Giurisprudenza Amministrativa
La buona fede e la responsabilità precontrattuale nei contratti pubblici.
Di Alessandra Scafuri
NOTA A CONSIGLIO DI STATO – ADUNANZA PLENARIA,
SENTENZA 29 novembre 2021, n. 21
La buona fede e la responsabilità precontrattuale nei contratti pubblici
di ALESSANDRA SCAFURI
Sommario: 1. La “contrattualizzazione” della responsabilità precontrattuale 2. Le riflessioni del Supremo Consesso Amministrativo
- La contrattualizzazione della responsabilità precontrattuale
La fase delle trattative, di norma prodromica alla stipula del contratto, risulta essere caratterizzata da particolare complessità poiché in essa si manifestano comportamenti ovvero atti atipici, fonti di responsabilità cd. precontrattuale.
Il codice civile disciplina le due forme di responsabilità precontrattuale agli artt. 1337 c.c. e 1338 c.c.
La prima concerne la responsabilità da mancata stipulazione di un contratto, conseguente alla violazione del principio di buona fede, ricavabile dall’art. 2, Cost. relativo al principio della solidarietà sociale.
La buona fede è considerata come fonte integrativa del contratto, ai sensi dell’art. 1173 c.c. delineante il sistema atipico delle fonti di obbligazioni.
Il dovere di buona fede di cui all’art. 1337 cc. si traduce in una regola di condotta - e non di validità del contratto - per cui il contratto concluso in seguito alla violazione di tale dovere risulta valido, ancorché la parte sia responsabile per la condotta tenuta e sia pertanto costretta a risarcire il danno all’altro contraente.
L’art. 1338 c.c. si riferisce, invece, alla responsabilità precontrattuale da violazione degli obblighi informativi, quale species della generale clausola di buona fede. La responsabilità ex art. 1338 c.c. impone di
informare l’altro contraente circa la sussistenza di una causa di invalidità del contratto.
Le due forme di responsabilità precontrattuale sono accomunate dalla medesima ratio di tutela del contraente debole, rectius di tutela del legittimo affidamento maturato da parte del contraente che si sia comportato correttamente durante le trattative ovvero di colui che non abbia la conoscenza di tutte le circostanze contrattuali, in caso di asimmetrie informative.
L’affidamento è legittimo quando è ragionevole. La ragionevolezza dell’affidamento può coincidere con la buona fede, intesa in senso oggettivo, quale correttezza e consapevolezza di non ledere l’altrui diritto, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.
Costanti orientamenti giurisprudenziali, anteriori a Cass. civ. Sez. I, sent. n. 14188/2016, ascrivevano la responsabilità precontrattuale all’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. con il conseguente regime di prescrizione ed il gravoso onere probatorio in capo al danneggiato.
Tale indirizzo riconduceva la responsabilità precontrattuale all’illecito aquiliano partendo dalla considerazione per cui il torto[1] scaturisce dall’assenza di contratto, dal quale la responsabilità precontrattuale prescinde.
Il revirement dettato dalla Corte di Cassazione con la suddetta pronuncia ha ricondotto detta responsabilità a quella contrattuale ex art. 1218 c.c., mediante l’elaborazione della teoria del contatto sociale qualificato. Esso, in virtù dell’affidamento che ingenera, impone ai contraenti specifici obblighi di protezione i quali, se violati, sfociano in una responsabilità da inadempimento.
In difetto del cd. quasi contratto, ossia di un contratto che non si è perfezionato, la responsabilità si fonda su un vincolo definito dalla dottrina “contatto sociale qualificato” per cui due soggetti non parti di un contratto, sono obbligati da un vincolo sociale di cui all’art. 2, Cost., da cui deriva la necessaria osservanza delle regole di buona fede. Si tratta di un “rapporto obbligatorio senza obbligo di prestazione”, qualificato dall'affidamento reciproco delle parti, connotato da obblighi di informazione e di protezione, costituenti un completamento ed un corollario dell’obbligo di buona fede che grava su ciascuna parte, laddove una viene ad assumere una posizione di garanzia nei confronti dell'altra.
Il contatto sociale tra i due soggetti per esser fonte di responsabilità e non mero torto deve esser “qualificato”, preordinato al perseguimento di uno specifico scopo che generi l’affidamento di una parte circa la correttezza e buona fede dell’altra.
Nell’ascrivere la responsabilità precontrattuale alla categoria di quella contrattuale, la giurisprudenza di legittimità ravvisa la configurazione di un reciproco affidamento dei contraenti, “qualificato dall'obbligo di buona fede e dai conseguenti obblighi di informazione e di protezione, prescritti dagli artt. 1175, 1375, 1337 e 1338 c.c.
