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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Decreto semplificazioni e procedimento amministrativo – il nuovo preavviso di rigetto.

Di Daniele Profili.
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Decreto semplificazioni e procedimento amministrativo – il nuovo preavviso di rigetto.

 

di DANIELE PROFILI

 

 

1. Premessa - 2. Genesi ed evoluzione dell’istituto - 3. I principali aspetti dibattuti in tema di preavviso di rigetto - 4. La novella del decreto semplificazioni ed il nuovo art. 10 bis della legge n. 241/90 - 5. Conclusioni

 

  1. Premessa

 

Il decreto legge n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120,

c.d. “decreto semplificazioni”, è intervenuto apportando interessanti modifiche anche alla legge generale sul procedimento amministrativo. In specie, con l’art. 12, co. 1, lett. e), è stato modificato l’art. 10 bis della legge n. 241/90, novellando l’istituto del preavviso di rigetto già fonte di cospicui dibatti dottrinali e giurisprudenziali.

Scopo di questo articolo è quello di richiamare le principali caratteristiche e l’evoluzione storica dell’istituto, per poi procedere con l’analisi delle novità introdotte in materia e concludendo con delle brevi considerazioni al riguardo.

 

2.        Genesi ed evoluzione dell’istituto

Il preavviso di rigetto approda all’interno della legge generale sul procedimento amministrativo grazie alla legge n. 15/2005 con la quale è stato disposto, per la prima volta, che antecedentemente all’adozione di un provvedimento negativo conseguente ad un’istanza di parte l’amministrazione fosse tenuta a comunicare all’interessato le ragioni ostative all’accoglimento, riservandogli un termine di dieci giorni per la formulazione di eventuali osservazioni.

Già nella sua formulazione originaria è possibile cogliere la portata innovativa della disposizione, attesa la sua capacità di incidere sul procedimento amministrativo sotto molteplici punti di vista. In primo luogo, con il preavviso di rigetto è stata di fatto arricchita la tradizionale sequenza procedimentale, prevedendo un ulteriore e specifico iato temporale atto a garantire un nuovo

 

contraddittorio tra amministrazione procedente e privato cittadino, ubicato a cavaliere tra la fase istruttoria, deputata a far emergere i fatti e gli interessi rilevanti ai fini della successiva decisione, e quella decisoria, con la quale la volontà della p.a. si cristallizza per poi sfociare nel provvedimento finale. Se prima dell’introduzione del preavviso di rigetto, dunque, la conclusione della fase istruttoria costituiva anche l’ultimo momento concesso ai privati per far valere i propri interessi di natura partecipativi nel procedimento, a seguito della novella normativa in parola al contraddittorio tra i protagonisti del rapporto giuridico amministrativo è stata sostanzialmente riconosciuta una “seconda vita”, introducendo una fase predecisoria. L’arricchimento delle facoltà partecipative riconosciute in capo ai privati rappresenta senz’altro uno degli aspetti maggiormente rilevanti ed innovativi che caratterizzano l’istituto, anche se non può certo dirsi che sia il solo.

L’apertura di una finestra di dialogo con l’amministrazione prima dell’adozione del provvedimento di carattere negativo in grado di incidere sull’interesse pretensivo del privato, a ben vedere, mira altresì a contribuire alla deflazione del contenzioso giurisdizionale. Costringere la p.a. a rappresentare, già all’esito dell’istruttoria e prima della decisione finale, quelle che sono le ragioni poste alla base dell’eventuale rigetto, consente al privato di agire con una prima reazione già in sede procedimentale, senza adire sin da subito il giudice amministrativo, come invece avverrebbe nel caso in cui la p.a. procedesse senza soluzione di continuità dalla fase istruttoria a quella decisoria con l’adozione ad abrupto del provvedimento. Ma v’è di più. Alla facoltà del privato di rappresentare le proprie considerazioni sulle ragioni ostative prospettate dall’amministrazione con il preavviso di rigetto fa da contraltare l’obbligo per quest’ultima di dar conto, nel provvedimento finale, delle ragioni che l’hanno indotta a discostarsi dalle sopravvenute osservazioni di parte, venendo così in rilievo, da un lato, un obbligo di motivazione specifica e rinforzata1 e, dall’altro, una limitazione dello jus variandi. Ciò  nella considerazione che, come evidenziato in giurisprudenza, l’amministrazione non potrà, in sede di emanazione del provvedimento finale, addurre nuove ragioni rispetto a quelle già prospettate con il preavviso di rigetto2.

