ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Temi e Dibattiti



Il pagamento del corrispettivo negli appalti pubblici a seguito del fallimento dell’appaltatore. La disciplina dell’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006.

Di Claudia Simonetti.
   Consulta il PDF   PDF-1   

CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE CIVILI,

SENTENZA 2 marzo 2020, n. 5685

 

Il pagamento del corrispettivo negli appalti pubblici a seguito del fallimento dell’appaltatore.

La disciplina dell’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006

 

Di CLAUDIA SIMONETTI

 

In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore -deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione”.

 

Abstract. 

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata sull’operatività del meccanismo previsto dall’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006 - che consente la sospensione dei pagamenti di contratto, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati dall’appaltatore verso il subappaltatore - nella peculiare ipotesi di fallimento di quest’ultimo. 

Le Sezioni Unite hanno chiarito che il meccanismo in questione opera nell’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis, mentre non è applicabile nel caso in cui sia intervenuta una procedura concorsuale – in particolare la dichiarazione di fallimento – a carico dell’appaltatore, con conseguente scioglimento del contratto. 

In tale ultima ipotesi, infatti, il corrispettivo d’appalto per le prestazioni eseguite sino all’intervenuto scioglimento del contratto è dovuto al curatore, ed il subappaltatore deve essere considerato creditore concorsuale dell’affidatario, con conseguente possibilità di recupero del credito nel rispetto della par condicio creditorum, nell’ordine delle cause di prelazione e senza che possa essergli riconosciuta l’ammissione in prededuzione. 

1)  La sentenza. 

L’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite è stato necessitato dall’esigenza di risolvere un risalente contrasto in giurisprudenza concernente le modalità di soddisfacimento del credito del subappaltatore di opera pubblica nei confronti dell’appaltatore nell’ipotesi in cui sia intervenuta una dichiarazione di fallimento di quest’ultimo. 

In estrema sintesi, si discuteva se fosse configurabile o meno un nesso tra il disposto dell’art. 118, comma 3, del Codice dei Contratti del 2006 e l’istituto fallimentare della prededuzione di cui all’art. 111, ultimo comma, l. fall., in forza del quale sono prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione di procedure concorsuali. 

In altri termini, ci si chiedeva se a seguito dell’apertura della procedura concorsuale residuasse un qualche credito dell’appaltatore nei confronti della stazione appaltante, e se il meccanismo di cui all’art. 118, comma 3, citato, costituisse comunque una condizione di esigibilità di detto credito, con la conseguenza che in ipotesi di soluzione negativa il subappaltatore potesse essere ammesso al passivo in prededuzione. 

La vicenda trae origine dall’azione avanzata dalla società XXXX s.r.l. in opposizione alla decisione del giudice fallimentare che aveva ammesso al passivo della procedura della XXXX s.r.l. i crediti vantati dalla suddetta impresa in via chirografaria, respingendo invece la richiesta di collocazione in prededuzione avanzata da quest'ultima, quale subappaltatrice di lavori pubblici commissionati alla fallita da un soggetto pubblico.

Ad avviso dell’opponente la mancata trasmissione delle fatture quietanzate alla stazione appaltante avrebbe determinato la sospensione del pagamento a favore dell’appaltatrice a norma dell’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006, e avrebbe giustificato l’ammissione del proprio credito in prededuzione, in quanto funzionale agli interessi della massa fallimentare. 

Viceversa, il Tribunale di Bergamo aveva rigettato l’opposizione, sulla scorta della considerazione per cui il fallimento dell’appaltatrice aveva comportato lo scioglimento del contratto con conseguente inapplicabilità dell’art. 118 citato, che avrebbe presupposto un rapporto in bonis con la stazione appaltante, la quale comunque, con riferimento all’utilità del credito per la massa fallimentare, non avrebbe potuto in ogni caso effettuare il pagamento immeditatamente, potendo esso avvenire solo a seguito del riparto ai sensi dell’art. 111-bis, l. fall.

