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Anno XVI - n. 12 - Dicembre 2024

  Studi



Gestire la pandemia: linee guida e assistenza domiciliare al vaglio della giurisprudenza amministrativa.

Di Federica Marconi
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Gestire la pandemia:

linee guida e assistenza domiciliare al vaglio della giurisprudenza amministrativa

 

Di FEDERICA MARCONI*

 

Abstract

Il Giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento della circolare adottata dal Ministero della salute per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19. Se il Tar Lazio, con sent. 15 gennaio 2022, n. 419, ha sospeso le linee guida ritenendole in contrasto con professionalità e deontologia del medico, il Consiglio di Stato, con sent. 9 febbraio 2022, n. 946, ne ha invece riconosciuto la piena validità, trattandosi di raccomandazioni e linee di indirizzo basate sulle più autorevoli evidenze disponibili e costantemente aggiornate, e ha confermando l’autonomia del medico nell’adottare la scelta terapeutica più adatta alla singolarità del caso clinico. La circolare, secondo un modello di “amministrazione adattiva e flessibile”, si limita ad indicare e a consigliare i vari percorsi terapeutici da adottare pur mantenendo inalterata la libertà prescrittiva del medico nell’ambito dell’alleanza instauratosi con il paziente a tutela della salute, massima e primaria manifestazione della dignità umana e del principio personalistico posto a base della Costituzione.

 

Parole chiave: Covid-19; vigile attesa; assistenza domiciliare; linee guida; AIFA.

 

Sommario: 1. Il contesto di riferimento: linee guida e vigile attesa. – 2. L’assistenza territoriale e domiciliare. – 3. La posizione della giurisprudenza amministrativa. – 4. La relazione medico-paziente: una lettura costituzionalmente orientata. – 5. Brevi considerazioni conclusive.

 


 

 

  1. Il contesto di riferimento: linee guida e vigile attesa

Con la circolare del Ministero della Salute recante “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2”[1] sono state fornite indicazioni operative per fronteggiare le conseguenze del contagio da Covid-19 in pazienti con sintomatologia lieve, alla luce delle emergenti conoscenze scientifiche e tenuto conto della continua evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale[2]. I contenuti della circolare in oggetto sono stati mutuati pedissequamente da quelli contenuti nelle linee guida promulgate dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)[3].

Tra gli obiettivi primari della circolare ministeriale vi è stato quello di rafforzare la rete dei servizi territoriale per ridurre la necessità di ricovero ospedaliero, con conseguente razionalizzazione delle risorse al fine di poter garantire la giusta assistenza a ogni cittadino in maniera commisurata alla gravità del quadro clinico ed evitare il sovraccarico delle strutture e dei servizi sanitari. Secondo quanto espressamente riportato nel documento, la corretta gestione del caso sin dalla diagnosi e l’immediata adozione delle cure maggiormente idonee e specifiche per il singolo individuo dovrebbero consentire di perseguire il duplice scopo di mettere in sicurezza il paziente e di non affollare oltremodo e ingiustificatamente gli ospedali e le strutture di pronto soccorso.

Le conoscenze maturate hanno indotto la comunità scientifica a differenziare i pazienti a seconda del rischio, così da poter determinare i casi in cui sia necessaria l’ospedalizzazione e quelli in cui, invece, il trattamento della malattia possa essere condotto presso il domicilio.

A tal fine, il decorso clinico dell’infezione è stato ricondotto a tre diverse fasi. La fase iniziale che, in un’elevata percentuale di casi e specie nei soggetti più giovani, si presenta del tutto asintomatica, e che, seppur eventualmente manifesti sintomi, si caratterizza clinicamente per la presenza di malessere generale, febbre e tosse secca; una seconda fase, in cui i pazienti possono manifestare un quadro di polmonite interstiziale associata a una sintomatologia respiratoria che può sfociare in una insufficienza respiratoria; una terza fase caratterizzata da uno stato iper-infiammatorio che, a livello polmonare, può giungere fino alla sindrome da distress respiratorio acuto grave e, in alcuni casi, all’innesco di fenomeni di coagulazione intravascolare disseminata. In linea generale, per i pazienti con malattia lieve[4] non è indicata alcuna terapia al di fuori di una eventuale terapia sintomatica di supporto.

Per la gestione clinica la circolare fornisce le seguenti indicazioni: i) vigile attesa (intesa come costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente presso l’abitazione); ii) misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno; iii) assunzione di farmaci per i trattamenti sintomatici[5]; iv) appropriate idratazione e nutrizione, in particolare nei pazienti anziani.

Nella versione più recente del documento si ribadisce il concetto di vigile attesa, meglio definita come sorveglianza clinica attiva, essenziale per valutare una possibile evoluzione peggiorativa dei sintomi.

Tra le raccomandazioni fornite, inoltre, si segnalano quelle relative all’identificazione dello stato clinico della malattia, all’identificazione della classe di rischio del paziente, alla valutazione sui pazienti da indirizzare nelle strutture di riferimento per il trattamento con anticorpi monoclonali, oltre a indicazioni più specifiche sull’utilizzo dei cortisonici e dell’eparina e sui farmaci di cui è sconsigliato l’utilizzo. Il documento contiene, infatti, una tabella recante le raccomandazioni AIFA sui farmaci da utilizzare per la gestione domiciliare di Covid-19, suddivisi in: farmaci per la terapia sintomatica (per i primi interventi è confermato l’utilizzo di paracetamolo o FANS), farmaci da utilizzare solo in specifiche fase della malattia[6], nonché una lunga lista di farmaci non raccomandati per il trattamento del Covid-19[7].

L’adozione delle linee-guida, soprattutto in ambito medico[8], già in passato ha suscitato un ampio dibattito circa la loro natura giuridica e la classificazione nel quadro delle fonti del diritto. Ancor di più, negli ultimi mesi, ci si è interrogati circa il ricorso a tali strumenti durante la gestione dell’emergenza pandemica e sul valore funzionale da attribuire agli stessi. In questa sede, basti richiamare la posizione consolidata secondo cui sarebbe lo stesso carattere intrinseco delle linee guida ad impedirne una considerazione in termini normativi, considerato che, per quanto validate da evidenze e accreditate dalla comunità scientifica o da enti pubblici del settore, si tratta di indicazioni orientative e di strumenti di soft law[9] che hanno carattere dinamico e sono strutturalmente privi della pretesa di esaustività rispetto alle condotte e ai soggetti a cui si rivolgono[10]. A questa visione si è contrapposta quella di chi, nel perdurare dell’emergenza, ha sostenuto che l’ampio ricorso a strumenti di rango terziario per integrare le disposizioni normative sovraordinate o la loro allegazione ai vari decreti emergenziali[11] abbia, de facto, dotato le stesse di forza vincolante[12].

