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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Studi



Il litorale italiano ed il mercato europeo: la sentenza della Corte di Giustizia, Sezione Quinta, 14 luglio 2016, in cause riunite c-458/14 e c-67/15.

A cura di Carmelina Addesso e Roberto D'Alessandro.

 

1.Le spiagge italiane nell’estate della Brexit. Il quadro normativo di riferimento ed il tentativo di bilanciamento tra tutela dell’affidamento ed apertura al mercato.

A qualche lettore sarà capitato, frequentando le spiagge del litorale nostrano durante l'estate ormai trascorsa, di vedere sventolare negli stabilimenti balneari, accanto alla bandiera italiana, anche quella anglosassone.
Si tratta di una forma di protesta messa in atto dai titolari degli stabilimenti balneari all'indomani della pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia, quinta Sezione, del 14 luglio 2016, in cause riunite c-458/14 e c-67/15, che ha dichiarato incompatibili con il diritto comunitario le proroghe automatiche delle concessioni demaniali (marittime e lacuali) per attività turisticoricreative, disposte dall'art 1, comma 18, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009 n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
La bandiera anglosassone, all'indomani dell'esito del referendum del 23 giugno 2016 che ha sancito l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, è assurta a simbolo della reazione contro una decisione che, agli occhi degli interessati, sacrifica sull'altare del mercato unico il legittimo affidamento dei concessionari che hanno effettuato investimenti in una prospettiva di ammortamento a medio-lungo termine.
La vicenda potrebbe apparire un riflesso involontario della crisi che sta attraversando l'Unione e che ha portato all'emersione di pulsioni disgregatrici, di cui il referendum del 23 giugno costituisce il precipitato a livello politico-istituzionale¹: al contrario, essa rappresenta un'ipotesi di perfetta integrazione tra ordinamento europeo e nazionale, in cui il motore di coesione deve identificarsi nell'incessante attività di interpretazione orientata in senso eurounitario, svolta dalla giurisprudenza interna.
Come sarà evidenziato più avanti, infatti, la sentenza in commento, nel sancire l'anticoncorrenzialità della prassi legislativa di proroga reiterata delle concessioni, non costituisce un elemento di frattura rispetto al panorama giurisprudenziale italiano che ha, a più riprese, sollecitato il legislatore al rispetto dei principi eurounitari di libertà di stabilimento e di libera circolazione.
All'omogeneità della visione sul piano giurisprudenziale, tuttavia, fanno da contraltare le difficoltà riscontrate sul piano del diritto positivo nella ricerca del giusto contemperamento tra apertura al mercato e tutela dell'affidamento in un settore connotato da forte policentrismo normativo, a seguito dell'attuazione del c.d. federalismo demaniale².
E' stato osservato³ che, muovendo dal presupposto che il demanio marittimo sia una risorsa naturale limitata, ma produttiva, non si è tenuto conto del fatto che ad essere produttivi non sono i beni demaniali in sé, ma le aziende private incidenti su di essi. Il bene demaniale, in altre parole, diviene parte dell'azienda del concessionario e, anche dopo l'incorporamento, il primo continua a restare area di sedime; è l'azienda del concessionario, e non la zona demaniale su cui tale azienda insiste, a produrre servizi.
La ricerca del giusto bilanciamento tra tutela degli investimenti del concessionario uscente ed eliminazione delle barriere di accesso ha costituito il leitmotiv dell'incessante evoluzione del quadro normativo in materia.
I magmatici mutamenti di disciplina testimoniano come, per effetto combinato di pulsioni esogene provenienti dalle istituzioni comunitarie e dalla giurisprudenza, si sia passati da un assetto caratterizzato dalla netta prevalenza dell'interesse del privato concessionario su quello del mercato, ad un quadro attuale in cui l'ammortamento dell'investimento regredisce rispetto all'esigenza di apertura concorrenziale. Per effetto dell'influenza europea, infatti, si è assistito ad un progressivo spostamento del baricentro di attenzione dalla singola attività in essere al contesto in cui la predetta attività si inserisce.
Una rapida ricognizione del quadro normativo di riferimento rende evidente il progressivo mutamento di prospettiva.
L'originaria disciplina, dettata all'art 01, comma 2 del d.l. 400/1993, conv. dalla l. 494/1993, allo scopo di assicurare una stabilità sufficiente all'ammortamento dell'investimento, sanciva che le concessioni dei beni demaniali marittimi, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, avessero durata di sei anni, con rinnovo automatico alla scadenza per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, salva la possibilità di revoca della concessione in presenza di specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse a giudizio discrezionale dell'amministrazione marittima
Solo successivamente, la legge 27 dicembre 2006, n. 296 introduceva un limite massimo al rinnovo, prevedendo che le concessioni potessero avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti, in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni
Dalle disposizioni sopra richiamate emerge con chiarezza come, nelle originarie intenzioni del legislatore, la durata della concessione costituisse un elemento fortemente influenzato dalla natura dell'investimento effettuato dal concessionario, in considerazione del fatto che il bene demaniale si inserisce nell'ambito dell'azienda privata e ne costituisce una componente essenziale.
Alla medesima ratio si ispirava anche l'art. 37, comma 2, del codice della navigazione, il quale enunciava il “diritto di insistenza” dei concessionari uscenti, stabilendo che, in sede di rinnovo, dovesse essere data preferenza al precedente concessionario.
Tale assetto normativo, tuttavia, non teneva conto del contesto in cui il concessionario uscente si trova ad operare, contesto che integra un segmento di mercato rilevante, in presenza di interesse transfrontaliero certo, per il diritto eurounitario: di qui la necessità di evitare il consolidarsi di posizioni monopolistiche in contrasto con gli artt. 43 e 81 del Trattato CE (ora artt. 49 e 101 TFUE).
Proprio tale lacuna ha determinato il primo intervento dell'Unione (all'epoca, Comunità europea), con l'avvio, ad opera della Commissione, della procedura di infrazione n. 2008/4908 del 29 gennaio 2009.
La necessità di garantire l'assetto concorrenziale del mercato di riferimento balzava, quindi, all'attenzione del legislatore italiano, che con l'art. 1, comma 18, del d.l. n. 194 del 2009 sanciva, da un lato, l'abrogazione del diritto di insistenza di cui all'art 37 cod nav. ed introduceva, dall'altro lato, un regime transitorio, con proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni per finalità turisticoricreative, in scadenza prima di tale data e in essere al 31 dicembre 2009.
Tuttavia, la partita con l'Europa non poteva considerarsi ancora chiusa perché con lettera di messa in mora complementare del 5 maggio 2010 (2734/2010) la Commissione evidenziava come la legge 26 febbraio 2010 n. 25 di conversione del d.l. 194/2009 avesse inserito nel testo dell'art 1 co 18 del medesimo decreto un rinvio all'art 01 co 2 d.l. 400/1993, con conseguente rinnovo automatico delle concessioni in essere di sei anni in sei anni.

