Temi e Dibattiti

Crolli e permanenze: la ricostruzione dei centri storici in zona sismica.
Di Piero De Rosa
Crolli e permanenze: la ricostruzione dei centri storici in zona sismica
Di Piero De Rosa[1]
Abstract
Negli ultimi anni la tutela dei centri storici è divenuta un tema primario del diritto urbanistico: il recupero dei centri storici, in quanto portatori di valori identitari della comunità che li abita, è stato al centro degli interventi del legislatore sia per quanto riguarda gli strumenti tradizionali di riqualificazione urbana (come la pianificazione, la programmazione e la progettazione) che per programmi di intervento maggiormente integrati.
Da una concezione della tutela del centro storico di tipo puramente monumentale, vale a dire incentrata sui valori storico-ambientali intrinseci, si è passati ad una concezione dell’insostituibilità del valore culturale del tessuto dell’intera città, non soltanto relativamente ad alcune delle le sue tracce isolate.
In particolare, nei territori del Centro Italia colpiti dal sisma del 2016, la ricostruzione dei borghi fino ad oggi effettuata, come attestato anche dalle relazioni commissariali, si è concentrata in gran parte su numerosi interventi di demolizione e ricostruzione, ma su pochi cantieri avviati all’interno dei centri storici.
L'ostacolo maggiore che rende difficoltosa la ricostruzione delle porzioni antiche dei nostri borghi è dato dal fatto che nei centri storici gli interventi da attuare sono per lo più interventi di recupero dell'esistente (molto diversi da quelli finora autorizzati) che interessano le zone maggiormente identitarie delle nostre città.
Alla luce di quanto sopra, quindi, l’obiettivo del presente contributo è quello di analizzare lo scenario attuale del recupero dei centri storici in zona sismica e di individuare le soluzioni normative e progettuali capaci di cogliere il grado di complessità del loro recupero, evitandone la banalizzazione, anche in considerazione delle comunità che vi insistono e che riconoscono in essi la propria identità.
In recent years the protection of historic centres has become a primary topic of urban planning law: the recovery of historic centres, as bearers of identity values of the community that inhabits them, has been at the centre of the legislator's interventions both with regards to the traditional tools of urban redevelopment (planning, programming and design) and for integrated intervention programmes. From a purely monumental conception of the protection of the historic centre, i.e. focused on the intrinsic historical-environmental values, we have moved on to a conception of the irreplaceability of the cultural value of the fabric of the entire city and not just of some of its isolated traces.
In particular, in the territories of Central Italy hit by the 2016 earthquake, the reconstruction of the villages carried out to date, as also attested by the commissioner reports, has been largely focused on many demolition and reconstruction interventions, but by few construction sites started in the historical centres.
The major obstacle that makes reconstruction difficult in the ancient portions of our villages is given by the fact that in the historic centres the interventions to be implemented are mostly recovery interventions of the existing (very different from those authorized up to now) which affect the most identifying part of our cities.
In light of the above, therefore, the aim of this contribution is to analyse the current scenario of the recovery of historic centres in seismic areas and to identify the regulatory and design solutions capable of capturing the degree of complexity of their recovery, avoiding its trivialisation, also in consideration of the communities that recognize in them their identity.
Sommario: 1. Analisi del patrimonio monumentale dei centri storici; 2. Recuperare l’abbandono: prospettive per la rigenerazione dei centri storici.; 3. Conclusioni: i centri storici per la rinascita dei borghi italiani; 4. Bibliografia.
- Analisi del patrimonio monumentale dei centri storici
Le esigenze di tutela del patrimonio culturale in Italia comportano che esse non possono esercitarsi soltanto sulla base di una selezione di beni riconosciuta come eccellenza, ma devono estendersi su un patrimonio storico diffuso su tutto il nostro territorio in un contesto di comprensione e valorizzazione primaria[2], in connessione con la pianificazione territoriale[3].
Spesso l’atteggiamento che si ha verso i contesti storici urbani è quello di considerarli “vecchi”, chiudendo così la strada ad una nuova consapevolezza che vede in essi gli insediamenti umani in cui vive il rapporto tra città storica e città moderna.
Se la finalità conservativa tende, infatti, a garantire il mantenimento e il recupero dell’integrità del bene - sia sotto il profilo strettamente materiale, sia per i vari aspetti attinenti alle circostanze incidenti sulla identità culturale della cosa in sé considerata e nei rapporti con l’ambiente esterno[4], la sua valorizzazione deve permetterne la fruizione da parte della collettività, tendendo all’apprestamento dei mezzi diretti a consentire, accrescere o migliorare la possibilità di un accesso conoscitivo ai beni culturali, così da agevolare l’apprendimento dei valori che ad essi ineriscono[5].
Questa riflessione appare ancora più interessante quando dalle semplici architetture ci spostiamo su organismi molto più complessi ed interconnessi dal punto di vista costruttivo, urbanistico e sociale come i centri storici. Lo studio di questi ultimi, infatti, soprattutto se collocati in aree sismiche, permette una conoscenza che non si limita al singolo complesso architettonico, ma fa di questo un caso di interesse di un meccanismo più generale ed eterogeno[6].
Studiare, dunque, la sismicità dei centri storici e, più in particolare, gli effetti di alcuni specifici terremoti[7] sulle componenti documentarie e materiali che ne costituiscono l’ossatura, diviene un elemento di fondamentale importanza sotto diversi punti di vista (sociale, economico, politico, etc.). È possibile affermare, infatti, che mentre la ricostruzione si pone, da un lato, come un tema primariamente paesaggistico, con tutto ciò che ne consegue in termini di scelte riguardo alle modalità di pronto intervento, di reinsediamento e di smaltimento e recupero delle macerie, dall’altro le scelte urbanistiche (morfologia urbana, altezze e volumi, ecc.) riguardino tematiche propriamente architettoniche (tipologie edilizie, linguaggi, strutture, materiali ecc.) che dovranno mirare sia a contenere il pericolo della sottrazione e alterazione di elementi strutturanti il paesaggio sia a preservare i fattori primari costituenti l’identità collettiva.
Diverse, pur se tutte riconducibili ad una stessa metodologia scientifica, eminentemente di restauro, saranno allora le molteplici scale di approccio ed i problemi conseguenti nel caso di aggregati, edifici di abitazione isolati, edifici specialistici, edifici per il lavoro (capannoni, stalle ecc.), nonché le condizioni conservative da cui discenderanno le numerose possibili casistiche d’intervento (dal restauro alla reintegrazione, dalla riparazione alla ricostruzione fino, nei casi più complessi, alla delocalizzazione).
In particolare, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, si è declinata una “rigenerazione dei luoghi” attraverso la riqualificazione dei centri storici, con la presa di coscienza del valore del loro tessuto edilizio e monumentale e come riaffermazione della identità locale.
Soprattutto nell’ultimo decennio, il concetto di sviluppo, attuato attraverso programmi di rigenerazione urbana, si è affermato secondo un approccio integrato e partecipato al fine di rilanciare l’immagine territoriale dei centri storici non soltanto secondo una prospettiva economica e sociale, ma anche da un punto di vista culturale, con una particolare attenzione agli aspetti di tipo ambientale[8].
