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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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Il controllo analogo: gli sviluppi ermeneutici nella giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria.

Di Alessandro Sorpresa
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Il controllo analogo: gli sviluppi ermeneutici nella giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria

 

Di Alessandro Sorpresa

 

Abstract

Il presente scritto mira ad approfondire il regime di affidamento in house ed in particolare il requisito del cd. “controllo analogo” per come disciplinato a livello normativo e concretamente applicato dalle Corti nazionali e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

 

The aim of this paper is to examine the in-house providing regime and especially the requirement of the so-called “analogous control” as regulated by both Italian law and EU law and concretely applied by the Courts.

 

 

  1. Introduzione e inquadramento normativo

L’art. 3 del d.lgs. n. 36/2023 prevede che: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”.

Il successivo art. 7, c. 2, primo periodo, recita: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3”.

A livello generale, perché una società sia considerata in house, devono essere presenti contemporaneamente tre requisiti: il capitale sociale deve essere interamente detenuto da enti pubblici che forniscono servizi pubblici, e lo statuto deve vietare la cessione di azioni a privati; la società deve svolgere principalmente attività a favore degli enti partecipanti, con eventuali attività accessorie che non hanno un impatto significativo sul mercato; la gestione deve essere sottoposta a controlli statutari simili a quelli esercitati dagli enti pubblici sui propri uffici.

Nello specifico, considerando il profilo motivazionale del provvedimento amministrativo di affidamento, è necessario operare una distinzione.

Da un lato, per i servizi all’utenza bisogna dar conto ed evidenziare i vantaggi per la collettività da un punto di vista qualitativo, dell’universalità del servizio, di risparmio di tempo e del razionale impiego delle risorse.

Dall’altro lato,            invece, avuto riguardo ai servizi strumentali alla Pubblica Amministrazione è sufficiente dare una motivazione più snella con riferimento alla riduzione di tempi e costi sulla base di parametri predeterminati e oggettivi di raffronto. In particolare, ai fini della legittimità dell’affidamento in house, occorre fornire una motivazione incentrata soprattutto su ragioni di convenienza economica, anche con riferimento a parametri oggettivi e predeterminati di rapporto qualità/prezzo. Più nel dettaglio, si è fatto riferimento agli standard della società Consip S.p.a. (società per azioni partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Ciò detto, il comma 3 del richiamato art. 7 prosegue affermando che: “L’affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale è disciplinato dal decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201”, in materia di riordino della disciplina di quei servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che sono previsti dalla legge o che gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale.

É proprio il combinato disposto degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 201/2022 ad indicare tra le modalità di gestione del servizio l’affidamento a società in house, pur nei limiti fissati dal diritto dell'Unione europea, nonché nei limiti e secondo le modalità di cui alla disciplina in materia di contratti pubblici e di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016.

Nello specifico, ai sensi dell’art. 17 c. 2, nel caso di affidamenti in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, gli enti locali e gli altri enti competenti adottano la deliberazione di affidamento del servizio sulla base di una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio, illustrando i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche disciplinate al successivo articolo 30.

Inoltre, qualora vengano in rilievo servizi pubblici locali a rete, alla summenzionata deliberazione è altresì allegato un piano economico-finanziario che, fatte salve le discipline di settore, contiene anche la proiezione, su base triennale e per l’intero periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento, da aggiornare ogni triennio.

 

  1. Il requisito del cd. controllo analogo

Tra i profili maggiormente controversi della disciplina esposta, vi è la delineazione dei tratti essenziali del requisito del cd. “controllo analogo” esercitato da parte dell’Ente pubblico da cui la società dipende.

La giurisprudenza, nazionale ed euro-unitaria, ha cercato negli anni di riempire di contenuto una simile espressione, sviluppando orientamenti ermeneutici non sempre sovrapponibili con alcune  convinzioni iniziali.