In seguito all'abrogazione dell'art. 01, comma 2, del decreto-legge n. n. 400/1993, ad opera dell'articolo 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217, la Commissione disponeva la chiusura della procedura di infrazione comunitaria (in data 27 febbraio 2012).
L'individuazione del punto di equilibrio tra tutela del concessionario ed apertura al mercato, in un prospettiva profondamente mutata a seguito dell'intervento della Commissione, veniva affidata alla nuova formulazione dell'art 1, comma 18, d.l. 194/2009 che, lungi dall'attuare un equo bilanciamento degli interessi coinvolti, si limitava a prevedere una proroga transitoria fino al 31 dicembre 2015 delle concessioni di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turisticoricreative, e quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto. La disciplina transitoria veniva successivamente prorogata per ulteriori 5 anni.
La reiterazione delle proroghe non solo si limitava semplicemente a differire nel tempo la soluzione del problema, ma rendeva precario l'assetto di disciplina in quanto non in linea con il quadro eurounitario di riferimento. Nel frattempo, infatti, era stata recepita, con d .lgs 26 marzo 2010 n. 59, la direttiva 123/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno che, all'art 16, prevede la necessità di una procedura di selezione per il rilascio di titoli autorizzatori il cui numero sia limitato in ragione della scarsità delle risorse naturali
Questo è il contesto in cui la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi.

2.Le questioni oggetto di rinvio pregiudiziale.

La pronuncia in commento trae origine da due rinvii pregiudiziali, rispettivamente, del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia- Milano (ordinanza 26 settembre 2014 n. 2401) e del Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna (ordinanza 5 novembre 2014 n. 224).
Il primo giudizio verteva sulla legittimità del diniego di rinnovo di una concessione per l'occupazione di area demaniale per finalità turistico -ricreative compresa nel demanio del lago di Garda e sita nel territorio del Comune di San Felice del Benaco.
L'originaria concessione prevedeva l'occupazione dell'area demaniale ad uso chiosco, bar, veranda, bagni, banchina e pontile e limitava la durata del rapporto concessorio al 31 dicembre 2010, prevedendo la cessazione di diritto alla scadenza del termine.
In data 14 aprile 2010, in prossimità della scadenza, il concessionario, la Promoimpresa S.r.l., presentava un'istanza di rinnovo della concessione che veniva respinta dall'Amministrazione concedente.
Il provvedimento di diniego veniva impugnato dalla Promoimpresa S.r.l. che lamentava, tra l'altro, la violazione dell'art 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009 n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25, nella parte in cui dispone la proroga del termine di durata delle concessioni demaniali marittime sino al 31 dicembre 2020, in quanto la norma, che deve essere intesa come riferita anche alle concessioni lacuali, è diretta a tutelare gli investimenti del concessionario in termini di ammortamento dei costi di gestione, in diretta applicazione del principio comunitario di proporzionalità che esige che la concorrenza si concili con l'equilibrio finanziario del concessionario.
Il Tribunale adito, dopo aver qualificato il rapporto tra il ricorrente e l'Amministrazione come concessione di bene demaniale e dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, ha manifestato perplessità in merito alla compatibilità dell'art 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009 n. 194 nella parte in cui dispone la proroga del termine di scadenza delle concessioni sino al 31 dicembre 2020, con i principi comunitari di tutela della concorrenza e parità di trattamento tra gli operatori economici.
Il Giudice lombardo, quindi, rimette alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando invia esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica?”.
Sostanzialmente analoga è la questione sollevata dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna che, tuttavia, si connota per uno spostamento del baricentro di valutazione della compatibilità eurounitaria dal diritto primario al diritto derivato.
La fattispecie concreta verteva sul diniego di rinnovo di una concessione balneare marittima per finalità turistico-ricreative sul litorale del comune di Loiri Porto San Paolo.
L'originaria concessione, rilasciata nel 2004 per un periodo di sei anni, era stata successivamente prorogata per un anno fino al 2011. In previsione della stagione balneare 2012, i concessionari presentavano un formale provvedimento di proroga a cui seguiva il silenzio dell'Amministrazione comunale.
A questo punto, i concessionari avviavano le attività, in data 1 maggio 2012, ritenendo di essere legittimati ex lege all'esercizio delle stesse, in virtù della disposizione di cui all'art. 1, comma 18, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 22 febbraio 2010, n. 25, come modificato dall'art. 34-duodecies della legge 17 dicembre 2012, n. 221 (di conversione del decretolegge 18 ottobre 2012, n. 179), che ha previsto la proroga automatica della durata delle concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, dapprima, fino al 31 dicembre 2012 e, poi, fino al 31 dicembre 2020¹⁰
Tuttavia, in data 11 maggio 2012, il Comune di Loiri San Paolo dopo l'approvazione del piano di utilizzo dei litorali (P.U.L.), pubblicava un avviso per l'assegnazione di sette nuove concessioni, alcune delle quali erano site in aree già oggetto dell'attività degli originari concessionari.
Questi ultimi, pertanto, impugnavano il sopra richiamato provvedimento e, successivamente, con motivi aggiunti, i provvedimenti di assegnazione delle nuove concessioni e quelli con cui la polizia municipale aveva ordinato la rimozione delle attrezzature dall'area demaniale.

Il TAR, inquadrato il rapporto da cui è scaturita la controversia quale concessione di bene demaniale, sottolinea come la direttiva 2006/123/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa ai servizi nel mercato interno (c.d. direttiva Bolkestein) abbia sancito che, nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, si deve prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti.
Alla luce delle considerazioni sopra riportate, il TAR sottopone alla Corte di Giustizia ai sensi dell'art 267 TFUE le seguenti questioni: “Se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, di rilevanza economica”; “Se l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE osti ad una disposizione nazionale, quale l’art. 1, comma 18 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modifiche ed integrazioni, che consente la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere per attività turistico-ricreative, fino al 31 dicembre 2015; ovvero fino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell’art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, di conversione del predetto decreto-legge”¹¹.

3.Lo spostamento del baricentro di disciplina dal singolo operatore al contesto di mercato: la pronuncia della Corte di Giustizia.