La complessità della sfida, pertanto, non è tanto trovare le persone e le competenze da dedicare a questa pratica (i nostri atenei, infatti, eccellono per competenze specifiche), ma piuttosto nel costruire una “cultura” volta ad ascoltare e capire i luoghi al fine della valorizzazione del contesto storico e testimoniale su cui insistono[9].
I territori colpiti dai recenti eventi sismici, con particolare riguardo agli eventi che si sono succeduti dal 2016 con il terremoto del Centro Italia che ha causato le maggiori conseguenze in termini di danni sul patrimonio edilizio, hanno costretto ad accelerare il pensiero sul futuro dell’armatura culturale del territorio: dopo una prima fase di risposta all’emergenza, avente lo scopo di proteggere e conservare il patrimonio culturale, la priorità è stata quella di ricostruire la “struttura base” del paese, vale a dire la propria comunità[10].
Rispetto al primo punto, nella realtà dei fatti, risulta difficile individuare una linea di condotta virtuosa nel rapporto prevenzione/restauro, dal momento che il restauro, inteso come azione diretta sul bene a seguito di una incapacità di prevenirne il danneggiamento, è immediatamente esigibile in termini di riparazione del danno, mentre, al contrario, la prevenzione si misura in termini negativi, vale a dire su danni che ancora non si sono verificati, ma che possono incidere direttamente sulla conservazione a lungo termine del bene stesso.
Quello che è più difficile, allora, è proprio avere una visione del “contesto” che sappia individuare le criticità su grande scala ed assicurare l’impiego di uomini, mezzi e risorse affinché si possa mitigare il rischio sismico, includendo nel ragionamento di prevenzione la dinamica dei suoli, gli schemi strutturali, le tecniche costruttive e le conoscenze storiche[11].
Rispetto al secondo punto, invece, si richiede che le strategie nazionali e locali pongano maggiormente l’attenzione sulla riqualificazione degli antichi tessuti insediativi al fine di porre in essere una necessaria trasformazione dei luoghi finalizzata ad assicurare la sopravvivenza delle comunità locali, nonché per mantenere vivo il senso di attaccamento e di appartenenza di una comunità agli spazi della quotidianità[12].
Questo obiettivo si pone come ancora più urgente nel caso delle aree interne che hanno subito i devastanti effetti del sisma e in cui il fenomeno di abbandono e spopolamento è divenuto inarrestabile[13].
In questo caso, il progetto di intervento può farsi realmente carico della valorizzazione del patrimonio culturale, inteso come una lettura stratificata della storia, non soltanto per proteggere il patrimonio culturale, ma anche per trasformarlo in un prevalente dato attrattivo dei luoghi[14].
Il progetto, allora, dovrà rivestire un ruolo che vada oltre i semplici interventi di demolizione e ricostruzione, abbandonando l’idea di ragionare meramente in termini di acciaio, cemento e legno e delle relative capacità prestazionali ed abbracciare una soluzione dinamica e capace di cogliere le enormi complessità ambientali che ci troviamo oggi ad affrontare e che non possono essere più eluse[15].
Ai fini della sicurezza sismica (e di un successivo intervento di miglioramento), assumono un ruolo fondamentale le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) del 2008[16] che indicano il percorso necessario per pervenire ad una conoscenza compiuta del manufatto che sia quanto più possibile completa, facendo attenzione a non eseguire indagini eccessivamente invasive, definendo, inoltre, i processi di riparazione o di intervento locale inerenti ai singoli elementi strutturali o, più in generale, alle porzioni limitate dell’organismo edilizio inteso come “contenitore” degli effetti causati dai terremoti in uno specifico contesto[17].
La questione di fondo sta nel rapporto architettonico e urbano che si vuole stabilire fra preesistenza, pur mutilata e frammentaria, e nuovi interventi. Questi possono essere graduati fra vero e proprio restauro, più o meno reintegrativo, e forme di ricostruzione di vario tipo, oscillanti fra il “come era, dove era” e le modalità di reinterpretazione più attuali.
Il progettista dovrà, dunque, documentare che non vengano apportate sostanziali modifiche alla struttura nel suo insieme e che gli interventi effettuati siano realmente efficaci[18]. Una architettura funzionale alla riattivazione della memoria identitaria comporta, dunque, che ogni edificio debba essere esaminato a partire da uno studio meticoloso delle fonti documentarie che lo riguardano, così che venga “interpretato”, vale a dire riconosciuto nei suoi valori irrinunciabili, potendone valutare le potenzialità di riuso[19].
Questo è evidente nel rapporto con il patrimonio architettonico antico in cui il progetto è chiamato spesso a fare delle scelte: mantenere il fascino evocativo del rudere, valorizzando la sua stessa riduzione a frammento, oppure ridare una funzione ed un utilizzo concreto alla sua fisicità[20].
Il presupposto essenziale per recuperare un centro storico, infatti, è che il recupero o la ristrutturazione non può riguardare soltanto il patrimonio architettonico, ma il recupero deve essere il legame tra antico e moderno, tra centro storico e resto del territorio, mediante azioni che tengano conto del fatto che ogni centro storico ha delle peculiarità e delle caratteristiche che sono dinamiche e mutevoli nel tempo.
Il riflesso di questa scelta sull’esistente, ossia il problema del rapporto diretto e concreto tra il vecchio e il nuovo, tra il recupero dell’autenticità o dell’utilità dell’innovazione, ha come prima conseguenza un effetto sul costruito, vale a dire su quelle parti del centro storico che, avendo subito solo danni di non grave entità, potranno essere interamente recuperate[21].
Qualora, invece, l’ambito di progettazione richieda di riconferire un nuovo carattere architettonico all’edificio, si dovrà trovare un punto di equilibrio tra le esigenze conservative e quelle trasformative secondo la logica basata sull’assunto che il modo migliore di conservare il patrimonio sia abitarlo (oppure visitarlo), riconsegnandolo al tempo presente e trasmetterlo ai posteri[22].
Tuttavia, la valutazione dello specialista (storico, architetto, geologo, archeologo, ingegnere, restauratore) non può limitarsi all’elaborazione a valle di un'unica relazione specialistica (quale, ad esempio, la relazione storica, la relazione geologica o la relazione strutturale) o di un semplice “giudizio dell’esperto”[23], in genere soltanto di tipo qualitativo, ma deve essere il frutto di una integrazione disciplinare realizzata a monte secondo un percorso metodologico condiviso tra le diverse discipline specialistiche[24].
Nel caso di un centro storico, ovvero di fronte ad un patrimonio edilizio diffuso di interesse storico, sia la metodologia di rilievo della vulnerabilità sismica che l'approccio alla problematica della riduzione del rischio, richiedono una revisione ed una integrazione che tengano opportunamente conto del valore e dei caratteri architettonici del tessuto edilizio, delle esigenze di conservazione, della presenza di una tradizione edilizia consolidata e della storia sismica del sito e del suo intreccio con l'evoluzione edilizia più recente[25].