Così la ricorrente XXXX s.r.l. aveva proposto ricorso per Cassazione denunciando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, l. fall., e dell’art. 118, del Codice del 2006, oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo, contestando che il Tribunale di Bergamo avesse disatteso senza motivazione alcuna il principio di diritto sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 3402/2012, per cui la trasmissione delle fatture alla stazione appaltante costituirebbe un’imprescindibile condizione di esigibilità del credito dell’affidatario, con conseguente ammissione al passivo del credito del subappaltatore in prededuzione, visto il collegamento funzionale con la procedura, giacché la riscossione del credito da parte di quest'ultimo sarebbe funzionale alla gestione fallimentare, rappresentando la condizione del pagamento che l'appaltatrice fallita deve ricevere dalla stazione appaltante.

Sul punto, in realtà, si registravano in giurisprudenza orientamenti opposti. 

Pertanto, il Collegio della Sezione, con ordinanza del 12.07.2019, ha rimesso all’esame delle Sezioni Unite la questione sulle modalità di soddisfacimento del credito del subappaltatore nell’ipotesi di fallimento dell’affidataria, ed in particolare sulla possibilità o meno di ammettere al passivo il subappaltatore in prededuzione, in virtù di un automatico nesso funzionale alla gestione della procedura.

2)  Il meccanismo delineato dall’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006. I crediti prededucibili ai sensi dell’art. 111, l. fall. 

Prima di esaminare la sentenza in commento, appare opportuno un richiamo della normativa di riferimento, onde inquadrare al meglio i termini della questione posta all’esame delle Sezioni Unite e alla base del contrasto giurisprudenziale che ne ha imposto l’intervento. 

Ai sensi dell’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006, “nel bando di gara la stazione appaltante indica che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite o, in alternativa, che è fatto obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l'indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanziate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine, la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari”. 

Inoltre, prosegue la norma “ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori o dei cottimisti, o anche dei diversi soggetti che eventualmente lo compongono, accertate dalla stazione appaltante, per il contratto di appalto in corso può provvedersi, sentito l'affidatario, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto alle mandanti, alle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori a norma dell'articolo 93 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 , nonché al subappaltatore o al cottimista dell'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite[1].

Infine, al comma 3-bis, è previsto che “è sempre consentito alla stazione appaltante, anche per i contratti di appalto in corso, nella pendenza di procedura di concordato preventivo con continuità aziendale provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano l'affidatario, quali le mandanti, e dalle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori a norma dell'art. 93 del regolamento di cui al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, dai subappaltatori e dai cottimisti, secondo le determinazioni presso il Tribunale competente per l'ammissione alla predetta procedura”[2].

Dunque, la norma è chiara nel prevedere un meccanismo per cui deve essere il bando a prevedere la possibilità di pagamento diretto del subappaltatore, altrimenti sarà l’affidatario a dover trasmettere alla stazione appaltante le fatture dei pagamenti effettuati verso il subappaltatore onde ottenere il pagamento del corrispettivo che altrimenti resterà sospeso. 

Tuttavia, a piena tutela degli interessi del subappaltatore, la norma prevede altresì che laddove vengano in evidenza situazioni di comprovata crisi dell’affidatario che ometta o ritardi il pagamento del corrispettivo di subappalto, la Committente possa provvedere, sentito l’affidatario stesso, al pagamento diretto del subappaltatore (e degli altri soggetti indicati dalla norma, quali mandanti, cottimista etc). 

La ratio della norma è evidente.

Il Legislatore ha voluto garantire la tutela della posizione dei soggetti i cui interessi economici relativi all’appalto ruotano intorno alle vicende soggettive dell’appaltatore, e dunque evitare - da un lato – che l’affidatario ottenga dalla stazione appaltante pagamenti per prestazioni eseguite da subappaltatori che non sono state già saldate e – dall’altro – che l’eventuale crisi finanziaria dell’affidatario comprometta i crediti dell’esecutore materiale delle prestazioni (il subappaltatore), così da garantire prima di tutto l’esecuzione e il completamento dell’opera, e quindi il soddisfacimento dell’interesse pubblico. 

Come anticipato, tale meccanismo, seppure piuttosto chiaro nel suo funzionamento, ha però sollevato diversi dubbi per ciò che riguarda il relativo ambito di operatività (o meglio, il suo stesso innesto) nell’ipotesi di apertura di una procedura concorsuale a carico dell’appaltatore, ed in particolare nel caso in cui sia dichiarato il fallimento di quest’ultimo, con conseguente scioglimento del contratto. 