La Corte di Giustizia procede all'esame delle questioni, invertendone l'ordine cronologico di ricezione e vagliando primariamente la compatibilità della disciplina nazionale con l'art 12 della direttiva 2006/123/CE, secondo la prospettazione del TAR Sardegna.
Siffatta metodologia di analisi è conforme, come ricordato dall'Avvocato Generale nelle sue conclusioni, alla giurisprudenza costante della Corte. In un settore completamente armonizzato, come quello disciplinato dalla direttiva servizi, infatti, il vaglio di compatibilità assume a parametro di riferimento le disposizioni di armonizzazione e non quelle del diritto primario dei trattati¹²
L'art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, le autorizzazioni debbano essere rilasciate mediante una procedura di selezione imparziale e trasparente per una durata limitata e non possano prevedere il rinnovo automatico.
La prima questione affrontata dal Giudice europeo attiene, quindi, alla riconducibilità delle concessioni demaniali marittime e lacuali nell'alveo applicativo della direttiva Bolkestein, ambito applicativo che viene, per così dire, perimetrato in senso positivo verso l'interno e negativo verso l'esterno.
In senso positivo, infatti, le concessioni in esame devono essere qualificate, secondo la Corte, come autorizzazioni ai sensi della citata direttiva, in quanto costituiscono atti formali che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica¹³
In senso negativo, i provvedimenti oggetto di giudizio non integrano ipotesi di concessioni di servizi pubblici, sottratti alla direttiva 2006/123 (considerando 57) e soggetti alla direttiva 2014/23 (ora recepita con d. lgs 50/2016), in quanto non vertono su prestazioni di servizi determinate dall'ente aggiudicatore, bensì sull'autorizzazione a esercitare un'attività in un'area demaniale¹⁴
Così delimitato l'ambito applicativo della Direttiva servizi, il ragionamento della Corte si sviluppa su un crinale sillogistico che conduce inevitabilmente alla pronuncia di incompatibilità tra la legge nazionale ed il diritto derivato. Ciò in quanto:

a) le concessioni demaniali marittime costituiscono autorizzazioni ai sensi dell'art 4 punto 6 della direttiva, essendo atti formali necessari per l'accesso all'attività;
b) l'art 12 della direttiva sancisce che, qualora il rilascio di autorizzazione sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, è necessaria una procedura selettiva che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e trasparenza ed un'adeguata pubblicità;
c) l'art 1, comma 18, d.l. 194/2009 conv. dalla l. 25/2010, nel prevedere la proroga automatica delle concessioni in essere, non consente di organizzare la prescritta procedura selettiva e si pone in contrasto con l'art 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva.
Una volta valutata la compatibilità con il diritto derivato, il Giudice prosegue l'esame della disciplina nazionale alla luce dei principi contenuti nel Trattato, segnatamente il diritto di stabilimento di cui all'art 49 TFUE.
Il mutamento del parametro di riferimento non muta, tuttavia, l'esito del giudizio.
Qualora le concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo¹⁵, infatti, la loro assegnazione ad una impresa che abbia sede nello Stato membro dell'amministrazione aggiudicatrice in assenza di una trasparente procedura selettiva determina una disparità di trattamento vietata dall'art 49 TFUE.
La proroga automatica delle concessioni, infatti, ritarda l'attivazione delle procedure selettive e rischia di favorire il consolidarsi di posizioni di monopolio nel settore di riferimento.
La sentenza affronta anche il profilo della tutela del concessionario uscente, fornendo utili indicazioni al legislatore nella costante ed affannosa ricerca di un punto di equilibrio tra protezione degli investimenti effettuati ed apertura al mercato.
Sotto tale profilo la posizione della Corte è chiara e netta: la proroga automatica non può costituire uno strumento per l'attuazione dei principi, parimenti di matrice europea, della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento dei concessionari uscenti¹⁶, in quanto non si verte in tema di cessazione anticipata dell'autorizzazione rispetto all'originaria scadenza, bensì di un successivoprolungamento, indifferenziato e generalizzato in quanto disposto con legge. Nel contesto di disciplina esaminato, pertanto, non sussiste alcun affidamento da tutelare¹⁷
Il Giudice eurounitario sottolinea la diversità tra la fattispecie in esame e quella oggetto della decisione ASM Brescia del 17 luglio 2008, C-347/06¹⁸. In quella sede, infatti, si trattava di una concessione per la distribuzione del gas naturale rilasciata nel 1984, quando non era stato ancora precisato che i contratti aventi interesse transfrontaliero certo avrebbero dovuto essere assoggettati agli obblighi di trasparenza, sicché l'originario concessionario poteva fare ragionevole affidamento sull'originario termine di scadenza della concessione. Proprio per tutelare tale affidamento e a garanzia della certezza del diritto, la Corte ha ritenuto necessario che la risoluzione della concessione fosse corredata da un periodo transitorio atto a consentire alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili sia dal punto di vista delle esigenze del servizio pubblico sia dal punto di vista economico.
Nel caso delle concessioni balneari marittime, invece, l'ordinamento europeo si è già espresso in termini di necessità di una selezione trasparente: in questo senso vengono in rilievo sia la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908 del 29 gennaio 2009, con la quale la Commissione europea aveva denunciato il contrasto dell'assetto normativo italiano con gli artt. 43 e 81 del Trattato CE (ora artt. 49 e 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, TFUE),oltre che con quanto stabilito dall'articolo 12, comma 2, della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, sia il provvedimento di messa in mora complementare 2010/2734, del 5 maggio 2010, con cui la Commissione prendeva atto delle modifiche normative apportate, rilevando, peraltro, ulteriori profili di illegittimità delle disposizioni censurate.
Nei punti della pronuncia sopra richiamati¹⁹ il Giudice europeo, nell'esaminare le ragioni dei ricorrenti e del governo italiano, affronta il tema del contemperamento tra tutela della concorrenza e tutela dell'investimento del concessionario uscente, escludendo a chiare lettere che il secondo consenta una deroga generalizzata alla piena operatività del primo, in quanto l'ammortamento dell'investimento e l'equilibrio economico finanziario devono già essere valutati in sede di determinazione della durata originaria della concessione.
Ma è proprio questa predeterminazione della durata originaria della concessione in considerazione sia dell'attività svolta dal concessionario (che, in quanto attività di impresa, deve tendere quanto meno all'economicità e ad all'equilibrio economico finanziario) sia dell'assetto concorrenziale del mercato di riferimento che appare pretermessa dal legislatore italiano, il quale ha preferito la proroga reiterata e generalizzata all'equo bilanciamento degli interessi.
Ai sensi dell'art 1, comma 18, d.l. 194/2009, infatti, la revisione del quadro normativo, nel rispetto, oltre che dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, anche “di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti” è rinviata ad una successiva intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, mentre, nelle more, è stata adottata la soluzione “tampone” di prorogare reiteratamente le concessioni, creando una disarmonia nel sistema di libera circolazione con riferimento al mercato delle attività turisticoricreative svolte su area demaniale.
Soluzione-questa- che collide inevitabilmente con le conclusioni cui è da tempo giunta la giurisprudenza europea, unitamente a quella nazionale.
La stessa Corte di Giustizia già in precedenza aveva precisato che motivi di natura economica, come la volontà di evitare un deprezzamento di un'attività economica, non costituiscono ragioni imperative di interesse generale atte a giustificare l'attribuzione diretta di una concessione di servizi vertente su tale attività o di un diritto esclusivo di svolgere la suddetta attività che presenti un interesse transfrontaliero certo, derogando ai principi di parità di trattamento e non discriminazione²⁰
Quanto sopra non esclude, tuttavia, che, nel caso concreto, un affidamento da tutelare sussista, ma si tratta di una valutazione da effettuare caso per caso, in quanto unicamente il contesto concreto di riferimento può contribuire ad imprimere all'affidamento del privato il connotato della legittimità con conseguente tutela dell'investimento effettuato. 