Per completare il quadro di riferimento, si tenga conto che, il 9 aprile 2021, il Senato ha approvato l’ordine del giorno firmato da tutti i gruppi parlamentari con l’impegno da parte del Governo ad attivarsi su cinque punti fondamentali[13]. Primo fra tutti, l’impegno di aggiornare protocolli e linee guida per la presa in carico domiciliare da parte di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e medici del territorio, dei pazienti Covid-19, tenuto conto di tutte le esperienze dei professionisti impegnati sul campo. Tale aggiornamento deve essere realizzato a cura del Ministero della salute e con l’ausilio, all’occorrenza, di Istituto superiore di sanità, AIFA ed AGENAS. Il Governo ha assunto, poi, l’impegno ad istituire un tavolo di monitoraggio ministeriale, in cui siano rappresentate tutte le professionalità coinvolte nei percorsi di assistenza territoriale, vista la crescente complessità gestionale e la necessità di armonizzare e sistematizzare tutte le azioni in campo e ad attivare, per una efficace gestione del decorso, fin dalla diagnosi, interventi che coinvolgano tutto il personale presente sul territorio in grado di fornire assistenza sanitaria, accompagnamento socio-sanitario e sostegno familiare, nel rispetto dell’autonomia regionale. È stata prevista, inoltre, l’istituzione di un protocollo unico nazionale per la gestione domiciliare dei malati Covid-19, al fine di sostituire i le linee guida AIFA e di superare le rilevanti diversificazioni tra i protocolli sanitari regionali che si sono registrate sul territorio nazionale, e in cui far comunque confluire il bagaglio di esperienze e di dati clinici raccolti dai Servizi sanitari regionali. A ciò si è aggiunto l’impregno ad affiancare all’implementazione del protocollo nazionale per la presa in carico domiciliare dei pazienti Covid-19 un piano di potenziamento delle forniture di dispositivi di telemedicina idonei ad assicurare un adeguato e costante monitoraggio dei parametri clinici dei pazienti.

 

  1. L’assistenza territoriale e domiciliare

Per i pazienti con malattia lieve, per cui è indicata la sorveglianza domiciliare, assumono un rilievo preponderante il ruolo ricoperto dai medici di medicina generale e dai membri della famiglia, a cui si richiede sostegno per coadiuvare i primi nelle attività di rispettiva competenza.

Con riferimento all’assistenza familiare, anche la valutazione del contesto sociale diventa quindi parte integrante della valutazione iniziale (es. condizioni generali, presenza di caregiver, etc.), oltre alla necessaria educazione che deve essere impartita in merito all’igiene personale, alle misure di prevenzione e controllo dell’infezione da Covid-19 e a come evitarne la diffusione.

Negli scenari di gestione domiciliare, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, in stretta collaborazione con il personale delle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA)[14] e con eventuali altre unità di assistenza presenti sul territorio[15], sono quindi stati chiamati a giocare un ruolo di primordine tanto in ragione della loro presenza capillare sul territorio, quanto per la conoscenza diretta della popolazione dei propri assistiti.

Tale ruolo è cruciale con riferimento a una molteplicità di aspetti. Dalla segnalazione ai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali (ASL)/aziende territoriali sanitarie (ATS) dei casi sospetti nei quali è richiesta l’esecuzione di test diagnostico, fino alla stessa esecuzione dei test diagnostici e alla predisposizione del referto elettronico con i relativi esiti. Nell’identificazione precoce di parametri e/o condizioni cliniche a rischio di evoluzione della malattia con conseguente necessità di ospedalizzazione, si è cercato di potenziare il ricorso a strumenti di video consulto, così come, nel monitoraggio e nella gestione domiciliare dei pazienti che non richiedono ospedalizzazione, si è tentato di rafforzare il ricorso a consultazioni a distanza con l’ausilio App o devices messi a disposizione dei cittadini. Nell’ambito dell’alleanza terapeutica che dovrebbe instaurarsi tanto con il paziente quanto, eventualmente, con il caregiver, medici e pediatri sono chiamati all’identificazione degli assistiti a rischio di sviluppare forme severe di Covid-19, all’identificazione delle condizioni abitative per l’applicabilità delle misure di isolamento e familiari, alla prescrizione di norme di comportamento e terapie di supporto, nonché all’educazione del paziente e dei suoi familiari sulle misure di prevenzione e controllo per limitare la diffusione del virus e all’istruzione all’utilizzo dei presidi, anche elettronici di monitoraggio a domicilio, di cui si è detto.

Degna di nota, la raccomandazione per cui sono tenuti all’identificazione di segni e/o sintomi di natura psichica (ansia, sintomi depressivi e rischio suicidario) per cui possa essere opportuna una valutazione da parte del Dipartimento di Salute Mentale.

Il ricorso al supporto straordinario e temporaneo delle USCA deve essere attivato dai medici di base o dai pediatri di libera scelta. Compito delle USCA è quello di implementare la gestione dell’emergenza sanitaria nell’ambito dell’assistenza territoriale e di gestire a domicilio i pazienti sospetti o accertati Covid-19 le cui condizioni non impongono il ricovero ospedaliero (ad esempio, attraverso consulto telefonico, video consulto, visite domiciliari)[16]. La ratio sottesa all’istituzione delle USCA è stata quella di alleggerire i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e i medici di continuità assistenziale dal carico derivante dall’esposizione pandemica, «affiancando loro una struttura capace di intervenire a domicilio del paziente, a richiesta dei primi, ove questi, attanagliati da una fase di così diffusa morbilità e astretti dalle intuibili limitazioni temporali e fisiche, o anche legate all’indisponibilità temporanea di presidi efficaci, non possano recarsi al domicilio del paziente, o ritengano, in scienza e coscienza, nell’ambito della propria autonoma e libera valutazione medica, che sia necessaria o preferibile l’intervento della struttura di supporto»[17]. Coerentemente con ciò, le USCA costituiscono una garanzia dell’effettività dei livelli essenziali di assistenza, destinate ad operare in sinergia e nel rispetto delle competenze e delle prerogative dei medici di base e dei pediatri di libera scelta.