Ulteriore aspetto interessante è l’effetto interruttivo del termine procedimentale prodotto dalla comunicazione del preavviso di rigetto che, aderendo all’indirizzo ermeneutico maggiormente formalistico, determinerebbe la nuova decorrenza dello stesso, con conseguente raddoppio del tempo originariamente previsto per l’adozione del provvedimento finale. Su quest’ultimo aspetto, 

peraltro, a fronte di un copioso dibattito giurisprudenziale, ha avuto altresì modo di intervenire il decreto semplificazioni, come si avrà modo di precisare nel prosieguo.

L’art. 10 bis originario, con una statuizione tuttora vigente, ha previsto ulteriormente che le sue disposizioni non trovino applicazione con riferimento ai pubblici concorsi ed ai procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale avviati a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Sugli effetti invalidanti derivanti dalla mancata adozione del preavviso di rigetto si rimanda a quanto si dirà nel prossimo paragrafo ove si esamineranno, in breve, le questioni più controverse in materia che hanno animato il dibattito giurisprudenziale.

Da ultimo, si segnala che prima della modifica apportata dal decreto semplificazione all’art. 10 bis della legge generale sul procedimento amministrativo, la legge n. 180/2011 ha previsto che non possano essere addotte, tra le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza del privato, questioni riferibili a ritardi o comunque ad inadempienze dell’Amministrazione, valorizzando così il canone della buona fede e della correttezza che deve accompagnare l’agere amministrativo, con conseguente impossibilità che sue defezioni si riverberino su una determinazione negativa atta a sacrificare ingiustamente la sfera giuridica soggettiva del privato3.

 

3.            I principali aspetti dibattuti in tema di preavviso di rigetto

  

Come in parte già precedentemente anticipato, un aspetto controverso dell’istituto è stato senz’altro quello relativo all’interpretazione della locuzione “interruzione” adottata dal legislatore con riferimento ai termini procedimentali. La questione, invero, ha prodotto una spaccatura tra i sostenitori di una prima tesi, aderente al tenore letterale della disposizione di cui all’art. 10 bis, e quelli invece favorevoli ad aderire ad una prospettazione sostanzialista e maggiormente attenta all’efficienza ed alla tempestività dell’azione amministrativa.

Aderendo alla teoria che attribuisce il significato “tecnico” alla disposizione in commento, la comunicazione del preavviso di rigetto, comportando l’interruzione in senso proprio del termine procedimentale, determinerebbe la nuova decorrenza dello stesso a partire dal giorno successivo. A parere dell’opposta teoria, tuttavia, un’interpretazione di tal fatta finirebbe per attribuire un termine eccessivo alla p.a. per la conclusione del procedimento, sostanzialmente raddoppiandolo. A sostegno della ingiustificata dilatazione dei tempi procedimentali si evidenzia come una volta ricevute le eventuali osservazioni da parte del privato sull’amministrazione non incomberebbe, 

sempre e comunque, l’onere di avviare una nuova istruttoria ma, semplicemente, di esaminare le argomentazioni prospettate con lo scopo di verificare la loro rilevanza, o meno, ai fini della decisione conclusiva. Peraltro, l’irragionevolezza dell’interruzione del termine procedimentale raggiunge il culmine nel momento in cui l’effetto dilatorio, condizionato dal mero fatto della comunicazione all’interessato del preavviso di rigetto, si produrrebbe anche nel momento in cui quest’ultimo non dovesse avvalersi della facoltà di replica concessagli dall’ordinamento. In tale circostanza, invero, l’Amministrazione procedente si troverebbe a beneficiare di un raddoppiamento del tempo utile per provvedere in assenza di qualsiasi adempimento ulteriore.