Tra le circostanze da prendere in considerazione ai fini della legittimità dell'affidamento, oltre all'incertezza del quadro normativo di riferimento, vi è sicuramente il comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione²¹.
Il legittimo affidamento del privato, pertanto, non è in grado di depurare la proroga automatica e generalizzata delle concessioni dai profili di incompatibilità con il diritto eurounitario, ma può costituire il presupposto per una pretesa indennitaria (al pari di quanto accade in tema di revoca ex art 21 quinquies l. 241/1990) o risarcitoria, quest'ultima configurabile-secondo le regole generaliove l'affidamento del privato sia determinato da un comportamento illecito ex art 2043 c.c. della parte pubblica²².

4.Il Giudice come motore di integrazione degli ordinamenti: la linea di continuità della giurisprudenza e l’intervento emergenziale della legislazione.

Dall'analisi delle argomentazioni della Corte emerge come l'ordinamento europeo muova da una prospettiva diversa da quella del legislatore nazionale, in quanto la tutela dell'equilibrio economico finanziario dell'azienda del concessionario uscente non può giustificare una deroga astratta e generalizzata alla concorrenzialità, favorendo la creazione di assetti monopolistici nel settore di riferimento.
Si tratta di una prospettiva che, pur non esente da critiche in dottrina²³, si colloca in sostanziale continuità con le coordinate tracciate sul punto dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale.

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, infatti, ben prima dell'intervento della Corte di Giustizia, aveva sottolineato come la procedura di evidenzia pubblica costituisca lo strumento principe di selezione in tutti i casi di mercato contingentato²⁴. In tali circostanze, il modello di riferimento deve essere la concessione a seguito di gara, in quanto venendo in rilievo un'occasione di guadagno, occorre garantire la massima partecipazione degli operatori economici del settore.
Ancora più chiaramente, in altra pronuncia, il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa²⁵ ha evidenziato come la mancanza di una procedura competitiva per l'assegnazione di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico introduca una barriera all'ingresso del mercato, alterandone l'assetto concorrenziale, con violazione dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e trasparenza tra gli operatori economici.
Quanto alla tutela dell'affidamento, si osserva che “non vi sono margini di tutela dell’affidamento dei precedenti concessionari, attraverso proroghe legali o amministrative, salvo casi eccezionali in cui si debba rispristinare la durata di un rapporto concessorio illegittimamente abbreviato rispetto alla sua scadenza naturale, ovvero per il tempo strettamente necessario alla definizione delle procedure per la stipula dei nuovi contratti (anche tale circostanza è rimasta indimostrata nel caso di specie)”. Si tratta di principi perfettamente sovrapponibili con quelli espressi dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza ASM Brescia.
Tale orientamento è rimasto costante nella giurisprudenza amministrativa, che ha- a più ripresesottolineato come, in tutti i casi in cui si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, sia necessaria una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione²⁶
Con specifico riferimento alle concessioni demaniali marittime, degni di nota sono gli sforzi compiuti nella ricerca di un'interpretazione comunitariamente conforme del previgente assetto didisciplina. Viene in rilievo, in particolare, il c.d. diritto di insistenza del concessionario uscente, previsto dal codice della navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327) all'art 37 comma 2²⁷ e successivamente abrogato a seguito della citata procedura di infrazione n. 2008/4908.
L'operatività del citato diritto di insistenza del concessionario uscente, infatti, è stato subordinato ad una serie di condizioni, tra cui l'idonea pubblicizzazione della procedura relativa al rinnovo, l'effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario uscente e dagli altri candidati, nonché la necessità di depurare la procedura dai fattori di vantaggio derivanti in capo al precedente concessionario dalla pregressa titolarità della concessione o di altro rapporto concessorio funzionalmente collegato al primo²⁸
Costante è l'affermazione per cui la preferenza accordata al precedente concessionario nei procedimenti di concessione di aree demaniali marittime (c.d. diritto di insistenza) è apprezzabile dall'amministrazione soltanto gradatamente e subordinatamente alla verifica della pari capacità economico-gestionale di due o più concorrenti ed ha carattere sussidiario rispetto al criterio principale e generale della più proficua utilizzazione della concessione e del migliore uso della stessa nel pubblico interesse²⁹.  
Come già ricordato, i tentativi di interpretazione comunitariamente conforme non hanno salvato la disposizione in esame dalle censure della Commissione che ne ha rilevato il contrasto con il principio di libertà di stabilimento nel mercato interno, sancito dall'art 43 TCE (ora 49 TFUE), con conseguente abrogazione ad opera del citato d.l. 194/2009³⁰.

Da ultimo, sempre in tema di lettura orientata in senso eurounitario delle disposizioni vigenti, occorre ricordare la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 16/05/2013, n. 2663, che -con riferimento alla proroga delle concessioni sino al 31 dicembre 2015 disposta dall'art 1, comma 18, d.l. 194/2009, nella versione antecedente alla modifica dall'articolo 34-duodecies, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179- ne ha affermato la compatibilità con i principi del Trattato, facendo leva sulla natura transitoria della disciplina ed affermando che “non è manifestamente irragionevole un regime transitorio che, nel regolare l'esaurimento delle situazioni preesistenti, formatesi in base a un regime all'epoca valido, indichi un termine di sei anni per l'adeguamento ai principi comunitari”³¹.
La linea di continuità con l'ordinamento sovranazionale è confermata dagli orientamenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado che è giunta fino alla disapplicazione dell'art 1, comma 18, d.l. 194/2009 perché in contrasto con i principi comunitari in tema di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi³²
Anche l'analisi delle sentenze della Corte Costituzionale conferma il livello di coesione raggiunta dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale sul punto.
Significativa, sotto tale profilo, è la sentenza del 20 maggio 2010 n. 180³³ in cui la Corte ha esaminato la legittimità costituzionale dell'art 1 legge regionale Emilia Romagna del 23 luglio 2009 n. 8 nella parte in cui ha inserito nella legge regionale 9/2002 l'art 8 bis, comma 2, che consentiva ai titolari di concessioni demaniali marittime di chiedere la proroga della durata della concessione fino ad un massimo di venti anni.