 

  1. La posizione della giurisprudenza amministrativa

La sentenza del Tar Lazio. Il Tar Lazio[18] ha accolto il ricorso con cui alcuni medici di medicina generale e specialisti chiedevano l’annullamento, previa sospensiva, della Circolare del Ministero della Salute concernente le linee guida per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19. I ricorrenti hanno impugnato la circolare del Ministero della Salute, pedissequamente mutuata dalle linee guida promulgate da AIFA, nella parte in cui avrebbe imposto ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, prevedono un lungo elenco delle terapie da non adottare. Secondo i ricorrenti, tali divieti si sarebbero posti in contrasto con l’esperienza diretta da essi maturata, oltre ad essere incompatibili con la professionalità e la deontologia proprie della professione di medico. Veniva quindi contestata la parte della circolare che prevedeva la vigile attesa nei primi giorni dell’insorgenza della malattia e che raccomandava la somministrazione di fans di paracetamolo per i pazienti affetti da Covid-19. I ricorrenti, a tal riguardo, hanno sostenuto la tesi secondo cui le limitazioni all’utilizzo degli altri farmaci generalmente utilizzati abbiano portato conseguenze negative nella gestione domiciliare dei pazienti Covid-19, evidenziando come il timing e la precocità di intervento terapeutico siano fondamentali per l’efficace trattamento della malattia.

Le argomentazioni con cui il Tar ha accolto il ricorso si fondano principalmente sulla considerazione per cui le prescrizioni dell’AIFA, mutuate nella circolare del Ministero della Salute, siano in contrasto con la professionalità richiesta al medico e con la sua deontologia professionale. Ciò in quanto tali prescrizioni impediscono l’utilizzo di terapie che i medici potrebbero eventualmente ritenere maggiormente idonee ed efficaci per contrastare la malattia, anche tenuto conto dell’onere imprescindibile di ogni sanitario di agire “secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta”, quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito[19].

A sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza richiama, inoltre, un precedente relativo ad analoga vicenda giudiziaria in cui oggetto di impugnazione era stata la sola determinazione dell’AIFA. Nella vicenda in questione il Consiglio di Stato aveva accolto l’appello cautelare proposto dal Ministero della Salute e da AIFA avverso l’ordinanza con cui il Tar Lazio[20] aveva accolto l’istanza cautelare promossa dai medici del “Comitato Cura domiciliare Covid-19” contro la nota AIFA del 9 dicembre 2020, recante linee guida per curare a domicilio le persone colpite da Covid-19. Con tale ordinanza il Tribunale aveva disposto la sospensione cautelare della nota AIFA che prevedeva unicamente la vigile attesa e la somministrazione di paracetamolo, ritenendola non adeguata a tutelare la salute dei casi sospetti o dei casi lievi accertati di Covid-19. Tra le argomentazioni che avevano portato all’accoglimento della richiesta di sospensiva quella del riconoscimento ai medici del diritto/dovere di «prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza […] che non può essere compresso nell’ottica di una attesa, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi». La decisione del Tar aveva di fatto riconosciuto inadeguato e inopportuno lasciare i pazienti Covid-19 senza cure precoci a domicilio.

Il Consiglio di Stato[21], nel rigettare l’istanza cautelare aveva ribaltato la decisione del Giudice di prime cure, confermando l’applicabilità delle linee guida e sostenendo che la nota AIFA “non pregiudica l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna”. Specificava, ulteriormente, che una eventuale sospensione della nota fino al giudizio di merito avrebbe determinato il venir meno di linee guida che forniscono un “ausilio (ancorché non vincolante) a tale spazio di autonomia prescrittiva, comunque garantito”.

Il decreto monocratico del Consiglio di Stato. Avverso la sentenza del Tar, il Ministero della Salute ha proposto appello con istanza di misure cautelari monocratiche, ai sensi degli artt. 56, 62, commi 2 e 98, comma 2 del codice del processo amministrativo. Il decreto presidenziale[22] ha accolto l’istanza, sospendendo per l’effetto l’esecutività della sentenza appellata fino alla discussione collegiale. Le argomentazioni della decisione prendono le mosse dalla parte di motivazione in cui la sentenza appellata riconosce la natura vincolante della circolare ministeriale oggetto di impugnazione. Ritenuto che, dalla delibazione sommaria svolta in sede cautelare, non sia possibile identificare una puntuale motivazione circa il carattere vincolante censurato, secondo il decreto appare invece: i) che il documento indica comportamenti che, secondo vasta letteratura scientifica, sembrano rappresentare le migliori pratiche pur ammettendo la continua evoluzione del quadro di riferimento[23]; ii) di conseguenza non emergerebbe alcun vincolo circa l’esercizio del diritto-dovere di scegliere in scienza e coscienza la terapia migliore da parte del medico di medicina generale, trattandosi al più di parametri di riferimento che riportano esperienze sui metodi terapeutici anche a livello internazionale; iii) la sospensione della circolare farebbe venir meno un documento riassuntivo di migliori pratiche individuate da scienza ed esperienza nella continua evoluzione della pandemia e di raccomandazioni e che, di per sé, non intacca le prerogative di scelta terapeutica dei medici di medicina generale, ben potendo questi effettuate scelte diverse, motivatamente e sotto la propria responsabilità[24].

La sentenza del Consiglio di Stato. A seguito della camera di consiglio tenutasi il 3 febbraio 2022, il Collegio[25] ha ritenuto di accogliere l’appello proposto dal Ministero della Salute, con conseguente riforma della sentenza impugnata, non avendo ravvisato nella circolare oggetto di contestazione alcun profilo di manifesta irragionevolezza o erroneità. Il particolare, ha ritenuto che l’adozione di linee guida non pregiudichino l’autonomia prescrittiva dei singoli medici di medicina generale, nei termini che saranno meglio specificati infra para. 4.

Secondo il Consiglio di Stato la circolare, raccogliendo le indicazioni e le informazioni più accreditate al fine di fornire a tutti gli operatori interessati “un quadro sinottico, aggiornato ed autorevole di riferimento”, assolve allo specifico obbligo di legge, attributo al Ministero, di assicurare le funzioni di coordinamento del sistema sanitario nazionale[26] e di raccordo con le organizzazioni internazionali e l’Unione Europea aventi competenza in materia sanitaria[27]. Quanto poi a ruolo dell’AIFA, le cui raccomandazioni sono state recepite nella circolare ministeriale, viene ribadita l’attività di informazione pubblica e indipendente da essa svolta, tanto al fine di favorire un corretto uso dei farmaci, di orientare il processo delle scelte terapeutiche, di promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni, quanto di aggiornare gli operatori sanitari con attività editoriali, programmi di formazione a distanza, gestione del sito internet. In particolare, sono state evidenziate le funzioni di promozione che essa svolge per la «[…] definizione di liste omogenee per l’erogazione e di linee guida per la terapia farmacologica anche per i farmaci a distribuzione diretta, per quelli impiegati nelle varie forme di assistenza distrettuale e residenziale, nonché per quelli utilizzati nel corso di ricoveri ospedalieri»[28].