Tra le prime pronunce maggiormente rilevanti, si è soliti ricordare quella emanata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea il 13 ottobre 2005, nella causa C-458/03, nota come la sentenza “Parking Brixen”. In quell’occasione, l’organo giudicante, nel tentativo di provvedere ad una più puntuale individuazione dei caratteri del controllo da esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico, ha affermato che: “[…] Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti […]” (cfr. punto 65).

Sulla medesima linea ermeneutica, già il Consiglio di Stato, con la sentenza del 25 gennaio 2005, n. 168, aveva statuito che: “[…] il controllo si sostanzia in un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario”.

In questa situazione di ‘subordinazione gerarchica’, desumibile da un’analisi condotta sul piano effettivo e ricavabile anche dalla presenza di clausole statutarie o di patti parasociali che assicurino preminenza alla mano pubblica, il controllo gestionale e finanziario particolarmente stringente esercitato dall’Ente sulla società giustificherebbe, sussistendo anche gli altri requisiti previsti, l’affidamento diretto del servizio. 

Maggiore chiarezza nei criteri da seguire parrebbe derivare dalla sentenza Stadt/Halle dello stesso anno, causa C-26/03, nella quale la Corte ha negato la possibilità di procedere ad affidamento diretto, sostenendo che: “[…] la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale, alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi […]”. E prosegue sostenendo che, mentre il rapporto tra un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni e ad esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente. Un simile investimento sarebbe, dunque, incompatibile con il perseguimento di interessi pubblici.

L’assenza di azioni private nella società in house viene ribadita nel sentenza Mödling, causa C-410/04. Ai punti 31 e 32 di quella pronuncia del 6 aprile 2006, si legge che: “[…] la partecipazione, ancorché minoritaria, di un’impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure l’autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Quindi, se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene […]”. 

Oltre a ciò, in quell’occasione, la Corte ha aggiunto anche che la proprietà azionaria totalitaria in mano pubblica deve sussistere non solo nel momento genetico del rapporto, ma anche in quello funzionale, e cioè durante l’intera vita della società. Inoltre, si precisa in quella sentenza, la medesima va garantita da appositi strumenti, come il divieto statutario di cedibilità delle azioni.

A livello nazionale, il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 1/2008 ha compiuto un ragionamento similare, affermando che: “[…] in mancanza di una stabile e certa incedibilità delle azioni, il rispetto delle regole della concorrenza sarebbe rimesso (come non è ragionevolmente consentito) alla costante vigilanza degli altri operatori del settore, i quali dovrebbero verificare, per tutta la durata del rapporto sorto per affidamento diretto, la permanenza in mano pubblica del capitale […]”.

In altri termini, l’eventuale mutamento della compagine della società partecipata durante la vigenza di un contratto di gestione diretta del servizio pubblico locale, con ingresso, anche in quota minoritaria, di soggetti privati, determinerebbe, quale conseguenza, l’affidamento di una concessione di servizi pubblici ad una società mista, senza, però, il previo svolgimento di una procedura “aperta”, violando in tal modo gli stessi obiettivi perseguiti a livello euro-unitario.

Invero, la partecipazione pubblica totalitaria non necessariamente assicura un potere diretto ed immediato sulle strategie e sugli indirizzi della società. Occorre, allora, accertare in concreto l’eventuale sussistenza di strumenti di “controllo strutturale”, contenuti, in ipotesi, nell’atto costitutivo, nello statuto o nei patti parasociali della società in house. Si tratta, infatti, di comprendere se talune clausole o prerogative siano in grado di conferire agli enti locali titolari di quote societarie reali capacità di controllo, anche per mezzo di attività di vigilanza, sull’attività decisionale della controllata.

Al tempo stesso, l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia (dalle citate sentenze 11 gennaio 2005, C-26/2003, Stadt Halle e 13 ottobre 2005, C-458/2003, Parking Brixen) e di legittimità registra una progressiva specificazione della nozione, nel senso di una sua non assoluta e perfetta coincidenza o sovrapposizione con il controllo esercitato dall’ente pubblico sui propri organi ed uffici interni, a favore di una più marcata sua identificazione nella fattispecie di influenza determinante sulle linee strategiche e sulle decisioni fondamentali della società.

