando l’inesauribilità del potere amministrativo con il diritto di difesa  agevola entrambe le parti del giudizio.

Chiarisce al riguardo il Collegio che al privato è oramai riconosciuta la possibilità di impugnare, mediante la proposizione di motivi aggiunti, tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e connessi all’oggetto del ricorso stesso: l’interessato, quindi, nel corso del medesimo giudizio, ben potrà domandare, sia l’annullamento dell’atto di convalida perché autonomamente viziato, sia l’annullamento dell’atto come convalidato, adducendone la persistente illegittimità.

L’amministrazione dal canto suo potrà dimostrare che l’insufficiente motivazione non ha alterato la fondatezza sostanziale della decisione mediante un atto di integrazione della motivazione che non costituisca l’esito di una rinnovata istruttoria ma una esplicitazione di elementi già acquisti al procedimento.

Nel nuovo sistema processuale configurato sussiste quindi un  bilanciamento tra l’effettività della tutela del privato e la necessità dell’Amministrazione di evitare annullamenti del tutto «sovradimensionati» rispetto alla reale consistenza dell’interesse materiale del privato, inapplicazione del principio di conservazione degli atti amministrativi e dei loro effetti giuridici, codificato dall’art. 21 nonies, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241 e ss.mm.ii.

L’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo che avvenga, da parte dell’amministrazione competente, è da considerarsi legittima nella misura in cui avvenga mediante un atto di convalida che emendi l’insufficienza del discorso giustificativo.

Conclusioni

Il quadro delineato dimostra l’impegno del giudice amministrativo nella direzione dell’effettività della tutela.

Un approccio sostanziale al processo, che si sforza di tener conto del reale bisogno di tutela che hanno gli interessi in gioco, non può prescindere dalla possibilità per l’Amministrazione di concludere il riesame del proprio operato con una decisione di carattere conservativo, che trova fondamento nel principio generale di economicità e conservazione dei valori giuridici e nella garanzia del buon andamento dell’agire amministrativo.

Rimane invece inammissibile la formulazione di argomentazioni difensive a giustificazione del provvedimento impugnato non evincibili nemmeno implicitamente dalla sua motivazione, ciò costituendo un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, come tale non consentita in quanto

non inserita nell’ambito di un procedimento amministrativo.