Conformemente a ciò, la circolare adottata risponde al dovere istituzionale del Ministero di adottare «strumenti di indirizzo e coordinamento generale per garantire l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie, ampliando la base scientifica informativa sulla cui scorta il medico è chiamato a compiere la scelta di cura», attraverso l’informazione a strutture e operatori sanitari delle raccomandazioni AIFA, delle più aggiornate acquisizioni scientifiche e delle posizioni adottate da istituzioni internazionali e agenzie regolatorie. Tale ruolo unificatore e di coordinamento e tali funzioni di raccordo sono ancora più importanti tenuto conto del contesto pandemico, caratterizzato dalla novità rappresentata dalla diffusione del Covid-19 e della correlata assenza di prassi consolidate a cui attenersi[29].

Al di là dello strumento formale adottato (la circolare), che per costante giurisprudenza[30], ha valore normativo o provvedimentale ma non efficacia vincolante, il carattere di mere indicazioni/raccomandazione delle linee guida sarebbe comunque reso evidente dallo stesso tenore testuale del documento. Con riferimento al contenuto, invece, confermata la discrezionalità tecnica in capo all’autorità indipendente e i limiti del sindacato giurisdizionale, viene riconosciuta la legittimità delle linee guida non essendosi le stesse discostate dalle acquisizioni più recenti e condivise dalla scienza e dalla pratica clinica a livello nazionale e internazionale.

A tal riguardo, la stessa vigile attesa, postulando lo svolgimento di attività fondamentali, quali il monitoraggio e l’identificazione precoce di parametri e/o condizioni cliniche a rischio di evoluzione della malattia, la prescrizione di norme di comportamento, nonché terapie di supporto in relazione al quadro clinico in evoluzione, viene ritenuta conforme ai canoni forniti dalla scienza dell’evidenza. Anche con riferimento alla presunta imposizione di divieti e limitazioni all’utilizzo di farmaci per il trattamento della malattia, il Collegio evidenzia come la circolare si limita ad indicare e a consigliare i vari percorsi terapeutici da adottare e seconda delle specifiche condizioni verificatesi, con raccomandazioni e linee di indirizzo basate sulle migliori evidenze disponibili e costantemente aggiornate, secondo un modello di “amministrazione adattiva e flessibile”. Non avendo portata cogente per i medici che ne sono destinatari, questi ultimi ben possono prescrivere farmaci ulteriori e diversi da quelli raccomandati, nell’esercizio della propria competenza professionale. Ciò, precisa il Collegio, purché tali prescrizioni siano fondate su evidenze scientifiche attendibili, tali da garantire la sicurezza e l’efficacia del farmaco.

 

  1. La relazione medico-paziente: una lettura costituzionalmente orientata.

Nello svolgimento delle proprie argomentazioni, il Consiglio di Stato si sofferma sul ruolo del medico e sul rapporto che questi instaura con il paziente, legame che viene interpretato ed enfatizzato anche alla luce dei preminenti interessi coinvolti e dei correlati valori e principi di rango costituzionale.

Il singolo medico è chiamato ad adottare la terapia che ritenga maggiormente appropriata alle peculiarità del caso e in rapporto al singolo paziente. Tale scelta deve essere condotta dal medico nell’esercizio della propria autonomia nella relativa sfera di competenza professionale, ma anche nella consapevolezza della propria responsabilità, e sempre sulla base delle evidenze scientifiche acquisite[31], quale cardine intorno cui ruota il diritto sanitario[32].

A ciò si aggiunge che, nella relazione di cura e fiducia che si instaura tra medico e paziente[33], la terapia non deve essere intesa come applicazione di “un astratto e indifferenziato protocollo”, utilizzabile comunque e su chiunque, bensì come una scelta concreta di una cura fondata sul consenso informato e condivisa tra medico e paziente. Tale scelta, adottata nell’interesse del benessere psicofisico del paziente, deve comunque rispettare la visione che quest’ultimo ha della propria dignità personale, nonché della percezione, unica ed esclusiva, che egli ha del proprio corpo, tanto della propria salute quanto della propria malattia.

Alla luce di queste considerazioni, la cura non deve essere quindi intesa come “una entità astratta, metafisica, calata dall’alto e imposta al singolo paziente”, anche a mezzo di raccomandazioni e Linee guida, da parte dello Stato o delle istituzioni sanitarie[34], bensì come il risultato di una vera e propria “strategia concreta, individualizzata”, che deve risponde non solo alle precise necessità terapeutiche che conseguono all’aver diagnosticato una determinata malattia, quanto soprattutto al concetto di dignità che di sé ha la singola persona e che si estrinseca nell’incontro tra l’autonomia professionale del medico e il consenso informato del paziente[35].

È in tale contesto e nell’ambito dell’alleanza che si instaura tra medico e paziente che deve leggersi il ruolo delle linee guida in ambito medico. Come brevemente anticipato nel paragrafo precedente, queste ultime rispondono all’esigenza, diffusa tanto a livello nazionale che internazionale, di individuare per quanto possibile delle strategie terapeutiche comuni e condivise, che permettano ai medici di fare proprie le migliori e più autorevoli acquisizioni scientifiche e le esperienze cliniche diffuse e condivise dalla comunità scientifica. Affinché ciò si realizzi, tali pratiche devono aver dimostrato un profilo di efficacia e sicurezza nella cura di una patologia che trovi fondamento e riconoscimento a livello scientifico. Ovviamente, il processo di standardizzazione delle cure e l’impiego sempre più frequente di protocolli medici non esime il medico dal dovere di costruire una terapia condivisa e cucita sulle esigenze del singolo paziente, anche se non indicata nelle linee guida o nei protocolli, purché sicura ed efficace in quanto basata sull’esperienza scientifica.

Sul piano tecnico si afferma, dunque, il concetto di “refutabilità” delle linee guida e best practises in ambito medico, da intendersi come non necessaria applicabilità rispetto allo specifico caso clinico in ragione delle peculiarità che questo presenti. Il Collegio, sul punto, sottolinea la distinzione tra il concetto di refutabilità, che sul piano giuridico si traduce nella non vincolatività dei protocolli, e quello di “confutabilità” od “opinabilità” delle indicazioni di trattamento in essi contenute. A tale riguardo, la sentenza specifica che la confutabilità delle indicazioni di trattamento terapeutico contenute nelle linee guida è questione del tutto diversa, che avrebbe dovuto costituire oggetto di approfondita analisi nella sentenza impugnata. Si sarebbe potuto pervenire ad una statuizione annullatoria, infatti, solo se il Tribunale avesse motivatamente ritenuto che l’esercizio della discrezionalità tecnica e quindi la scelta operata dal decisore pubblico (Ministero o AIFA), avesse travalicato le opzioni terapeutiche consentite dal sapere specialistico da applicarsi alla materia controversa e che, quindi, il contenuto fosse talmente abnorme, irragionevole e contrastante con i principî della scienza medica da imporre effettivamente al medico l’irriducibile alternativa tra seguire i protocolli, con danno per la salute del paziente e per il sicuro esercizio della sua professione, o percorrere un’opzione terapeutica diametralmente opposta, conforme tuttavia ai dettami delle migliori conoscenze ed esperienze cliniche acquisite.