La Cassazione ha registrato un “significativo ampliamento dell’area di applicazione della responsabilità contrattuale che è certamente frutto di un'evoluzione nel modo di intendere la responsabilità civile che dottrina e giurisprudenza hanno operato, nella prospettiva di assicurare a coloro che instaurano con altri soggetti relazioni significative e rilevanti, poiché involgenti i loro beni ed interessi – sempre più numerose e diffuse nell'evolversi della società, dei bisogni e delle esigenze dei cittadini – , una tutela più incisiva ed efficace rispetto a quella garantita dalla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. Quest'ultima resta, pertanto, limitata al solo ambito nel quale si riscontrino lesioni ab extrinseco a beni o interessi altrui, al di fuori di qualsiasi rapporto preesistente che si ponga come fonte di obblighi di vario genere (di prestazione e/o di protezione), tali da radicare una responsabilità di tipo contrattuale[2]”.
La valorizzazione del dovere di buona fede e correttezza è coerente con la funzione che il legislatore italiano ha attribuito alla responsabilità civile, ossia la funzione risarcitoria e non sanzionatoria[3], propria di altri ordinamenti.
L’art. 1, comma 2-bis della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 120/2020, ha positivizzato il principio di correttezza e buona fede anche nel rapporto di diritto pubblico tra amministrazione e privati. Il procedimento amministrativo, quale luogo di contemperamento di interessi pubblici e privati, non deve pervenire ad una unilaterale statuizione potenzialmente lesiva dell’interesse legittimo del privato, bensì deve rappresentare un tavolo di confronto con il suo destinatario.
La ratio legis è sempre stata volta al rafforzamento della dialettica endoprocedimentale, con l’introduzione del corredo di diritti partecipativi riconosciuti in capo al soggetto inciso dal provvedimento, anche nell’ottica di deflazione del contenzioso.
La buona fede, quindi, deve ispirare tanto la contrattazione privata quanto quella pubblica.
Sulla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione per mancata conclusione del procedimento di project financing, il Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 5870/2021 ha ritenuto responsabile l’amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione circa il buon esito delle trattative.
Sulla quantificazione del danno da responsabilità contrattuale, il Consiglio di Stato, sez. V, sent. n.5274/2021 ha asserito che il risarcimento va parametrato al c.d. interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente che sia il lucro cessante.
- Le riflessioni del Supremo Consesso Amministrativo
La II Sezione del Consiglio di Stato[4] ha deferito all’Adunanza Plenaria alcune questioni in materia di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione per l’affidamento suscitato nel destinatario di un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica, illegittimamente emanato e poi caducato in sede giurisdizionale, nell’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata dall’amministrazione in attuazione della pronuncia di annullamento.
La pronuncia riconosce un temperamento alla tutela del legittimo affidamento del privato laddove egli possa prevedere l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento su cui aveva confidato.
La prevedibilità della mancata stipula, per recesso dalle trattative, anche in ipotesi di annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, può scalfire la legittimità dell’affidamento serbato riguardo alla situazione giuridica creatasi.
Nella sentenza in commento si riprende la nozione di affidamento elaborata dalla giurisprudenza amministrativa[5], quale “principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività”.
Sempre più si assiste ad un allineamento tra settore civile ed amministrativo[6] che non può essere ignorato dai due plessi giurisdizionali. Pertanto, il Collegio sviluppa ed adatta le nozioni civilistiche di buona fede e correttezza al rapporto giuridico di diritto privato, adattandole alle sue peculiarità.
L’affidamento nasce all’interno dei rapporti di diritto civile al fine di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata per approdare anche nella dimensione pubblicistica, sia nel corso del procedimento amministrativo sia in seguito all’emanazione del provvedimento conclusivo.
In 23 punti di diritto, il Collegio ribadisce i principi espressi dalla stessa Adunanza plenaria 29 novembre 2021, n. 19 circoscrivendo la configurabilità del risarcimento per lesione del legittimo affidamento del privato nel settore dei contratti pubblici. E’ proprio in tale ambito, infatti, che la giurisprudenza tende a condannare l’amministrazione al risarcimento del danno cagionato agli operatori economici. Tale orientamento è dettato dalla proiezione del principio di buona fede e correttezza ex art. 1337 c.c. nella contrattualistica pubblica, cui si applicano i principi di diritto comune, ove compatibili.