Si tratta, dunque, di raccogliere tutte quelle informazioni, particolarmente importanti soprattutto in vista degli interventi di mitigazione del rischio, al fine di poter effettuare le opportune considerazioni e valutazioni relative alle scelte politiche di intervento e alle scelte tecniche, non soltanto in chiave di restauro o di puro consolidamento statico, ma anche di recupero e di rigenerazione del tessuto edilizio nel suo complesso, come un monumento da conservare e abitare[26].
In funzione del grado di approfondimento di indagine a cui si è giunti, saranno così individuati i livelli di conoscenza ed i relativi fattori di confidenza da utilizzare come ulteriori coefficienti di sicurezza che tengano conto di determinate carenze conoscitive nella determinazione dei parametri del modello di intervento.
Dalla stima della vulnerabilità sismica dei centri storici sarà così possibile non soltanto delineare strategie inerenti alla prevenzione sismica, soprattutto nell’ottica di delineare possibili scenari di danno, ma anche di definire strategie e priorità di intervento sugli edifici e di organizzazione dell’emergenza nell’immediato post-evento[27].
La ricostruzione è così intesa come opportunità per dare al territorio una nuova vocazione, puntando sulla cultura locale e sulle sue radici identitarie, attraverso l’elaborazione di progetti che aspirano ad una riattivazione economica dei paesi e dei borghi, puntando sul ripopolamento rurale, inteso non come mero “aumento del numero dei residenti”, ma come ripopolamento che comprende una più grande varietà di usi (turismo lento, cammini sacri, itinerari enogastronomici, ecc.)[28].
Pertanto, il percorso di rigenerazione dei centri storici è obbligatoriamente legato al coraggio di mettersi in discussione e alla capacità di rivoluzionare gli stilemi del passato per dare nuova vita alla storia dei piccoli paesi. Si può allora intuire come il tema sia straordinariamente complesso e non riguardi soltanto l’ambito dell’architettura e delle testimonianze artistiche a rischio, ma assuma una rilevanza politica, nel senso più nobile del termine, inteso come ricerca del bene comune.
Gli eventi sismici che si sono succeduti dal 2016 rappresentano un formidabile esempio di accelerazione del pensiero sul futuro e sull’impegno profuso da tutti per mantenere viva la parte di storia tramandata[29]. In altre parole, si vuole ripristinare la funzione antica del centro storico, ma intesa in chiave moderna di servizio alla comunità e al suo territorio.
La conoscenza del costruito storico, allora, deve essere totale: dal presente a tutti gli interventi che nel tempo sono intervenuti, fino alla configurazione originaria, individuando la risposta tecnica migliore per poter definire le proposte di intervento più corrette, tra cui l’importanza di operare nella tutela degli elementi architettonici, decorativi e costruttivi dell’edificato storico e nel sostanziale rispetto delle tecniche tradizionali, dei materiali preesistenti e della conservazione della propria identità territoriale.
- Recuperare l’abbandono: prospettive per la rigenerazione dei centri storici.
Come evidenziato nel paragrafo precedente, il recupero del centro storico, dei suoi monumenti e del suo abitato presuppone una visione olistica della rigenerazione urbana, non fermandosi soltanto al singolo manufatto e al suo riconosciuto valore storico, bensì dovendo necessariamente combinare il recupero del patrimonio architettonico con quello di tipo edilizio ed identitario[30].
Ne consegue che le metodologie di recupero e i relativi campi di applicazione debbano condividere tecniche, strategie e dimensioni strutturali di tipo diverso, legate però dallo stesso filo conduttore del rispetto dell’identità specifica dei luoghi e della comunità.
Il centro storico costituisce, dunque, un ambito territoriale estremamente delicato, dotato di una precisa identità urbanistica e di un elevato valore storico e testimoniale, riferibile sia al tessuto urbano, sia ad elementi del patrimonio edilizio di rilevante valore, nonché allo stesso tessuto sociale che vi insiste.
La fragilità dei contesti e dei territori è, infatti, dovuta non soltanto ai fenomeni naturali (terremoti, frane, alluvioni, incendi, siccità, ecc.) che creano situazioni di rischio sismico, idrogeologico ed ambientale, ma anche economica, in particolare nei territori interni, dove si riscontrano condizioni di vita e di lavoro precarie dovute allo spopolamento, all’emigrazione e alla generalizzata crisi economica[31].
Tutte le nostre città sono così interessate da fenomeni di abbandono e di dismissione che creano una fragilità che diventa sempre più evidente e determina uno stravolgimento del senso dei luoghi e delle città. A ciò si aggiunge, quale ulteriore elemento di complessità, che il patrimonio artistico ed architettonico del nostro paese è caratterizzato da una irripetibile singolarità, vale a dire da un insieme vasto e prezioso di valori e di beni altrettanto fragile che siamo oggi chiamati a custodire, proteggere ed innovare.
Quest’opera di protezione e di rinnovamento, tuttavia, si compie prevalentemente in un palinsesto ambientale già fittamente stratificato in cui le “nuove proposizioni” risultano abbastanza limitate, sicché il nuovo stato di cose da progettare deve essere all’altezza di un contesto che si presenta già chiuso e codificato secondo le proprie regole.
Ciò ci obbliga a verificare che gli strumenti che sono stati messi a disposizione, come le tecniche, le procedure, i materiali e le conoscenze, siano in gradi di saggiare l’efficacia e l’adeguatezza degli interventi, scoprendo, al contempo, anche le loro insufficienze e limitatezze.
Si percepisce così una vera e propria opposizione tra quella tradizionale “scatola di arnesi”, fatta di strumenti, saperi e regole estetiche sedimentate nel corso del tempo, ed il lascito architettonico e monumentale che i centri storici consegnano al presente e al futuro.
A ben vedere, parlare di recupero e di valorizzazione dei centri storici può essere quanto mai un tema attuale, soprattutto in un momento in cui il modello insediativo e di sviluppo dell’ultimo decennio è stato finalizzato prevalentemente all’espansione delle aree urbane.
La trasformazione della cultura dell’abitare, infatti, è divenuta nel tempo sempre più complessa e ha inserito i centri storici, in particolare quelli minori, in dinamiche abitative spesso contrastanti che li hanno visti interessati da diversi fenomeni quali l’abbandono e la sostituzione degli stessi abitanti[32].
Pertanto, un ritorno a vivere i centri storici, potrebbe certamente costituire uno degli elementi maggiormente efficaci per riportare ad equilibrio il territorio e per ridurre l’impatto di nuove urbanizzazioni, con enormi vantaggi per il sistema urbano e territoriale in termini di efficienza e di sostenibilità.
Si pone, allora, la necessità di definire politiche di intervento nei centri storici, finalizzate a modulare la tutela del contesto storico-urbano e del relativo patrimonio architettonico, con l’obiettivo di conservare il loro valore storico, non relegandolo semplicemente alla tutela e alla valorizzazione del singolo edificio, ma alla stessa impronta del suo tessuto urbano e alla qualità degli spazi pubblici.