La refutabilità, e cioè la non applicazione di linee guida, protocolli sanitari, buone pratiche clinico-assistenziali, secondo il Consiglio di Stato restituisce “rilevanza al paziente come persona”, valorizzandone la singolarità. In ragione di ciò, che dal punto di vista clinico dovrebbe costituire la norma e non l’eccezione, ad ogni malato deve essere assicurato, nella diagnosi della malattia e nella prescrizione della cura, il rispetto della propria eventuale “diseguaglianza clinica”.

Sul punto il Collegio si sofferma ancora sul delineare la fondamentale differenza tra regole deontiche, cogenti sul piano giuridico, e regole tecniche, riepilogative di esperienze passate e orientative di comportamenti futuri. Queste ultime sono appunto le regole refutabili o superabili dal medico nel doveroso esercizio della propria autonomia professionale, perché basate su «ragioni determinabili e intersoggettivamente valide per essere costruite sull’esperienza più qualificata, che può essere superata, aggiornata e persino smentita dalle peculiarità del quadro clinico, essendo la giustificazione pratica su cui si fonda la regola pratica sottoponibile, come noto, a controllo empirico». È a questo punto che il Collegio, dopo essersi soffermato sulla figura del paziente (“il singolo paziente”) e aver chiarito come lo stesso “non è un astratto, anonimo e quasi indifferente oggetto di cura, ma è invece soggetto primario e fine della stessa cura”, enfatizza il ruolo del medico (“il singolo medico”) che non è, e non può essere, un “passivo recettore di acquisizioni scientifiche, meccanico esecutore di protocolli o mero prescrittore di farmaci, adatti a tutti e a nessuno”. L’irriducibile singolarità del paziente e l’irriducibile autonomia del medico nell’individuazione della cura in concreto, dunque, devono essere inscindibilmente considerate come le due diverse facce del cuore del rapporto terapeutico, e cioè della relazione di cura e fiducia che si instaura e che risponde al valore della dignità della persona umana, a tutela della quale la Costituzione ha definito e garantito la salute come diritto fondamentale della persona.

La rilettura proposta, orientata ai valori di civiltà giuridici più alti quali valori costitutivi della persona umana e tutelati dalla Costituzione, fa emergere chiaramente quanto la presunta vincolatività delle linee guida nel singolo caso clinico sia inevitabilmente in contrasto con l’autonomia del medico, sancita dal codice di deontologia professionale e dallo stesso ordinamento in numerose disposizioni normative, e con lo stesso diritto alla salute, “quale massima, primaria manifestazione della dignità umana, e il principio personalistico posto a base della Costituzione”.

 

  1. Brevi considerazioni conclusive.

Le diverse posizioni su cui si sono attestati il Tar Lazio e il Consiglio di Stato rispecchiano l’incertezza che ha caratterizzato gli ultimi anni, sin da quando la diffusione del Covid-19 ha iniziato a mettere a dura prova i sistemi di tutti i Paesi, europei e non. 

Le stesse linee guida hanno perso il proprio ruolo di garanzia e affidamento, considerato che il fenomeno pandemico ha a lungo diviso – e tuttora divide – la comunità scientifica su cause, modi di trasmissione, modelli sanitari e strumenti di contrasto. Tanto più tenuto conto che le linee guida non sono solo rivolte agli operatori sanitari ma costituiscono anche parametro di valutazione da parte del giudice per valutare le conseguenze di condotte o attività. Se nella fase applicativa del rapporto di cura, infatti, esse rivestono il ruolo di regole qualificate di condotta; nella fase giudiziale, offrono invece un criterio precauzionale di adeguatezza del comportamento ma non ne esauriscono l’incidenza sulla statuizione di responsabilità[36].

Un punto fermo sembra comunque potersi riscontrare in tutte le decisioni: il ruolo fondamentale del rapporto medico-paziente, tanto più declinata nelle forme dell’assistenza territoriale e domiciliare. A tal ultimo riguardo si tenga conto che, dei complessivi 15,63 miliardi di euro destinati ad attività nell’ambito della salute da parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)[37], otto miliardi sono stati destinati proprio all’assistenza sanitaria territoriale, di cui quattro all’assistenza domiciliare.

La pandemia, tra le diverse fragilità del sistema paese che ha evidenziato, ha riportato al centro del dibattito l’importanza di una riorganizzazione della sanità pubblica, così da rinnovare alcuni elementi chiave del Sistema sanitario nazionale[38]. La riforma disegnata nel PNRR intende creare un nuovo concetto di medicina di prossimità, che valorizzi il ruolo del paziente e che sia fondato su una rete di cure primarie ed intermedi. In tale modello di assistenza territoriale capillare su tutto il territorio nazionale, medici di medicina generale, pediatri, dipartimenti di prevenzione dell’ASL, sono chiamati a lavorare in sinergia per trasformare il territorio in luogo primario di cura, in cui a tutti i cittadini siano garantite le stesse possibilità di assistenza, indipendentemente dal loro contesto sociale e geografico e senza dimenticare le fasce di popolazione in età più avanzata o più fragili[39].

Alla luce di questo breve quadro del PNRR si comprende quanto siano ancora più importanti i profili affrontati dalle decisioni in commento e quanto fondamentale sia poter disporre di un quadro di riferimento il più possibile univoco, che contribuisca a rafforzare e non a mettere in discussione l’alleanza che dovrebbe caratterizzare il rapporto medico paziente.