Altra questione dibattuta è stata quella riferibile alla idoneità, o meno, dell’omessa comunicazione del preavviso di rigetto ad assurgere al rango di vizio idoneo, in ogni caso, a determinare l’illegittimità dell’azione amministrazione. Anche su questa questione si sono registrati due approcci. Il primo, più aderente al piano formale, al quale se n’è successivamente affiancato un secondo maggiormente attento alla natura sostanziale dell’istituto ed alla sua ratio. Secondo quest’ultimo orientamento, in particolare, in ossequio al principio del raggiungimento dello scopo, la mera assenza della comunicazione formale del preavviso di rigetto deve essere ritenuta non idonea ad inficiare la legittimità dell’operato dell’amministrazione, quantomeno ogniqualvolta all’istante sia comunque concesso di prendere atto, nel corso dell’iter procedimentale, delle ragioni ostative all’accoglimento della sua domanda, consentendogli un adeguato contraddittorio sul punto. Come è agevole rilevare, si tratta di un approccio che prende a cuore la partecipazione procedimentale dei privati senza per questo rimanere legato a doppio filo con rigidi formalismi, ritenuti inutili e contrastanti con i principi di efficacia e buona andamento di cui all’art. 97 della Costituzione4.

Ulteriormente dibattuta è stata poi la questione relativa all’applicazione analogica del secondo

periodo del secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/90 all’ipotesi di mancata comunicazione di preavviso di rigetto. Con quest’ultima disposizione, invero, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento un meccanismo di dequotazione dei vizi formali del procedimento amministrativo sancendo, con particolare riferimento al secondo periodo del comma succitato, l’irrilevanza ai fini dell’illegittimità della determinazione conclusiva in caso di mancata comunicazione di avvio del procedimento nell’esercizio di attività amministrativa discrezionale, all’esito della quale il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La sovrapponibilità della fattispecie alla mancata comunicazione del preavviso di rigetto 

è stata più volte caldeggiata dalla recente giurisprudenza5, seppur sulla questione si sono registrate anche pronunce più risalenti di segno opposto6.

In ogni caso, come si avrà modo di rappresentare nel paragrafo successivo, una parte dei nodi succitati affrontati dalla giurisprudenza sembrerebbero essere stati sciolti dal legislatore con le modifiche apportate all’art. 10 bis della legge generale sul procedimento amministrativo con il decreto semplificazioni.

 

4.            La novella del decreto semplificazioni ed il nuovo art. 10 bis della legge n. 241/90

  

Esaurito il seppur breve excursus con riferimento all’evoluzione dell’istituto del preavviso di rigetto ed alle questioni controverse che ruotano attorno a tale istituto, occorre ora esaminare le modifiche allo stesso apportate dal recente decreto legge n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120/2020.

In primo luogo, il legislatore ha posto fine alla richiamata querelle sull’esegesi da attribuire al termine “interruzione” da riferirsi ai termini procedimentali, statuendo espressamente come “La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo”. Con tale modifica, dunque, è stata definitamente sancita la portata meramente sospensiva, e non già interruttiva, del termine di conclusione del procedimento per effetto della comunicazione del preavviso di rigetto, con nuova decorrenza dello stesso al momento della presentazione delle osservazioni da parte del privato o, in assenza, dalla scadenza dei dieci giorni previsti a tal fine.

Nessuna modifica sostanziale si registra, invece, nonostante una diversa sintassi della disposizione, con riferimento all’obbligo dell’amministrazione di motivare in merito al mancato accoglimento delle osservazioni presentate dal privato in conseguenza del preavviso di rigetto. A fronte di una formulazione originaria con cui veniva disposto che “Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale” il riformulato testo dell’art. 10 bis oggi prevede che “Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne 

sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni”. Nonostante la riformulazione della statuizione in commento, invero, appare possibile sostenere che nulla cambi rispetto al già richiamato obbligo dell’amministrazione di motivazione specifica e rinforzata, dovendo la stessa esplicitare in sede di provvedimento finale le ragioni per cui ha ritenuto non meritevoli di pregio le osservazioni formulate dagli istanti.