In questo caso, ricorre la “crisi di liquidità finanziaria” presa in ipotesi dalla norma in commento, con conseguente innesto del meccanismo della sospensione dei pagamenti, oppure residua un credito della procedura nei confronti della stazione appaltante estraneo alla condizione di esigibilità costituita dalle fatture emesse verso i subappaltatori, in ragione del sopravvenuto venir meno di qualsivoglia vincolo contrattuale? 

A tale interrogativo, poi, la giurisprudenza ne aveva aggiunto un’ulteriore. 

In particolare, ci si chiedeva se, accedendo alla tesi dell’inoperatività della sospensione dei pagamenti nel caso di fallimento dell’affidatario, allora dovesse essere riconosciuta al subappaltatore la titolarità di un credito prededucibile rispetto alla massa per il recupero del credito in via concorsuale.

In altri termini, era dubbia la possibilità di riconoscere al credito vantato dal subappaltatore una corsia preferenziale (data dalla prededucibilità del credito) rispetto alla massa dei creditori. 

Del resto, ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, L. fall., “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1)”, e quindi sono soddisfatti prima dei crediti assistiti da cause di prelazione e di quelli chirografari. 

3)  Gli opposti orientamenti giurisprudenziali sul punto

Come anticipato, sul punto nel corso degli anni si erano formati due diversi – ed opposti – orientamenti.

Secondo l’orientamento tradizionale, formatosi a partire dalla sentenza della Cassazione, Sez. I, 05.03.2012, n. 3402, la trasmissione delle fatture dei pagamenti effettuati verso il subappaltatore avrebbe costituito condizione imprescindibile affinché l’appaltatore ottenga il pagamento del corrispettivo d’appalto dalla Committente. Dunque, il meccanismo di cui all’art. 118, comma 3, citato, avrebbe dovuto operare anche nell’ipotesi di fallimento dell’appaltatore. 

In particolare, in quella ipotesi la Prima Sezione Civile della Cassazione aveva evidenziato che il credito vantato dal subappaltatore dovesse essere ammesso in prededuzione in quanto, ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, di all'art. 111, l. fall., non doveva essere inteso soltanto con riferimento al nesso tra l'insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza per cui il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientrasse negli interessi della massa, e dunque rispondesse agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare. 

Del resto, mediante la prededuzione si attuerebbe un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell'intero ceto creditorio.

Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte aveva ammesso in prededuzione il credito, sorto in periodo anteriore al fallimento, relativo al corrispettivo di un subappalto concluso con il gruppo della società fallita, cui le opere erano state appaltate da un ente pubblico, e ciò sulla scorta della considerazione per cui il predetto credito dovesse essere soddisfatto in via preferenziale in quanto il saldo del corrispettivo da parte della stazione appaltante era sospeso ai sensi dell’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006, mentre sarebbe stato adempiuto una volta compiuto il pagamento del subappaltatore, e trasmesse le relative fatture quietanzate.

Tale principio è stato fatto proprio dalla giurisprudenza successiva, che tuttavia ha precisato come il fallimento non comportasse di per sé la sospensione dei pagamenti, ma fosse onere del soggetto che se ne volesse avvalere dimostrarne l’avvenimento, mentre gravasse sul curatore la prova del fatto estintivo ossia l’avvenuto pagamento spontaneo (in tal senso, Cass., Sez. I, 07.03.2013, n. 5705 e Cass, Sez. VI, 04.02.2019, n. 3203).

Ebbene, se questo era l’orientamento maggioritario, con due ordinanze del 2017 la Corte di Cassazione sembra invece aver mutato orientamento. 

Ci si riferisce alle ordinanze nn. 15479 e 19615 del 2017[3] contenenti entrambe un obiter dictum per cui la tutela del subappaltatore dettata dalla disciplina pubblicistica sia indiscussa ma con la precisazione che questa attenga al solo rapporto con l’appaltatore e non possa incidere sulla posizione e gli interessi degli altri creditori concorsuali, con la conseguenza per cui non potrebbe riconoscersi la prededuzione di un credito che non abbia rapporto genetico né funzionale con la procedura concorsuale.

In tal senso, “l'ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione potrà trovare riscontro solo se e in quanto esso comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro ed indubbio vantaggio conseguente al pagamento da parte del committente P.A. il quale subordini il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito, ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3" (Cass. sez. 6, 16/2/2016, n. 3003, Cass., sez. 6, 22/3/2017, n. 7392). Sicchè è necessaria l'allegazione, qui del tutto assente, di un'effettiva e concreta funzionalità del pagamento alla procedura concorsuale” (cfr. Cass., sez. I, 22.06.2017, n. 15479)[4].