Nel contemperamento degli interessi fondamentali in gioco, la decisione del Tar attribuisce si focalizza sull’attività svolta dal medico e sul legame con il paziente, fondato sulla reciproca “fiducia” e sull’incontro tra la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del primo e l’autonomia decisionale del secondo, pur muovendo dal riconoscimento della vincolatività delle linee guida. Il Consiglio di Stato, confermando la centralità del valore della singolarità e individualità dei soggetti coinvolti, pur riconoscendo il valore delle linee guida, ammette la facoltà per il medico di discostarsi da esse al ricorrere delle circostanze sopra evidenziate. A tal riguardo, se è vero che la circolare non preclude al medico di operare secondo scienza e coscienza adottando le terapie ritenute più idonee, è altrettanto evidente come lo scostamento dai contenuti delle linee guida determini per il l’assunzione della correlata responsabilità. L’ordinanza cautelare impugnata ha sospeso le linee guida proprio sul presupposto che la rimozione della nota AIFA, che prescrive un’attesa definita dallo stesso Tar Lazio “potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi”, avrebbe favorito un intervento tempestivo da parte dei medici e meglio rispondente alle esigenze dei pazienti, in grado di inibire l’eventuale processo infiammatorio foriero di conseguenze ben più gravi. La sentenza del Consiglio di Stato, facendo finalmente chiarezza sul punto e ribadendo la dignità del legame che deve instaurarsi tra medico e paziente, ha evidenziato come il criterio determinante la scelta delle cure debba essere quello dell’evidenza scientifica, c.d. evidence based medicine, e cioè sulla base delle “migliori prove di efficacia clinica e, in particolare, di studi clinici a carattere sperimentale, randomizzati e controllati”, che costituiscono il gold standard della ricerca medica, oltre ad offrire garanzia per il paziente di non essere sottoposto a terapie fondate su “intuizioni o improvvisazioni sperimentate sulla pelle dei singoli pazienti” o ancor peggio “ad una aneddotica insuscettibile di verifica e controllo da parte della comunità scientifica”.

I contenuti sin qui delineati cercano di fornire risposte a una serie di interrogativi e riflessioni problematiche, oltre alla rinnovata esigenza di un quadro che, nei limiti dell’incertezza dei tempi, si caratterizzi per una prevedibilità delle forme e degli strumenti di regolazione e di tutela, anche e soprattutto nell’emergenza. Questa necessità si impone con ancora maggiore forza tenuto conto che il clima di incertezza ha ripercussioni sui diritti fondamentali dei cittadini costituzionalmente tutelati oltre che sull’economia del Paese.

L’auspicio è, dunque, che condizioni eccezionali non diventino pretesto per alterazioni più o meno permanenti dello stato di diritto e che nonostante la proliferazione di regolazioni a contenuto normativo o tecnico-normativo, si giunga ad una sistematizzazione e ad una armonizzazione di contenuti. Ciò può voler dire che, tra le altre cose, sia opportuno tanto porre un argine al diffondersi di un «relativismo terapeutico, ove è cura tutto ciò che il singolo medico o il singolo paziente o entrambi […] credono sia tale», quanto salvaguardare, nel contempo, la professionalità del medico e la sua capacità di valutazione del caso specifico dinanzi ad una malattia dalle caratteristiche ancora incerte. In questo contesto, la giurisprudenza è chiamata ora più che mai a svolgere un ruolo per orientare e ricondurre a sistema i diversi interessi e i principi fondamentali coinvolti, attraverso un sapiente dosaggio della propria funzione ermeneutica e il bilanciamento delle diverse posizioni potenzialmente in conflitto.

 

*Dottorando di ricerca in Teoria dei contratti, dei servizi e dei mercati presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e avvocato presso il Foro di Roma.

[1] Prima versione del 30 novembre 2020, successivamente aggiornata il 26 aprile 2021. Per l’aggiornamento è stato incaricato un apposito gruppo di lavoro, istituito dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Mistero della salute, composto da rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico. Il documento aggiornato ha ricevuto il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità. Per la definizione aggiornata di cosa debba intendersi per caso Covid-19, si rimanda alla Circolare del Ministero della Salute 8 gennaio 2021, n. 705, recante Aggiornamento della definizione di caso Covid-19 e strategie di testing.

[2] Le line guida tengono conto, ad esempio, di quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel documento Therapeutics and COVID-19: living guideline. Il documento, costantemente aggiornato e oggi giunto alla sua ottava edizione, contiene raccomandazioni circa le terapie a cui ricorrere nel trattamento del Covid-19.

[3] Agenzia Italiana del Farmaco, Raccomandazioni AIFA sui farmaci per la gestione domiciliare di Covid-19, comprendente raccomandazioni sul trattamento farmacologico domiciliare dei casi lievi e una panoramica generale delle linee di indirizzo AIFA sulle principali categorie di farmaci utilizzabili nel setting domiciliare. L’ultima versione disponibile è stata aggiornata in data 14 dicembre 2021.

[4] Per caso lieve si intende: presenza di sintomi come febbre (>37.5°C), malessere, tosse, faringodinia, congestione nasale, cefalea, mialgie, diarrea, anosmia, disgeusia, in assenza di dispnea, disidratazione, alterazione dello stato di coscienza (cfr. definizione OMS al 7 agosto 2020, così come riportata nella circolare ministeriale). La circolare evidenzia che i soggetti anziani e quelli immunodepressi possono presentare sintomi atipici e che, quindi, devono essere destinatari di valutazioni condotte con particolare attenzione e cautela. Inoltre, i soggetti ad alto rischio di progressione, necessitano di una valutazione specifica sulla base dei rispettivi fattori di rischio individuali.

[5] Ad esempio, paracetamolo o farmaci antinfiammatori non steroidei in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista una chiara controindicazione all’uso. L’utilizzo di altri farmaci sintomatici è consentito su giudizio clinico.

[6] Anticorpi monoclonali, corticosteroidi o eparine. Con riferimento agli anticorpi monoclonali bamlanivimab/etesevimab, e imdevimab/casirivimab, si specifica che gli stessi sono stati resi disponibili mediante Decreto Ministeriale del 6 febbraio 2021, recante Autorizzazione alla temporanea distribuzione dei medicinali a base di anticorpi monoclonali per il trattamento di Covid-19. Il provvedimento è stato emanato a seguito del parere reso dalla Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA, secondo cui, pur considerando l’immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto da tali farmaci, è stato ritenuto che, in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza, possa essere opportuno offrire comunque un’opzione terapeutica ai soggetti non ospedalizzati ad alto rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19 con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte. L’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti ospedalizzati con malattia Covid-19 grave e che necessitano di supplementazione di ossigeno. Si circoscrive invece il ricorso alle eparine per i soli pazienti che a causa dell’episodio infettivo siano ospedalizzati e allettati.

[7] Antibiotici, Lopavir/ritonavir, Darunavir/ritonavir o cobicistat, idrossiclorochina. Di quest’ultima viene specificato che l’efficacia “non è stata confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti”.

[8] In ambito sanitario, secondo la definizione dell’Institute of Medicine le linee guida sono «raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche» (Institute of Medicine, Clinical practice guidelines we can trust. Washington, DC, National Academies Press, 2011). Nel 2018, in occasione della presentazione del Nuovo Sistema Nazionale Linee Guida, sono state definite come «strumento di supporto decisionale finalizzato a consentire che, fra opzioni alternative, sia adottata quella che offre un migliore bilancio fra benefici ed effetti indesiderati, tenendo conto della esplicita e sistematica valutazione delle prove disponibili, commisurandola alle circostanze peculiari del caso concreto e condividendola – dove possibile – con il paziente o i caregivers».