La Corte, infatti, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate per contrasto con l'art 117 co 1 Cost che impone al legislatore statale e regionale di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, in quanto la proroga automatica della concessione contrasta con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento ai sensi degli artt. 43 e 81 TCE (ora artt. 49 e 101 TFUE).
L'incompatibilità con i principi del Trattato viene ravvisata proprio nell'automaticità del meccanismo di proroga introdotto dalla legge regionale, in quanto subordinata alla mera richiesta del concessionario uscente ed alla presenza di un valido programma di investimenti. Siffatto meccanismo, infatti, si traduce in una sostanziale chiusura del mercato, in quanto coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questo non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti.
Si realizza in questo modo una barriera all'ingresso, con la conseguenza che “la previsione della proroga dei rapporti concessori in corso, in luogo di una procedura di rinnovo che “apra” il mercato, è del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi comunitari”.
E' evidente l'affinità di ragionamento tra Giudice costituzionale e Giudice eurounitario.
Tale affinità si coglie anche con riferimento ad un altro aspetto: la tutela dell'affidamento del concessionario uscente³⁴.
Abbiamo visto che per la Corte di Giustizia la tutela dell'affidamento non assurge a fattore scriminate della violazione, né può giustificare una deroga generalizzata ed automatica all'obbligo di gara, ma può, al più, costituire elemento di valutazione in sede di esame della singola fattispecie concreta.
Ancora più rigorosa è, sul punto, la linea di pensiero del Giudice delle Leggi che esclude in toto la sussistenza di un affidamento da tutelare in caso di proroga di una concessione già scaduta con riguardo all'esigenza di disporre del tempo necessario all'ammortamento delle spese sostenute perottenere la concessione, in quanto al momento del rilascio il concessionario conosceva già l'arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti e su di esso ha potuto fare affidamento.
La giurisprudenza costituzionale successiva, nel ribadire i principi affermati nella pronuncia n. 180/2010, ha precisato che la proroga delle concessioni si pone in contrasto con i principi comunitari non solo quando è automatica e generalizzata, ma anche allorché sia subordinata ad una valutazione caso per caso in ragione degli investimenti effettuati³⁵. Nella sentenza n. 213 del 18 luglio 2013 la Corte costituzionale, inoltre, ha evidenziato come il rilascio delle concessioni demaniali marittime e, quindi, le regole che disciplinano l'accesso ai relativi beni da parte dei potenziali concessionari siano aspetti che rientrano nella tutela della concorrenza, con conseguente illegittimità costituzionale delle leggi regionali impugnate in relazione all'art. 117 commi 1 e 2 lett. a) ed e) Cost³⁶.
L'orientamento è stato confermato anche con riferimento alle proroghe delle concessioni in settori diversi dal demanio marittimo, sicché nel panorama giurisprudenziale italiano è principio consolidato quello per cui solo con l'affidamento mediante procedure concorsuali che si viene ad operare una effettiva apertura del settore e a garantire il superamento di assetti monopolistici. In particolare, si è più volte sottolineato che "la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento. La gara pubblica, dunque, costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza”³⁷.

Dal quadro sopra delineato emerge come i vari tentativi delle leggi regionali di contemperare principio di concorrenza e tutela dell'investimento non hanno superato il vaglio di legittimità costituzionale. Per contro, la disciplina introdotta dal legislatore statale a seguito della procedura di infrazione comunitaria viene considerata dalla giurisprudenza nazionale compatibile con i principi comunitari esclusivamente in considerazione della natura transitoria della medesima, in quanto volta soltanto a disciplinare il passaggio ad un assetto normativo che, a regime, assicuri il pieno accesso al mercato attraverso procedure selettive trasparenti.
E' proprio il carattere transitorio della disciplina che, tuttavia, è stato contraddetto dall'evoluzione successiva, atteso che il legislatore, insensibile agli impulsi provenienti dalla giurisprudenza, ne ha prorogato ulteriormente la vigenza fino al 31 dicembre 2020.
La decisione della Corte di Giustizia in commento, nel ribadire - a livello sovranazionale - le stesse conclusioni cui erano già giunti Consiglio di Stato e Corte Costituzionale, ha fornito finalmente l'occasione per ricondurre la materia entro la cornice tracciata dalla Direttiva servizi e dagli stessi principi del Trattato.
Allo stato, tuttavia, il legislatore è intervenuto con l'ennesima soluzione “tampone”, rinviando l'apertura del mercato alla conclusione della già preannunciata riforma nel settore.
L'art 24 co 3 septies del d.l. 113 del 24 giugno 2016, introdotto in sede di conversione dalla legge 7 agosto 2016, n. 160 ha sancito, infatti, che “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai princìpi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l'interesse pubblico all'ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.”
La disposizione, nel dare rilievo ancora una volta (accanto all'ordinata gestione del demanio) all'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, pretermette qualunque considerazione del contesto di riferimento: di quel contesto che, per contro, balza in primo piano nell'analisi della giurisprudenza nazionale e sovranazionale ed il cui assetto concorrenziale deve essere garantito.
La previsione, inoltre, nel prevedere che conservano validità le concessioni già pendenti ai sensi del d.l. 194/2009 non ne àncora la durata ad un dato temporale certo, ma al (già da lungo tempo atteso)riordino del settore, con il rischio che la situazione di incompatibilità denunciata dalla Corte si protragga ancora a lungo.
Ancora una volta, è mancato l'allineamento del diritto positivo alla prospettiva da cui muovono i giudici, europei e nazionali, in una visione sincronica orientata al contesto anziché al singolo operatore del mercato.
La vicenda delle concessioni balneari marittime dimostra che se, come è stato osservato³⁸, la crisi di coesione dell'UE di cui Brexit ha costituito la punta di emersione è da ricondursi alle resistenze degli Stati membri, principalmente volti alla tutela dei propri interessi di parte -nazionali o istituzionali che siano-, i giudici possono giocare un importante ruolo per la tenuta dell'Unione attraverso l'armonizzazione delle discipline e l'adeguamento ai Trattati, reagendo, attraverso gli strumenti a loro disposizione ( la disapplicazione, il rinvio pregiudiziale, l'interpretazione comunitariamente orientata) alle soluzioni disarmoniche, rispetto alla disciplina eurounitaria, introdotte sul piano del diritto positivo dal legislatore nazionale.