Tale principio è stato ripreso dalla sentenza della Cassazione, Sez. I, 21.12.2018, n. 33350, che si è espressa nel senso dell’impossibilità di riconoscere – quantomeno in via automatica - al subappaltatore l’ammissione in prededuzione, non essendo il suo credito espressamente qualificato come prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall.

In particolare, in tale occasione, la Cassazione ha chiarito che il meccanismo della sospensione dei pagamenti previsto dal Codice del 2006 non poteva ritenersi operante nell’ipotesi di intervenuto fallimento dell’affidatario, e ciò per il semplice venir meno del contratto. Infatti, “il meccanismo ex art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 - riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull'ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un'impresa "in bonis", in funzione dell'interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell'opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente "debole", sicché detto meccanismo non ha ragion d'essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie”[5].

Tale pronuncia ha manifestato il contrasto giurisprudenziale che ha portato all’intervento da ultimo fornito dalle Sezioni Unite.  

4) La soluzione offerta dalle Sezioni Unite. 

Visto il contrasto sorto in giurisprudenza, infatti, con ordinanza interlocutoria del 12 luglio 2019, è stata rimessa all'esame delle Sezioni Unite la seguente questione, riguardante le modalità di soddisfacimento del credito del subappaltatore di opera pubblica nei confronti dell'appaltatore in caso di fallimento di quest'ultimo e, in particolare, “se, ove residui un credito dell'appaltatore verso l'amministrazione appaltante e l'amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità di cui all'art. 118 del codice del 2006, il curatore, che voglia incrementare l'attivo, debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore”.

Le ragioni alla base del più recente orientamento – di cui da espressamente atto anche la pronuncia in commento – possono essere certamente così sintetizzate: a) a fronte lo scioglimento del vincolo contrattuale d’appalto per via del fallimento dell’appaltatore, verrebbe meno anche l’interesse primario della stazione appaltante al tempestivo e regolare completamento dell’opera; b) con lo scioglimento del contratto verrebbe meno anche la "condizione di esigibilità" del credito dell'appaltatore nei confronti della stazione appaltante, e quindi il meccanismo della sospensione del pagamento che serve per garantire alla stazione appaltante la regolare esecuzione delle opere appaltate, nei tempi stabiliti e nella correttezza del risultato, non avrebbe più senso; c) pertanto, la soddisfazione del credito del subappaltatore (comunque non realizzabile con la sola ammissione al passivo in prededuzione, ma con il pagamento in sede di riparto) non avrebbe l’effetto di attribuire all'appaltatore fallito la possibilità di conseguire dalla stazione appaltante il maggior credito; d) peraltro, il nesso di funzionalità del credito rispetto alla procedura concorsuale, ai fini della prededuzione (L. Fall., art. 111, comma 2), dovrebbe essere apprezzato in senso stretto sulla base di una valutazione ex ante e avendo riguardo al momento genetico del credito, indipendentemente dall'eventuale vantaggio per la massa che si determini ex post.

Inoltre, tale recente indirizzo, sottolinea altresì che le modifiche normative apportate alla norma dalla riforma del 2014 conforterebbero tale interpretazione, visto che prevedono che il pagamento al subappaltatore costituisca "condizione di esigibilità" unicamente quando l'appaltatore sia in bonis e per il quale, dunque, il vincolo contrattuale di appalto persista; ciò sarebbe indirettamente dimostrato dal fatto che la stazione appaltante può provvedere al pagamento diretto in presenza di crisi di liquidità (e non già di insolvenza) dell'appaltatore-affidatario e, analogamente, anche per i contratti di appalto in corso, nella pendenza di procedura di concordato preventivo in continuità aziendale.

Ebbene, le Sezioni Unite con la sentenza in esame aderiscono a tale secondo e più recente orientamento. 