Permane, tuttavia, l’idea che il recupero dei centri storici voglia solo dire limitarsi a scelte tecnicamente corrette, senza mai esporsi a scelte “pro-gettuali”, proponendo il valore estetico-formale come unico valore di una situazione di complessità.
Questo significa non dare spazio al nuovo, inteso come plusvalore, se non in termini di sperimentazione e di tecnologie ingegneristiche che sono doverosamente mantenute “sottopelle”.
La motivazione ricade, ancora una volta, nella volontà di ridare un aspetto presunto “originale” alla città e, nel caso di eventi calamitosi come i terremoti, rimuovere l’evento dalla memoria materiale della comunità. Questo si manifesta, dal un lato, nel piacere della popolazione di vedere i propri monumenti ricostruiti per recepire una parvenza di normalità e, dall’altro, per le istituzioni, come uno strumento per confermare la propria efficienza nei confronti dei cittadini, approfittando della “strada più semplice”[33].
La scelta di recuperare gli edifici storici (a maggior ragione se severamente danneggiati o distrutti) secondo i principi del “come era, dove era” dovrebbe allora essere vagliata secondo i criteri di sostenibilità ambientale, economica, sociale e culturale.
Sotto questo punto di vista, l’utilizzo delle nuove tecnologie può senza dubbio assumere un ruolo determinate nel potenziare la tutela e la valorizzazione dei centri storici, cambiando in maniera significativa, da un lato, la qualità dell’abitare e, dall’altro, nell’aumentare la competitività degli stessi centri storici, così da attrarre nuove risorse umane e finanziare, favorendo lo sviluppo economico, sociale e culturale.
Questo approccio a livello urbano porterebbe allo sviluppo di “mini smart-cities”, nonché ad una loro maggiore efficienza energetica in grado di aumentare l’attrattività dei centri storici nei confronti di una potenziale utenza di abitanti che, almeno fino ad oggi, non ha ancora preso in seria considerazione questa opportunità insediativa[34].
È evidente che queste visioni di rigenerazione urbana si fondano su politiche di governance, strategie e orizzonti temporali assai differenti rispetto ai modelli tradizionali che pongono al centro le municipalità, gli operatori economici e i cittadini.
Una visione veramente innovativa necessita, tuttavia, di intercettare le nuove onde dello sviluppo e del cambiamento tecnologico, sociale ed economico secondo orizzonti temporali assai più estesi rispetto ad un merco ciclo politico-amministrativo su cui sono fondati gli specifici investimenti commerciali[35].
L’analisi della realtà territoriale contemporanea, potrebbe allora risultare fondamentale per programmare nuove strategie di riconfigurazione del contesto territoriale per creare diversificate tipologie di spazi aperti[36].
Questi ultimi, siano essi paesaggi estesi o marginali, aree limitate o centrali, luoghi ibridi o atopici, si propongono, soprattutto alla luce della crisi economica occidentale, come ambiti geografici che, seppure disaggregati, si rendono disponibili ad accogliere sperimentazioni modificative per una nuova proposta di territorialità contemporanea, capace di misurarsi con una innovativa idea di qualità, sobrietà e naturalezza.
In tal senso, la riflessione sulla configurazione qualitativa dei centri storici, per sfuggire ad una condizione di banalizzazione, dovrebbe misurarsi con un ragionamento capace di intervenire sui modi di costruzione, di recupero e di ristrutturazione delle diverse parti che compongono, nel loro insieme, il territorio e i modi di connettere tra di loro le parti della città antica e contemporanea.
Il disegno, la storia, il restauro dell’architettura, la botanica e la geologia del territorio assumono, in questi casi, il ruolo di strumenti in grado di far emergere dall’oblio e dall’abbandono realtà naturali e costruite che ben potrebbero assolvere una nuova funzione nella società contemporanea, sia in termini di testimonianza culturale, sia in relazione ad un auspicabile sviluppo sostenibile degli ambiti territoriali in cui il patrimonio monumentale del passato esiste, resiste e persiste.
Tra gli ingredienti fondamentali di questa “ricetta”, al fine di perseguire questo sentiero di crescita, vi è l’eccellenza scientifica, culturale e tecnologica, nonché la mobilitazione di rilevanti risorse finanziarie pubbliche e private. Diviene, pertanto, essenziale la predisposizione di strumenti di policy per attrarre investimenti in questi campi della conoscenza innovative, oltre al perseguire politiche di public procurement finalizzate al sostegno di queste nuove traiettorie settoriali.
Tuttavia, dobbiamo chiederci se queste frontiere innovative sono compatibili realmente con le caratteristiche dei nostri centri storici e se possono davvero costituire una base rilevante per le strategie di rigenerazione urbana. Se in passato la città storica è stata la depositaria di molte arti e mestieri - sin dall’età dei comuni e del Rinascimento-, successivamente il fordismo manifatturiero ha generato un mondo della produzione fondato su elevate economie di scala, sulla standardizzazione dei prodotti, su una manodopera operaia generica e sulla creazione di quartieri localizzati nelle periferie urbane, allontanando così l’epicentro dello sviluppo dal centro storico[37].
A ben vedere, la terziarizzazione dell’economia, fondata sulle direttive dell’high tech e del cultural e creative industries, nonché la nuova modernità tecnologica delle città, basata sulle smart e green cities, possono contribuire alla rigenerazione dei centri storici[38].
Innanzitutto, va specificato che, come in qualsiasi altra strategia che ha per oggetto il territorio e le comunità ivi insediate, non si può prescindere da una integrazione fattiva e partecipata tra la politica, luogo privilegiato delle decisioni, e la programmazione socio-economica, la pianificazione urbanistica, territoriale e del paesaggio, la programmazione delle opere pubbliche e la pianificazione della mobilità.
Definire i criteri, gli indirizzi e le modalità per la perimetrazione dei borghi di particolare interesse storico, artistico e paesaggistico permette, infatti, di individuare i parametri e le regole del percorso di pianificazione urbanistica per la rigenerazione dei centri storici, a maggior ragione per quelli devastati dalle scosse sismiche.
Negli ultimi anni è stata così rilevata l’importanza di insediare i presidi scientifici e tecnologici in luoghi stimolanti, ricchi di fascino culturale, ambientale e paesaggistico con la conseguenza che l’identità di taluni centri storici può certamente attrarre una classe sociale, intellettuale e creativa[39].
Ciò significa che la città storica non deve riprodurre l’isolamento delle proprie mura, ma deve dotarsi di punti di snodo e di efficienti infrastrutture per “connettersi” con una rete scientifica, tecnologica e culturale sempre più di carattere globale.
Queste frontiere settoriali possono facilmente attingere ad un substrato di arte e cultura di tipo umanistico che è sedimentato nei centri storici così da attingere al passato per rinnovarlo e rivisitarlo in una veste tecnologica.