In particolare, difficilmente potrebbe essere accolta una nozione di controllo analogo esercitata dall’ente pubblico sulla società in house tale da declassare la società di capitali a mera articolazione interna dell’ente pubblico, del tutto priva di autonomia e sottoposta all’identico potere gerarchico esercitato dall’Amministrazione sugli uffici dipendenti. A tale interpretazione osterebbe, anzitutto, la previsione lessicale, posto che “analogo” non è sinonimo di “identico”. Con ciò si intenderebbe piuttosto affermare che tale controllo non è uguale ma semplicemente “simile” a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri servizi gestiti direttamente.

Inoltre, una interpretazione del controllo analogo tale per cui la società in house risulti assoggettata ad un potere di direzione gerarchica, indistinguibile da quello esercitato dall’ente pubblico sulle proprie articolazioni interne, parrebbe incompatibile con i principi di autonomia patrimoniale e attribuzione della personalità giuridica che il Codice civile riconosce alla società di capitali (Cass., Sez. Un., 8 luglio 2020, n. 14236; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2023, n. 3869).

 

  1. Partecipazione pubblica totalitaria: necessaria ma non sufficiente

Un esame della giurisprudenza intervenuta sul punto porta a precisare che “la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria ma non sufficiente (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, sez. VI, 1° giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514), servendo maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. In particolare:

  1. a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072);
  2. b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514);
  3. c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10 novembre 2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen);
  4. d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5).

In sostanza, si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).

Ne consegue che l’in house esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e l’impresa è anche sotto l’influenza dominante dell’ente.

Da ultimo (Cons. giust. amm. reg. sic. 4 settembre 2007, n. 719), sempre in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, si è ritenuto essenziale il concorso dei seguenti ulteriori fattori, tutti idonei a concretizzare una forma di controllo che sia effettiva, e non solo formale o apparente:

  1. a) il controllo del bilancio;
  2. b) il controllo sulla qualità della amministrazione;
  3. c) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti;d) la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali.

In altri termini, l’in house, così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra rappresentare, più che un modello di organizzazione dell’amministrazione, un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono la previa gara” (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., sent. n. 1/2018).

In aggiunta a questi indicatori, la giurisprudenza amministrativa ha sviluppato negli anni ulteriori indici sintomatici del controllo analogo.

Si ricordi il TAR Sardegna che, nella sentenza del 21 dicembre 2006, n. 2407, parlava della presenza di un apposito Comitato di Controllo sulla gestione della società costituito dall’Ente pubblico e “composto da cinque membri, presieduto dal Sindaco o dall’organo da questi delegato, dal direttore generale del Comune se nominato o dal segretario comunale, dal dirigente del settore finanziario del Comune ovvero dal dirigente del settore competente in relazione alla materia oggetto della decisione, indicato per ciascun caso in via discrezionale dal Sindaco, e da due consiglieri comunali individuati dal consiglio stesso in unica votazione. Ciascun consigliere comunale potrà esprimere una sola preferenza. Il Comitato assume le proprie decisioni in base a regolamento interno adottato dalla Giunta comunale ed è operativo fin dalla data di approvazione del presente statuto con la presenza dei tre membri di diritto”.

In altri casi, la giurisprudenza ha fatto riferimento all’elaborazione di direttive sulla politica aziendale; alla preventiva comunicazione scritta ai soci pubblici, in caso di atti di straordinaria amministrazione, dalla quale dovrà risultare con chiarezza l’argomento oggetto di decisione unitamente all’eventuale parere del Collego sindacale; alla determinazione dell’O.d.G. del Consiglio di amministrazione; all’indicazione dei dirigenti da parte dei soci pubblici; nonché, in caso di atti di straordinaria amministrazione, alla preventiva trasmissione di una relazione illustrativa al comitato di controllo sulla gestione costituito dai soci pubblici con l’attribuzione al medesimo di un potere di veto o di avocazione della decisione all’assemblea dei soci.