Altra sovrapposizione del legislatore sul dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di preavviso di rigetto può essere rinvenuta nell’art. 1, co. 12, lett. i), del d.l. n. 76/2020, con il quale è stato espressamente previsto che la previsione di cui al secondo periodo del secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/90 non si applica alla fattispecie del preavviso di rigetto. In altri termini, il legislatore ha smentito il più recente orientamento della giurisprudenza7, favorevole ad un’estensione delle portata della norma richiamata in tema di avvio del procedimento anche al preavviso di rigetto, ritenendo i due istituti in tal senso sovrapponibili nella considerazione della medesima funzione di garanzia dagli stessi svolta a tutela dell’interesse partecipativo dei privati al procedimento amministrativo. La novella riconosce dunque una maggiore tutela per gli istanti destinatari di un provvedimento di segno negativo a fronte dell’esercizio di un’attività amministrativa discrezionale. Se la mancata comunicazione di avvio del procedimento, invero, in ossequio al richiamato art. 21 octies, può non inficiare la legittimità dell’operato dell’amministrazione, quantomeno ogni qualvolta il risultato raggiunto non avrebbe potuto essere diverso, lo stesso non può dirsi per l’inadempimento consistente nella mancata comunicazione del preavviso di rigetto che, stante il tenore della norma, pare comunque determinare l’illegittimità dell’azione amministrativa. Resta comunque salvo, a parere di chi scrive, l’orientamento sostanzialista richiamato nel precedente paragrafo secondo il quale la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, intesa in senso formale, possa comunque non sfociare nell’annullamento del provvedimento laddove i motivi ostativi all’accoglimento della domanda siano comunque, seppur con forme diverse da quelle prescritte dall’art. 10 bis, resi noti all’interessato con l’instaurazione di un soddisfacente contraddittorio sul punto.

Per dirla con parole diverse, laddove l’attività amministrativa sia di natura discrezionale soltanto il vizio della mancata comunicazione di avvio del procedimento può salvare la legittimità dell’azione amministrativa e ciò, comunque, solo nel caso in cui il risultato cui si è approdati non possa essere in concreto diverso e, soprattutto, che almeno la comunicazione di preavviso di rigetto sia stata ritualmente effettuata. Semplificando ulteriormente, con la richiamata novella di cui al decreto semplificazioni la mancata comunicazione del preavviso di rigetto costituisce sempre un vizio di 

legittimità dell’azione amministrativa discrezionale, a differenza dell’avvio del procedimento la cui mancanza può essere invece sanata in ossequio ai dettami di cui al secondo periodo del secondo comma dell’art. 21 octies.

Ultima, e forse più rilevante novità, è quella con cui il richiamato decreto semplificazioni ha statuito “In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato”. Si tratta, a ben vedere, di una disposizione con cui il legislatore ha inteso ridurre l’operatività del principio di inesauribilità del pubblico potere in sede di nuovo esercizio dello stesso a fronte di un precedente giudicato di annullamento, prevedendo ulteriori limiti per la p.a. oltre a quelli già derivanti dall’effetto conformativo della sentenza. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa aveva già da tempo individuato i motivi ostativi comunicati con il preavviso di rigetto quale limite espresso allo jus variandi per l’amministrazione in sede di emanazione del provvedimento finale, concludendo per la sua illegittimità nel momento in cui lo stesso si fosse appuntato su nuove ragioni di fatto e di diritto. Alla richiamata limitazione infraprocedimentale della capacità di determinarsi per la p.a., elaborata in via pretoria al fine di valorizzare la portata sostanziale, e non già meramente formale, dell’istituto del preavviso di rigetto, il legislatore ha voluto espressamente affiancare un nuovo meccanismo, che inibisce lo jus variandi dell’amministrazione anche in sede di riesercizio del potere in conseguenza di un giudicato di annullamento.