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¹Per una lucida analisi della crisi in atto, cfr. Jan Zielonka, “Disintegrazione. Come salvare l’Europa dall’Unione Europea”, Laterza Editore, 2015. L'Autore osserva come, nello scenario attuale, “Pare che il vento dell’interdipendenza sia girato: l’interdipendenza non genera più integrazione, anzi provoca disintegrazione. Si osserva un processo di progressiva involuzione, più che di ricaduta positiva, nel senso che la disintegrazione in un settore provoca la disintegrazione in un altro”.

²L'art 6.1. d.l. 5 ottobre 1993 n. 400 conv. dalla l. 4 dicembre 1993 n. 494 prevede “Ove, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo non abbia provveduto agli adempimenti necessari a rendere effettiva la delega delle funzioni amministrative alle regioni, ai sensi dell'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 , queste sono comunque delegate alle regioni. Da tale termine le regioni provvedono al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, nei limiti e per le finalità di cui al citato articolo 59, applicando i canoni determinati ai sensi dell'articolo 04 del presente decreto”. Successivamente il quadro normativo è mutato con la legge delega 15 marzo 1997 n. 59, il d lgs 31 marzo 1998 n. 112 e con la riforma del titolo V Costituzione. Sul punto cfr. M. Olivi, Il demanio marittimo tra Stato e autonomie territoriali e titolarità del bene e titolarità della funzione, in Foro Amm. C.d.S, 2006,9, 2423 ss; M. D'Orsogna, Le concessioni demaniali marittime nel prisma della concorrenza: un nodo ancora irrisolto, in Urbanistica e appalti, 2001, 5, 599 ss..

³R. Righi ed E. Nesi, ““Riflessioni sull’applicazione della Direttiva servizi alle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative”, Nel Diritto, 8/2014 , pag 1521 ss. Gli autori sottolineano come “Per una sorta di eterogenesi dei fini, l’applicazione alle concessioni demaniali marittime della Direttiva servizi, anziché favorire la libertà di stabilimento dei prestatori, determinerà, all’esito del periodo transitorio, la circolazione forzosa di aziende e di diritti reali superficiari dal patrimonio dei concessionari uscenti al patrimonio di quelli subentranti. Unitamente ai beni immobili circoleranno inoltre anche beni immateriali, quali l’avviamento commerciale” Per tali ragioni-secondo gli A.A.- è necessaria un'interpretazione della Direttiva che sia compatibile con i diritti fondamentali riconosciuti dalla c.d. Carta di Nizza, nonché dalle Costituzioni degli Stati membri, primo tra tutti il diritto di proprietà; di qui la necessità di indennizzare concessionario uscente delle perdite, che conseguirebbe al subentro di terzi nella titolarità del compendio aziendale.

L'art 01 comma 2 del d.l. 400/1993 è stato prima sostituito dall'art. 10, L. 16 marzo 2001, n. 88, poi così modificato dall'art. 13, L. 8 luglio 2003, n. 172 ed infine abrogato dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 11, L. 15 dicembre 2011, n. 217 - Legge comunitaria 2010. Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 02/02/2012, n. 585, in Foro amm. CDS 2012, 2, 381 , secondo cui il comma 2 dell'art. 1 del d.l.400 del 1993, nella formulazione risultante dall'art. 10 della l. 88 del 2001, che ha sancito la durata sessennale di talune concessioni demaniali, risulta in radice inapplicabile alle concessioni con finalità produttive ed industriali, mentre il campo di applicazione è limitato alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.

Art 3 comma 4 bis d.l. 400/1993. Comma aggiunto dal comma 253 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e poi modificato dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 11, L. 15 dicembre 2011, n. 217 - Legge comunitaria 2010.

La Commissione europea, ha ritenuto che tale rinvio, che stabiliva il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, delle concessioni in scadenza, privasse, nella sostanza, di ogni effetto l'adeguamento ai principi comunitari effettuato con il decreto-legge n. 194 del 2009 e fosse contrario, non solo all'articolo 49 del TFUE, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento, ma anche all'articolo 12 della direttiva 2006/123/CE.

L'articolo 34-duodecies, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221 (di conversione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179) ha ulteriormente modificato l'art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194/2009, più volte citato, concedendo un'ulteriore proroga (fino al 31 dicembre 2020) della durata delle concessioni demaniali marittime in scadenza entro il 31 dicembre 2015.

Consiglio di Stato, sez. VI, 27/12/2012, n. 6682, in Rivista Giuridica dell'Edilizia 2013, 1, I, 104, secondo cui, prima del recepimento della direttiva Bolkestein, “La disciplina introdotta dall'art. 1 comma 18 d.l. 30 dicembre 2009 n. 194 non viola le disposizioni della direttiva 123/06/Ce in materia di procedure da seguire per il rilascio di autorizzazioni in ipotesi di scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili e di durata delle autorizzazioni stesse. Tale direttiva, infatti, non si configura quale provvedimento "self-executing" e, pertanto, la specifica quantificazione della durata dell'autorizzazione spetta al legislatore nazionale”.

L'art. 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009,n. 194, originariamente non si riferiva espressamente alle concessioni lacuali, cui è stata successivamente estesa dall'art. 1, comma 547, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

¹⁰Sull'impossibilità di applicare lo schema dell'art 19 l. 241/1990 in www.lexitalia.it alle concessioni demaniali marittime cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 luglio 2015 n. 3397, secondo cui “la disposizione non è espressamente applicabile ai casi in cui-come nella specie-è necessaria la valutazione di interessi sensibili (quali l’ambiente, il paesaggio o la sicurezza pubblica) in ordine ai quali è richiesto un particolare schema procedimentale”.

¹¹Con ordinanza del 14 agosto 2015 n. 3936 la VI Sezione del Consiglio di Stato, richiamando la pronuncia del TAR Lombardia n. 2401 del 26 settembre 2014 ha sollevato analoga questione pregiudiziale in un giudizio avente ad oggetto la delibera di Giunta della Regione Sardegna n. 25/2016 del 26 maggio 2009 in materia di rinnovo delle concessioni demaniali marittime scadute o in scadenza al 31 dicembre 2009. Il Consiglio di Stato ha sottolineato come l'art 1 comma 18 d.l. 194/2009 non si applichi solo alle concessioni con finalità turistico ricreative, ma anche a tutte quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati a nautica da di porto. Infatti-sostiene il Collegio- l'art 1 comma 547 l. 228/2012 che ha aggiunto all'art 1 co 18 dopo le parole “turistico-ricreative” le parole “e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto” ha natura meramente esplicativa o interpretativa, sicché, anche prima della richiamata modifica, le citate attività rientravano senza dubbio dell'ambito di applicazione del d.l. 194.