In altri ancora, si è richiamato il fatto che l’attività della società affidataria si svolga tramite organi statutari composti da rappresentanti degli enti soci ed il caso in cui gli enti soci esercitino un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società.

In sintesi, come emerge altresì dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 9 marzo 2009, n. 1365, il problema del controllo analogo non può risolversi in termini astratti, dovendosi piuttosto verificare, nel caso concreto, l’esistenza di una relazione di tendenziale immedesimazione tra la società diretta affidataria e l’ente pubblico titolare della partecipazione totalitaria, tenendo conto della specifica articolazione organizzativa della medesima, della natura dei rapporti intercorrenti tra i diversi enti pubblici eventualmente presenti, nonché degli stessi poteri loro spettanti in ordine alla gestione societaria.

In altri termini, il controllo analogo non è un controllo assoluto come su un pubblico ufficio né un controllo gerarchico, trattandosi del controllo di un soggetto esterno e rimasto distinto, a ben guardare, da quello controllato. Ne consegue ontologicamente la limitazione dell'obiettivo del controllo alle decisioni fondamentali del soggetto così controllato, ovvero a quelle riconducibili alle linee strategiche e alle più importanti scelte operative, così da incidere sulla complessiva governance dell’attività della società in house, per tenere in conto e preservare le finalità pubbliche che comunque la permeano (Cass., Sez. Un., 28 giugno 2022, n. 20632).

In questa prospettiva si muove anche Cass., Sez. Un., 26 maggio 2023, n. 14776, la quale ha ritenuto sussistente il requisito del controllo analogo in una fattispecie nella quale il Comune era l’unico socio della società di capitali gestore del servizio di trasporto pubblico locale: condizione, questa, ha precisato la Corte, che consentiva di per sé il totale controllo dell’attività sociale, posto che in quanto unico socio il Comune poteva, ad esempio, convocare l’assemblea, revocare gli amministratori e approvare o non approvare i bilanci.

Resta, dunque, fermo il carattere istituzionalmente servente della società in house quale articolazione della P.A. da cui promana, in contrapposizione alla natura di soggetto giuridico esterno ed autonomo da questa. E tuttavia il punto di equilibrio - rilevabile nel tipo di condizionamento indotto sulle linee strategiche e le scelte operative fondamentali della società - va posto tra un controllo che, da un lato, non si esaurisca in quello ordinario e che, dall’altro, neppure si identifichi necessariamente in una soggezione assoluta e totalmente riproduttiva dei modelli di comando interni alla P.A. (il che priverebbe di rilievo, in pratica, la stessa autonomia e personalità giuridica di diritto privato della società).

 

  1. Nel Testo Unico

Si rileva altresì che l’art. 16 del T.U. sulle società a partecipazione pubblica, oltre a non replicare per le società in house il “divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società” previsto dall’art. 11, comma 9, lett. d), per le sole “società a controllo pubblico”, prevede espressamente che, “ai fini della realizzazione dell’assetto organizzativo” necessario ad integrare la condizione del “controllo analogo” o quella del “controllo analogo congiunto”, gli statuti delle società per azioni e di quelle a responsabilità limitata possono prevedere, rispettivamente, clausole derogatorie o l’attribuzione di particolari diritti agli enti pubblici soci in deroga alle pertinenti previsioni codicistiche nonché che “in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali [che] possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile”.