La Plenaria rammenta il recente intervento del legislatore che ha inteso valorizzare il principio suddetto nel rapporto di diritto pubblico nell’impianto della legge n. 241/1990, all’art.1, comma 2-bis. Il sistema tende sempre più ad un procedimento partecipato per addivenire ad un provvedimento quanto più condiviso e frutto del contraddittorio delle parti, pubblica e privata.
Gli atti compiuti dalla Stazione appaltante iure privatorum devono rispettare i canoni della contrattazione privata, compresi quelli dettati nella fase delle trattative, sebbene rilevino anche i peculiari tratti dell’evidenza pubblica (cfr. Cons. St., Ad. Plen. N. 6/2005, id. 5/2018).
Nel suo incipit, la pronuncia qualifica il provvedimento quale fonte di “legittimo e qualificato affidamento” al provvedimento amministrativo che, oggetto di caducazione da parte del giudice amministrativo, determini una lesione al legittimo affidamento maturato dal privato. Ciò consente al destinatario del provvedimento di proporre domanda di risarcimento danni all’amministrazione che ha leso il suo legittimo affidamento, anche se la sua rimozione è stata operata in sede giurisdizionale.
L’Adunanza Plenaria afferma il seguente principio di diritto secondo cui “nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi”.
La giurisprudenza è sempre stata costante nel ritenere la tutela risarcitoria a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale. La reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente – lucro cessante.
In virtù delle peculiarità dell’evidenza pubblica, l’amministrazione è chiamata a rispondere a titolo di responsabilità precontrattuale sia per illegittimità della sua azione che per violazione degli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede.
Il Collegio raffronta i due sistemi civilistico ed amministrativo, operando un parallelismo tra rapporti di diritto privato e quelli di diritto pubblico. Nei primi, l’affidamento è legittimo in quanto fondato su un elevato livello di definizione delle trattative che fissi gli elementi essenziali della conclusione del contratto, quale suo prevedibile esito. Il recesso dalle trattative, inteso come facoltà della parte di esercitare il diritto di ius poenitendi, non deve integrare una condotta contraria al dovere di buona fede ex art. 1337 c.c.[7] ma deve esser supportato da una ragione oggettiva.
Parimenti, la giurisprudenza amministrativa[8] ritiene legittimo l’affidamento serbato dal definitivo aggiudicatario in difetto di stipula del contratto, anche laddove sia avvenuto nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante. L’aggiudicazione definitiva forgia la ragionevolezza dell’affidamento, tutelabile mediante il rimedio della responsabilità precontrattuale. Gli illegittimi provvedimenti in autotutela della revoca e dell’annullamento d’ufficio della gara coincidono con il recesso ingiustificato. Essi irrompono, analogamente a quest’ultimo, nel processo di graduale formazione del contratto e frustano l’aspettativa dell’aggiudicatario alla stipula dello stesso. Il contratto, pur legittimo, non dispensa l’amministrazione da responsabilità precontrattuale, da comportamento “viziato da eccesso di potere”. L’amministrazione ha condotto delle trattative inutili durante la procedura pubblica non conclusasi con la stipula, così ingenerando una legittima aspettativa nell’aggiudicatario.
Il Collegio ripropone il contrario indirizzo della Corte di Cassazione sul tema[9], secondo cui la tutela dell’affidamento del concorrente all’aggiudicazione della gara prescinde dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione. L’Adunanza Plenaria, assolvendo alla propria funzione nomofilattica, intende ricomporre quello che definisce un “apparente contrasto” rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa. Nella fattispecie sottoposta dinanzi alla Cassazione si trattava diun concorrente primo classificato in una procedura di gara poi annullata in sede giurisdizionale amministrativa su ricorso di un altro concorrente.
La pronuncia intende mostrare un atteggiamento duttile della giurisprudenza amministrativa, avvicinandosi alle conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte ed aprendosi ad una valutazione in concreto sulla verifica di un affidamento ragionevole nella conclusione positiva della procedura di gara in capo al privato. Si deve, quindi, discutere sull’effettivo rilievo dell’aggiudicazione definitiva, tenendo conto del “grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).
Il criterio dell’accertamento in concreto è stato adottato anche dall’Adunanza Plenaria n. 5/2018, la quale ha ribadito la ratio della responsabilità precontrattuale nella tutela della serietà delle trattative volte alla conclusione del contratto. L’art. 1337 c.c. si pone come limite all’autonomia negoziale della stazione appaltante in ragione della tutela dell’affidamento legittimo del concorrente. In capo a quest’ultimo, tuttavia, incombe il rischio che le trattative non abbiano un buon esito, per cui questi può confidare sulla futura stipula solo quando le trattative abbiano raggiunto un grado di sviluppo tale da renderla ragionevolmente prevedibile.