[9] E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008, ha affermato che «l’espressione in parola non allude a un concetto stabile e ben sedimentato […] al contrario, nell’uso corrente, essa mostra di avere un significato a volte vago, altre autonomamente interpretato, senza che sembri rintracciabile un centro di gravità attorno al quale le accezioni del termine convergano in modo coerente».

[10] La giurisprudenza, soprattutto penale, ha avuto più volte modo di pronunciarsi sulle linee guida. Nel fornire l’interpretazione della legge Gelli-Bianco, Cass. SS.UU. pen., sent. 22 febbraio 2018, n. 8770, ha sostenuto che le linee guida vanno considerate come «un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti». Precedentemente, la Cassazione aveva definitivo le linee guida come «[…] sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni» (Cass. Sez. IV pen., sent. 7 giugno 2017, n. 28187). Sul tema si veda, tra tutti: C. Sgroi, Il “problema” delle linee guida nella gestione della pandemia e l’iniziativa della Procura generale presso la Corte di Cassazione, in Corti supreme e salute, 2021.

[11] Sul tema E. D’Orlando e F. Nassuto, Linee guida e sistema delle fonti: un’ipotesi ricostruttiva, in Corti supreme e salute, 2021, 1, che richiamano a titolo esemplificativo, i rinvii a linee guida contenuti in: d.l. 2 marzo 2020, n. 9 (art. 21); d.l. 8 marzo 2020, n. 114 (art. 2, comma 2; art. 3, comma 3; art. 4, comma 3); d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (art. 83, comma 7; art. 85, comma 3); d.l. 8 aprile 2020, n. 22 (art. 1, comma 2); d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (art. 1-ter; art. 211-bis, comma 3); d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (art. 38-bis, comma 1; art. 49). Recano in allegato delle linee guida il d.p.c.m. 26 aprile 2020 (allegati 6 e 9), il d.p.c.m. 17 maggio 2020 (allegato 12) e il d.p.c.m. 13 ottobre 2020 (allegati 8 e 9).

[12] Per una disamina del ruolo delle linee guida nella gestione dell’emergenza pandemica si vedano, tra tutti, D. Bolognino e E. Provenzani, Interrogativi sulla sussistenza di soft-regulation e soft-obligation nel contesto emergenziale relativo alla pandemia da Covid-19; V. DeSantis, Il ricorso alle linee guida come (improprio) fattore di semplificazione normativa; F. Laus, La natura caleidoscopica delle linee guida: tra responsabilità medica, lotta alla pandemia e regolazione del diritto dei contratti pubblici. Tutti i contributi sono stati pubblicati nella rivista Corti supreme e salute, n. 3., 2020.

[13] Ordine del giorno approvato dal Senato in data 8 aprile 2021, a conclusione della discussione delle Mozioni sul potenziamento delle cure domiciliari per i pazienti affetti da Covid-19, avviata nella seduta del 7 aprile 2021.

[14] Le Unità speciali di continuità assistenziale sono state istituite con l’art. 4 bis, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, recante Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, al fine di aiutare i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta nella gestione sul territorio di pazienti Covid-19 o sospetti Covid-19. L’art. 8 del decreto citato prevedeva che «Al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta […] l’attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono […] presso una sede di continuità assistenziale già esistente, una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero. […] Il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta […] comunicano all’unità speciale […], a seguito del triage telefonico, il nominativo e l’indirizzo dei pazienti».

[15] Nella versione della nota aggiornata al 26 aprile 2021 è stato aggiunto un riferimento anche al ruolo degli infermieri.

[16] Sul rapporto tra compiti attribuiti ai medici di medicina generale e alle USCA, sia consentito richiamare la sentenza del Consiglio di Stato 18 dicembre 2020, n. 8166. Con tale pronunciata è stato accolto il ricorso avverso la sentenza del Tar Lazio, Sez. III, 16 novembre 2020, n. 11991, che aveva dichiarato illegittima l’ordinanza del presidente della Regione Lazio n. Z00009 del 17 marzo 2020, recante Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. Ordinanza ai sensi dell'art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica. Con tale ordinanza il compito di assistenza domiciliare ai pazienti Covid-19 era stato assegnato anche ai medici di medicina generale. Il Tar aveva ritenuto fondata la tesi propugnata dal Sindacato dei Medici Italiani (SMI) e da alcuni medici di medicina generale, secondo cui la funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid-19 sarebbe stata del tutto impropria in quanto spettante unicamente alle USCA. A tal riguardo, i ricorrenti affermavano che «[…] nel prevedere che le Regioni “istituiscono” una unità speciale “per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”, la citata disposizione [art. 4 bis, d.l. 18/2020] rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai medici di medicina generale, che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid)». Secondo il Consiglio di Stato, al contrario, trarre dalle disposizioni emergenziali, un divieto per i medici di medicina generale di recarsi a domicilio per assistere i propri pazienti affetti dal virus, costituirebbe un grave errore esegetico, «suscettibile di depotenziare la risposta del sistema sanitario alla pandemia e di provocare ulteriore e intollerabile disagio ai pazienti, che già affetti da patologie croniche, si vedrebbero (e si sono invero spesso visti), una volta colpiti dal virus, proiettati in una dimensione di incertezza e paura, e finanche abbandonati dal medico che li ha sempre seguiti».

[17] Cfr. Cons. St., sent. n. 8166/2020, cit. La sentenza precisa, inoltre, che la visita a domicilio dei pazienti Covid-19 costituisce parte integrante dei compiti del medico di medicina generale, a prescindere dalle funzioni attribuite alle USCA, così come imposto dall’art. 4, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, recante Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza- LEA. Il decreto prevede, infatti, che il Servizio sanitario nazionale garantisca, attraverso i propri servizi ed attraverso i medici ed i pediatri convenzionati, la gestione ambulatoriale e domiciliare delle patologie acute e croniche secondo la migliore pratica ed in accordo con il malato, inclusi gli interventi e le azioni di promozione e di tutela globale della salute. A queste previsioni devono aggiungersi quelle contenute nell’art. 33 dell’Accordo nazionale dei medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, come modificato dal d.lgs. n.517/1993 e dal d.lgs. n. 229/1999, che prevede «visite domiciliari a scopo preventivo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo da parte del medico di medicina generale che ha in carico il paziente» e nell’art. 3 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 e ss.mm.ii., stipulato il 28 ottobre 2020 che contempla il coinvolgimento di questi ultimi «per l’effettuazione dei tamponi antigenici rapidi o di altro test di sovrapponibile capacità diagnostica».