Tale esplicita previsione, che, come statuito dal Consiglio di Stato nella sent. n. 9452/2023, in sostanza istituzionalizza la possibilità di prevedere negli statuti degli enti in house pluripartecipati, qualunque sia la relativa forma giuridica, convenzioni volte a superare la congenita frammentazione della compagine sociale – tanto più ove il numero dei partecipanti sia particolarmente elevato – renderebbe, allora, manifesta l’idea che il requisito del ‘controllo analogo congiunto’ richieda necessariamente un quid pluris rispetto alle comuni prerogative conferite ai soci/componenti di un ente e, cioè, alla mera partecipazione egualitaria alla compagine sociale e ai relativi deliberati assunti a maggioranza, non potendo tale sola condizione, ove a ciascun aderente spetti un’identica quota di rappresentatività, garantire l’esercizio “congiunto” dell’influenza determinante sulle decisioni fondamentali per la vita e il funzionamento dell’ente.

Riprendendo le parole pronunciate in quell’occasione dai Giudici di Palazzo Spada, in una vicenda nella quale trovava applicazione il d.lgs. n. 50/2016: “[…] si è ritenuto possibile procedere tramite la stipulazione di adeguati patti parasociali ovvero anche mediante la previsione, negli atti costitutivi della società, di un organo speciale, che, al pari delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 c.c. (ovvero dell’assemblea degli obbligazionisti, di cui all’art. 2415 c.c..), sia deputato ad esprimere la volontà dei soci pubblici, i quali, dunque, si troveranno a intervenire con rinforzata voce unitaria negli ordinari organi societari. La costituzione di simili organi, ora espressamente vietata per le società “a controllo pubblico”, può rappresentare un efficace strumento concertativo per gli organismi in house, consentendo di ottenere una maggiore rappresentatività a categorie omogenee di enti […] con interessi convergenti - e, in ipotesi, assai diversi da quelli di altri aderenti, i quali sarebbero, per tal via, nella condizione di esprimere una posizione unitaria e vincolante nei confronti del consiglio di amministrazione a seguito del recepimento delle determinazioni assunte al loro interno a livello assembleare”.

E aggiunge: “Potendosi prevedere, in tale prospettiva, o che l’organo speciale in questione, statutariamente previsto, partecipi all’assemblea ai sensi dell’art. 5, comma 5, lett. a), del d. lgs. n. 50 del 2016 (singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti) in luogo dei singoli enti che ne fanno parte, esprimendo un voto corrispondente al numero di questi ultimi, o prescrivendosi specifici quorum per le deliberazioni assembleari che prevedano la maggioranza qualificata degli enti i cui interessi siano involti dalla specifica deliberazione o, ancora, prevedendosi ulteriori e distinti accordi che permettano il perseguimento di analoghe finalità e, dunque, in ultima analisi l’esercizio di quella influenza determinante che costituisce l’in sé del requisito di cui si controverte”.

 

  1. Più forme di in house

Tenendo conto di quanto già quanto evidenziato dal Consiglio di Stato nel citato parere n. 1645 del 2018, “[o]ltre al c.d. in house di tipo tradizionale, dalle direttive UE e dall’art. 5 del codice dei contratti pubblici sono ricavabili anche altre forme di in house”.

In particolare, si parla di in house a cascata in presenza di un controllo analogo cd. indiretto. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo.

In sostanza, l’Amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su un ente che a propria volta esercita un controllo analogo sull’organismo in house ed anche se tra la l’Amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta è comunque ammesso l’affidamento diretto.

Dall’altro lato, con l’espressione in house frazionato o pluripartecipato si intende fare riferimento ad una forma di controllo congiunto, che è tale qualora siano congiuntamente soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

Tali definizioni sono state poi sostanzialmente riprese dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 175 del 2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), la cui lettera c) reca la definizione di controllo “a cascata” (laddove si afferma che: “Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante”), mentre la successiva lettera d) si occupa di “controllo congiunto” (laddove si afferma che per «controllo analogo congiunto» debba intendersi quella “situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La suddetta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).

Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere della Commissione speciale, 1° febbraio 2017, n. 282, ha ribadito che l’accertamento dei requisiti in house in capo ad un soggetto deve essere svolto in concreto, in capo al singolo soggetto e tenendo conto delle specificità e delle geometrie ormai variabili che assumono i soggetti che si legano alle Amministrazioni sulla base di tale rapporto.