La questione dell’ampiezza del potere amministrativo in sede di sua riedizione a seguito di un pregresso giudicato, peraltro, è un tema delicato su cui la giurisprudenza si è lungamente soffermata. A fronte dell’orientamento risalente, per vero ormai superato, proteso a privilegiare il tradizionale principio dell’inesauribilità del potere dell’amministrazione e, dunque, la conseguente possibilità in sede di riesercizio del potere di determinarsi liberamente sugli aspetti non coperti al giudicato, non può non essere segnalato l’emergere di una visione più moderna e attenta non solo all’effetto conformativo della sentenza di annullamento sulla successiva azione della p.a., ma anche alla tutela effettiva della posizione del privato leso nel suo interesse legittimo da un provvedimento amministrativo illegittimo. A ciò, si aggiunga l’ormai avvertita necessità di risolvere definitivamente il rapporto controverso tra p.a. e privato. Si discorre, in tal senso, di giudicato amministrativo a formazione progressiva atteso che lo stesso, nonostante la presenza di poteri natura discrezionale riconosciuti all’amministrazione ed in forza al suo effetto conformativo ed alla nuova portata del principio di effettività della tutela, risulta essere oggi idoneo, in conseguenza del reiterato esercizio illegittimo del pubblico potere, a svuotare gradualmente la sfera di

 

discrezionalità dell’amministrazione, fino a spingersi, nelle ipotesi contemplate dal c.p.a.8, ad incidere definitivamente sulla spettanza del bene della vita in capo al privato con una pronuncia di condanna dell’amministrazione a riconoscere il vantaggio dallo stesso anelato9.

Senza poter entrare a fondo nella questione, atteso il suo livello di complessità che necessiterebbe di una trattazione a sé stante, in questa sede ci si limita a ricordare come con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo la giurisdizione amministrativa ha effettuato un sostanziale salto di qualità, svincolandosi dall’attività di mera verifica cartolare sulla legittimità del provvedimento, a fronte dell’esperimento da parte dei privati dell’azione tipica, e per molti anni esclusiva, dell’annullamento degli atti gravati, per vestire così le spoglie della giurisdizione piena e, in quanto tale, dotata di un ventaglio di azioni non più rigidamente tipizzato e perciò in grado di garantire, pressoché in ogni circostanza, l’effettività della tutela delle situazioni soggettive vantate dai consociati. In un contesto di tal fatta, appare evidente come risulti essere essenziale porre dei confini invalicabili all’amministrazione nella riedizione della sua attività a fronte di un giudicato di natura caducatoria, consentendo al privato di non vedersi negato il bene della vita anelato sine die sulla scia di una pressoché infinita sequenza di giudicati di annullamento favorevoli e riedizioni del potere di segno negativo. Obliterare tale necessità imperante, alla luce dell’ormai acquisita equiparazione in termini di rilevanza dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, significherebbe non solo frustrare l’immanente principio dell’effettività della tutela ma anche mettere in discussione l’ormai acquisita pienezza della giurisdizione amministrativa.

Chiuso l’inciso, e tornando alla richiamata innovazione apportata in tema al preavviso di rigetto da parte del decreto semplificazioni, non può non rilevarsi come, seppur ad un primo esame, la stessa finisca per incidere in modo consistente sull’ampiezza del potere amministrativo in sede di sua riedizione a seguito di un giudicato di annullamento, impedendo espressamente alla p.a. di porre a fondamento dell’eventuale nuova determinazione negativa motivi già scaturenti dalla precedente attività istruttoria. Da quanto statuito, invero, si evince come nei procedimenti amministrativi avviati su istanza di parte, a fronte dei quali residuino interessi di natura pretensiva del privato all’ottenimento di un bene della vita, una volta conclusa la fase istruttoria e comunicate dall’amministrazione le eventuali ragioni ostative all’accoglimento della domanda, la stessa non possa più utilizzare elementi già emersi in sede istruttoria a sostegno di un eventuale ed ulteriore 

provvedimento di segno negativo. Su tale aspetto merita di essere effettuata qualche considerazione ulteriore.

Deve invero rilevarsi come il richiamato divieto imposto dal novellato art. 10 bis della legge n. 241/90, nell’impedire all’amministrazione di poter utilizzare motivi ostativi già emergenti dalla precedente fase istruttoria a sostegno di un nuovo provvedimento di segno negativo, non pare porre limitazioni circa la possibilità per la p.a. di procedere alla rinnovazione di tale fase. Tale facoltà, peraltro, potrebbe in taluni casi addirittura essere doverosa, seppur nel rispetto del principio di economia procedimentale e delle nuove statuizioni in tema di preavviso di rigetto. Ciò quantomeno ogni volta che la pregressa attività amministrativa sia ritenuta illegittima in sede giurisdizionale per vizi relativi non alla fase decisoria, ma coinvolgenti la fase istruttoria o la precedente fase di avvio del procedimento.