In particolare, la pronuncia in esame chiarisce che il percorso argomentativo espresso dalla sentenza n. 33350/2018 al quale intente aderire si incentra sull’assunto per cui a seguito del fallimento dell’affidatario, il contratto si scioglie, salvo che il curatore non intenda subentrare nel contratto. Stando a tale principio, allora, non è possibile ammettere la sospensione dei pagamenti, e ciò per la semplice ragione che quest’ultima si traduce in concreto in una eccezione di inadempimento che la stazione appaltante è legittimata ad opporre all'appaltatore (inadempiente all'obbligo di dimostrare il pagamento al subappaltatore), che, come tale, postula che il rapporto contrattuale sia in corso. Del resto, è solo nella fase esecutiva del rapporto in essere che è consentito alle parti far valere reciprocamente adempimenti e inadempimenti contrattuali, e quindi proporre le relative e conseguenti eccezioni. Viceversa, una volta che il contratto si sia sciolto, per qualsiasi causa e, quindi, anche per il fallimento, l'art. 1460 c.c., l’inadempimento non può essere invocato e trovano, invece, applicazione le norme che disciplinano gli effetti dello scioglimento.

In buona sostanza dunque, la risoluzione del contratto a fronte del fallimento dell’appaltatore (L. Fall., ex art. 72, comma 1) travolge con sé anche il meccanismo delineato dall’art. 118, comma 3, D.lgs. 163/2006, con conseguente impossibilità per la stazione appaltante di opporre la sospensione dei pagamenti.

In tal senso pertanto, hanno chiarito le Sezioni Unite, divenuto i contratto inefficace "ex nunc" e, dunque, non più eseguibile, spetta al curatore il corrispettivo dovuto per le prestazioni eseguite fino all'intervenuto fallimento e quindi scioglimento del contratto, senza possibilità per la stazione appaltante di invocare la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento, la quale, implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora sciolto e quindi eseguibile (cfr. Cass. n. 4616 del 2015; cfr. n. 23810 del 2015, richiamate dalla stessa sentenza in commento).

In definitiva pertanto, hanno chiarito le Sezioni Unite che:

  1. nell’ipotesi di fallimento (o apertura di altra procedura concorsuale) dell’appaltatore, non opera il meccanismo della sospensione dei pagamenti delineati dall’art. 118, comma e, D.lgs, 163/2006, il cui ambito di operatività è limitato all’ipotesi di rapporto in bonis;
  2. al curatore spetta dunque il corrispettivo per le prestazioni eseguite sino al fallimento e quindi allo scioglimento del contratto, senza che la stazione appaltante possa opporre la disciplina dell’art. 1460, c.c.;
  • il subappaltatore per recuperare il proprio credito può insinuarsi nella procedura fallimentare, ma nell’ordine delle cause di prelazione e senza che possa essergli riconosciuta l’ammissione in prededuzione.

NOTE:

[1] Tale inciso è stato introdotto dall’art. 13, comma 10, lett. a) -b), D.L. n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 9 del 2014.  

[2] Disciplina differente è stata invece dettata dal Codice del 2016 (D.lgs. 50/2016) che attualmente prevede soltanto il pagamento diretto da parte della stazione appaltante al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori, nei seguenti casi: a) quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa; b) in caso di inadempimento da parte dell'appaltatore; c) su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente. (v. art. 105, comma 13 e art. 174, comma 7, in tema di esecuzione delle concessioni, del codice del 2016).

[3] Cass., Sez. I, 22.06.2017, n. 15479 e Cass., Sez. I, 04.08.2017, n. 19615.

[4] In particolare, in tale pronuncia la Cass. da espressamente atto che “gli argomenti esposti nel decreto impugnato e ripresi dalla controricorrente appaiono idonei a rimettere in discussione il precedente del 2012, perché il riconoscimento di una particolare tutela alle imprese subappaltatrici in appalti pubblici è indiscusso, ma attiene al loro rapporto con le imprese appaltatrici, non può incidere sugli interessi degli altri creditori concorsuali nel caso di fallimento di tali imprese. Sicché non può riconoscersi la prededuzione a un credito che non ha alcun rapporto né genetico né funzionale con la procedura concorsuale”.

[5] Il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 33350/2018 è stato così massimato: “in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2; invero, il meccanismo del D.lgs. n. 163 del 2006, ex art. 118, comma 3 - riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull'ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un'impresa in bonis, in funzione dell'interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell'opera, nonchè al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente "debole", sicchè detto meccanismo non ha ragion d’essere al momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie” (v. Cass., SS.UU., 02.03.2020, n. 5685, punto 3),Giuffrè - De Jure.it).