Così come, nel caso di controllo congiunto, per giurisprudenza costante, esso non deve essere considerato quale controllo paritario, ma è sufficiente che vi siano nello Statuto strumenti idonei ad assicurare che ciascuna pubblica amministrazione controllante, assieme alle altre, sia in grado di controllare l’attività del soggetto controllato. A titolo esemplificativo, si riporta che la Corte di Giustizia UE, con la sentenza 29 novembre 2012, C-182/11 ha precisato che, nel caso in cui le Amministrazioni pubbliche detengano congiuntamene un soggetto in house cui affidano l’adempimento di una delle proprie missioni di servizio pubblico, il requisito strutturale del controllo analogo può ritenersi sussistente anche in caso di controllo congiunto, a condizione che ciascuno degli enti pubblici affidanti abbia di per sé la possibilità di influire, in maggiore o minore misura, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni rilevanti del soggetto strumentale (possibilità del resto assicurata dalle dinamiche di funzionamento degli organi consortili).

Pertanto, parrebbe che il controllo congiunto non postuli alcuna influenza paritaria.
I poteri dei soggetti pubblici che partecipano, ad esempio nel caso di consorzio, debbono infatti essere verificati secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché a tal fine è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente.

Sul punto, da quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4599, “[i]n ordine alla sussistenza del requisito del “controllo analogo”, va rilevato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, tale requisito deve intendersi sussistente anche se svolto non individualmente, ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo, dovendo tale requisito essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente; occorre, in particolare, verificare che il consiglio di amministrazione del soggetto affidatario in house non abbia rilevanti poteri gestionali e che l’ente pubblico affidante (rispettivamente la totalità dei soci pubblici) eserciti(no), pur se con moduli su base statutaria, concreti ed effettivi poteri di ingerenza e di condizionamento, sicché risulta indispensabile che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci (Cons. St., sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447; 24 settembre 2010, n. 7092; 29 dicembre 2009, n. 8970)”.

Analoghe conclusioni sono state ribadite da numerose sentenze di questo consiglio di Stato, tra le quali Cons. St., sez. V, 18 luglio 2017, n. 3554 e da Cons. St., sez. V, 24 ottobre 2017, n. 4902.

Né va trascurato, per altro verso, quanto la Corte Giust. UE, 10 settembre 2009, in C-573/07, ha precisato rilevando che “allorché varie autorità pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad una società che esse detengono in comune, è di norma escluso che una di tali autorità che possiede soltanto una partecipazione minoritaria in tale società eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di quest’ultima”, sebbene la nozione di controllo analogo, giova qui ribadirlo, non coincida con quella di controllo societario.

 

  1. La giurisdizione contabile

Sotto diverso profilo, i requisiti della società in house, per come indicati già nella sentenza Teckal della Corte di giustizia 18 novembre 1999, C-107/1998, per come da tempo cristallizzati dalla giurisprudenza di legittimità, fondano altresì la giurisdizione contabile in ambito societario.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, sussiste la giurisdizione contabile in materia di azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipata da enti pubblici solo se questa abbia i requisiti per potere essere definita come società in house: per tale dovendosi intendere quella dal cui quadro statutario, vigente all’epoca della condotta ritenuta dannosa, emerga che sia stata costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e rispetto alla quale solamente i medesimi enti siano soci, ove essa esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e sia assoggettata a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283; Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2013, n. 26936; Cass., Sez. Un., 13 settembre 2018, n. 22409). Dunque - si ripete - una società di capitali partecipata da enti pubblici è configurabile come in house, e sussiste la giurisdizione contabile in materia di azione di responsabilità nei confronti dei suoi organi di gestione e di controllo, allorché vi siano i seguenti requisiti: (a) il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati; (b) la società deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; (c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici. Detti requisiti devono sussistere tutti contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita.