¹²Punto 40 delle conclusioni dell'Avvocato Generale Maciej Szpunar presentate il 25 febbraio 2016.

¹³L'assimilazione delle concessioni alle autorizzazioni, oltre ad essere in linea con il considerando 39 della direttiva, secondo cui il regime di autorizzazione comprende tutte le procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni, è espressione dell'approccio sostanzialista che caratterizza il diritto eurounitario, per cui ciò che rileva è la necessità di un atto formale dell'autorità, a prescindere dal nomen, per l'accesso ad un'attività.

¹⁴Punto 46 della decisione “A tale riguardo occorre ricordare che una concessione di servizi è caratterizzata, in particolare, da una situazione in cui un diritto di gestire un servizio determinato viene trasferito da un’autorità aggiudicatrice ad un concessionario e che questi dispone, nell’ambito del contratto concluso, di una certa libertà economica per determinare le condizioni di gestione di tale diritto, restando parallelamente in larga misura esposto ai rischi connessi a detta gestione (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, Hans & Christophorus Oymanns, C-300/07, EU:C:2009:358, punto 71)”.

¹⁵L'esistenza di un interesse transfrontaliero è desumibile dalla sussistenza congiunta di una serie di circostanze tra le quali l'importanza economica dell'appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche: cfr. Corte di Giustizia, Seconda Sezione, 17 luglio 2008, in causa C-347/06, ASM Brescia, punto 62; Corte di Giustizia, Decima Sezione, 14 novembre 2013, in causa C-221/12, Belgacom, punto 29.

¹⁶Sul legittimo affidamento Corte giustizia UE, sez. II, 15/12/2005, in causa 148/04, Foro it. 2006, 4, IV, 185, Corte giustizia UE, sez. V, 11/12/2014, in causa 440/13, Rassegna di diritto farmaceutico 2014, 6, 1429.

¹⁷La Corte osserva che l'art 12, par 3, della direttiva 2006/123 prevede espressamente che gli Stati membri possano tener conto, nello stabilire le regole di selezione, di motivi imperativi di interesse generale, ricorda, tuttavia, che si deve tenere conto di tali considerazioni al momento di stabilire le regole di procedura e sempre fatto salvo quanto previsto dall'art 12, par 1, in tema di parità di trattamento e trasparenza della procedura selettiva: punti 53,54,55 della sentenza.

¹⁸Si trattava di una concessione di distribuzione di gas naturale rilasciata nel 1984 dal comune di Rodengo Saiano alla ASM Brescia S.pa., la cui scadenza era stata inizialmente stabilita al 31 dicembre 2014 e successivamente, con protocollo aggiuntivo, differita al 31 dicembre 2029. Il Comune fissava la scadenza anticipata della concessione rilasciata all'ASM Brescia al 31 dicembre 2005, onde poter indire una gara d'appalto e designare un nuovo gestore del servizio. All'ASM Brescia è stato peraltro riconosciuto il diritto ad un rimborso pari al valore residuo degli ammortamenti, stimato in EUR 926 000sulla base di una perizia. Successivamente è entrato in vigore il d.l. 273/2005, che prevede, all'art. 23, il prolungamento automatico del termine del periodo transitorio di vigenza delle originarie concessioni già fissato dall'art.. 15, comma 5, del d.lgs. 164/2000 dal 31 dicembre 2005 al 31 dicembre 2007, nonché, a determinate condizioni, la proroga automatica di tale periodo dal 31 dicembre 2007 al 31 dicembre 2009.

¹⁹Punti da 52 a 57 , in cui la Corte riprende e fa proprie le conclusioni dell'Avvocato Generale (punti da 84 a 100).

²⁰Corte di Giustizia, 14 novembre 2013, Belgacom.

²¹Cfr in questo senso possono richiamarsi i principi espressi in tema di responsabilità della pubblica amministrazione per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede: cfr. C.d.S. sez. VI, 16/01/2014, n. 154, sez. V, 15/05/2013, n. 2620, sez. IV, 22/06/2016, n. 2753.

²²Cfr. M. D'Orsogna, Le concessioni demaniali marittime ne prisma della concorrenza: un nodo ancora irrisolto, ove si individua la soluzione nella predeterminazione, a regime, della durata delle concessioni in maniera proporzionata all'entità degli investimenti previsti e dei progetti e realizzazioni proposte dall'aspirante concessionario, in modo da riequilibrare le posizioni delle parti, pubblica e privata, a premio di una visione sistemica di razionalità economica.

²³RIGHI -NESI, “Riflessioni sull’applicazione della Direttiva servizi alle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative”, cit., ove si sottolinea che la proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2020 disposta, da ultimo, dall' art. 34-duodecies D.L. n. 179/2012, è da considerarsi legittima “tenuto conto che il ciclo di vita di uno stabilimento balneare ha una durata indefinibile e che gli investimenti compiuti dai concessionari sono ingentissimi. È infatti noto che gli investimenti riguardino, oltre che l’offerta di servizi alla clientela, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle fabbriche, se non anche il loro acquisto. È del tutto evidente che anche quest’ultima proroga sarebbe inadeguata nel caso di un imprenditore che fosse ad esempio subentrato nella titolarità di una concessione nel 2009, acquistando la fabbrica incidente sul demanio al prezzo di centinaia di migliaia d’euro, ricorrendo a mutui fondiari di durata ultradecennale.” Gli Autori osservano che, muovendo dal presupposto che il demanio marittimo sia una risorsa naturale limitata, ma produttiva, non si tiene conto del fatto che ad essere produttivi non sono i beni demaniali, ma le aziende private incidenti su di esso. “Trattasi di una distinzione di non poco conto, visto che nessuna procedura di infrazione risulta essere stata aperta per contrarietà all’art. 49 TFUE dell’art. 28 (“Rinnovazione del contratto”) legge 27 luglio 1978, n. 392, il quale si applica anche ai beni pubblici locati a privati, quando detti beni appartengano, anziché al demanio o al patrimonio indisponibile, al patrimonio disponibile.”