[18] Tar Lazio, Sez. III, sent. 15 gennaio 2022, n. 419.

[19] Il Codice di Deontologia Medica nel titolo II enuncia i doveri generali del medico. L’art. 3 elenca i doveri del medico, quali «la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera».  Specifica, inoltre, che «il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive (…) integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell’insegnamento e della ricerca. La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità». L’art. 4 riconosce, inoltre, che l’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità e che «[…] il medico ispira la propria attività professionale ai principi e alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura».

[20] Tar Lazio, Sez. III quater, ordinanza cautelare 4 marzo 2021, n. 1412. La vicenda si è conclusa con la sentenza 27 luglio 2021, n. 8995, pronunciata dalla medesima sezione del Tar che ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse. Nelle more del processo era, infatti, intervenuta la nuova versione della circolare del Ministero della Salute (26 aprile 2021) che, seppur riproduce le indicazioni terapeutiche già contestate col ricorso principale, avrebbe dovuto essere anch’essa oggetto di impugnazione con motivi aggiunti.

[21] Cons. St., Sez. III, ordinanza 23 aprile 2021, n. 2221.

[22] Cons. St., Sez. III, decreto del 19 gennaio 2022, n. 207.

[23] Tale affermazione sarebbe supportata dalla presenza nel documento di testuali affermazioni quali “raccomandazioni” e non “prescrizioni”.

[24] La l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, all’art. 6 (Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, che ha modificato l’art. 590 c.p., inserendo l’art. 590 sexies c.p.), prevede l’adesione alle linee guida quale fattore esimente da responsabilità per gli operatori sanitari in casi di imperizia, ma non in caso di imprudenza o negligenza. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Sul tema, tra gli altri: C. Cupelli, L’eterointegrazione della legge Gellli-Bianco: aggiornamenti in tema di linee guida “certificate” e responsabilità penale in ambito sanitario, in Diritto penale contemporaneo, 10, 2017; S. Calvigioni, Linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali, in A. D. De Santis (a cura di), I profili processuali della nuova disciplina sulla responsabilità sanitaria, Roma, 2017; M. Franzoni, Colpa e linee guida nella nuova legge, in Danno e resp., 2017. Si tenga ulteriormente conto che il d.l. 1° aprile 2021, n. 44, recante Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, ha introdotto, fra le altre cose, il cd. scudo penale per i reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) che abbiano trovato la loro causa nel noto contesto epidemiologico-emergenziale, oltre ai criteri sulla scorta dei quali il giudicante sarà chiamato a valutare la sussistenza della colpa grave. Si vedano: G. M. Caletti, La colpa penale in ambito sanitario alla prova dell’emergenza pandemica. Tra responsabilità cliniche ed organizzative, in Diritto e salute, Rivista di sanità e responsabilità medica, 1, 2021; J. Giammatteo, L. Sebastianelli, M. Treglia, L. T. Marsella, Limitazione della responsabilità sanitaria durante l’emergenza da Covid-19, in Pratica Medica & Aspetti Legali, 14(1), 2020.

[25] Cons. St., Sez. III, sent. 9 febbraio 2022, n. 946, Pres. Michele Corradino.

[26] Art. 47 bis, comma 2, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, recante Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, secondo cui «[…] sono attribuite al Ministero le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del sistema sanitario nazionale».

[27] In particolare l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la European Medicine Agency (EMA) e del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), di cui all’art. 47 ter del d.lgs. 300/1999 cit..

[28] Art. 48, comma 5, let. a), d.lgs. 30 settembre 2003, n. 269, recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.

[29] La stessa Corte Costituzionale, con sentenza del 17 marzo 2021, n. 137, ha richiamato ulteriori precedenti che hanno evidenziato come «[…] a fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, “ragioni logiche, prima che giuridiche” (sentenza n. 5 del 2018) radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002)».

[30] Si veda, ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 313.

[31] La Corte di Cassazione ha evidenziato che il rispetto delle linee guida non può essere univocamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico e «nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente». Ne consegue che non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone. Si veda, ex plurimis, Cass. pen., Sez. IV, sent. 30 settembre 2021, n. 37617).

[32] Tale principio sarebbe infatti desumibile dall’art. 33, comma 1, Cost., secondo cui la scienza è libera, ma anche dall’art. 9, comma 1, Cost., a norma del quale la Repubblica promuove la ricerca scientifica, oltre a costituire una regola fondamentale in uno Stato democratico, in cui il medico, sempre con il consenso informato del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione. Secondo Corte Cost., sent. 26 giugno 2002, n. 282, «[…] autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche esperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incontro dei principi in questa materia». Stesse considerazioni si trovano, tra le altre, anche in Corte Cost., sent. 8 maggio 2009, n. 151 e in Corte Cost., sent. 12 luglio 2017, n. 169.

[33] Art. 1, l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. L’articolo, citato, rubricato Consenso informato, al comma 2 prevede espressamente la promozione e la valorizzazione della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico».

[34] Fatta ovviamente salva l’ipotesi eccezionale di prestazioni sanitarie obbligatorie ai sensi dell’art. 32, comma 2, Cost..

[35] Si vedano, sul punto, anche Cons. St., Sez. III, sent. 2 settembre 2014, n. 4460; Corte Cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242 sul tema delle decisioni di fine vita da parte del paziente.

[36] C. Sgroi, Il “problema” delle linee guida nella gestione della pandemia e l’iniziativa della Procura generale presso la Corte di Cassazione, cit.

[37] L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation EU (NGEU). L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del NGEU: il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU). Il solo RRF garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, di cui 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Il 12 gennaio 2021 il Consiglio dei ministri ha approvato una proposta di PNRR sulla quale il Parlamento ha svolto un approfondito esame, approvando le proprie conclusioni il 31 marzo 2021. Il Governo ha provveduto ad una riscrittura del Piano, anche alla luce delle osservazioni del Parlamento. Nel mese di aprile 2021, il piano è stato discusso con gli enti territoriali, le forze politiche e le parti sociali. Per le misure di attuazione del PNRR si veda il d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito con modificazioni in l. 29 dicembre 2021, n. 233, recante Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose.

[38] Sul tema, D. Mantoan e A. Borghini, Potenziamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale, in Semestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – AGENAS, 45, 2021.

[39] A completare il quadro di interventi di riforma, uno strumento di primordine sarà anche quello rappresentato dalla disponibilità di soluzioni tecnologiche e digitali a supporto della salute pubblica e dell’assistenza sanitaria, sia per la presa in carico del paziente a domicilio che come strumenti di integrazione e di comunicazione tra professionisti.