Infine, i centri storici sono dotati, nella maggior parte dei casi, di imponenti edifici ormai dismessi rispetto alle loro originarie vocazioni residenziali, commerciali o pubbliche (scuole, caserme, ospedali, ecc.) e, questi contenitori (spesso dotati di un fascino e di un prestigio storico-architettonico) sono funzionalmente in grado di ospitare le nuove “fabbriche” della conoscenza[40].
Si tratta, in altre parole, di ristrutturare e riqualificare questo patrimonio immobiliare inutilizzato o dismesso per destinarlo, almeno in parte, alle moderne traiettorie di sviluppo economico.
Ciò significa, tra l’altro, favorire non soltanto insediamenti di lavoro qualificato, ma anche opportunità residenziali per una classe sociale creativa e qualificata, capace di alimentare, in modo indiretto e indotto, nuovi consumi a favore dei servizi commerciali e ricreativi nello stesso centro storico.
Se a ciò si aggiungono le questioni di accessibilità, sostenibilità energetica e quelle che derivano dalle verifiche idrogeologiche, geotecniche, di sicurezza strutturale, quindi le riflessioni sugli aspetti sociologici, economici, politici e culturali, a quelli relativi alle prospettive future in termini di ripresa e sviluppo economico, di competitività, d’occasioni di lavoro e, in sostanza, di concrete opportunità di vita per chi tornerà ad abitare in luoghi già in fase di spopolamento, si può intuire come tutte queste sensibilità ed esigenze (non sempre spontaneamente concordanti) possono trovare un’efficace e risolutiva convergenza tramite il ricorso indispensabile ad una progettazione di qualità che sappia contemperare e ricondurre ad unità, anche funzionale ed estetica, le diverse istanze[41].
- Conclusioni: i centri storici per la rinascita dei borghi italiani
A ben vedere, già da tempo la letteratura scientifica sulla geografia urbana, si è rivelata attenta alle tematiche dell'ambiente storico e dei centri antichi immersi nel loro paesaggio naturale[42].
Assai spesso sono state invocate riforme e modelli che hanno avanzato una versione impoverita dell’uso urbanistico e che hanno fatto della cultura scientifica, della territorialità e dell’identità un’armatura culturale del territorio[43] quali elementi della legittimazione della pianificazione, senza tuttavia concentrarsi sul ruolo decisivo della classe dei servizi e delle dinamiche economiche all’interno degli stessi territori.
È evidente che da questo tipo di sensibilità non ci si sarebbe potuto aspettare la soluzione di tutte quelle problematiche economiche e sociali che fin dagli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso prefiguravano la decadenza della maggior parte dei centri storici, a cui si sono aggiunte addizioni edilizie improprie, eseguite sulla base di strumenti urbanistici applicati in modo dissennato[44].
Per queste ragioni, da molti anni in Europa si sta svolgendo una densa riflessione per l’avvio di una politica culturale del territorio relativa al valore del patrimonio culturale, al suo ruolo nella società moderna e come fattore di slancio verso il futuro, inteso quale elemento significante e generatore di memorie, valori e identificazioni[45].
Di conseguenza, servono nuovi approcci e prospettive imperniate sui focus disciplinari della rigenerazione urbana e territoriale, dello sviluppo rurale, del trasporto sostenibile, della twin transition e dell’adattamento e della mitigazione del cambiamento climatico[46]
Nonostante una generica attenzione per il problema dei centri storici da parte dei versanti più attenti della cultura, sono però mancati concreti indirizzi di intervento da parte della politica e delle amministrazioni pubbliche.
Le iniziative che si sono sviluppate sul tema da parte degli enti preposti si sono rivelate, infatti, disorganiche e caratterizzate quasi sempre da meccanismi complessi e che hanno prodotto esigui risultati.
Le amministrazioni pubbliche, che nelle situazioni ordinarie si sono generalmente rivelate largamente inadeguate nel favorire i processi spontanei ed autopromossi di rivitalizzazione dei centri storici, sono state invece fortemente sollecitate dal verificarsi di eventi calamitosi.
Nell’ottica della natura sistemica dell’ambiente costruito e delle relazioni interne ed esterne ad esso - date dal contesto, dal luogo e dal passato - è stato così possibile superare una logica limitativa e storicistica del centro storico a vantaggio di un approccio sistemico dell’intervento di recupero. In altre parole, è stata applicata la logica dei sistemi complessi delle città anche ai centri storici proprio perché attraverso essa è possibile leggere i paesaggi e le trasformazioni che si sono succedute nel corso del tempo.
Dove per costruire si intende realizzare ciò che prima non c’era, al contrario, per ricostruire si fa riferimento a dare nuovamente compiutezza, a costruire per integrare e completare il lacerato che permane, vale a dire continuare qualcosa che c’è ancora, ma decurtato di una sua parte essenziale a seguito di un evento che gliela ha sottratta[47].
Tuttavia, cercare di risolvere correttamente i problemi complessi accumulatisi da lungo tempo, a maggior ragione dopo un terremoto, vuol dire anche farsi carico di una analisi che deve necessariamente mirare a riconoscere le cause di questi mali così da preparare strategie di azione che analizzino il problema dalle sue radici, procedendo opportunamente con interventi calibrati a misura delle varie realtà e contesti, cercando al contempo la sinergia delle reti della comunità urbana[48].
Ciò al fine di evitare che parti del tessuto urbano diventino, in vari modi e in diverse situazioni, corpi separati dalle città[49].
In tempi recenti, l’interesse verso le questioni delle città storiche si è riacceso intorno alla dimensione delle aree interne e alla constatazione del loro progressivo e costante spopolamento e abbandono[50].
Il vastissimo patrimonio dei centri storici minori è così divenuto, allo stesso tempo, sia un tema irrisolto dagli attori pubblici che una potenziale risorsa economica in quanto ogni borgo abbandonato è, da una parte, testimonianza di rovine antiche e, dall’altra, di macerie contemporanee.
La conoscenza di questo patrimonio, allora, è il primo atto necessario per realizzare, prima, la loro sicurezza e, dopo, la loro conservazione e rivitalizzazione.
La conoscenza dei centri storici può e deve consentire di individuare le potenzialità latenti di ciascuna realtà e le azioni possibili per generare una economia sostenibile capace di assicurare una manutenzione realmente vincente di questi luoghi.
La prospettiva futura per i centri storici allora è quella della sperimentazione: alcuni di queste realtà diventano “contenitori” per nuove funzioni, senza subire eccessive trasformazioni, secondo la logica del turismo sostenibile, lento ed innovativo. In altre, si vedono tentativi di recupero da parte di nuove comunità stanziali, capaci di minimizzare il proprio impatto sull’ambiente, nella convinzione di un cambiamento radicale dei modi di vivere, nella piena sintonia con il territorio circostante grazie ad un approccio più rispettoso[51].
Infine, si pensi a quei centri storici che riscoprono il loro valore attraverso le esperienze culturali in ambito cinematografico o in cui si generano nuovi spazi per lo sviluppo dell’artigianato e dell’arte.
