ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Studi



Gli istituti della partecipazione nelle norme per il governo del territorio in Toscana alla luce di una sentenza del Tar e sotto l'ombra del “dibattito pubblico” in tema grandi opere pubbliche di cui al Codice dei Contratti.

Di Francesca Abeniacar.
   Consulta il PDF   PDF-1   

Gli istituti della partecipazione nelle norme per il governo

del territorio in Toscana alla luce di una sentenza del Tar e sotto l'ombra del “dibattito pubblico”

in tema grandi opere pubbliche di cui al Codice dei Contratti.

 

Di Francesca Abeniacar

 

  1. La sentenza Tar Toscana Sez. III del 30 aprile 2019 n.620 e le sue “gemelle”. La recente pronuncia in rassegna, gemella alle nn. 971,972 e 973 pubblicate il 27 giugno 2019, pur trattando della disciplina previgente in ordine alle funzioni del garante della comunicazione in materia di procedimenti di scelte urbanistiche, come unico istituto della partecipazione disciplinato al capo III dagli artt.19 e 20 della L.n.1/05, offre lo spunto per un'analisi degli istituti della partecipazione come li troviamo disciplinati al capo V della Legge Regione Toscana n.65 del 10 novembre 2014 e del loro raffronto con il “dibattito pubblico” sulle grandi opere infrastrutturali come introdotto dall'art.22 del c.d. Codice dei Contratti Pubblici.

E' da premettere che, in realtà, la pronuncia in esame tratta solo “a volo d'aquila” il tema della lamentata violazione  dell'art.19 della previgente L.R.T. n.1/2005 che prescriveva la stesura, da parte dell'allora garante per la comunicazione, di un rapporto sull'attività svolta per assicurare la conoscenza effettiva e tempestiva ai fini di informare i cittadini del procedimento di formazione ed adozione di una variante urbanistica approvata da parte, nel caso di specie, del Consiglio Comunale di Forte dei Marmi che aveva finito con il trasformare la destinazione a servizi ed attrezzature di interesse pubblico impressa ad un lotto di proprietà di privati, ad Area di valore paesaggistico ambientale, azzerandone qualsiasi potenzialità edificatoria ed, in particolare, la già in precedenza frustrata aspirazione a realizzare un cinematogrofo nella nota ed esclusiva località turistica.

In particolare, nella pronuncia in esame, il Tar nell'affrontare la collegata violazione dell'art.16 della previgente legge urbanistica per non aver il responsabile del procedimento dato la tempestiva informazione “...delle eventuali segnalazioni, proposte, contributi e condizioni, formulate dagli altri soggetti pubblici e privati” , dovuta, tuttavia, solo “qualora emergano profili di incoerenza o di incompatibilità” rispetto agli altri strumenti di pianificazione, ha anche escluso che il mancato assolvimento di tale obbligo possa tradursi in un vizio di invalidità della delibera di approvazione della variante in questione e che comunque sia stata compromessa la possibilità per la cittadinanza di partecipazione al procedimento di elaborazione ed approvazione della divisata variante.

L'argomentazione del Tribunale Toscano, così come riportata, potrebbe sembrare prima facie non condivisibile, in quanto il mancato assolvimento ad un obbligo procedimentale, oltre tutto in tema di partecipazione del privato ad un procedimento, di per sé comporta sempre l'illegittimità dell'atto che venisse emanato senza tale adempimento previsto dalla legge come cogente.

A ben vedere tuttavia, il Collegio Toscano ha escluso la ricorrenza del vizio, non tanto perchè la violazione dell'obbligo procedurale di redigere la relazione da parte del responsabile del procedimento non rappresentasse di per sé un'illegittimità caducante il provvedimento finale, ma piuttosto perchè non ricorrevano i presupposti previsti dalla norma perchè ne venisse integrata la fattispecie.

Difatti l'art.16 della L.n.1/05 poneva a carico del responsabile del procedimento di approvazione del piano urbanistico l'obbligo di riferire agli organi amministrativi solo nel caso in cui emergessero i “profili di incoerenza  o di incompatibilità rispetto agli strumenti di pianificazione territoriali”, profili che, almeno da quanto risulta dalla pronuncia, la ricorrente non aveva denunciato. Inoltre, non risultava neppure fornita dimostrazione alcuna che il Comune non avesse tenuto conto delle osservazioni regionali con conseguente infondatezza del motivo.

Del pari, in relazione alla denunciata violazione dei previgenti artt.19 e 20 della medesima norma regionale, il Tar toscano non ha ritenuto compressa la possibilità per la cittadinanza di partecipazione al procedimento di elaborazione ed approvazione della variante il comportamento dell'amministrazione comunale. Peraltro, il comma 2 del previgente art.20, nel disciplinare le funzioni del garante, prevedeva che lo stesso stendesse un rapporto sull'attività svolta di cui al comma 1 della norma circa le attività di promozione dell'informazione della cittadinanza sulla procedura di elaborazione ed adozione dello strumento urbanistico.

Dal tenore della pronuncia non è dato ricavare l'articolazione esatta del motivo con cui la ricorrente lamentava la violazione degli istituti di partecipazione disciplinati dalla previgente legge, ma si può ipotizzare, ed anche condividere, che la mancanza di un pur doveroso report sulle, non meglio specificate dalla norma, attività informative svolte dal “vecchio” Garante della comunicazione rivolte alla cittadinanza non sia di per sé suscettibile di incidere, e neppure latamente influire, sulle scelte di assetto urbanistico del territorio adottate con il provvedimento di pianificazione finale.

Una volta commentata la pronuncia in oggetto, passiamo ora ad analizzare partitamente l'attuale diversa disciplina dettata dagli articoli da 36 a 40 della L.R.T. 10 novembre 2014 n.65 anche al fine di individuare se, rispetto alla normativa precedente, sia dato oggi assistere ad un potenziamento del “momento” partecipativo nei procedimenti di elaborazione ed adozione degli strumenti di governo del territorio, anticipando fin d'ora che la risposta è senz'altro positiva pur con non pochi distinguo che avrebbero in realtà permesso di salutare gli istituti di partecipazione normati nel 2014 come fautori di una vera e propria democrazia partecipativa in materia, quest'ultima invece, anticipiamo sempre fin d'ora … ancora di là dal venire.

Procediamo allora per ordine, andando preliminarmente ad affrontare la posizione tradizionalmente assunta dal legislatore regionale toscano, almeno negli ultimi quindici anni, in tema di partecipazione da parte della cittadinanza alle scelte che la riguardano.

 

2.Gli istituti della partecipazione di cui al capo V della L.R.T. 10 novembre 2014 n.65 recante le “Norme per il governo del territorio”

 

Per il legislatore regionale il tema della partecipazione da parte della cittadinanza alla formazione delle scelte politiche regionali e locali ha da sempre rappresentato un fiore all'occhiello, tanto da arrivare a definirlo “qualificante dell'ordinamento toscano” nel Preambolo della antesignana Legge Regionale n.46 del 02 agosto 2013 in materia di “Dibattito Pubblico e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”.

Il complesso di norme che andiamo ad esaminare si inserisce difatti nel più ampio contesto normativo iniziato nei primi anni 2000 e che ha visto dapprima lo statuto Regionale approvato nel 2004 prevedere al Titolo VIII, artt.72 e segg., la partecipazione come un “Principio” da promuovere e garantire e all'art.73 l'informazione sull'attività istituzionale un “dovere” per l'Amministrazione Regionale, ed in via applicativa mediante la previsione di iniziative legislative popolari e referendum.

L'anno successivo, con  la precedente LRT n°1/05[1] in materia di governo del Territorio, il principio della partecipazione ed il dovere di informazione, almeno in ambito di procedimenti di formazione degli strumenti della pianificazione e di atti di governo del territorio, sono stati dotati di un braccio operativo mediante l'introduzione della figura istituzionale del “Garante della Comunicazione”. Tale soggetto era da individuarsi nel corso dei procedimenti di formazione ed approvazione dei piani e degli atti di governo del territorio all'interno o all'esterno dei rispettivi enti territoriali ed a cui il combinato disposto degli artt.19 e 20 della legge abrogata attribuiva il non meglio specificato compito di garantire appunto la “conoscenza effettiva e tempestiva” delle scelte e la conseguente obbligatoria partecipazione alla formazione degli strumenti della pianificazione territoriale e degli atti di governo del territorio, nonché affidava il compito della “stesura” di un rapporto sull'attività svolta, senza tuttavia dare indicazione del preciso utilizzo di tale rapporto che quindi sembra da utilizzare solo ai fini di un controllo postumo dell'attività informativa e partecipativa compiuta.

In ambito generale, è seguita dopo poco la Legge Regionale “a scadenza programmata” n°69/07 sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali, con fini dichiaratamente sperimentali e scadenza fissata al 31/12/2012, che veniva salutata come il primo esperimento normativo al mondo in tema di partecipazione attiva della cittadinanza ai processi decisionali volti alla formazione delle scelte[2].

Il suo art.1 consacra finalmente la partecipazione alla formazione ed alla elaborazione delle politiche quale “diritto” attribuito a tutti, anche a quei soggetti non necessariamente collegati al territorio, ma anche solo portatori di un interesse giuridicamente rilevante alla decisione “partecipanda”, non più quindi un mero principio ispiratore.

Sulla scia della breve ma fortunata esperienza del Garante per la Comunicazione territoriale di cui alla citata previgente LRT n°1/05, anche la legge n°69/07 prevedeva la figura, di nomina consiliare, dell'Autorità Regionale per la partecipazione della Toscana con analoghi compiti di garanzia e promozione.

Anche in tema di valutazione ambientale strategica, con la legge regionale n°10/10 è stata introdotta nei procedimenti di formazione delle valutazioni l'inderogabilità della fase partecipativa pubblica.

Infine, con la L.R. N°46/13 si assiste alla definitiva conferma della partecipazione di una cittadinanza informata quale principio ineludibile degli iter deliberativi volti all'approvazione delle decisioni, non solo amministrative, ma anche politiche, di più ampio respiro, mediante il dibattito pubblico definito all'art.7 come “processo d'informazione, confronto pubblico e partecipazione” sulle decisioni particolarmente rilevanti per la comunità regionale, tanto da divenire obbligatorio per le decisioni in merito ad interventi pubblici o privati i cui costi  superino determinati importi.

In un ordinamento in cui l'attenzione è stata rivolta da più di dieci anni ai temi dell'informazione della cittadinanza ed alla sua “consapevole” partecipazione agli iter deliberativi  riguardanti le scelte per il governo delle rispettive comunità, ha rappresentato  motivo di distinzione se non di vanto, nella nuova Legge per il governo del territorio, la  considerazione circa la “necessità di introdurre nuovi elementi per favorire la partecipazione dei cittadini alla formazione degli atti di governo del territorio secondo criteri di trasparenza e celerità di procedure anche al fine di costituire una sorta di filiera partecipativa in grado di garantire un miglior grado di conoscenza generale degli atti in discussione” nonché della pari “necessità di considerare la partecipazione come una componente ordinaria delle procedure di formazione dei piani affinchè sia resa più trasparente e coerente, ed i soggetti istituzionali, i cittadini e gli attori economici possano partecipare, ognuno per le proprie funzioni, alla costruzione e gestione di decisioni” (Considerati n°7 e 8 della Legge).

Andiamo allora ad esaminare i nuovi strumenti apprestati dal legislatore per il raggiungimento di tali ambiziosi fini.

 

  1. L'art.36 della L.R.T. N.65/14: “L'informazione e la partecipazione dei cittadini alla formazione degli atti di governo del territorio. Regolamento.

A differenza di quanto previsto nell'analogo art.19 della previgente LR.n°1/05 trattato nella sentenza in commento e che chiamava i tre organi territoriali in pari grado a garantire la partecipazione dei cittadini ad ogni fase del procedimento volto all'approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e degli atti di governo del territorio, il primo comma della norma in esame attribuisce all'Autorità Regionale, in particolare alla Giunta, un ruolo di supremazia rispetto alle province, città metropolitane e comuni che sono chiamati ad un apporto meramente collaborativo anche nelle attività di promozione e sostegno delle modalità più efficaci di informazione e partecipazione.

Anche in tema di partecipazione la Regione diventa quindi attrice delle attività di promozione e sostegno e quindi anche di individuazione “delle modalità più efficaci di informazione e di partecipazione dei soggetti interessati al governo del territorio”, mentre gli altri enti territoriali assumono un ruolo, per dirla in termini cinematografici, di comprimari che collaborano con la Regione per assolvere all'evidente e dichiarata finalità di rendere omogenei gli interventi e le regole su tutto il territorio regionale.

 Le previgenti disposizioni in tema di istituti partecipativi in materia urbanistica si limitavano a prevedere, come si è visto, l'istituzione del Garante della comunicazione ad ogni livello territoriale ed ad individuarne, in modo assai generico, le relative funzioni meramente informative.

In un'ottica di potenziamento di tali istituti, il secondo periodo dello stesso primo comma dell'art.36 indica specificatamente nella promozione di iniziative e strumenti di formazione e divulgazione delle metodologie, delle tecniche e delle pratiche di informazione e partecipazione nel governo del territorio, le attività che la Regione deve intraprendere per la realizzazione dei prefissati fini informativi e partecipativi, non più da genericamente “garantire”,  ma da attuare concretamente.

Tali iniziative e strumenti vedono, quale unico ed ovviamente ineludibile limite alla loro approvazione, la disponibilità delle relative risorse finanziarie e saranno assunte mediante delibera di Giunta da comunicarsi, solo successivamente alla loro adozione, alla Commissione Consiliare competente, che non potrà che prenderne atto.

Si impongono a questo punto già alcune riflessioni.

La ratio della previsione risiede certamente nell'esigenza di assicurare, con la rapidità ed efficacia proprie delle delibere di Giunta, l'immediata attuazione di tutti quegli interventi individuati dalla Giunta stessa come meritevoli di essere promossi e sostenuti per formare e diffondere i certamente migliori metodi, tecniche e pratiche di informazione e partecipazione alle scelte di governo del territorio con l'ovvio limite della relativa copertura finanziaria. Tuttavia, proprio perché si tratta di attività di individuazione, oltre che di attuazione, delle iniziative volte alla formazione e diffusione “culturale” degli strumenti finalizzati all'informazione ed alla partecipazione informata, sarebbe forse risultato più aderente al dichiarato spirito di realizzare una “filiera partecipativa in grado di garantire un miglior grado di conoscenza generale degli atti in discussione”, con la possibilità per tutti i soggetti istituzionali e non di partecipare alla “costruzione e gestione delle decisioni”, non interrompere questa “filiera partecipativa” ancor prima del suo nascere e consentire invece una previa conoscenza delle iniziative che il governo delle Regione intende assumere ed un conseguente apporto (quanto meno) interlocutorio, anche alle minoranze componenti la commissione consiliare “competente[3], proprio perchè portatrici di interessi di certo numericamente, ma non qualitativamente, inferiori rispetto a quelli rappresentati ed espressi dalla Giunta.

Ciò a maggior ragione quando si verta in tema di decisioni non prettamente esecutive, presupponenti l'impiego di risorse pubbliche e l'apporto meramente “collaborativo” invece che di partecipazione attiva da parte degli enti territoriali locali che ne risulteranno i fruitori ultimi, anche qualora si stia trattando di mere scelte metodologiche.

Sarebbe forse stato preferibile riconoscere, già in tale fase di promozione, previa individuazione,  dei migliori strumenti “formativi” e “divulgativi”, un maggior coinvolgimento, non necessariamente in termini di appesantimento, anche degli organi di democrazia rappresentativa. Probabilmente la scelta sconta la dichiarata esigenza generale di garantire un'azione più efficace in tema di governo del territorio perseguibile, almeno agli occhi del legislatore regionale, solo mediante delibere di Giunta, senza neppure il previo confronto con le altre forze politiche consiliari, a nulla valendo al contrario la previsione espressa di una ridondante comunicazione postuma “di cortesia” di decisioni già assunte in sede esecutiva e già pubbliche per definizione.

E' stata anche autorevolmente affermata[4] la necessità di un “raccordo” tra questa delibera di Giunta ed i contenuti “tecnici” del Regolamento previsto nei commi successivi di disciplina dei compiti dei  Garanti, se non l'opportunità di una loro adozione contestuale, il che non scongiurerebbe comunque il rischio di eventuali sovrapposizioni.

Al 2° comma l'art.36 prevede che la funzione di garanzia dell'informazione e della partecipazione della cittadinanza, con i distinguo che analizzeremo infra, vengano assolte indistintamente da tutti gli enti preposti alle attività di governo del territorio di riferimento, Regione, Province, Comune, Città Metropolitana al fine di raccordare le esigenze della collettività agli enti ad essa più vicini, in corretta attuazione del principio di decentramento.

La previsione riguarda tutti i procedimenti di formazione degli atti previsti al Titolo II, capi I e II (atti di governo del territorio, PIT e sue integrazioni e atti di pianificazione intercomunale).

Destinatari delle garantite informazioni e partecipazione non sono solo i cittadini abitanti nel territorio da governare ma, secondo la formulazione più inclusiva utilizzata dalla norma, i “soggetti  interessati alla formazione degli atti di governo” da individuarsi quindi  in tutti quei soggetti pubblici o privati nei cui confronti gli  atti di pianificazione e di governo territoriale siano suscettibili di comportare una qualche utilitas di giuridico rilievo.

Relativamente ai procedimenti di formazione dei piani attuativi di cui agli artt.107 e segg. della l.65/14, la seconda parte del 2° comma della norma in esame prescrive che le forme e le modalità di informazione e partecipazione dei cittadini vengano individuate direttamente dai Comuni “in ragione dell'entità e dei potenziali effetti degli interventi previsti, tenuto conto dei livelli prestazionali indicati dal regolamento di cui al comma 4”, facendosi quindi, almeno in quest'ambito, corretta applicazione dei principi di decentramento e sussidiarietà, proprio in considerazione del massimo livello di dettaglio che contraddistingue questi strumenti della pianificazione urbanistica: basti a tal fine pensare solo ai contenuti ed agli allegati che compongono la tassativa elencazione dell'art.109 sui Piani Attuativi, per concordare sul fatto che solo l'Amministrazione Comunale di riferimento rappresenti l'unico soggetto in grado di conoscere le specificità del territorio amministrato e l'entità e gli effetti degli interventi di cui allo strumento di pianificazione attuativa rispetto alle dette  specificità, in modo da individuare così le più efficaci iniziative volte a garantire la massima diffusione delle informazioni e la più ampia partecipazione per la popolazione del relativo comprensorio.

Il Comune e solo il Comune andrà quindi ad individuare i migliori metodi volti ad assicurare l'informazione e la partecipazione alla formazione dei piani attuativi, incontrando come limite alla sua piena discrezionalità in quest'ambito i livelli prestazionali da individuarsi nell'emanando regolamento di disciplina delle funzioni del garante dell'informazione e della partecipazione.

 A sommesso avviso di chi scrive, anche per la promozione e sostegno delle “buone pratiche” e metodologie di cui al 1° comma, sarebbe stato quanto meno utile prevedere un “momento” di confronto, se non di coinvolgimento, degli enti territoriali minori alla formazione della delibera di Giunta, proprio perchè è della informazione e partecipazione delle rispettive comunità, anche delle più remote (magari montane, dell'Arcipelago o talvolta isolate) o refrattarie all'informazione e partecipazione, che si deve decidere: nessuno meglio degli organi delle relative istituzioni locali è in grado di conoscerne le specificità che potrebbero impedire il realizzarsi di una corretta informazione e partecipazione.

Il comma 1 dell'art.3 della L.R.T. 22 novembre 2019 n.69 ha introdotto, dopo il comma 2 dell'art.136, il comma 2 bis per il quale, pur mantenendo fermi gli obblighi in tema di informazione previsti dalla relativa procedura, è data facoltà ai Comuni di assoggettare alle forme partecipative previste dalla legge urbanistica regionale anche (le procedure di approvazione) dei piani attuativi non sottoposti a VAS.

La nuova previsione, che lascia ai singoli Comuni la libertà di consentire ai cittadini la partecipazione al procedimento di formazione dei piani attuativi,  sembra introdurre in realtà una legittimazione postuma per quei procedimenti di approvazione dei piani attuativi in precedenza conclusi senza alcuna procedura volta a garantire anche la sola partecipazione della cittadinanza che pertanto l'Aministrazione Comunale resta dichiaratamente libera di by passare almeno nella costruzione dei piani attuativi.

Il comma 3 sancisce finalmente che  i risultati delle attività di informazione e partecipazione realizzate nei procedimenti di formazione degli atti di governo territoriale contribuiscano alla definizione dei contenuti degli strumenti urbanistici “secondo le determinazioni motivatamente assunte dall'Amministrazione procedente”: l'Amministrazione procedente alla formazione dello strumento urbanistico potrà quindi comunque prescindere dagli apporti partecipativi acquisiti, quali e quanti essi siano, purchè ne fornisca motivazione.

Certamente la previsione rappresenta un passo avanti rispetto alla tradizionale impostazione che, da un lato, consentiva ai privati una partecipazione a puri fini collaborativi mediante la presentazione di osservazioni a strumento già adottato ed a scelte quindi già assunte e, dall'altro lato, legittimava la mancanza di particolare motivazione per le singole scelte contenute negli atti di programmazione di carattere generale, giusta il disposto del 2° comma dell'art.3 della L.241/90. Il comma in esame prescrive difatti un obbligatorio momento di riflessione in merito agli apporti raccolti in sede partecipativa che arrivano a “contribuire alla definizione dei contenuti”, fosse altro perché l'Amministrazione procedente è chiamata a dare motivazione in ordine alle relative determinazioni che intenderà assumere.

Resta solo da auspicare che tale motivazione non si risolva in una mera clausola di stile con cui si dia atto di avere acquisito i risultati partecipativi ritenuti condivisibili o meno, ma che nella prassi operativa si assolva a tale obbligo con una motivazione specifica, penetrante ed adeguata per non svilire la “filiera partecipativa” voluta dal legislatore regionale ed assistere a scelte localizzative invise alle comunità locali che, all'evidenza, al momento della cantierizzazione dell'intervento poi si “ribellano” in forma di comitati spontanei, segno evidente di falle nelle attività di informazione e partecipazione. In tal senso sarebbe risultato più efficace l'utilizzo di una diversa espressione quale la previsione di un cogente obbligo di espressa ed adeguata motivazione delle scelte con particolare riferimento ai risultati acquisiti in sede partecipativa, in modo da non dover lasciare alla discrezionalità dell'interprete la misura della pregnanza della motivazione.

Certo è che, nell'ottica di una partecipazione attiva in quanto deputata alla “costruzione e gestione delle decisioni” di cui al considerato n°8 in premessa della legge in commento, si è persa l'occasione di prevedere in realtà l'obbligo per l'amministrazione procedente di tenere nella massima considerazione il contenuto delle risultanze della “partecipazione informata”, il che attribuirebbe una valenza realmente “costruttiva” ed un ruolo di veri “attori”, se non proprio di “registi”, ai cittadini interessati alle scelte urbanistiche relative ai comprensori in cui vivono e, soprattutto, operano. Diversamente, anche quest'ultima legge mantiene in capo all'organo politico dell'Amministrazione il ruolo di “protagonista assoluto” delle scelte di assetto territoriale che restano di suo integrale appannaggio, mentre le indicazioni fornite dai privati in sede partecipazione finiscono con il rappresentare solo un limite al contenuto della scelta di assetto territoriale, la legge parla infatti di contributo “alla definizione dei contenuti degli strumenti”, non di contributo alla “formazione dei contenuti”, senza tuttavia esplicare alcun positivo autonomo effetto anche solo in ordine all'orientamento delle scelte.

Sarebbe allora stato più coerente con i condivisibili obiettivi prefissati nei considerata di cui al preambolo della legge in commento dedicati alla partecipazione, riconoscere agli apporti conoscitivi e partecipativi della cittadinanza, che in un territorio deve vivere ed operare, di assumere un ruolo primario in ordine all'orientamento delle scelte di assetto territoriale con il corrispondente obbligo per l'Amministrazione procedente di dare un'adeguata motivazione con particolare riferimento alle eventuali ragioni che l'hanno indotta a prescindere dalle indicazioni emergenti dalle attività di partecipazione, in modo tale da pervenire ad una scelta il più possibile condivisa e non più frutto di una, ancorchè motivata, determinazione unilaterale quale espressione del potere di supremazia.

Anche questa legge prevede l'istituzione del garante ma, a differenza del previgente art.19 della  L.n°1/05 che aveva introdotto il garante della sola comunicazione, il 4° comma dell'art.36 cambia denominazione alla funzione attribuita che, da semplice “comunicazione”, diventa “informazione e  partecipazione”.

La diversa scelta terminologica è significativa del rinnovato spirito informatore della legge che, sulla scia evolutiva di tutta la legislazione regionale che abbiamo sopra esaminato in tema di partecipazione, si propone l'ambizioso obiettivo di “garantire un miglior grado di conoscenza degli atti in discussione”: certamente la mera comunicazione di dati è cosa diversa dall'”informazione” che, almeno secondo il senso etimologico del termine, implica un quid pluris in termini di consapevolezza, da parte del destinatario, dei dati di cui gli viene data notizia.

Ulteriore novità è rappresentata dal regolamento regionale chiamato a disciplinare in maniera unitaria le funzioni di tutti i Garanti, sia di quello regionale che di quelli che saranno individuati a livello locale secondo i contenuti previsti e che analizzeremo negli articoli successivi.

Sempre la Giunta Regionale invece, secondo il 5° comma, stabilirà quali siano le idonee linee guida per garantire uniformi livelli partecipativi adeguati ai contenuti delle diverse tipologie degli atti di governo del territorio, questa volta però previamente comunicandolo alla Commissione consiliare competente, per la quale tuttavia non viene prevista alcuna facoltà, anche di sola interlocuzione.

Inutile dire che tale ultima previsione di un ulteriore atto della Giunta, anche per l'emanazione delle linee guida in tema di uniformità dei livelli partecipativi, sembra ridondante rispetto a quello esaminato al 1° comma ed ai livelli prestazionali da individuarsi con il regolamento disciplinante anche le funzioni del garante, con il rischio di assistere, nella migliore delle ipotesi, ad una duplicazione se non ad un contrasto di previsioni utili solo a creare una Babele di fonti e “burocratizzare” così ulteriormente anche la fase partecipativa.

Sarebbe stato allora più semplice prevedere che anche gli standards uniformanti fossero contenuti nel Regolamento, anche ai fini di una loro maggiore legittimazione qualora contenuti in una fonte secondaria, lasciando alla Giunta il compito di promuoverne e sostenerne periodicamente l'applicazione e la facoltà di richiederne, quando ritenuto necessario, modifiche o integrazioni regolamentari. 

Stando così le cose, è stata autorevolmente sostenuta la necessità di un raccordo tra le previste delibere di Giunta ed il contenuto dell'emanando regolamento[5].

Relativamente alle procedure soggette a VAS, l'ultimo comma impone di coordinare le previsioni degli Istituti della Partecipazione disciplinati dal Capo V° della Legge in commento con quanto disposto dalla L.R. N°10/10, lasciando così all'attività interpretativa degli operatori di stabilire di volta in volta quali norme siano applicabili e le modalità di un loro coordinamento, senza peraltro nulla demandare sul punto all'emanando regolamento.

Anche in quest'ambito particolarmente delicato in considerazione degli interessi ambientali coinvolti, si è persa un'occasione per fare chiarezza e dettare regole univoche per procedimenti tanto delicati quali quelli in materia ambientale, mediante un coordinamento positivamente previsto ex lege anziché lasciarlo alla fatica degli interpreti.

 

4.L'art.37 Il garante dell'informazione e della partecipazione.

Come si è detto, nella nuova norma il garante cambia nome ed anche “pelle” e, da garante della comunicazione di cui all'art.19 della L.R.n°1/05, diventa garante dell'informazione e della partecipazione, proprio a voler significare un ruolo più pregnante di questa figura nella “filiera partecipativa” immaginata dal legislatore regionale nelle premesse della legge in commento, rinviando per il resto sullo specifico punto a quanto esposto all'articolo precedente ed all'analisi delle funzioni descritte nel successivo art.38.

L'obbligo di istituzione del garante come organo a sé stante costituente, al pari degli altri, la struttura dell'Ente, sussiste per la Regione, le Province, la città metropolitana ed i Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, mentre per i comuni con un numero di popolazione inferiore ne sarà sufficiente l'individuazione in uno dei funzionari appartenenti all'Ente, ciò per evidenti ragioni di copertura finanziaria.

In entrambi i casi, le funzioni che il garante sarà chiamato a svolgere dovranno essere a loro volta disciplinate dal rispettivo ente di appartenenza, secondo quanto stabilito dal regolamento regionale di cui all'articolo precedente. Al fine di evitare un'inutile superfetazione di fonti, anche per tale previsione si auspica che la disciplina di dettaglio dettata da ogni singolo ente si limiti alle singole specificità che caratterizzano la comunità di riferimento.

Il terzo comma prescrive un regime che possiamo definire d'incompatibilità tra il “ruolo” - così come chiamato dalla norma, inteso certamente come nomina alla funzione di garante per l'informazione e la partecipazione - assunto dal garante, ed altri incarichi elencati tassativamente per gli amministratori dell'ente, quali i consiglieri regionali, provinciali e comunali, il responsabile del procedimento ed il progettista dell'atto di governo del territorio, quasi a voler significare appunto un “ruolo” di terzietà del garante rispetto agli organi “formatori” degli atti oggetto d'informazione e partecipazione.

Per completezza si rileva tuttavia che la disciplina previgente contenuta nel comma 2 bis dell'art.19 della L.1/05 sanciva il divieto di nominare garante il responsabile del procedimento e, con particolare riferimento al garante regionale, i soggetti in situazione d'incompatibilità, ineleggibilità o di conflitto d'interessi di cui alla legge regionale 8 febbraio 2008 n.5 (Norme in materia di nomine e designazioni e di rinnovo degli organi amministrativi di competenza regionale) le cui previsioni, in forza dell'art.1 di quest'ultima legge, sarebbero rimaste comunque applicabili relativamente alla nomina del solo garante regionale.

Tace su quest'ultimo tema delle cause d'incompatibilità/esclusione l'art.37, il che lascia comunque ritenere la vigenza delle ipotesi d'incompatibilità/esclusione elencate nella citata L.R. n.5/08, anche perchè, al contrario, come osserveremo in commento al successivo art.39, disciplinante specificatamente la nomina del Garante Regionale, l'ultima parte del suo 1° comma contiene la deroga espressa alle limitazioni in materia di nomine e designazioni e di rinnovo degli organi amministrativi di competenza della Regione dettate dalla citata L.R.T. N°5/08.

Come è stato autorevolmente sostenuto[6], e come avremo modo di confermare a seguito dell'esame delle disposizioni successive, la figura del garante, già per come viene delineata fin dalla sua nomina, non consiste in una vera e propria “authority”, dotata d'indipendenza e terzietà rispetto alle Amministrazioni di appartenenza e che lo nominano.

L'indice di “dipendenza” di tale figura dagli organi (di vertice) politici si ricava dalla previsione della provenienza della sua istituzione (o individuazione) da parte della stessa compagine politica dell'ente territoriale di cui diventa organo ed a cui, come vedremo, dovrà riferire, senza tuttavia essere dotato di alcun ulteriore potere, neppure di impulso o orientamento o anche solo di “moral suasion” rispetto ai risultati delle attività partecipative, delle scelte di assetto territoriale assumibili in relazione ai risultati della sua attività.

 

  1. L'art.38: Funzioni del garante dell'informazione e della partecipazione. La norma in esame tratta nello specifico delle funzioni proprie del garante e rappresenta la fase operativa, da un lato, degli obiettivi generali indicati nei già citati considerata n°7 e 8 del preambolo della legge n°65 e, dall'altro, specificatamente, dei programmi d'informazione e partecipazione individuati nella comunicazione d'avvio del procedimento dei piani, programmi e varianti dei rispettivi Enti di cui alla lett.e) 3° comma art.17 della stessa Legge Regionale in commento. Tale ultima norma prescrive difatti che la comunicazione di avvio degli atti di governo del territorio contenga anche uno specifico programma circa le attività di informazione e partecipazione della cittadinanza alla formazione dell'atto: la cura dell'osservanza di tali programmi viene qui affidata ai garanti.

Al 1° comma si prevede pertanto che tali programmi dovranno essere attuati sulla base delle iniziative a tal fine assunte dai garanti, nell'ambito delle competenze dei rispettivi Enti di appartenenza (non potrebbe essere altrimenti). Tali iniziative saranno costantemente assunte durante tutte le varie fasi procedurali in cui si articola la formazione degli atti di governo del territorio.

Non è questa la sede per individuare chi sia, secondo il legislatore regionale, l'ideatore dei programmi d'informazione e partecipazione di cui alla lett.e) del 3° comma dell'art.17, ma possiamo tranquillamente affermare che tale figura non possa in alcun modo essere individuata nello stesso garante, visto il ruolo di attuatore degli etero prefissati programmi. Conferma di ciò si ricava anche dalla previsione di cui alla successiva lettera f) del medesimo comma che prevede che, nella comunicazione di avvio dei procedimenti contemplati nel medesimo articolo, debba essere contenuta anche l'individuazione del garante (quando non è già istituito nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti).

Oltre ad assumere tali iniziative per l'attuazione del programma   indicato in sede di avvio del procedimento, il garante sarà anche tenuto a procedere a tutte quelle iniziative volte ad assicurare l'informazione e la partecipazione, iniziative che quindi saranno diverse ed ulteriori rispetto a quelle da assumersi per l'attuazione di quanto programmato in sede di avvio del procedimento.

Peraltro, proprio giusta quanto disposto dalla lett.f) dell'art.17, il garante per la partecipazione risulterà anche il responsabile del (sub) procedimento volto all'attuazione del programma dell'informazione e della partecipazione.

Destinatari ultimi di tali iniziative saranno non solo i cittadini, ma anche tutti i soggetti interessati alla formazione dell'atto di governo territoriale, allargandosi così la pletora dei soggetti coinvolti nelle attività d'informazione e partecipazione fino a ricomprendervi anche i titolari di interessi giuridicamente rilevanti anche se non residenti nel comprensorio oggetto dell'emanando atto di governo.

A loro volta, al fine di consentire al garante il corretto adempimento del programma fissato nella fase di iniziativa e l'adozione di tutte quelle ulteriori misure volte ad assicurare l'informazione e la partecipazione, alla Regione, città metropolitana, provincia e comune, è stato dalla legge attribuito il compito di assicurare che tutta la documentazione sottesa alla formazione degli atti di governo risulti “adeguata” alle esigenze dell'informazione e della partecipazione secondo gli standards che abbiamo visto saranno stabiliti dall'emanando regolamento di cui al precedente art.36.

La norma non contiene tuttavia né una “sanzione” né i rimedi utilizzabili dal garante o dalla cittadinanza in caso d'inadempimento o comunque di documentazione “inadeguata” allo scopo da parte degli Enti che resteranno, nel caso, soggetti solo all'eventuale “shaming”, rappresentato dal fatto che ne verrà fatta menzione  nel rapporto stilato dal garante ai sensi del 2° comma dello stesso art.38, che a sua volta formerà parte integrante dello strumento di governo del territorio adottato ai sensi del comma 3° dell'art.18 .

Si sarebbe potuto tuttavia, anche in quest'ambito, già prevedere a livello normativo in capo al garante dell'informazione e della partecipazione un potere coercitivo, quanto meno nel caso in cui non risultasse adeguata alle esigenze d'informazione e partecipazione la documentazione relativa agli atti di governo del territorio che la Regione, la provincia, la città metropolitana ed il comune avrebbero dovuto assicurare fosse tale, in quanto non sembra che il disposto del 4° comma dell'art.36 consenta di  introdurre un tale potere in via regolamentare.

Al fine di garantire l'effettività della prescrizione, si sarebbe allora potuto introdurre la ben più “convincente” sanzione dell'inefficacia degli atti[7] da farsi valere da tutti gli aventi diritto.

All'evidente fine di consentire all'Amministrazione procedente il doveroso controllo sull'attività svolta e sulla sua efficacia, la disposizione prevede anche che ogni garante rediga un rapporto sull'attività compiuta mediante l'indicazione delle iniziative adottate per l'attuazione dei programmi d'informazione e partecipazione di cui alla lett.e) del 3° comma dell'art.17 ed a garanzia dell'informazione e della partecipazione.

In tale rapporto il Garante sarà tenuto ad indicare specificatamente se, quali e quanti effetti saranno stati prodotti grazie all'attività d'informazione e partecipazione svolta in relazione alla formazione degli strumenti della pianificazione da adottare, in altri termini dovrà dare conto se tali attività abbiano influito o meno sui contenuti delle scelte territoriali ed urbanistiche da sottoporre agli enti competenti alla loro adozione.

E' stata così affidata ai garanti una funzione di ricostruzione di un nesso eziologico che tuttavia potrebbe non sempre risultare di immediata o comunque facile percezione, quanto meno senza far riferimento alle “determinazioni motivatamente assunte dall'amministrazione procedente” di cui al 3° comma dell'art.36.

Al 2° comma dell'art.38 si prescrive che della pubblicazione del rapporto venga data espressa comunicazione al Garante regionale, agli evidenti fini di un raccordo a livello centrale  degli esiti delle attività partecipative riportate in tutti i rapporti, anche se nel seguente art.39 dedicato alla figura del Garante regionale e delle sue funzioni, non si fa menzione di un utilizzo dei rapporti inviati ai garanti locali.

I rapporti stilati dai Garanti consentiranno comunque un controllo sull'attività svolta e sugli eventuali effetti dalla stessa prodotti in relazione alle scelte assunte, oltre ad essere allegati agli atti di governo del territorio adottati ex comma 3 dell'art.18.

E' stato sempre autorevolmente sostenuto[8] che l'art.38 introduca anche una sorta di “responsabilità” del garante in ordine quindi non solo al mero svolgimento delle attività d'informazione e di partecipazione, ma anche in ordine alla “significatività” della loro efficacia. Più che di vera e propria “responsabilità” sarebbe corretto parlare di un sicuro “sprone”, visto che anche qui si tratta di precetti privi di sanzione, non essendosi prevista alcuna misura a carico del garante che, nel rapporto, non faccia menzione dell'efficacia degli interventi informativi e partecipativi.

Del pari, neppure una positiva misura “sanzionatoria” o, quanto meno, di richiamo viene prevista qualora dal contenuto di tutti i rapporti del Garante, risultasse che nessuna delle attività svolte abbia mai conseguito positivi effetti in ordine alle scelte territoriali.

Sarebbe risultata utile l'ulteriore prescrizione al garante di dare anche indicazione del contenuto degli apporti partecipativi che hanno invece mancato di contribuire alla formazione delle scelte e di suggerire eventuali interventi migliorativi rispetto alle attività poste in essere, alla luce dei risultati dalle stesse conseguiti o meno. 

Infine l'art.38 si chiude al 3° comma con l'indicazione dell'ultimo compito positivamente previsto per il garante successivamente all'intervenuta adozione, consistente nella promozione di tutte le ulteriori attività informative nei procedimenti di cui al precedente art.20 volti alla successiva approvazione degli atti di governo del territorio.

Il garante dovrà quindi promuovere quelle attività di comunicazione tra enti, deposito e pubblicazione, anche sui rispettivi siti degli atti adottati e successivamente approvati.

Certamente, con la norma in commento si assiste ad un ampliamento in chiave evolutiva delle previgenti funzioni attribuite al garante della “comunicazione” di cui alla L. n°1/05 che era tenuto solo a riferire delle mere attività “di comunicazione” svolte, senza nulla evidenziare rispetto agli effetti dalle stesse prodotti.

Nell'impianto normativo, il garante resta comunque una figura di parte dell'amministrazione che lo nomina, cui viene affidato l'unico compito di controllare, prima il formale adempimento dei programmi e delle procedure (decisi in sede politica) d'informazione e di partecipazione dei cittadini alla formazione degli strumenti di governo territoriale e di riferire poi gli esiti del suo controllo in ordine all'attività a tal fine intrapresa in un rapporto destinato a diventare parte integrante dell'atto di governo territoriale adottato.

Così come delineato nella norma in commento, il Garante è stato pensato come un organo dell'Amministrazione procedente, chiamato a rispondere solo a chi l'ha nominato, in relazione all'esatto adempimento dell'obbligo di assumere ogni iniziativa necessaria per il compimento delle attività informative e di partecipazione prefissate aliunde e da altri, in sede di avvio dei procedimenti di formazione degli strumenti urbanistici.

Il garante, nella sua nuova veste, ancorchè incaricato dell'opera ermeneutica di individuare i risultati prodotti dalle attività d'informazione e partecipazione promosse sulle scelte di assetto territoriale e di relazionarvi alle rispettive Amministrazioni di appartenenza, mantiene tuttavia funzioni prettamente notarili in quanto la sua attività non è suscettibile di influenzare in alcun modo ex ante le scelte territoriali.

Possiamo allora concludere che da garante della comunicazione di cui alla previgente legge, si assiste quindi alla trasformazione meramente nominale in garante dell'informazione e della partecipazione.

Ancora molto resta tuttavia da legiferare se si volesse invece inquadrare l'istituto come vera e propria “autorità garante” “PER” l'informazione e la partecipazione dei soggetti amministrati ed a servizio di questi ultimi, con funzioni quindi tutorie e d'indirizzo, a tutela del sotteso,  di delicatissimo contemperamento e mai come oggi costituzionalmente rilevante[9], interesse collettivo alla formazione di scelte, il più possibile condivise, di governo e gestione del territorio.

Come si è sopra osservato invece, il “garante” di cui al Capo V della l.r.n°65/14 non esercita funzione tutoria, non gode di autonomia organizzativa, d'organico, finanziaria e contabile, dipendendo in tutto dall'Amministrazione dal cui potere politico è nominato e presso cui viene istituito con un atto appunto squisitamente politico. Non risulta dotato dei poteri regolamentari in quanto affidati all'ente e neppure di quelli ispettivi, d'indagine, sollecitatori, sanzionatori e di proposta, non potendo neppure richiedere ed ottenere aliunde la documentazione “adeguata” qualora non venga “assicurata” dagli enti locali, come la legge prevede.

In definitiva, il legislatore regionale ha istituito un organo  autoreferenziale, nel senso etimologico del termine, con il rigido e ben definito compito di verificare che non meglio specificate in concreto attività d'informazione e partecipazione vengano svolte e di riferirne appunto all'amministrazione d'appartenenza, nella cui esclusiva orbita  ha il compito di operare, non certo un  organo di tutela ed a servizio diretto della collettività in ordine all'individuazione d'inefficenze e disfunzioni nel compimento delle citate attività.

Se questo è, ed a sommesso avviso di chi scrive, sembra che sia, la denominazione “Responsabile delle attività d'informazione e partecipazione” sarebbe senz'altro risultata più aderente alle funzioni di cui al dettato normativo, piuttosto che evocare impropriamente il concetto di  autorità garante o “authority “ che dir si voglia, i cui caratteri l'istituto in esame non presenta. 

 

6.L'art.39 Il Garante regionale dell'informazione e della partecipazione.

 

La norma in esame è interamente dedicata alla figura del garante regionale dell'informazione, quale organo di stretta fiducia del Presidente della Giunta Regionale.

La natura fiduciaria dell'incarico si apprezza fin dalla sua nomina di esclusivo appannaggio Presidenziale, dalla sua durata, pari a quella della legislatura, dai requisiti professionali richiesti consistenti in una “adeguata preparazione”, passando poi per le relative funzioni di monitoraggio e referenziali, per finire anche con la predeterminazione legale del suo compenso, stabilito in misura percentuale rispetto a quello spettante al Presidente.

Sul punto occorre segnalare che, diversamente, la L.R.T.n°46/13 istitutiva dell'Autorità per la partecipazione ha invece attribuito al Consiglio, quale organo rappresentativo di tutta la compagine elettorale, la competenza a nominarne i tre componenti da scegliersi tra persone di comprovata esperienza nelle metodologie e pratiche partecipative.

 Nell'ottica di organo fiduciario ed espressione del potere politico del solo Presidente, il Garante Regionale viene quindi, come detto nominato, solo e direttamente dallo stesso, senza l'intervento neppure consultivo o di ratifica di altri organi e resta in carica per l'intera durata della legislatura.

Sembrerebbe così da escludersi, almeno a livello di stretta interpretazione letterale, la possibilità di una revoca dell'incarico anche qualora venga meno per un qualsiasi anche valido motivo l'originaria fiducia.

Tuttavia, la rilevanza del carattere fiduciario che ne distingue la nomina, potrebbe legittimare una interpretazione meno restrittiva che consenta invece di procedere alla revoca in caso di tali sopravvenienze .

Il carattere prettamente fiduciario della nomina emerge anche dall'unico requisito individuato dalla norma per aspirarvi, consistente nel disporre di “adeguata preparazione professionale “ in tema di attività d'informazione e partecipazione, prescindendosi quindi da ulteriori dati obiettivabili quali, ad esempio, l'esperienza maturata sul campo in ruoli analoghi a livello locale: il dato certo ed obiettivabile in tema di nomina consiste  quindi  nell'adeguata preparazione a livello professionale in subjecta materia, probabilmente a garanzia di una certa autorevolezza dettata dal ruolo da assumere.

L'“adeguata preparazione professionale[10] indicata dalla norma potrebbe tuttavia risultare, almeno secondo l'espressione letterale utilizzata, meramente accademica ed arrivare persino a by passare così un'eventuale solida e forse anche più autorevole esperienza maturata in ruoli di amministrazione attiva. In definitiva, non sarà quindi necessaria una documentata e maturata esperienza nello specifico svolgimento di attività di informazione e partecipazione in tema di pianificazione di atti territoriali, risultando sufficiente una preparazione, non meglio specificatamente definita “adeguata”, acquisita professionalmente anche in altri ambiti, ma tale da consentire lo svolgimento delle indicate funzioni.

Neppure l'appartenenza ai ranghi della pubblica amministrazione regionale rappresenta un requisito essenziale per la nomina a garante regionale che può difatti essere individuato in soggetti estranei oltre che esterni alla compagine regionale, il che comporterà allora un aggravio di spesa derivante dall'indennità di funzione stabilita dall'ultimo comma nella misura del 44% di quella goduta dal Presidente della Giunta.

Dal tenore dell'ultimo comma si ricava anche che, qualora dovesse essere chiamato un funzionario appartenente all'amministrazione regionale, allo stesso non verrebbe riconosciuta alcuna indennità aggiuntiva per la funzione svolta.

L'intuitus personae che contraddistingue, come si è detto, il rapporto tra il Garante regionale per l'informazione e la partecipazione ed il Presidente della Giunta, si apprezza particolarmente anche anche dal fatto che la norma prevede espressamente che per la sua nomina  non si applichi la L.R.08 febbraio 2008 n°5.

E' il caso, per completezza di ragionamento, di ricordare che in base agli elenchi tassativi contenuti nella citata legge regionale del 2008 in materia di nomine e designazioni di competenza regionale, sono ricomprese tutta una serie di ipotesi di esclusione, incompatibilità e conflitto d'interessi quanto mai attuali ed alle quali sarebbe stato utile far riferimento ai fini di una corretta selezione anche del garante regionale[11] né, del resto, è dato comprendere i motivi che hanno indotto il legislatore regionale di oggi a prevedere la disapplicazione delle citate ipotesi di incompatibilità/esclusione contenute nella pregressa normativa regionale, tanto più che tale esclusione risulta in controtendenza rispetto alle moderne posizioni assunte dal legislatore nazionale in tema di norme anticorruzione (L.6 novembre 2012 n. 190 e del suo Decreto Attuativo 8 aprile 2013, n. 39) .

Si tratta in realtà di un inciso di non poco momento perchè consente, diversamente dal recente passato ed in maniera, ci sia consentito, anacronistica, di derogare alle stringenti disposizioni fissate dalla citata normativa regionale, assolutamente all'avanguardia, in tema di ineleggibilità, incompatibilità e conflitto d'interessi. Di tale previsione derogatoria ci occuperemo nel commento all'art.39. 

Non nascondiamo tuttavia che, condividendo appieno lo spirito della L.R.T. N°5/08, lungimirante ed anticipatrice, se non diretta ispiratrice, della normativa nazionale di cui alla legge anticorruzione n°190/12 e del relativo Decreto Legislativo n°39/13, ci si sarebbe aspettato vederne seguire il solco anche dall'ultimo legislatore regionale con l'estensione di tali limitazioni anche relativamente alla nomina dei garanti di Province, Comuni e città metropolitana.

Riteniamo in ogni caso che, anche in assenza di una specifica previsione, le disposizioni di cui alla citata normativa nazionale in tema d'incompatibilità degli incarichi sia applicabile anche alle nomine toscane dei garanti per l'informazione e la partecipazione.

Il Garante regionale è quindi chiamato a svolgere, oltre alle funzioni già esaminate ed attribuite agli altri garanti a livello locale, anche quella di collaborare con loro fornendogli “un supporto metodologico”, una sorta di know how informativo e partecipativo per un più efficace espletamento delle rispettive funzioni, il che allora legittimerebbe il previsto requisito “dell'adeguata preparazione professionale per...lo svolgimento delle funzioni”.

Oltre a ciò al Garante è affidato il compito di “monitorare” periodicamente l'attività svolta a livello locale dagli altri garanti mediante la loro consultazione e l'assunzione delle relative informazioni e valutazioni da parte delle rispettive Amministrazioni in riferimento alle esperienze compiute ed alle pratiche sviluppate. Infine il Garante Regionale riferirà il tutto alla Giunta ed alla Commissione Consiliare competente con le modalità che saranno stabilite dall'emanando regolamento.

Non si può evitare di rilevare che al Garante regionale è stata prima facie affidata una funzione prettamente notarile di “monitorare[12] appunto l'andamento della partecipazione mediante l'acquisizione dei relativi dati dai garanti e le valutazioni dalle Amministrazioni locali senza tuttavia conferirgli il ben più pregnante e non voluto potere di controllo, implicante anche una sua valutazione soggettiva circa l'esatto adempimento dei protocolli informativi e partecipativi in relazione anche all'efficacia delle attività espletate. Tale carattere notarile consistente nell'acquisizione di dati ed informazioni e nel riferirne in seguito alla Giunta ed alla Commissione competente risulta bilanciata dalla previsione della dovuta espressione “di valutazioni inerenti le esperienze compiute e le pratiche sviluppate” da parte delle “amministrazioni di riferimento” presupponente quindi anche un apprezzamento circa l'efficacia degli strumenti partecipativi utilizzati, apprezzamento che finirà tuttavia con il risultare referenziale perchè demandato alle Amministrazioni di riferimento.

Nulla si dice sui risultati di tale attività di “monitoraggio” prima e di “riferimento” poi, perdendosi anche qui l'occasione di sanzionare pratiche informative e partecipative svolte in maniera elusiva e rivelatesi alla prova dei fatti, magari inefficaci, come abbiamo visto accadere oggi spesso quando si assiste al sorgere di comitati spontanei e “fiaccolate” contro scelte territoriali, presupponenti magari una massiccia nuova edificazione o realizzazione di impianti, “calate” dall'alto.

De jure condendo risulterebbe allora preferibile la previsione in capo al garante anche di poteri di maggior impulso, coordinamento, controllo e successiva valutazione in termini di efficacia delle attività d'informazione e partecipazione svolta a tutti i livelli piuttosto che l'attività esaminata di natura meramente referente, peraltro di dati ed informazioni assunte dai garanti e dalle rispettive amministrazioni e mai dai soggetti interessati, riservando poi alla discrezionalità della compagine politica regionale la decisione se utilizzare o meno gli elementi conoscitivi raccolti.

Come è stato autorevolmente sostenuto[13], la figura del garante, già per come viene delineata fin dalla sua nomina, non rappresenta una vera e propria “authority”, dotata d'indipendenza e terzietà rispetto alle Amministrazioni che lo nominano ed a cui deve riferire, senza però la fondamentale funzione che dovrebbe essere attribuita ad un garante, di garantire appunto la correttezza delle attività di informazione e partecipazione alla formazione degli atti di governo del territorio, mediante allora l'attribuzione di poteri di controllo, impulso ed eventualmente correttivi o di sanzione.

L'indice di “dipendenza” di tale figura dagli organi (di vertice) politici si ricava dalla esaminata previsione della sua istituzione o meglio individuazione da parte della stessa compagine politica dell'ente territoriale di cui diventa organo, ma non garante in prima persona della correttezza delle procedure in tema d'informazione e partecipazione, da cui viene anche finanziato, disciplinato ed a cui, come si è visto, dovrà riferire, senza tuttavia essere dotato di alcun ulteriore potere, neppure di orientamento in base ai dati conoscitivi acquisiti a seguito della sua attività, delle scelte sottese all'assetto territoriale.