Il riconoscimento del risarcimento del danno si fonda sull’assolvimento dell’onere probatorio relativo agli elementi oggettivi descritti dall’art. 2043 c.c.– ingiustizia del danno intesa come lesione alla posizione giuridica di interesse legittimo, nesso causale e pregiudizio subito – e agli elementi soggettivi del dolo ovvero colpa dell’Amministrazione (cfr. ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 26/07/2021, n.8933).
A fronte di ciò, anche l’affidamento del concorrente deve essere incolpevole. Ai sensi dell’art. 1338 c.c., la responsabilità precontrattuale è esclusa dalla mala fede della parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte poiché non sussiste alcun legittimo affidamento.
Nella dimensione pubblicistica, la pronuncia fonda il suo ragionamento sul discrimen tra il potere di annullamento d’ufficio della procedura di gara ex art. 21-nonies della legge n. 241/1990 dalla revoca dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo. L’annullamento d’ufficio è infatti dettato da ragioni di illegittimità dell’atto della procedura di gara e non da opportunità di rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto, Se il concorrente poteva conoscere il motivo di illegittimità che ha indotto la stazione appaltante ad annullare in autotutela la gara, la responsabilità dell’amministrazione deve essere esclusa[10].
La colpevolezza dell’affidamento privato si atteggia in maniera differente se l’annullamento dell’aggiudicazione avviene in sede giurisdizionale poiché riaffiorano le peculiarità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che della tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, il cui beneficiario assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Il Collegio afferma che “con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio”.
Alla luce di tali considerazioni, nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa.
Nella fattispecie sottoposta alla Plenaria, invece, la revoca dell’aggiudicazione interviene in attuazione dell’annullamento del provvedimento conclusivo da parte del giudice amministrativo. Il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione per l’«erronea formulazione delle regole del bando», sufficiente ad integrare una «violazione del dovere di correttezza e buona fede», fonte dell’«ingiusto sacrificio dell’affidamento ingenerato nella ricorrente quale aggiudicataria della gara annullata in via giurisdizionale». Restituendo il giudizio ai sensi dell’art. 99, quarto comma, c.p.a., l’Adunanza Plenaria perviene alle medesime conclusioni del Consesso n.5/2018, ribadendo che “non ogni illegittimità della normativa di gara è sufficiente per fondare un addebito di responsabilità precontrattuale nei confronti dell’amministrazione, dal momento che la partecipazione ad una procedura di gara non fonda per ciò sola una legittima aspettativa di aggiudicazione e di stipula del contratto, per cui va escluso al riguardo ogni automatismo”.
[1] C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Studi in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995.
[2] Così Cass. civ. Sez. I, sent. n. 14188/2016, § 14.
[3] Sulla non configurabilità dei cd. punitive damages nel nostro ordinamento, Cassazione civile sez. I, 08/02/2012, n.1781, secondo cui “Nel vigente ordinamento, il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive — restando estranea al sistema l'idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta — ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l'arricchimento, se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all'altro. È quindi incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto dei danni punitivi. (Nell'affermare il suddetto principio, la Corte ha cassato per insufficienza e incongruità di motivazione la sentenza impugnata, la quale aveva accolto l'istanza di delibazione di una pronuncia statunitense ed argomentato nel senso che l'omessa motivazione di quella sentenza non ostava al riconoscimento, che nessun espresso riferimento la sentenza straniera conteneva circa la liquidazione dei punitive damages e che i danni subiti per infortunio sul lavoro dal danneggiato erano compatibili con la somma liquidata, sebbene di gran lunga superiore a quella richiesta nella domanda)”, su Giust. civ. Mass. 2012, 2, 139.
[4] Cons. St., ord. n. 2753/2021.
[5] Così, ex multis, Cons. Stato, VI, 13 agosto 2020, n. 5011
[6] A. Di Majo, Diritto civile e amministrativo si contaminano a vicenda? , 2021 su www.giustizia-amministrativa.it .
[7] Cass. civ., II, 15 aprile 2016, n. 7545; III, 29 marzo 2007, n. 7768, richiamata nella sentenza in commento.
[8] Cons. Stato, II, 20 novembre 2020, n. 7237.
[9] Corte di Cassazione, Sezione I, sent. n. 15260/2014.
[10] Cons. Stato, V, 23 agosto 2016, n. 3674: “Al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità dell’interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità