ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Temi e Dibattiti



Diritto amministrativo prestazionale: nozione e modalità di affidamento dei servizi pubblici tra disciplina nazionale ed eurounitaria.

Di Jacopo Sportoletti
   Consulta il PDF   PDF-1   

Diritto amministrativo prestazionale:

nozione e modalità di affidamento dei servizi pubblici tra disciplina nazionale ed eurounitaria

 

Di JACOPO SPORTOLETTI

 

Abstract: I servizi di interesse economico generale, che nella prospettiva italiana si identificano nei servizi pubblici, sono caratterizzati da precipue caratteristiche che ne segnano la sostanziale differenza rispetto alle prestazioni di servizio “mere”.

Queste peculiarità si intrecciano con la normativa eurounitaria che svolge una funzione integratrice importante della materia dei servizi, anche alla luce del principio di concorrenza.

Col presente studio si vuole effettuare una ricognizione della nozione, modalità di gestione, finanziamento e affidamento del servizio pubblico, alla luce delle influenze del diritto europeo.

 

Sommario: 1.Le attività amministrative e il principio di concorrenza 2.Servizio pubblico: dimensione nazionale e influenza europea. 3.Modalità di gestione. 4.Modalità di affidamento.

 

1.Le attività amministrative e il principio di concorrenza

 

La pubblica amministrazione, nell’esercizio dei sui poteri, può agire esercitando un’attività pubblica o privata.

Nell’ambito “pubblico” rientra l’attività genericamente definita come di "amministrazione attiva”, che si esplica per il tramite dell’emanazione di provvedimenti e presuppone l’esistenza di un procedimento amministrativo regolato dalla L.n.241/1990[1].

Si tratta del tradizionale agere amministrativo che pone l’amministrazione in una posizione di supremazia rispetto a tutti i soggetti coinvolti, potendo incidere in via unilaterale nella loro sfera giuridica, per il tramite di atti amministrativi che assumono una valenza imperativa.

Oltre che in modo espresso l'amministrazione può esercitare l'attività provvedimentale "per implicito", facendo discendere l'atto da un altro provvedimento o tramite comportamenti.

Al primo caso si riconduce l'ipotesi in cui il provvedimento presupposto produce, indirettamente, effetti ulteriori "a valle" rispetto a quelli espressi, diversamente dal comportamento concludente, il quale ricorre nell'ipotesi in cui la volontà amministrativa è riconducibile ad una serie di fatti che sono espressione della volontà della pubblica amministrazione di provvedere[2].

L'orientamento giurisprudenziale prevalente[3] che ammette siffatta modalità di estrinsecazione dell'attività provvedimentale, individua negli artt. 2,3 della L.n.241/1990 la base giuridica della figura dell'atto amministrativo implicito.

L'art.2 richiede un provvedimento espresso e non esplicito cosicchè non può essere ostativo all'ammissibilità di siffatta modalità indiretta di provvedere il suo connotato implicito.

L'art.3 richiede l'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi; a tale disposizione può darsi attuazione anche mediante l'individuazione delle motivazioni contenute nel provvedimento presupposto[4].

Rientra nella stessa categoria di rilievo pubblicistico, inoltre, l’attività amministrativa “consultiva” che si compendia nell’emanazione di pareri, espressione di valutazioni dell’amministrazione e quella “di controllo” delle attività amministrative che può essere di merito o di legittimità[5]

In riferimento all’attività privata l’art.1 comma 1-bis della L.n.241/1990 statuisce che l’amministrazione “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.

In base al predetto addentellato normativo, l’amministrazione può scegliere di perseguire il fine pubblico anche mediante il ricorso allo strumento negoziale.

Si pensi alla possibilità dell’amministrazione di concludere accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento di cui all’art.11 della L.n.241/1990.

 In siffatto caso sussiste sempre un’attività amministrativa seppur in “senso lato”, non potendo l’amministrazione, nella sua veste di soggetto munito di piena capacità giuridica di diritto privato che la pone in posizione di parità con le altre parti, perseguire fini non legislativamente posti[6]. Tuttavia l’amministrazione deve rispettare le regole di diritto privato, salvo diversa statuizione legale espressa.

Accanto a queste due tipologie di attività, la giurisprudenza ha individuato anche quell’attività che è stata definita come “diritto amministrativo prestazionale” ovvero l’attività di impresa pubblica e i servizi pubblici[7].

L’attività d’impresa ex art.2082 c.c. può essere pubblica o privata, svolta in forma individuale o collettiva.

Con tale termine si intende un’attività economica esercitata in modo organizzato al fine della produzione o scambio di beni e servizi.

Si osserva che l’attività imprenditoriale è strettamente connessa alla corretta attuazione del principio della libera concorrenza il quale ha avuto grande sviluppo nel diritto eurounitario. Esso prevede, all’interno dell’art.26 par.2 Tfue, che l’Unione europea tende alla costituzione di un mercato interno “libero dalle frontiere” ove si realizzi una “libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”.

Strumenti volti a garantire siffatto mercato sono costituiti dalle regole Antitrust, dalla concorrenza "nel mercato" e da quella "per il mercato".

Sotto il profilo delle regole Antitrust, l’art.101 Tfue vieta gli accordi tra imprese volti a restringere o falsare il gioco della concorrenza, mediante la creazione di sovrastrutture commerciali tese a costituire abusi di posizione dominante e intese anticoncorrenziali.

L’art.107 Tfue, invece, vieta l’elargizione, da parte degli Stati membri, di aiuti economici volti a favorire talune imprese, determinando una discriminazione economica[8].

La concorrenza "nel mercato", invece, è una regola che opera nella duplice dimensione dell’intervento macroeconomico, volto a garantire ampie forme di liberalizzazione finalizzate a ridurre la presenza di barriere, sotto forma di oligopoli o monopoli, al libero accesso al mercato interno e nella presenza di interventi di semplificazione amministrativa.

Per quanto concerne la dimensione degli interventi macroeconomici, la concorrenza “nel mercato" determina il generale divieto, posto per gli Stati membri, di riconoscere l’esclusivo diritto di svolgere date attività in capo a singoli soggetti economici, per il tramite di “diritti di esclusiva”.

Relativamente alla semplificazione, lo Stato deve provvedere ad una liberalizzazione amministrativa di date attività, mediante l’introduzione di controlli successivi all’inizio delle stesse, come in presenza dell’istituto della Scia ex art. 19 L.n.241/1990, ove si è verificata una liberalizzazione temperata di alcune attività o mediante la completa liberalizzazione di ampi settori economici, non più soggetti a regimi autorizzatori[9].

La concorrenza “per il mercato”, invece, svolge un ruolo di garanzia, permettendo l’accesso all’esercizio di date attività a soggetti limitati, mediante l'espletamento di gare di evidenza pubblica.

In tale caso ci si trova innanzi a settori non completamente liberalizzati o a tipologie di prestazioni, come quella degli appalti pubblici, in cui operano regole generali pubblicistiche volte a dettare criteri per la scelta dei soggetti destinatari degli affidamenti pubblici.

Infine si annoverano i servizi pubblici. Tale attività non è legislativamente definita ed ampio è il dibattito dottrinale sulla portata di siffatta espressione.

La ragione, che ha determinato un esteso confronto giuridico sulla portata della suddetta nozione, si rintraccia nella grande divisione che sussiste tra due concezioni opposte di Stato: quella “liberale” e quella “sociale”.

La prima si fonda sull’idea che i pubblici poteri non debbano estendersi fino a includere l’esercizio delle attività economiche, le quali devono essere rimesse alla libera iniziativa del singolo.

La seconda, invece, concepisce un intervento più forte dello Stato in ampi settori dell’economia, col fine precipuo di garantire l’uguaglianza tra i cittadini.[10]

Può ritenersi che, per servizio pubblico, si intenda l’erogazione di date prestazioni in favore della collettività in contrapposizione alla nozione di appalto, ove la prestazione è erogata dall’operatore economico e a beneficiarne è l’amministrazione pubblica[11].

Per la sua particolare destinazione il servizio pubblico è caratterizzato dalla coesistenza di atti amministrativi, finalizzati alla scelta del contraente erogatore e da contratti pubblici, volti a regolare i termini del contratto e il successivo esercizio dell’attività prestazionale nei confronti dell’utenza generale.

All’interno della categoria del servizio pubblico, possono delinearsi molteplici distinzioni in relazione alle modalità di erogazione del servizio o alla sua fruizione.[12]

Alla prima tipologia appartiene la differenziazione tra servizi "a rilevanza economica", caratterizzati dallo svolgimento dell’attività in forma imprenditoriale, come nel caso dei trasporti, forniture elettriche o di gas, e "a non rilevanza economica", come la sanità o la scuola, che si contraddistinguono per essere a carico della fiscalità generale.

Altra distinzione può essere rintracciata tra servizi a fruizione "collettiva" o "individuale".

Nei primi rientra per esempio la pubblica illuminazione, che in quanto di utilità collettiva si connota per la non escludibilità di dati soggetti, trattandosi di un’attività erogata alla collettività gratuitamente.

Nei secondi rientra il pagamento per i servizi di comunicazione telefonica ove vi è un rapporto individuale con il singolo utente che ottiene il servizio dietro pagamento di una somma di denaro come prezzo per la fornitura.

Si osserva che anche la materia dei servizi pubblici, in quanto attività di rilevanza economica,  è intimamente connessa con il suesposto principio della concorrenza.

Siffatta interconnessione viene sancita dall’operatività della direttiva 2006/123 CE che regolamenta la prestazione di servizi nel mercato interno, attuata con il D.lgs.n. 59/2010.

La regola generale posta dal diritto eurounitario è quella della libera prestazione dei servizi in generale, con possibilità di prevedere particolari regimi autorizzatori esclusivamente in presenza di “motivi imperativi di interesse generale”[13].

Si tratta delle “mere” prestazioni di servizi, aventi rilevanza economica, rappresentati da attività economica liberamente esercitabile da chiunque. Se sussiste eventuale scarsità di risorse o capacità tecniche disponibili, la predetta attività è esercitabile solo dopo previo rilascio di un’autorizzazione amministrativa,[14] con precedente selezione dell’esercente mediante gara pubblica, nel caso in cui i potenziali erogatori della prestazione siano pochi.

Diverse da queste attività economiche sono quelle identificabili nei servizi di interesse economico generale, categoria nella quale è ricompresa la nozione di servizio pubblico.

 

 

  1. Servizio pubblico: dimensione nazionale e influenza europea

 

La ricostruzione della definizione di servizio pubblico ha visto contrapporsi due tesi, una soggettiva e una oggettiva.

La prima, risalente nel tempo, concepisce tale attività come quella promanante dallo Stato o da un dato Ente pubblico, volta a fornire una prestazione a favore di cittadini uti singuli o alla collettività.

Elemento indefettibile di tale tesi è costituito dall’“atto di assunzione” con il quale il soggetto pubblico, nella convinzione che un dato servizio sia di interesse pubblico, provvede alla sua gestione sottraendola al libero esercizio dell’attività economica.

Viene a crearsi una sorta di "riserva legale", con impossibilità di gestione del servizio in regime di libera concorrenza. Il servizio sarebbe pubblico in quanto, per la dimensione pubblica dell’interesse ad esso sotteso, lo fornisce l’amministrazione[15].

I sostenitori di tale tesi, con l’entrata in vigore della Costituzione, hanno rinvenuto la base giuridica delle loro convinzioni nell’art.43 che giustificherebbe la presenza di monopoli pubblici. La norma, infatti, ammette la possibilità di trasferire allo Stato quelle imprese che “si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

La tesi oggettiva, oggi prevalente, invece, identifica la natura pubblica del servizio non in base al soggetto pubblico che lo eroga o gestisce, bensì nel fine d’interesse pubblico perseguito e nella disciplina pubblicistica cui l’attività è sottoposta[16].

Si evidenzia che nello stesso art.43 Cost. i sostenitori della tesi oggettiva hanno individuato la giustificazione della loro posizione. Infatti, se la predetta disposizione legittima il trasferimento allo Stato di un servizio essenziale, allora ciò è la prova che in precedenza l’attività era svolta da soggetti privati, non rilevando la natura pubblica o privata del soggetto erogatore.

Inoltre, l’art.43 Cost. annovera tra gli eventuali destinatari del servizio anche comunità di lavoratori o di utenti, riconoscendo anche ai privati la possibilità di gestire l’attività di servizio pubblico.

La differente nozione di servizio pubblico che si condivide, incide e ha inciso sui modelli di organizzazione e gestione del servizio stesso.

Vigendo una tesi soggettiva del servizio, lo Stato agiva direttamente nell’economia, ponendo in essere attività economica mediante le cosiddette “imprese organo”, ove la titolarità della stessa spettava all’organo stesso. Si pensi alle Ferrovie dello Stato, istituite con L.n.137/1905 o a livello locale l’azienda municipalizzata, introdotta con L.n.103/1903.

Passo successivo, nella condivisione di un modello soggettivo di servizio pubblico, è stato la trasformazione delle predette aziende autonome in enti pubblici economici.

Si pensi alla trasformazione delle Ferrovie in ente pubblico, avvenuta con L.n.210/1985.

La gestione e l’erogazione del servizio erano interamente pubbliche in quanto promananti dalla pubblica amministrazione, sussistendo in base alla tesi soggettiva, una riserva di attività in capo ai poteri pubblici[17].

La gestione antieconomica dei suddetti Enti e l'influenza del diritto europeo che non tollera alcuna “riserva di attività”, in quanto contrastanti con il principio della concorrenza, hanno determinato la progressiva trasformazione degli stessi in soggetti privati, muniti di veste societaria.

La privatizzazione degli Enti pubblici è iniziata con la L.n. 359/1992 e si è contraddistinta per una duplice fase: formale e sostanziale.

In base alla prima il soggetto pubblico rimane titolare della partecipazione azionaria susseguente al mutamento di veste giuridica, nella seconda si verifica una completa dismissione, da parte dello Stato, della titolarità anche della partecipazione azionaria, con alienazione della stessa agli operatori economici privati[18].

Tale processo ha condotto la dottrina e la prevalente giurisprudenza[19] a condividere la tesi oggettiva della natura del servizio pubblico, ove ciò che rileva ai fini della individuazione dell’attività come servizio d’interesse per il pubblico è la dimensione pubblica della disciplina del servizio e non la natura soggettiva del soggetto erogante.

L'accoglimento di siffatta tesi è strettamente connesso con l'evoluzione del diritto eurounitario e in particolare con il principio della concorrenza.

L'art.106 Tfue, infatti, dispone al primo paragrafo la regola generale di tutela della concorrenza vietando riserve di attività in favore di date imprese.

Il secondo paragrafo dispone che le imprese incaricate dei servizi predetti sono sottoposte alle regole della concorrenza salvo che ciò osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.

Sembrerebbe, dunque, che nella prospettiva europea lo Stato possa intervenire in ambito economico, nell'ipotesi di "fallimento" del mercato. In questa situazione, qualora le regole del mercato concorrenziale non permettano l'effettiva prestazione dei servizi di interesse economico generale, si ammettono deroghe al principio della concorrenza.

Occorre differenziare i Sieg dai Sig, ovvero i servizi che si contraddistinguono per non avere un rilievo economico.

All'interno della categoria dei Sieg occorre differenziare gli obblighi di servizio pubblico (Osp) dagli obblighi di servizio universale. Questi ultimi rappresentano una particolare accezione dei primi[20].

Gli obblighi di servizio pubblico ricorrono in presenza di tutti quei servizi caratterizzati dalla presenza di monopoli naturali come i servizi di rete, ove quest'ultima sia difficilmente duplicabile.

In questo caso l'amministrazione deve provvedere alla segmentazione del mercato, mediante processi di liberalizzazione che conducono alla separazione debole o forte.

Nella prima si realizza una scissione contabile della gestione della rete e dell'erogazione del servizio in capo allo stesso soggetto che deve tenere separate le due attività; la seconda ricorre quando si verifica una scissione soggettiva del soggetto proprietario della rete e suo gestore, e di quello  che eroga la prestazione[21].

Gli obblighi di servizio universale, invece, sono posti dal legislatore su date imprese che erogano un dato servizio qualificabile come essenziale, al fine di renderlo fruibile all'intera collettività a prescindere dalla loro collocazione geografica.

Essi, dunque, operano al fine di garantire l'inclusività dello stesso, stante la sua particolare rilevanza.

Molteplici sono i motivi che giustificano l'apposizione di siffatti obblighi. Tra essi rientrano l'esistenza di riserve legali, l'assenza di piena concorrenza, la sussistenza di un regime concorrenziale in cui nessun soggetto riesce a fornire il servizio a condizioni economiche eque.

In presenza di tali deficit amministrativi o economici, lo Stato pone siffatti obblighi di servizio a garanzia della libera accessibilità di tutti i cittadini al servizio d'interesse generale.

L'adempimento della "specifica missione", di cui le imprese esercenti un servizio d'interesse generale sono titolari, determina una particolare modalità di finanziamento dello stesso.

L'apposizione di obblighi di servizio pubblico, infatti, determina la necessità che lo Stato compensi parte dei costi sostenuti dall'impresa pubblica o privata per l'erogazione della prestazione, la quale, in assenza di obbligo ex lege, non sarebbe stata resa.

La sussistenza di un interesse pubblico, sotteso all'erogazione del servizio, rende siffatta compensazione pubblica legittima, non coincidendo con l'aiuto di Stato illegittimo.

La giurisprudenza della Corte di giustizia[22] ha enucleato una serie di indici volti a rendere l'aiuto "legittimo".

Tra di essi si annoverano la titolarità dell'impresa beneficiaria delle somme pubbliche degli Osp, la definizione dei criteri per il calcolo della compensazione, la copertura totale o pro quota del costo per l'erogazione della prestazione oltre ad un'analisi dei costi medi che un'impresa titolare di tali obblighi avrebbe dovuto sostenere per permettere alla collettività la fruizione del servizio.

 

 

3.Modalità di gestione.

 

In presenza di un Sieg, operava tradizionalmente il binomio atto di affidamento-contratto di servizio.

Tale forma di attribuzione del servizio opererebbe ancora oggi per l’allocazione dei “beni pubblici”, per i quali non potrebbe estendersi la ricostruzione unitaria dell'istituto della concessione, relativa al modello di contratto di diritto pubblico.

Si evidenzia che il legislatore nazionale, recependo la direttive appalti del 2014, non ha incluso nel D.lgs.n.50/2016 le concessioni dei beni pubblici. Per essi non si applicano i  procedimenti di evidenza pubblica ivi disciplinati con i conseguenti criteri di aggiudicazione, differentemente dalle concessioni di lavori pubblici e servizi.

Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, nonostante l’assenza di una normativa specifica di settore, nell’impossibilità di un’applicazione analogica del Codice dei contratti pubblici, debbano comunque operare una serie di principi generali tra i quali si annoverano, l’imparzialità ex art. 97 Cost., la trasparenza, la parità di trattamento e di tutela dell’iniziativa economica privata ex art.41 Cost.

In attuazione di siffatti principi l’autorità amministrativa deve necessariamente svolgere una procedura di gara nella concessione di tali beni pubblici[23].

Per “atto di affidamento” si intende la sussistenza di un provvedimento amministrativo che, rilevato l'interesse generale di una data prestazione, nel caso di fallimento del mercato, attribuisce ad un dato soggetto il compito di adempiere l'obbligo di servizio pubblico sussistente.

Per “contratto di servizio”, invece, si intende la sussistenza di un atto regolativo dei rapporti inerenti lo svolgimento del servizio. Si pensi all'art. 113 comma 11 T.U. n. 2676/2000 che disciplina i rapporti tra Enti locali e soggetti che erogano il pubblico servizio.

Si mette in evidenza che la nozione di contratto di servizio discende dall'introduzione del Regolamento comunitario n. 1893/1991, il quale autorizzava le pubbliche amministrazioni a  stipulare contratti al fine di garantire ai cittadini servizi di trasporto sufficienti e fruibili dalla collettività[24].

Con l'introduzione di tale contratto si disciplinavano, all'interno dello stesso negozio, i rapporti tra amministrazione e impresa esercente l'attività d’interesse economico generale, e si determinava altresì il superamento dei molteplici provvedimenti che attribuivano il servizio e che disciplinavano le modalità di svolgimento ed erogazione dei finanziamenti dello stesso.

La dottrina si è divisa relativamente alla natura da riconoscere al suddetto contratto.

Una parte ha riconosciuto in essa natura privata ex art.1321 c.c.

La tesi prevalente, invece, ha individuato in siffatte forme di negozio, una species di accordi pubblici disciplinati dall’art.11 L.n.241/1990.

Esso diviene lo strumento principale nella gestione delle relazioni tra amministrazione e soggetti erogatori della prestazione di interesse economico generale, in base all’art.113 T.U. n.267/2000, il quale al comma 11 dispone che “i rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti”.

Il contratto di servizio, inoltre, ha determinato un acceso dibattito circa la sussistenza della sua compatibilità con l'istituto della concessione di servizi.

Il legislatore europeo, infatti, con la direttiva n.23/2014, recepita dal D.lgs.n.50/2016 all’art.3 comma 1 lett. vv), ha introdotto una nozione di concessione di servizi quale “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori, riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”.

Sembrerebbe che la concessione d’introduzione europea abbia attenuato la rilevanza del contratto di servizio, assorbendolo in tale forma di gestione del servizio.

Altra dottrina, invece, sostiene la tesi della non incompatibilità contenutistica e strutturale del contratto di servizio con quest’ultima figura negoziale[25].

La dottrina, inoltre, si è interrogata relativamente alla natura della concessione di derivazione europea e sui rapporti di essa con quella nazionale.

Quesito principale, al quale si è tentato di dare una risposta, è se la concezione europea può essere ricompresa come species del genus ammesso nell’Ordinamento nazionale.

Dall’analisi dell’Ordinamento eurounitario emerge che esso non utilizza l’espressione servizio “pubblico”, ma si limita a dare rilievo alla concessione di servizi, riconducendola al generico servizio di interesse generale.

Funzione principale perseguita dagli organi UE, infatti, è quella di garantire il mercato unico in questo specifico settore, disinteressandosi dell’interesse pubblico che è elemento indefettibile della concessione nella sua accezione tradizionale.

In tale contesto la concessione ha una dimensione prettamente contrattuale.  Gli operatori economici sono collocati sullo stesso piano e non c’è spazio per il rapporto trilaterale che condiziona la dimensione nazionale dell’istituto, ove si registra la presenza del concessionario, del soggetto pubblico, dell’utenza, nella centralità dell’interesse pubblico[26].

La normativa europea, dunque, ha determinato una duplice peculiarità dell’istituto concessorio che lo avvicina o lo allontana maggiormente rispetto alla concezione tradizionale di origine nazionale.

In presenza di un Sieg può verificarsi l’inserimento di obblighi di servizio all’interno dell’atto concessorio. In siffatta ipotesi la connotazione pubblicistica dell’atto di affidamento, determinata dall’inserimento di un contenuto pubblicistico, sembrerebbe ridurre la distanza con la concessione “nazionale”.

Diversamente, in assenza dei predetti obblighi che inseriscono l’interesse pubblico all’interno della concessione, si determina lo svolgimento di una normale attività d’impresa che allontana la concessione di derivazione europea da quella nazionale.

In quest’ultima ipotesi, viene in rilievo, dunque, l’istituto concessorio nella sua veste privatistica di contratto sinallagmatico, che si differenzia dal contratto d’appalto per i destinatari della prestazione, da individuare nei cittadini e non nell’amministrazione pubblica e per il maggiore rischio d’impresa, dovendo il concessionario sopportare il rischio di gestione del servizio sia da un punto di vista della domanda che dell’offerta, con conseguente esposizione alla fluttuazioni del mercato[27].

Diversa è la figura contrattuale dell'appalto definita dall’art.3 comma 1 lett.ii) del Codice dei contratti pubblici, quale contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi. Diversamente dalla concessione l’esecuzione dei lavori è controbilanciata dalla prestazione di corrispondere “il prezzo”.

La nozione di concessione elaborata nell’Ordinamento interno, invece, si riferisce ad una vasta categorie di fattispecie tra le quali si annoverano i beni demaniali, i lavori, i servizi pubblici e gli status.

Con essa l’amministrazione amplia la sfera giuridica del destinatario dell’atto, trasferendoli poteri ab origine riservati al soggetto pubblico o attribuendo ex novo dati diritti.

Diversamente dall’Ordinamento eurounitario, la concessione sarebbe sospesa tra il diritto privato e quello pubblico, alimentando l’ampio dibattito dottrinale tra i fautori di tale figura come atto amministrativo unilaterale, ovvero come provvedimento e coloro che individuavano nella stessa una concessione-contratto, ovvero un negozio[28].

Nella concessione-contratto l’atto amministrativo, emanato dall’amministrazione, originava il rapporto concessorio, al quale accedeva il contratto regolante i profili patrimoniali del rapporto.

Oggi il suesposto dibattito è stato superato con l’introduzione dell’art.11 L.n.241/1990 che avrebbe legittimato la presenza dei contratti ad oggetto pubblico, rientranti nel genus degli accordi ivi statuiti.

Nella concessione, inoltre, la controprestazione si esaurisce nel diritto di gestire l’opera o il servizio senza alcun esborso economico diretto da parte dell’amministrazione.

Il concessionario, infatti, è remunerato dall’utenza ovvero, in genere, dai cittadini che corrispondono un quantum per l’ottenimento del servizio.

La giurisprudenza ha chiarito che il concessionario può essere destinatario anche di un corrispettivo economico, tuttavia, affinchè non si elimini il tratto precipuo della concessione, ovvero il rischio gestorio, il prezzo pattuito non deve eliminare suddetto rischio, ma deve esclusivamente perseguire finalità compensatorie[29].

In base alla suesposta analisi si evince che la concessione di servizi pubblici di derivazione europea, dunque, avrebbe superato la tradizionale accezione nazionale dell’istituto, legato al binomio autorità pubblica-autonomia privata, facendo emergere il rapporto eminentemente mercantilistico fondato sulla relazione obbligo-pretese, alla base del rapporto di credito[30].

 

4.Modalità di affidamento.

 

La pubblica amministrazione dispone di tre diverse modalità per l’affidamento del servizio pubblico.

Nel rispetto del principio della concorrenza “per il mercato”, l’amministrazione può decidere di affidare il servizio d’interesse generale, esternalizzandolo, tramite una procedura di gara, mediante l’affidamento a società miste, ovvero attribuendolo in via diretta alle società in house providing[31].

La prima modalità si estrinseca nell’espletamento di una procedura di evidenza pubblica svolta nel rispetto della normativa di derivazione eurounitaria, recepita dal Codice dei contratti pubblici.

L’obbligo di addivenire ad una gara pubblica discende dall’art. 30 del D.lgs.n.163/2006. Esso disponeva lo svolgimento di una gara informale alla quale partecipassero non meno di cinque concorrenti, nel rispetto dei generali principi di pubblicità, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità.

Oggi, gli artt. 164 e ss. D.Lgs.n.50/2016 espongono, nello specifico, le modalità di svolgimento della selezione ad evidenza pubblica, definitivamente rifiutando l’idea accolta dall’originaria impostazione amministrativa in base alla quale non era necessaria alcuna particolare modalità di scelta del concessionario.

L’amministrazione, diversamente, può decidere di erogare il servizio mediante un sistema di autoproduzione realizzato per il tramite di società in "house".

Si tratta di un istituto di origine europea, introdotto con il fine principale di circoscrivere le ipotesi di deroga al principio della concorrenza “per il mercato”, mediante casi di affidamenti diretti.[32]

Il servizio viene erogato dall’Ente pubblico indirettamente, tramite la suddetta società che, per i precipui elementi che la connotano, è ritenuta essere, da una parte della giurisprudenza, un organo dell’amministrazione stessa[33].

Si realizzerebbe, dunque, esclusivamente una separazione patrimoniale nell’ambito della stessa persona giuridica, senza alcuna alterità soggettiva[34].

Per tale ragione non è necessaria alcuna procedura di evidenza pubblica, essendo la suddetta società sprovvista di alterità soggettiva rispetto all’amministrazione affidante, sussistendo una sorta di “immedesimazione identitaria”.

Siffatta conclusione non viene condivisa da un altro orientamento, secondo cui la relazione tra la società e il soggetto pubblico affidante sarebbe caratterizzata da un rapporto di autonomia, non incidendo la relazione tra i due soggetti sull’alterità soggettiva dell’organismo in house.

Le ragioni di questa diversa tesi si rinvengono nell’esigenza di tutela dei terzi che entrano in contatto con la società in house, presupponendo che essa abbia una propria personalità autonoma e nel disposto dell’art.2331 Codice civile, per il quale successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista personalità giuridica.

Sussisterebbe, dunque, una società munita di personalità giuridica sua propria che si differenzia da altre eventuali società con partecipazione pubblica, per la presenza di una sottoposizione maggiore alle regole pubblicistiche e più ampia deroga alla normativa di diritto comune[35].

Caratteri essenziali dell’in house providing sono il controllo analogo, la partecipazione prevalentemente pubblica[36], lo svolgimento della parte rilevante dell’attività nei confronti dell’amministrazione controllante, elementi che oggi sono stati inclusi negli artt.16 e ss. del D.lgs.n.50/2016.

Per controllo analogo, definito dal combinato disposto di cui agli artt. 2,5 comma 2,16 del Codice dei contratti pubblici, si intende il controllo che l’autorità pubblica esercita tradizionalmente sui propri organi.

Per la “dedizione prevalente”, si fa riferimento alla necessità che l’affidataria svolga la parte maggiore dei suoi interventi con il soggetto affidante al cui controllo è sottoposta, da accertare in base ad un’analisi condotta case by case.

Infine, terza modalità di affidamento del servizio pubblico è rappresentata dalle società a capitale misto pubblico-privato.

Esse costituiscono una forma di partenariato pubblico-privato ovvero modelli di cooperazione tra amministrazioni pubbliche e imprenditori privati aventi ad oggetto il finanziamento o la realizzazione di una infrastruttura o la gestione o fornitura di un servizio o più in generale lo svolgimento di un compito pubblico[37].

Esso costituisce concreta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale ex art.118 comma 4 Cost., nonché di quello di maggiore imparzialità e rinnovamento, determinando l’acquisizione da parte del soggetto pubblico di competenze specifiche detenute dal soggetto privato che migliorano la qualità dell’intervento pubblico dell’amministrazione.

L’art.3 comma 1 lett. eee) del D.lgs.n. 175/2016 definisce il partenariato come un contratto oneroso atipico che realizza una cooperazione tra soggetto pubblico e privato per l’esecuzione di un’attività finalizzata al perseguimento di interessi pubblici.

Si tratta del livello di partenariato definito come istituzionale, ove si verifica la partecipazione di autorità amministrativa e soggetto privato, tramite un contratto associativo, ad un soggetto distinto dai due, la società mista[38].

L’art.17 del D.lgs.n. 175/2016 individua la partecipazione societaria minima del socio privato nel 30%. Quest’ultimo deve possedere tutti i requisiti richiesti dalle norme e dalla disciplina regolamentare.

La scelta del socio avviene mediante l’espletamento di un'unica procedura di evidenza pubblica nella quale oltre ad individuarsi il soggetto privato, si determina l’affidamento del contratto oggetto esclusivo dell’attività mista, diversamente dall'orientamento precedente all'introduzione del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Quest'ultimo, infatti, riteneva che fossero necessarie due gare[39], una per la scelta del socio e una per l'affidamento del servizio. Ciò determinava un grande dispendio di tempo oltra all'incoerenza di espletare una doppia procedura nonostante fosse stato già individuato il partner dell'amministrazione.

In questo caso sembrerebbe legittimo l’affidamento diretto del servizio ove le regole poste nel bando e nel Codice dei contratti siano state rispettate a monte e siano state caratterizzate dal suesposto doppio oggetto, ovvero scelta del socio e tipologia di servizio da erogare.

 

NOTE:

[1] L’eccessiva procedimentalizzazione dell’attività amministrativa ha portato il legislatore a introdurre forme di “semplificazione” del procedimento. Costituiscono applicazione della predetta ratio la conferenza dei servizi ex art.14 L.n.241/1990, il silenzio assenso tra amministrazioni ex art.17-bis L.n.241/1990, lo sportello unico ex art.19-bis L.n.241/1990 e la durata del procedimento ex artt.2,2-bis L.n.241/1990.

[2] Bernardo Mattarella, Il provvedimento amministrativo, in Sabino Cassese, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 893.

[3] Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2019, n.2433.

[4] Francesco Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2018, 1200.

[5] A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 589.

[6] L’orientamento maggioritario della dottrina ritiene che l’amministrazione sia titolare di una capacità di diritto privato "generale" e non "speciale". Per l'orientamento che ritiene sussistere la capacità giuridica "speciale", differentemente, quest'ultima sarebbe espressione di un principio di subordinazione dell’autonomia contrattuale alle leggi e usi osservati come diritto pubblico. Si veda Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica n.241/1990, in giustamm.it.