²⁴Consiglio di Stato, Ad. Plen. 25 febbraio 2013 n. 5, in Foro it., III, p 250 ss,; nel caso di specie si trattava di uso di spazi pubblici per la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali.

²⁵Consiglio di Stato, sez. V, 31 maggio 2011 n. 3250, in Foro it., III, p. 637 ss.

²⁶Consiglio di Stato, sez. VI, 6 novembre 2015 n. 5063, in www.giustizia-amminitrativa.it ove si legge “Anche le concessioni di beni pubblici e, segnatamente, quelle relative ai beni demaniali marittimi, sono assoggettate all’applicabilità dei principi desumibili dal diritto europeo primario e, segnatamente, ai generali principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità; principi questi che rinvengono nell’obbligo di indizione di procedure trasparenti e competitive il loro primo corollari”.

²⁷L'art 37 cod nav. rubricato “Concorso di più domande di concessione” prevedeva, al comma secondo, secondo periodo che “E' altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze”. Il periodo è stato abrogato dall'art. 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 convertito con l. 26 febbraio 2010, n. 25

²⁸Consiglio di Stato, sez. VI, 01/07/2008, n. 3326, Foro amm. CDS 2008, 7-8, 2105.

²⁹Consiglio di Stato, sez. VI, 24/04/1995, n. 354, in Foro Amm. 1995, 986; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22/04/2008, n. 329, Riv. giur. edilizia 2008, 4-5, I, 1100, Consiglio di Stato, sez. VI, 08/10/2008, n. 4920, Foro amm. CDS 2008, 10, 2775, Consiglio di Stato sez. VI, 25/09/2009 n. 5765, in Foro amm. CDS 2009, 9, 2129, T.A.R. Latina sez. I, 02/02/2012 n. 66, Foro amm. TAR 2012, 2, 507.

³⁰Con riferimento al quadro successivo all'entrata in vigore dell'art 1, comma 18, d.l. 194/2009, si ricorda TAR Calabria, sentenza 24 settembre 2014 n. 505, in ww.lexitalia.it: “E’ illegittima la concessione di un bene demaniale marittimo senza che l’autorità procedente abbia svolto la valutazione comparativa tra le varie istanze presentate dagli aspiranti concessionari, come imposto dalla vigente normativa (artt. 36 e 37 cod. nav.), nonostante che le domande di concessione fossero sostanzialmente coeve. Invero, il rilascio di una concessione di natura demaniale non può mai dare luogo ad una procedura lesiva dei principi di imparzialità, trasparenza, non discriminazione e par condicio, atteso che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato tale da imporre una procedura competitiva (1). Il principio affermato è corroborato ed influenzato dai dettami comunitari, espressi in via generale dalla cd. direttiva Bolkestein 2006/123/CE, la quale ha previsto che “nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno prevedere una procedura di selezione tra i diversi candidati potenziali”. In senso parzialmente difforme, con riferimento alla possibilità di prescindere dalla procedura di evidenzia pubblica in caso concorrenza tra una istanza di subingresso e domanda di rilascio di una nuova concessione da parte di un terzo, T.A.R. Roma sez. II bis 20/07/2015, n. 9840 in Rivista Giuridica dell'Edilizia 2015, 5, I, 1193.

³¹Consiglio di Stato, sez. VI, 16/05/2013, n. 2663, in Foro amm. CDS 2013, 5, 1400. Nella pronuncia, in particolare, il Collegio afferma che “Nel caso in esame, il termine di sei anni è stato stabilito per consentire l'introduzione di una nuova disciplina della materia conforme ai principi comunitari e, a parere del Collegio, non esorbita dalla sfera della discrezionalità legislativa. Infatti, il termine di sei anni coincide con la durata minima delle concessioni, e sotto questo profilo costituisce un'ultima proroga, la cui ragione può essere individuata nella necessità di far rientrare dagli investimenti gli operatori che avevano comunque fatto affidamento sulla precedente legislazione in materia di diritto di insistenza, dando loro il tempo necessario all'ammortamento delle spese sostenute. In sostanza, il legislatore ha effettuato un contemperamento degli interessi coinvolti, operando un adeguamento ai principi comunitari senza pregiudicare gli interessi degli operatori del settore.”

³²Tar Sardegna, sez. I, ord. 27 ottobre 2010 n. 4763, in Urbanistica e appalti, 2011, 5, p 599; nello stesso senso Tar Liguria, sez. I, 26 gennaio 2006 n. 225, in Urbanistica e appalti, 2006, 7, p 851 ss., con nota di G. Balocco, Concessione di beni pubblici tra affidamento diretto e obbligo di gara.

³³Corte Cost. 20 maggio 2010 n. 180, Foro it. 2010, I, 1977.

³⁴Sul punto, cfr. Giustino Lo Conte, Rinnovo di una concessione di beni demaniali e tutela della concorrenza: un matrimonio impossibile, in Gazzetta Amministrativa, Numero 2 – 2011, pag 32 ss. L'autore ricorda come già nel lontano 1998 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nell'osservare come le concessioni vengano sovente utilizzate come strumenti di regolazione che limitano l'accesso al mercato, avesse sottolineato l'indispensabilità che la durata della concessione sia proporzionata al periodo di recupero degli investimenti necessari per lo svolgimento dell'attività, in quanto il valore degli investimenti già effettuati dal concessionario può essere posto a base d'asta.

³⁵La Corte ha precisato che l'art 1, comma 18, d.l. 194/2009, nel confermare le concessioni rilasciate ex art 3, comma 4 bis, d.l. 400/1993 e, dunque, aventi durata da sei a venti anni, rilasciate per tale periodo di tempo in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere realizzate dal concessionario, ha attribuito a tale disciplina carattere transitorio in attesa della revisione della legislazione in materia . La norma citata avrebbe, pertanto, la finalità di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari degli stabilimenti balneari di completare l'ammortamento degli investimenti nelle more di riordino della materia (Corte cost.n. 213/2011).

³⁶L'illegittimità costituzionale ha investito l'art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche 11 febbraio 2010, n.7, l'art. 5 della legge della Regione Veneto 16 febbraio 2010, n. 13, artt. 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 18 febbraio2010, n. 3.

³⁷Corte Cost. n. 2 del 13 gennaio 2014 in materia di concessione del servizio di trasporto pubblico; Corte Cost. n. 171 del 4 luglio 2013 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Liguria 30 luglio 2012, n. 24 nella parte in cui prevede che, al verificarsi di determinati presupposti, le concessioni in essere saranno prorogate, tenuto conto dell'investimento effettuato, secondo un regolamento attuativo che sarà predisposto dalla Regione Liguria entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

³⁸Zielonka, cit.