Ulteriore questione riguarda la corretta portata esegetica da attribuire al divieto in questione nel momento in cui la norma prevede che l’amministrazione non possa, in sede di riedizione del potere, addurre per la prima volta “motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria” del provvedimento annullato. L’utilizzo dei termini “motivi ostativi” porta a ritenere che l’amministrazione non possa, in sede di nuova decisione, effettuare nuovi apprezzamenti negativi in merito a fatti già emersi nella precedente fase istruttoria. Così formulata, la statuizione sembrerebbe lasciare inalterata la sua possibilità di apprezzare fatti sopravvenuto o, comunque, rilevati solo in via successiva per causa non imputabile all’amministrazione. Sul punto, tuttavia, deve ritenersi che laddove questi ultimi dovessero risultare essere idonei a costituire l’addentellato su cui poggiare nuovi motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, l’amministrazione non potrebbe esimersi dal procedere alla loro comunicazione all’istante mediante un nuovo preavviso di rigetto, concedendo al privato la possibilità di instaurare un contraddittorio infraprocedimentale su tali aspetti.

Occorre poi rilevare come l’operatività della disposizione è subordinata al fatto che l’annullamento dell’atto consegua ad una pronuncia del giudice amministrativo, non rilevando in tal senso l’eventuale annullamento d’ufficio disposto dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241/90. Ciò sta a significare che, in caso di esercizio del potere di autotutela decisoria in conseguenza del quale la p.a. annulli una sua precedente determinazione negativa, in sede di successivo esercizio dell’attività amministrativa la stessa ben potrà porre a fondamento della sua nuova decisione motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato, ancorché non ricompresi tra quelli oggetto di comunicazione con il preavviso di rigetto. E’ solo l’intervento del giudice amministrativo nell’ottica del legislatore, pertanto, a cristallizzare le valutazioni dell’amministrazione rispetto a quanto già comunicato con il preavviso di rigetto,

 

restando la stessa libera di procedere alla rivalutazione dei fatti in conseguenza di determinazioni di secondo grado di natura caducatoria adottate in sede di autotutela. In sostanza la pronuncia di annullamento, pur producendo il medesimo effetto demolitorio e ripristinatorio dell’annullamento d’ufficio disposto dalla p.a. in sede di autotutela, limita le successive facoltà dell’amministrazione non solo, e non tanto, con riferimento all’effetto conformativo del giudicato, ma anche in ossequio alla richiamata disposizione contenuta nell’art. 10 bis della legge n. 24/90.

Ulteriore aspetto interessante è rappresentato dalle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza del nuovo art. 10 bis da parte dell’Amministrazione. Ci si chiede, pertanto, se l’agire in contrasto alle disposizioni ivi contenute possa determinare, in sede di successivo vaglio giurisdizionale, la sussistenza di un vizio di legittimità per violazione di legge, oppure se tale circostanza possa addirittura essere ricondotta nel campo della nullità e, in tal caso, se a venire in rilievo possa essere un difetto assoluto di attribuzione per carenza di potere piuttosto che un’ipotesi di contrasto con il giudicato10.

Sul punto, occorre in primo luogo precisare come pacifica giurisprudenza amministrativa ritiene che il giudizio conseguente alla riedizione del potere amministrativo possa essere incardinato avvalendosi del rito dell’ottemperanza, consentendo così alla parte ricorrente di dedurre in tale sede tutti i profili di illegittimità della nuova azione amministrativa, spettando poi al giudice stabilire se e quali aspetti di tale attività siano delibabili in sede di ottemperanza e quali, invece, debbano essere necessariamente affrontati in sede di giurisdizione di legittimità previa conversione del rito. Certamente è il giudice dell’ottemperanza cui spetta statuire in merito all’eventuale nullità dell’agere amministrativo in caso di rilevato contrasto tra quest’ultimo ed il precedente giudicato. Tale situazione, tuttavia, sembra non coincidere con quella presa in esame dal nuovo art. 10 bis, ove prevede che la p.a., nel riesercitare il proprio potere, ponga a fondamento della sua ulteriore determinazione negativa delle nuove ragioni ostative desunte da fatti istruttori già emersi nella primigenia sede procedimentale. La novità della motivazione assunta dall’amministrazione, invero, postula che la stessa non possa essere già coperta dagli effetti conformativi del precedente giudicato, con conseguente attrazione della valutazione di tale aspetto alla giurisdizione di legittimità.