[7] Cons. Stato, sez. III, 10 dicembre 2013, n.5910.

[8] Si veda Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n.283 che ha individuato i presupposti per il riconoscimento di un aiuto di stato. La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che indici di siffatto aiuto illegittimo possa dedursi dall’impiego di risorse statali, dalla possibilità che essi possano incidere sugli scambi commerciali tra gli Stati membri, dall’eventualità che determinino un vantaggio esclusivamente nei confronti di uno specifico beneficiario con successiva distorsione della concorrenza.

[9] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, II ed., Torino 2019, 561.

[10] Annalisa Di Giovanni, I servizi di interesse generale tra poteri di autorizzazione e concessione di servizi, Torino 2018, 3.

[11] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 764.

[12] G. Bassi, F. Moretti, L'assetto dei servizi pubblici locali dopo i referendum abrogativi, un quadro generale, in, Azienditalia 2011, 8, I.

[13] L’art.14 del D.lgs.n. 59/2010 statuisce che i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da "motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità”.

[14] Cfr. V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 655. La tesi tradizionale ritiene che l'autorizzazione amministrativa rientri all'interno di quei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario e dunque satisfattivi degli interessi legittimi pretensivi. Essa rimuoverebbe un limite legale all'esercizio di un diritto sussistente ab origine in capo al richiedente del provvedimento stesso. L'orientamento più recente ritiene, invece, che tutte le autorizzazioni abbiano una valenza costitutiva, determinando l'insorgenza della situazione soggettiva favorevole nei confronti del titolare dell'interesse pretensivo.

[15] A. De Valles, I servizi pubblici, in V.E. Orlando Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol.II, parte III, Milano, 1920, 193.

[16] Si veda G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova 2001, 204.

[17] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 775.

[18] Inseguito alla riforma attuata con il D.lgs.n.175/2016, le società pubbliche, in base all'art.4 del predetto Decreto legislativo, posso svolgere esclusivamente attività di servizio pubblico, essendo preclusa qualsiasi attività d'impresa, stante il mutamento del ruolo dello Stato da imprenditore, ovvero soggetto attivo nel mercato, a regolatore dello stesso.

[19] Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n.6131.

[20] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 769.

[21] R. Chieppa, V. Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano 2007, 750.

[22] Corte Giust. Un. Eur., 24 luglio 2003, causa C-280/2000 (sentenza Altmark).

[23] G.F. Nicodemo, Concessione a favore di terzi: illegittimo l’affidamento di beni pubblici senza gara, in, Giur.it, 2017, 10, 2185.

[24] Annalisa Di Giovanni, I servizi di interesse generale tra poteri di autorizzazione e concessione di servizi, op.cit., 113.

[25] M. Clarich, I servizi pubblici e diritto europeo della concorrenza: l'esperienza italiana e tedesca a confronto, in Riv. Trim. dir. Pubbl. 2003, 119.

[26] Annalisa Di Giovanni, I servizi di interesse generale tra poteri di autorizzazione e concessione di servizi, op.cit., 77.

[27] R. Garofoli, Compedio di diritto amministrativo, VI edizione, Molfetta 2018, 737.

[28] M. Ceruti, Le concessioni tra contratto, accordo e provvedimento amministrativo, in, Urbanistica e appalti, 2016, 637.

[29] Corte Giust. Un. Eur., 10 novembre 2011, causa C-348/2010.

[30] Annalisa Di Giovanni, I servizi di interesse generale tra poteri di autorizzazione e concessione di servizi, op.cit., 79.

[31] F. Caringella, O. Toriello, Manuale di diritto amministrativo, Parte speciale, Roma 2019, 261.

[32] Corte Giust. Un. Eur., 18 novembre 1999, in causa C-107/98, (sentenza Teckal).

[33] M. E. Comba e F. Sudiero, Società a controllo pubblico-Le società a controllo pubblico: luci e ombre dal Codice civile, in, Giur.it, 2020, 2, 391.

[34] Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013, n.26283.

[35] Cass. civ., sez.I, 22 febbraio 2019, n.5346.

[36] Le Direttive n.24,25/2014 UE hanno ridisegnato una serie di requisiti enucleati ab origine dalla sentenza Teckal del 18 novembre 1999 causa C-107/98, consentendo forme di partecipazione anche privata che, conformemente ai Trattati Ue, non determinino forme di controllo o potere di veto e non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. L’attività che deve esser svolta a favore dell’amministrazione affidante, inoltre, deve essere superiore all’80%.

[37] Cfr. Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni 30 aprile 2004.

[38] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 1046.

[39] F. Caringella, O. Toriello, Manuale di diritto amministrativo, Parte speciale, op.cit., 262.