A ciò si aggiunga, come ribadito da Corte di Cassazione, Sez. Unite, ord. n. 564/2024, che il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175 del 2016) ha sostanzialmente recepito l’approdo della Corte: facendo salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house (art. 12); definendo in house le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene in certe forme, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente (art. 2, comma 1, lettera o, e art. 16, commi 1 e 3); intendendo per controllo analogo la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un' influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata (art. 2, comma 1, lettera c).

 

  1. In house e operazioni straordinarie

Considerando, infine, per completezza d’analisi, la recente giurisprudenza in tema di operazioni di aggregazione, si sottolinea che la Quarta Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 12 maggio 2022 C- 719/20, era giunta a dichiarare che la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici dovesse essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa o ad una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente senza gara ad un ente in house, sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto Ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale.

In altri termini, la Corte di giustizia aveva ritenuto non sussistenti, nel caso di specie, i presupposti per l’affidamento in house del servizio, rilevando che il comune aveva dismesso la propria partecipazione nell’operatore economico affidatario del servizio, non aveva acquisito partecipazioni azionarie nell’operatore economico, individuato attraverso procedura di gara pubblica svolta dall’affidatario del servizio quale soggetto aggregatore, e non aveva propri rappresentanti in seno agli organi societari della società individuata tramite la procedura di evidenza pubblica.

Tuttavia, pur a fronte di un simile principio di diritto espresso a livello euro-unitario, spetta sempre al giudice a quo l’applicazione del medesimo al caso concreto, tenendo conto dell’intero contesto fattuale e normativo di riferimento. Ciò significa che la decisione della Corte di Giustizia non determina, ex se, l’esito del giudizio a quo.

Riprova di ciò deriva proprio dalla sentenza n. 9933/2023, con la quale il Consiglio di Stato è pervenuto ad un esito opposto a quello che, prima facie, poteva attendersi in base al principio formulato dalla Corte di giustizia e sopra richiamato.

 

  1. Conclusioni

In conclusione, alla luce di quanto esposto in questo breve scritto, che ha tentato di fornire un quadro generale dell’argomento oggetto di approfondimento, è possibile concludere evidenziando l’intrinseca dinamicità e concretezza della materia, che difficilmente può trovare una completa cristallizzazione in un dettato normativo.

È piuttosto l’effettiva applicazione della disciplina generale sul controllo analogo, compiuta dagli operatori professionali e ricavabile dalla stessa prassi applicativa a dare sostanza ad un istituto che, altrimenti, rimarrebbe forse dai tratti ancora più sfumati ed incerti.

Resta da approfondirne e comprenderne i successivi sviluppi a livello nazionale ed euro-unitario.

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • Corte di giustizia, 18 novembre 1999, C-107/1998;
  • Corte di Giustizia, 13 ottobre 2005, causa C-458/03;
  • Corte di Giustizia, 11 gennaio 2005, causa C-26/03;
  • Corte di Giustizia, 6 aprile 2006, C-410/04;
  • Corte di Giustizia, 11 maggio 2006, C-340/04;
  • Corte di Giustizia, 10 novembre 2005, C-29/04;
  • Corte di Giustizia, 29 novembre 2012, C-182/11
  • Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, C-573/07;
  • Corte di Giustizia, 12 maggio 2022 C- 719/20
  • , SS.UU., 25 novembre 2013, n. 26283;
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  • Stato, 9 marzo 2009, n. 1365;
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  • Stato, 24 settembre 2010, n. 7092;
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  • Cons. Stato, 10 settembre 2014, n. 4599;
  • Stato, 1° febbraio 2017, n. 282;
  • Stato, 18 luglio 2017, n. 3554;
  • Stato, 24 ottobre 2017, n. 4902;
  • Cons. Stato, parere 26 giugno 20218, n. 1645;
  • Cons. Stato, 2 novembre 2023, n. 9452;
  • Stato, sentenza 20 novembre 2023, n. 9933;
  • giust. amm. reg. sic., 4 settembre 2007, n. 719;
  • TAR Sardegna, 21 dicembre 2006, n. 2407.