Pertanto, ogni decisione e azione di uso e di non uso diviene assolutamente cruciale nella valutazione della conservazione di un bene che per tempo ha vissuto la condizione dell’abbandono.
Nel caso dei centri storici abbandonati (o che a breve potrebbero raggiungere tale condizione) è centrale una riflessione su una serie di problemi che devono essere affrontati per riportare in primo piano le esigenze di pubblico interesse così che ne possano trarre giovamento sia il sistema paesaggio-ambiente che i cittadini.
Il recupero delle architetture abbandonate dei centri storici, costituisce, in tal senso, una grande sfida, individuando di volta in volta le potenzialità reali di questi luoghi per farne un punto di forza e indirizzare così la tutela verso la sostenibilità delle azioni e delle politiche pubbliche che devono necessariamente essere valutate nel lungo periodo[52].
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[1] Analista di supporto legale appalti presso Invitalia S.p.A
[2] L’attenzione al concetto di patrimonio culturale, infatti, nasce dalla consapevolezza del proprio background culturale e costituisce il presupposto imprescindibile per generare le spinte sociali dirette alla riappropriazione della tradizione dei popoli, poiché senza cultura non c’è coscienza e identità.
[3] Una geografia del patrimonio culturale può contribuire a colmare il deficit di territorialità che caratterizza le forme tradizionali di studio dei beni storici, artistici, archeologici o delle altre testimonianze di civiltà di cui il nostro paese è ricco. Affinché questa ricchezza venga effettivamente inserita nei processi di sviluppo sociale ed economico, ai diversi livelli, locale, regionale e nazionale, è necessario che se ne colgano le molteplici dimensioni, tanto in termini di analisi, quanto in termini di programmazione, con il concorso di una pluralità di punti di vista e di metodologia. Cfr. A. Cicerchia, Il bellissimo vecchio. Argomenti per una geografia del patrimonio culturale, Franco Angeli, 2022, Milano.
[4] Cfr. J. E. Raffaghelli, Apprendere in contesti culturali allargati. Formazione e globalizzazione, 2012.
[5] L’educazione al patrimonio culturale, dunque, deve essere intesa come una attività formativa formale e informale che, mentre educa alla conoscenza e al rispetto dei beni con l’adozione di comportamenti responsabili, fa del patrimonio oggetto concreto di ricerca e di interpretazione, adottando la prospettiva della formazione ricorrente e permanente alla cittadinanza attiva e democratica delle persone. Cfr. A. Bartolotti, M. Calidoni, S. Mascheroni, I. Mattozzi, Per l’educazione al patrimonio culturale, Franco Angeli, 2022, Milano.
[6] È possibile riconoscere subito due livelli di riflessione e di azione: quello sul singolo edificio o monumento e quello sulla città nel suo insieme, intesa come realtà collegata, ma diversa dalla precedente, per le naturali implicazioni di natura sociale e di vita che più profondamente entrano in gioco accanto a quelle di cultura e di memoria.
[7] Non tutti i terremoti lasciano traccia sulla struttura materiale degli edifici e, dunque, l’indagine potrà riguardare solo la parte degli effetti visibili causati dagli eventi sismici con intensità più considerevole sulle architetture storiche.
[8] Uno degli aspetti principali dei centri storici è l’essere in un campo di forze che vede contrapposte una condizione di deterioramento e una domanda di conservazione e trasformazione. La prima è frutto di varie tendenze, come ad esempio il degrado del contesto di riferimento, lo spopolamento del centro storico e la speculazione edilizia. La seconda dipende dalla volontà di valorizzare l’offerta culturale del centro storico, provvedendo al suo recupero generale e non soltanto dei singoli monumenti. Il presupposto essenziale, infatti, non deve essere quello di recuperare o ristrutturare soltanto il patrimonio architettonico, ma il recupero deve essere finalizzato a creare un legame tra antico e moderno, tra il centro storico e il resto del territorio, in considerazione che ogni centro storico ha una sua peculiarità. Cfr. M. Francini, M. Colucci, A. Palermo, M. F. Viapiana, I centri storici minori. Strategie di rigenerazione funzionale, Franco Angeli, ·2012.
[9] Le buone pratiche non possono, cioè, ridursi ad una serie di regolamentazioni di carattere tecnico, disciplinare e vincolistico, alle regole tradizionali di regolazione del suolo e alla manutenzione, ma devono essere legate ad una impostazione legata al contesto in cui vanno ad inserirsi.
[10] La portata devastatrice dei terremoti, infatti, non si limita alla demolizione dei centri abitati o alla distruzione demografica, ma mette in discussione le certezze delle popolazioni che abitano nei luoghi colpiti, imponendo scelte decisive per il futuro e dalle quali, attraverso visioni diverse, negoziazioni e conflitti si originerà un nuovo equilibrio. Cfr. A. Mela, D. Olori, S. Mugnano, Territori vulnerabili. Verso una nuova sociologia dei disastri italiana, 2017.
[11] Cfr. A. D’Amico, Ricostruzione post-sisma. Strategie di preparazione all'evento per i centri storici italiani, Edicom Edizioni, 2021.
[12] Il tema dell’identità territoriale si trova spesso affrontato nella letteratura anglosassone di stampo post-modernista, confluita nella new cultural geography. Se ne parla, soprattutto, in termini di identità sociale e culturale, ricorrendo ai concetti di “spazio” e di “luogo” sui cui interagiscono le strutture di potere. Sul piano operativo, ciò si traduce in una “identità del luogo”, definita sulle rappresentazioni o immagini condivise, a livello di gruppi o di comunità, relative al luogo in questione, e in una “identità di luogo”, intesa come quella parte di identità personale che deriva dall’abitare un luogo specifico. In tal senso, l’identità territoriale richiede di considerare il territorio nella prospettiva di chi lo vive, tenendo in considerazione la collettività locale. Si tratta, cioè, di comprendere quali forme e modi dell’abitare abbiano segnato quel territorio, evidenziandone le dinamiche e le problematiche, non escludendo la lettura del territorio in termini di caratteristiche ambientali e di assetti socio-economici. In tal senso, sarà possibile formulare una proposta concreta per individuare i caratteri identitari di un certo luogo e di ricostruzione dell’identità territoriale. Cfr. T. Banini, Identità territoriali. Questioni, metodi, esperienze a confronto, Franco Angeli, 2013.
[13] A dispetto dell’immagine che la vuole strettamente legata alla dimensione urbana, l’Italia è disseminata di territori di margine. Sono gli spazi in cui l’insediamento umano ha conosciuto vecchie e nuove contrazioni e dove il patrimonio abitativo è affetto da crescenti fenomeni di abbandono. Queste aree “interne” e “fragili” di margine rappresentano una grande questione nazionale in relazione alla dimensione metropolitana che rischia di offuscarle e spegnerle. Cfr. A. De Rossi, Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli Editore, 2019.