Infine, trattandosi come si è detto, di una nomina di natura talmente fiduciaria da sostanziarsi in un atto politico, neppure preceduta da una fase selettiva, in realtà anche il mancato rispetto del citato requisito dell'adeguata preparazione professionale, non sembra, allo stato, direttamente “giustiziabile” da parte di altri aspiranti alla nomina che si ritengano magari dotati di maggiormente adeguata preparazione professionale.

 

8.L'art.40: il sostegno regionale alla informazione e partecipazione nel governo del territorio. La disposizione in commento si pone a chiusura del capo V dedicato agli istituti della partecipazione consistenti, come si è esaminato, nelle figure dei garanti a tutti i livelli di amministrazione territoriale, in ossequio al principio di sussidiarietà e nella previsione di un regolamento di adozione regionale per la normazione a livello secondario delle modalità di svolgimento delle funzioni attribuite ai garanti.

Poiché qualsiasi attività istituzionale comporta necessariamente dei costi, quanto meno in termini di risorse, così troviamo anche la norma che prevede che anche la Regione “sostenga con le proprie risorse” le attività degli enti locali “finalizzate” alla informazione e partecipazione, nonché “all'adeguato supporto conoscitivo e documentale”.

A ben vedere, non si tratta affatto, e correttamente, di assicurare “finanziamenti a pioggia” per l'adempimento delle attività informative e partecipative in sé e per sé considerate, ma quelle che potremmo definire “strumentali” al loro svolgimento, quali la promozione e le attività d'indagine e conoscitive sottese all'informazione e partecipazione.

Le risorse regionali destinate a tale attività “di supporto”, non dovranno essere necessariamente economiche, ma potranno avere anche natura logistica, organizzativa, di formazione e di messa a disposizione di personale magari specializzato, come specificato nell'ultima parte dell'articolo che indica appunto in che modo deve avvenire tale sostegno e cioè mediante l'incentivazione “allo scopo” delle “modalità più efficaci di collaborazione interistituzionale e di economia in scala che ne possono derivare”[14].

Tale norma rappresenta proprio la chiusura del cerchio degli istituti della partecipazione, aperto dal precedente art.36 con la previsione astratta della promozione e sostegno da parte della Regione delle modalità più efficaci d'informazione e partecipazione dei soggetti interessati al governo del territorio, e chiuso appunto dall'art.40 con la previsione delle risorse materiali messe a disposizione dalla Regione a tal fine, da realizzarsi non necessariamente, come si è detto, con contributi economici, ma (più facilmente) facendo ricorso alla collaborazione tra i vari enti ed organi ed alle economie di scala, almeno queste, a costo zero per la collettività.

 

9.Il raffronto con il “dibattito pubblico” in tema di localizzazione di grandi opere pubbliche come disciplinato dal codice dei contratti.

 

Arriviamo ora ad analizzare sommariamente il procedimento di dibattito pubblico con il relativo responsabile di cui all'art.22 del codice dei contratti pubblici, D.Lgs.50/16 e del successivo regolamento D.P.C.M. n.76/18, entrati in vigore successivamente alla normativa regionale indicata.

Iniziamo con l'osservare come il legislatore del codice dei contratti sul tema della partecipazione della cittadinanza in materia di realizzazione di opere pubbliche si sia posto in una prospettiva del tutto diversa rispetto a quella del legislatore del procedimento del 1990 e di quello regionale in materia urbanistico.

Difatti, come è stato acutamente osservato[15], il sistema partecipativo delineato dalla legge n.241/90 risulta codificato per offrire specifica tutela solo ai titolari di interessi “qualificati e differenziati”, la cui sfera giuridica cioè risulterà direttamente incisa dall'intervento che l'Amministrazione intende realizzare, mentre nel Codice dei Contratti la possibilità di partecipare al dibattito pubblico viene riconosciuta da parte dell'art.22 ai “portatori d'interesse” tout court, quindi anche diffusi e financo di fatto.

Quel che più qui interessa è anche il sostanziale cambiamento dell'istituto della partecipazione in materia di opere pubbliche: da facoltà per i soggetti interessati di intervenire mediante apporti conoscitivi in un procedimento già avviato e con quindi una proposta già sufficientemente delineata e tale da poter definire la conclusione del procedimento mediante l'adozione di un provvedimento anche in assenza o comunque senza tener conto e comunque potendo immotivatamente prescindere dagli imput provenienti dalla partecipazione, rivelatasi allora inutile e quindi costosa, il legislatore  è passato, con un plaudibile ribaltamento dei visti principi procedimentali, al preliminare coinvolgimento delle comunità interessate prima del licenziamento del progetto definitivo di determinate infrastrutture d'interesse statale.

Viene quindi superato l'efficacemente definito schema c.d. “dad” (decidi-annuncia-difendi”)[16] che vede la preliminare decisione della sola Amministrazione procedente, residuando alla stessa il solo obbligo di darne informazione alla cittadinanza senza tuttavia neppure quello di dare atto di aver almeno considerato, pur prescindendone, gli apporti partecipativi provenienti dalla popolazione, costretta in definitiva a subire la decisione proveniente “dall'alto” ed a rivolgersi alla giustizia se ne sussistono i presupposti e se si è disposti a sostenerne gli odierni rilevanti ed ingiusti costi o, più economicamente, ma anche tristemente frequente negli ultimi tempi a … far “picchetto”.

Ci piace allora pensare che il Decreto Madia con la fortemente voluta inversione di tendenza rispetto alla legge procedimentale abbia invece voluto proprio dare una forte voce in capitolo a chi finora su certi temi infrastrutturali poteva essere bypassato mediante un semplice report sull'attività d'informazione e partecipativa svolta, con il diritto di vedere esposte nelle motivazioni finali i contenuti dei propri apporti partecipativi. Troviamo difatti al comma 4 dell'art.22 del Codice dei contratti, iconicamente rubricato “Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico” finalmente che “Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discusse in sede di conferenza di servizi relativa all'opera sottoposta al dibattito pubblico.”. Il che, come si è detto, non significa che l'Amministrazione debba necessariamente predisporre il progetto nel senso voluto dai soggetti chiamati al dibattito, ma che abbia l'obbligo, questo sì, di vagliarle in maniera pregnante. Tale valutazione, a sua volta, se ben operata, potrà anche tornare utile ai fini di evitare futuri contenziosi, essendosi già appunto valutati in sede di formazione della decisione amministrativa, tutti i presupposti di fatto e di diritto che la cittadinanza avrà saputo offrire in sede di dibattito.

Non è questa la sede per addentrarci oltre nell'esame dell'istituto del dibattito pubblico né soprattutto sul suo difficile raccordo con la L.R.T. n.46/13 ricordata all'inizio che, sia qui brevemente consentito, non garantisce l'efficacia e l'effettività della partecipazione al pari dell'istituto codicistico.

 

10.Conclusioni.

Arrivati a “tirare le somme” sugli istituti della partecipazione di cui al capo V della legge regionale Toscana per il governo del territorio n.65/14, sembra francamente che si sia persa l'occasione di introdurre istituti più incisivi a garanzia dell'effettività ed efficacia della partecipazione alla formazione delle scelte di assetto territoriale dei cittadini e finanche dei soggetti interessati, ancorchè non residenti nel comprensorio.

La mera previsione dell'obbligatorietà di attività per l'informazione prima e la partecipazione poi della cittadinanza ai procedimenti di formazione delle scelte urbanistiche, seguite solo dalla generica previsione di cui al comma 3 dell'art.36 per il quale i risultati delle attività di informazione e partecipazione contribuiscono alla definizione dei contenuti degli strumenti di pianificazione “secondo le determinazioni motivatamente assunte dall'amministrazione procedente”, senza alcuna specificazione in cosa consistano in concreto tali “risultati”, lasciano svolgere ai Garanti regionale e locali solo funzioni promozionali, di “monitoraggio” e di reportistica in ordine all'informazione e partecipazione della cittadinanza, ma non certo risulta alcuna garanzia di effettiva elaborazione delle istanze provenienti dal basso.

Alcuna rassicurazione neppure si ricava in ordine al “percorso inverso”, cioè sul fatto che la popolazione di riferimento risulti adeguatamente informata sulle scelte di assetto territoriale e soprattutto sui termini sia in positivo che in negativo delle conseguenti ricadute, in modo da poter maturare un apporto partecipativo consapevole e giungere quindi a scelte territoriali il più possibile condivise.

Sulla spinta della sopra citata L.R.T. n.46/13, pioniera nell'inserire nella normazione regionale l'istituto del dibattito pubblico sulle grandi opere infrastrutturali, sia pur di livello regionale, poi ripreso a livello nazionale dal codice dei contratti, ci saremmo allora aspettati che anche la disciplina urbanistica, seguita a distanza di un solo anno, recepisse obblighi ancor più puntuali in materia di informazione e partecipazione sulle scelte di assetto territoriale che invece, allo stato della norma primaria, restano di appannaggio esclusivo dell'Amministrazione procedente, a cui carico restano obblighi generici ed indeterminati di promozione dell'informazione e della partecipazione con conseguente vanificazione del punto 8 del preambolo della Legge Regionale n.65/14 che voleva vedere i cittadini  “partecipare …. alla costruzione e gestione di decisioni”, in un'ottica di condivisione che pare più che mai imprescindibile.

Precipitato logico della tesi è rappresentato dal proliferare di picchetti, comitati, presidi più o meno spontanei per contrastare gli interventi esecutivi di modifiche di assetti territoriali di cui all'evidenza la popolazione di riferimento non era stata sufficientemente informata o, quanto meno, di cui non sono stati compresi appieno gli apporti partecipativi.

NOTE:

[1]Prima di tale previsione solo l'art.9 comma5 della L.R. Basilicata n.23/99 aveva previsto tale istituto con il compito da assicurare la tempestiva informazione  e la “consultazione allargata dei cittadini”.

[2]Valeria DE SANTIS “La nuova legge della Regione Toscana in materia di dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione”, Osservatorio dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti, ottobre 2013, pag.1, Chiara PIGNARIS “La legge sulla partecipazione della Regione Toscana”, WWW.architoscana.org.

[3]Non certo alla decisione sulle migliori iniziative da intraprendere per l'attuazione degli enunciati scopi formativi e divulgativi degli strumenti partecipativi.

[4]Massimo MORISI “Appunti per il Regolamento ex art.36 comma 4 della legge regionale 65/2014”, 25 aprile 2015 in Regione Toscana....

[5]Massimo MORISI cit.

[6] M.MORISI cit.

[7]Cfr. ad esempio art.2 comma 4 L.R. Calabria n°19/02

[8]MORISI, cit.

[9]Quali il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, l'obiettività dell'informazione ed il diritto di manifestazione del pensiero, la libertà di concorrenza e d'iniziativa economica, il diritto alla salute ed il diritto di proprietà il cui contemperamento si presenta particolarmente delicato quando si tratti di localizzazione delle funzioni.

[10]Diversamente dalla previsione toscana, il “coordinatore del dibattito pubblico” di cui all'art6 del D.P.C.M. n.76/18, regolamento attuativo del codice dei contratti deve invece disporre “di comprovata esperienza e competenza nella gestione di processi partecipativi, ovvero nella gestione ed esecuzione di attività di programmazione e pianificazione in materia infrastrutturale, urbanistica, territoriale e socio economica” ed inoltre che non abbia alcuna relazione con l'Amministrazione procedente ed i territori interessati.

  • [11] L'Art. 10 della citata norma prevede quali “Cause di esclusione” e quindi d'ineleggibilità: “a) coloro che si trovino in stato di interdizione legale ovvero di interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; b) coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva, salvi gli effetti della riabilitazione, a pena detentiva per uno dei reati previsti nel decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e successive modificazioni oppure alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) e successive modificazioni; c) coloro che si trovino in una delle situazioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), salvi gli effetti della riabilitazione; d) coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva per violazione della legge 25 gennaio 1982, n. 17 (Norme di attuazione dell'art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia P2), come previsto dall’articolo 8 della legge regionale 29 agosto 1983, n. 68 (Norme di attuazione dell’art. 18 della Costituzione e della legge 25 gennaio 1982, n. 17 in materia di associazioni segrete e norme per garantire la pubblicità della situazione associativa dei titolari di cariche elettive o di nomine e designazioni regionali); e) coloro che ricadono nelle previsioni dell’articolo 2 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), ad esclusione dei dipendenti regionali, fermo restando quanto per essi previsto dalle lettere a) e k) del comma 1 dell’articolo 12. I casi in cui le previsioni dell’articolo 2 della l. 154/1981 sono riferite al territorio nel quale il titolare di una determinata carica esercita le sue funzioni costituiscono causa di esclusione limitatamente ad organismi il cui ambito operativo è esattamente coincidente con detto territorio o compreso in esso.” Ivi comprese anche le sentenze c.d. Di patteggiamento ex art. 444 del codice di procedura penale.
  • All' a 11 sono elencate le cariche e funzioni che comportano l'incompatibilità: “a) sindaco e assessore dei comuni della Toscana con popolazione residente superiore alle 15.000 unità, assessore e presidente di provincia della Toscana, presidente di unione dei comuni di cui all'articolo 110, comma 1, della legge regionale 27 dicembre 2011, n. 68 (Norme sul sistema del autonomie locali), presidente e membro di giunta dei circondari istituiti per legge regionale, componente degli organi delle autorità di ambito territoriale ottimale di cui alla legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 (Norme per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati); b)giudice costituzionale, magistrato ordinario, amministrativo, contabile, tributario e di ogni giurisdizione speciale, fatte salve specifiche disposizioni di legge; c)avvocato o procuratore presso l’Avvocatura dello Stato o di altri enti pubblici; d)appartenente alle forze armate in servizio permanente effettivo;e)difensore civico di regione, provincia o comune;f) titolare di due incarichi di membro effettivo in collegi sindacali e organi di controllo, la cui designazione o nomina sia di competenza di enti pubblici anche economici o di società di capitali da essi partecipate in modo esclusivo o prevalente;g)titolare di incarico professionale di studio, consulenza o ricerca conferito dalla Regione; g bis) soggetti nominati dalla Regione a seguito delle designazioni di cui all’articolo 1, comma 1 bis, lettera b).
  • Per le ipotesi di “Conflitto di interesse” l'art.12 della L.R.T.n°5/08 indica: a) i dipendenti dello Stato, della Regione e degli enti locali che comunque assolvano a mansioni inerenti l’esercizio della vigilanza sull’ente o organismo cui si riferisce la nomina; b) i dipendenti o consulenti dell’ente o organismo per il quale il nominativo è proposto, ovvero di enti o organismi da esso dipendenti o ad esso strumentali; c) i membri di organi consultivi tenuti ad esprimere parere su provvedimenti degli organi dell’ente o organismo cui si riferisce la nomina; d) chi ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti nell’interesse dell’ente o organismo cui si riferisce la nomina; e) chi ha lite pendente, come individuato ai sensi della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), in quanto parte in un procedimento civile od amministrativo, con l’ente o organismo cui si riferisce la nomina; f) chi abbia prestato opera di consulenza a favore dell’ente o organismo cui si riferisce la nomina nei dodici mesi precedenti; g) chi ha parte in attività di carattere imprenditoriale, commerciale o professionale riguardanti l’ente o organismo cui si riferisce la nomina e che possano trarre vantaggio diretto dalle decisioni del soggetto medesimo; egualmente la nomina è preclusa se nelle attività suddette hanno parte il coniuge o i parenti o affini entro il secondo grado; h) il coniuge, i parenti e gli affini entro il secondo grado dei consiglieri regionali, del Presidente della Giunta regionale e degli assessori regionali, nonché i conviventi dei medesimi soggetti, se e in quanto dichiarati ai sensi dell’articolo 14 della legge regionale 13 giugno 1983, n. 48 (Norme sulla previdenza, l’assicurazione infortuni e l’indennità di fine mandato ai consiglieri della Regione Toscana) e successive modificazioni; i) il coniuge, i parenti e gli affini entro il secondo grado dei soggetti di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a);  j) i dirigenti regionali in quiescenza, prima che siano trascorsi dodici mesi dalla data del collocamento a riposo; k) negli organi degli enti dipendenti della Regione, di cui all’articolo 50 dello Statuto, i dirigenti e i dipendenti regionali, se non collocati in aspettativa previamente all’assunzione dell’incarico, fatta eccezione per quanto previsto dalla legge regionale relativa alla disciplina dei commissari nominati dalla Regione. fine mandato ai consiglieri della Regione Toscana) e successive modificazioni; i) il coniuge, i parenti e gli affini entro il secondo grado dei soggetti di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a);  j) i dirigenti regionali in quiescenza, prima che siano trascorsi dodici mesi dalla data del collocamento a riposo; k) negli organi degli enti dipendenti della Regione, di cui all’articolo 50 dello Statuto, i dirigenti e i dipendenti regionali, se non collocati in aspettativa previamente all’assunzione dell’incarico, fatta eccezione per quanto previsto dalla legge regionale relativa alla disciplina dei commissari nominati dalla Regione.

[12]Assistere da uno schermo senza possibilità di interagire e modificare quanto trasmesso.

[13] M.MORISI cit. 

[14]Anche attraverso la lotta agli sprechi e l'ottimizzazione delle risorse si può raggiungere la massima efficacia delle pratiche partecipative.

[15]M.TIMO: “Gli attori del “dibattito pubblico”, in il Giornale del Diritto Amministrativo, 2019, 3, pag.301.

[16]A.AVERARDI: Amministrare in conflitto: costruzione di grandi opere e partecipazione democratica” in Riv. Tri, dir.pubbl.2015, 4, pag.1173 e ss.