Né meritevole di pregio risulta essere l’ipotesi della configurabilità di una nullità del provvedimento emesso in violazione delle nuove statuizioni di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/90. Ciò nella considerazione che, nel caso di specie, non sembrano ravvisabili i profili tipici della carenza di potere in astratto, venendo semmai in rilievo una carenza di potere in concreto, 

attesa la sussistenza del potere in origine attribuito dalla legge all’amministrazione che, per vero, subisce una sua graduale compressione derivante dal sopravvenuto cattivo uso dello stesso in sede procedimentale.

 

5.            Conclusioni

 

Come seppur brevemente evidenziato in questo lavoro, il decreto semplificazioni, tra le tante modifiche apportate alla legge sul procedimento amministrativo, ha preso posizione su interessanti e dibattute questioni riferibili al preavviso di rigetto che, per vero, hanno esaltato nuovamente la pienezza della giurisdizione amministrativa, riconoscendo ancora una volta al processo amministrativo le vesti di luogo ove il pubblico potere viene scrutinato non al fine di verificarne al rispondenza con il paradigma normativo di riferimento, quanto piuttosto per garantire adeguata tutela alle posizioni giuridiche soggettive vantate dai privati nei confronti dell’amministrazione, risolvendo au fond la res controversa alla base della crisi del rapporto giuridico amministrativo tra

p.a. e consociati.

La lettura della novella introdotta all’art. 10 bis della legge generale sul procedimento amministrativo, con la quale vengono cristallizzate le valutazioni della p.a. con riferimento a fatti già emersi in sede di prima istruttoria e comunicati con il preavviso di rigetto, non possono non essere lette in combinato disposto con quanto enunciato dal nuovo comma 2 bis, dell’art. 1 della legge n. 241/90, anch’esso introdotto dal decreto semplificazioni, in ossequio al quale vengono espressamente contemplati, tra i principi che fungono da sostrato ai rapporti tra cittadini e la p.a., la leale collaborazione e la buona fede, esaltando ancor di più, come peraltro già fatto dalla giurisprudenza più all’avanguardia, la necessità di garantire adeguata ed effettiva tutela ai privati che si relazionano con il potere autoritativo, mediante il per certi versi rivoluzionario richiamo espresso richiamo a canoni tradizionalmente legati ai soli rapporti giuridici di natura paritetica.

Tanto detto, non resta che attendere le decisioni della giurisprudenza amministrativa in materia, per valutare l’effettiva portata delle succitate innovazioni apportate all’istituto del preavviso di rigetto ed ai vincoli posti al riesercizio del pubblico potere.

 

NOTE:

1 In ogni caso, come rilevato da recente giurisprudenza, detta motivazione non deve essere intesa come una prolissa confutazione analitica dei singoli punti toccati con le osservazioni dagli istanti, essendo sufficiente una motivazione complessivamente e, in via logica, conferente e a sostegno dell’atto stesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2026).

2 Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 2330.

3 Sul punto, peraltro, si segnala come è lo stesso “decreto semplificazioni” ad aver introdotto il comma 2 bis dell’art. 1 della legge n. 241/90, rubricato “principi dell’attività amministrativa”, prevedendo espressamente “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.

4  Cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 10 aprile 2019, n. 1984 e in termini, Cons. Stato, Sez. V,  11 marzo 2019, n. 1613.

5  Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156.

6  Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 6 dicembre 2011, n. 6410.

7 V. nota n. 5.

8 Cfr. combinato disposto di cui all’art. 31, co. 3 e 34, co. 1 lett. e) c.p.a.

9 Cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321, i cui contenuti sono stati confermati, non sussistendo un’ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa sulla sfera riservata all’amministrazione, dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 7 settembre 2020, n. 18592.

10 Cfr. art. 21 septies legge n. 241/90 e artt. 112 e ss. c.p.a.