[14] Dopo il terremoto, nelle trasformazioni necessarie alla sopravvivenza delle comunità locali, il progetto riveste un ruolo molto importante perché è l’unico strumento che permette di preservare le storie e la memoria dei luoghi stessi. In altre parole, è l’unico strumento che consente di mantenere vivo il senso di attaccamento e di appartenenza di una comunità agli spazi della quotidianità. Cfr. G. De Pasquale, Progetto, memoria e futuro dei luoghi post-sisma, Università degli Studi di Roma Tre, 2020.
[15] Le diverse definizioni di territorio di ambiente hanno a che fare con un tema “unificante” che le accomuna, vale a dire il costante riferimento ad una collettività e alle sue specifiche interazioni con i luoghi. Questa tesi trova ampia specificazione nelle iniziative di sviluppo locale come riferimento progettuale costitutivo. Sul punto, si veda M. Imperio, M. Venditelli (a cura di), Complessità del territorio e progetti ambientali, Franco Angeli, 2006.
[16] Le Norme tecniche per le costruzioni (NTC) sono state approvate con il decreto MIT del 17 gennaio 2018, pubblicate sulla Serie Generale della Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2018. Si tratta di normative fondamentali in quanto definiscono i principi da seguire per il progetto, l’esecuzione e il collaudo delle costruzioni e specificano le prestazioni che gli edifici devono raggiungere in termini di resistenza meccanica e stabilità.
[17] Il naturale ripetersi di eventi sismici e la diffusione capillare di edifici storici ubicate in aree a rischio sismico caratterizzano buona parte del nostro territorio. Pertanto, il problema strategico è anche la salvaguardia del patrimonio culturale che coinvolge, oltre alla Protezione Civile, la sfera della ricerca e della conservazione. Appare quanto mai chiaro come la conoscenza della sismicità storica e dei suoi effetti su determinate aree possa essere ricostruita anche grazie ad una serie di tracce presenti sul territorio e nel patrimonio culturale edificato.
[18] Il progetto come pratica predittiva, basata sul metodo e sull’esperienza, non solo su quello di architettura, ma il progetto tout-court, agibile da parte di più attori e specificità professionali che si fonda su una assunzione “vera” di conoscenza, a partire dalla capacità dei suoi attori di stabilire relazioni che consentano il riconoscimento più completo delle condizioni della realtà. Cfr. M. Panzarella, Il ruolo del progetto nelle dinamiche down-up e up-down, in “Rigenerare a Sud, rigenerare il Sud. Atlante dei luoghi della rigenerazione urbana”, 2022.
[19] Cfr. P. Portoghesi, Architettura e Memoria. Teoria, progettazione, dibattito sulla città, arti visive, Gangemi Editore, 2016.
[20] La vicenda dei centri storici mostra la priorità dell’azione concreta, politica e civile, perché è proprio la partecipazione del presente negli spazi del passato che consente di rendere agibile, comprensibile ed accessibile il valore dell’eredità storica collettiva, contraddistinguendo un cambiamento collettivo di mentalità nei confronti dei beni culturali ereditati dal passato.
[21] Il recupero, inteso quale modalità di riappropriazione materiale e simbolica dello spazio, si dipana tra azioni di restauro, riuso, conservazione, valorizzazione e ripristino. La ricostruzione dell’impianto urbano e della sua evoluzione è uno dei passaggi obbligati della progettazione urbanistica finalizzata alla riqualificazione degli insediamenti storici. L’indagine storica del patrimonio edilizio conduce, infatti, ad una valutazione esatta dell’oggetto del recupero, suggerendo categorie di intervento appropriate nonché la soglia di effettiva operabilità.
[22] Il tutto, dunque, riconduce al ruolo prioritario del progetto e all’equilibrio tra attività conservative e trasformative sul costruito.
[23] Sicuramente, i terremoti avvenuti in questi ultimi anni in Italia, hanno dato un forte impulso agli studi sul rischio sismico. I processi del sisma si imprimono nei complessi architettonici che diventano elemento di comprensione e di conoscenza. Per ottenere questo tipo di informazioni ci si avvale della collaborazione di numerose discipline di stampo umanistico e scientifico che si legano e si trasformano in un complesso di informazioni di estrema utilità da impiegare, ad esempio, per la conoscenza del contesto di studio dal punto di vista storico, ma anche in riferimento a future analisi sulla vulnerabilità delle architetture e in funzione di una progettazione di interventi di restauro o, ancora, da punto di vista sismologico, per una migliore conoscenza della storia sismica e dei suoi effetti concreti sugli edifici e sul tessuto cittadino. Cfr. L. Alberti, R.M. Azzara, P. Clemente, Lessons from the past: the evolution of seismic protection techniques in the history of building, Annals of Geophysics, 62/3, 2019.
[24] Il piano della ricostruzione ha natura strategica e multidisciplinare: riesce ad abbattere i livelli di vulnerabilità quanto più la ricostruzione viene riconosciuta come parte di un processo pianificatorio più generale, teso a prevenire i danni e rimediare agli errori del passato, piuttosto che come mero atto conclusivo di un evento straordinario. Il processo ricostruttivo richiede, inoltre, il coinvolgimento di esperti di numerose discipline che devono poteri integrare al fine che gli obiettivi prefissato possano essere raggiunti. Sul punto, cfr. E. Valeriani, A. Bertelli, L’attività del Commissario Straordinario ed il futuro della ricostruzione del Centro Italia: una strategia sostenibile, 2017.
[25] L’esigenza è quella di recuperare un progetto efficace della città, vale a dire una reale capacità di interpretare e guidare i processi di trasformazione urbana.
[26] In questo processo si fondono modalità di approccio analitico e deduttivo che favoriscono la formulazione di schemi e di risultati. La trasversalità degli approcci detiene un valore fondamentale che richiede una salda interdisciplinarità delle analisi a cui corrisponde una coerente multidisciplinarità del progetto.
[27] La valutazione del rischio sismico nei centri storici richiede una particolare specificità, in quanto bisogna valutare la morfologia dei tessuti urbani e le strutture edilizie in cui convivono impianti strutturali, materiali e tecniche costruttive di epoche diverse. Una volta effettuata una accurata diagnosi sulle vulnerabilità del centro storico, si può elaborare un progetto di intervento che consenta di mitigare fortemente gli eventuali danni, considerano tanto l’edilizia residenziale quanto le rilevane architettoniche.
[28] Condurre una indagine soltanto sull’edificio antico e tenendo in considerazione esclusivamente il punto di vista strutturale o quello storico-architettonico crea, inevitabilmente, un eccesso di semplificazione che può arrivare ad inficiare i risultati dell’investigazione. Allo stesso modo, risolvere un problema strutturale a prescindere dalle necessità conservative del bene o, al contrario, trascurare i contenuti tecnici di una scelta di restauro producono un fallimento operativo. Cfr. A. Giuffrè, Valutazione della vulnerabilità sismica dei monumenti antichi: metodi di verifica e tecniche di intervento, 1988.
[29] Ciò assume ancora più rilevanza dal momento che l’area del cratere sismico interessa il territorio di 138 comuni ricadenti in quattro regioni (Marche, Abruzzo, Lazio e Umbria), molti dei quali montani e caratterizzati da fenomeni di abbandono e spopolamento, condizioni di marginalità e frammentazioni, inseriti nel sistema naturalistico e ambientale dei parchi nazionali dei Monti Sibillini e del Gran Sasso. Sul punto, cfr. S. Uras, La rigenerazione dei centri storici fragili: la dimensione strutturale e strategica della ricostruzione, 2022
[30] Cfr. E. M. Mazzola, Rigenerazione Urbana, Vertigo Editore, 2021.
[31] Si veda a riguardo, IFAU 2018, Territori fragili. Paesaggi, Città, Architetture, 2nd International Forum on Architecture and Urbanism, 2019.
[32] Si assiste in taluni casi all’inclusione di nuovi ceti sociali, talvolta composti da immigrati, ed altri viceversa composti da fenomeni di riuso, parziale o totale, a scopi meramente turistici e commerciali.
[33] Sul punto, cfr. M. Dezzi Bardeschi, Quell’ipocrita “dov’era, com’era”, Ananke, 4, 1994.
[34] I mutamenti degli ultimi anni hanno contribuito a riconfigurare, smaterializzandolo, il rapporto tra spazio urbano e relazioni sociali e, in tal senso, la nuova policy urbana si è evoluta verso una modernizzazione delle città allo scopo di renderle maggiormente sostenibili, competitive ed efficienti, in sintesi, “intelligenti”. In effetti, le città continuano a popolarsi, ma contemporaneamente urbanizzano la campagna. La logica della “green economy” permette di ritrovare un equilibrio ambientale, moltiplicando gli spazi di socializzazione informare, avviando progetto di riqualificazione culturale dei quartieri e dei luoghi abbandonati dal passato. La ricerca di nuovi equilibri emerge come un bisogno ineludibile, coerente con le tendenze storiche di fondo che, nell’epoca di conoscenza, valorizzano l’immateriale. Ne risulta, da un lato, lo sviluppo di nuove narrazioni, dall’altro, un ambiente che si arricchisce della tecnologia digitale, alleata della nuova produzione intellettuale e dell’imprenditorialità creativa. Sul punto, cfr. L. Rimoldi, L. D’Orsi, Etnografie delle Smart City. Abitare, relazionarsi e protestare nelle città intelligenti italiane, 2002.
[35] Ciò non significa adottare un approccio top-down senza nessun coinvolgimento dei vari segmenti della comunità, ma, al contrario, realizzare gli interventi mediante secondo una volontà collettiva di credere nella bontà delle proposte e nella esigenza di realizzarle nell’interesse del futuro della città.
[36] Cfr. G Agamberi, Che cos’è il contemporaneo? Nottetempo Editore, Milano, 2008.
[37] Cfr. B. Di Bernardo e E. Rullani, Apprendimento ed evoluzione nelle teorie dell’impresa, Stato e Mercato, n. 41, 1994.
[38] Quelle delle tecnologie di servizio delle smart cities non rimane soltanto una proposta che afferisce ai fondi comuni per la costruzione di spazi intelligenti e sostenibile tout court, ma l’occasione di una rilettura dei centri storici come luoghi generativi di comunità.
[39] Cfr. M. Cesaroli, Historical Small Smart City. Il recupero dei centri storici minori: una opportunità concreta (tra “modulazione della tutela” e nuove tecnologie, 2016.
[40] Cfr. B. Gabrielli, Il recupero della città esistente, Saggi 1968-1992. Etaslibri, 1993, Milano.
[41] Cfr. C. Brandi, Teoria del restauro, Torino 1963.
[42] Il tema dell’associazionismo dei cittadini per lo sviluppo e la rivitalizzazione dei centri storici, fino ad oggi, non è stato trattato direttamente da nessun filone teorico. Tuttavia, nella vastità della letteratura esistente, è possibile rintracciare quattro principali tematiche utili ad analizzare il fenomeno. La prima riguarda l’economia urbana. Questa ha trattato il problema dei centri storici, evidenziando problematiche quali l’inquinamento e la qualità della vita, i trasporti urbani e l’accesso ai centri cittadini, il mercato degli immobili e, più in generale, le problematiche legate alla localizzazione delle abitazioni (vedi Camagni, 1993; Mills e Hamilton, 1994 e O’Sullivan, 2003). La seconda si identifica con gli aspetti inerenti al marketing urbano. Secondo gli autori di questo approccio (vedi Ashworth e Voogd, 1995; Paddison, 1993) una città può essere assimilata ad un prodotto e come tale può essere venduta. Tuttavia, affinché ciò possa realizzarsi è necessario che i soggetti proposti a tale attività sappiano utilizzare strumenti di marketing idonei. La terza è la letteratura legata al settore del no profit che riguarda tutti quei soggetti privati che non hanno il profitto come finalità e che perseguono obiettivi di tipo sociale come l’intervento diretto dell’attore pubblico oppure il “mercato” attraverso le imprese (vedi Powell e Steinberg, 2006). Per ultimo, il principio di sussidiarietà completa la costituzione del framework teorico (vedi Donati, 2007);
[43] Cfr. M. Carta, L'armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, 2006.
[44] Cfr. S. Settis, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino, 2010.
[45] Tra le politiche dell’Unione europea che pongono l’heritage, nella sua accezione più ampia, al centro dell’attenzione dei paesi membri, il PNRR prevede specifiche misure e investimenti per valorizzare il patrimonio culturale e rilanciare i settori economici della cultura e del turismo.
[46] Serve costruire infrastrutture e sistemi di trasporto intelligenti, sostenibili e integrati a beneficio di tutti i cittadini e che superino gli svantaggi tipici dei centri abitati delle aree interne. È necessario attuare un modello di governance efficiente e misure specifiche per la condivisione, valutazione e monitoraggio degli interventi in grado di aumentare il livello di certezza, legalità e trasparenza degli investimenti.
[47] Sul punto, cfr. R. Picone, Memoria e identità culturale come strumenti per il ripopolamento: alcune esperienze, 2020.
[48] Cfr. L. Alberti, R.M. Azzara, P. Clemente, Lessons from the past: the evolution of seismic protection techniques in the history of building, in Annals of Geophysics, n. 62/3, 2019.
[49] Va comunque evidenziate che un accadimento distruttivo non determina automaticamente l’abbandono o la rilocalizzazione dell’insediamento, ma accelera drasticamente un processo già in atto, anche quando questo non si è manifestato in maniera evidente. Cfr. A. Paolella, Il riuso dei borghi abbandonati. Esperienze di comunità, Pellegrini Editore, 2019.
[50] Sul punto, vedi C. Verrazzo, Patrimonio fragile. Terremoti e abbandoni nell’Appennino centrale, Gangemi, Roma, 2023.
[51] Si pensi alle attività di ecovillage movements. Sul punto, si rimanda a https://ecovillage.org/.
[52] Cfr. P. Fiore, E. D’Andria, I centri minori: da problema a risorsa. Strategie sostenibili per la valorizzazione del patrimonio edilizio, paesaggistico e culturale nelle aree interne, Milano, 2019.