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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

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Considerazioni a margine: i contratti fideiussori “a valle” e la nullità c.d. “Antitrust”.

Di Giuseppe Maria Marsico
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Corte di Cassazione - Prima sezione civile

Ordinanza interlocutoria 30 aprile 2021, n. 11486

Considerazioni a margine: i contratti fideiussori “a valle” e la nullità c.d. “Antitrust”

Di GIUSEPPE MARIA MARSICO

 

Abstract - 1. Il caso - 2. Natura giuridica della nullità c.d. “antitrust”: la relazione tra intesa “a monte” e contratti “a valle” - 3. Definizione del perimetro applicativo dell’art 33 della legge n. 287/1990: legittimazione del consumatore all’azione di nullità e di risarcimento - 4. Conclusioni

 

Abstract in italiano: Il commento, dopo aver ripercorso gli orientamenti dottrinali giurisprudenziali sulla nullità c.d. “antitrust” sui singoli contratti fideiussori “a valle”, mira a evidenziare alcuni rilievi critici all’Ordinanza, legati principalmente alla natura giuridica della nullità de qua; lo stesso ha l’obiettivo di ripercorrere – in chiave critica e pratica – le diverse ricostruzioni ermeneutiche in tema di perimetro applicativo della L. 287/1990, con particolare riguardo alle nullità de qua. Certificata la fallibilità dei tentativi di accomodamento delle risultanze in ambito assicurativo alle intese bancarie, le S.S. U.U. dovranno pronunciarsi sull’ammissibilità di un’azione di nullità, riconosciuta anche in capo al singolo contraente privato, da affiancare, eventualmente, alla pretesa risarcitoria, e a definirne natura e consistenza.

 

Abstract in inglese: The comment, after summarizing the jurisprudential doctrinal orientations on nullity so-called "Antitrust" on individual "downstream" guarantor contracts, aims to highlight some critical findings to the order, mainly related to the legal nature of the nullity in question; the same has the objective of retracing - in a critical and practical-applicative key - the various hermeneutic reconstructions on the subject of application of Law 287/1990, according to to this nullity. Having certified the fallibility of the attempts to accommodate the results in the insurance sector to the banking agreements, the S.S. U.U.  have to rule on the admissibility of an action for nullity, also recognized by the individual private contractor, and, if necessary, by the claim for compensation, and to define its nature and consistency.

 

 


 

  1. Il caso

Il Sig. B. conviene in giudizio un noto istituto di credito per far dichiarare la nullità dei contratti di fideiussione a garanzia di un rapporto di conto corrente e di un rapporto di mutuo intercorrente tra la A. S.p.A. e la banca medesima. L’attore desiderava far accertare che gli artt. 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussione de quibus - che prevedevano la rinuncia ai termini di cui all'art. 1957 cod. civ. e la sopravvivenza della fideiussione alla inefficacia dei pagamenti o all'invalidità dell'obbligazione principale - erano stati predisposti dalla Banca in violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, in quanto conformi ad uno schema contrattuale concordato dall’Associazione Bancaria Italiana con alcune organizzazioni di tutela dei consumatori, come accertato dalla Banca d'Italia con provvedimento del 2 maggio 2005.

I diversi profili di interesse sono tutti riconducibili alla questione di fondo, relativa all’individuazione del tipo di nullità, essendo state prospettate, ex multis, diverse ricostruzioni ermeneutiche: la prima, ad esempio, è quella per cui sarebbe configurabile una nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, una nullità per illiceità dell’oggetto (limitata al vantaggio che l’impresa ha tratto dalla stipulazione del contratto a valle); come sarà approfondito in seguito, taluni esponenti della dottrina hanno ravvisato, al contrario,  una nullità derivata (riconducibile a quella dell’intesa a monte, in virtù del collegamento funzionale esistente con il contratto a valle); un terzo indirizzo ha ricondotto la nullità de qua  ad una species peculiare di nullità relativa di protezione (prevista a tutela del soggetto danneggiato dall’intesa, e quindi deducibile esclusivamente da quest’ultimo).

Altro profilo di notevole interesse è la possibilità di  estensione officiosa alle intese bancarie delle rimedialità “assicurative”, così come delineate in precedenti arresti giurisprudenziali.

Altra questione problematica affrontata nell’Ordinanza in commento è, altresì, la configurabilità di una nullità, in ragione della diversità delle parti del contratto “a valle”, rispetto a quelle dell’intesa “a monte”, e della conseguente difficoltà di stabilire se le prime avrebbero ugualmente prestato il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa: indagine che, nel caso della fideiussione bancaria, potrebbe risultare superflua, nel caso in cui si consideri che, nonostante l’espunzione delle predette clausole, la Banca possa avere interesse a conservare la garanzia, non essendo certo che il debitore sia in grado di offrirne altre in sostituzione.

Ulteriore profilo di interesse – connesso a quanto sopra delineato - è riconducibile alla definizione del perimetro applicativo dell’art 33 della legge n. 287/1990. Al centro della questione – assai dibattuta in dottrina e in giurisprudenza - è la possibilità di riconoscere anche al consumatore la legittimazione a proporre le azioni previste dal comma secondo della menzionata disposizione, nonostante la sua estraneità all'intesa anticoncorrenziale, ed ammettendo il concorso tra la tutela risarcitoria e l'azione di nullità, ritenuta proponibile non solo nei confronti dell'intesa, ma anche nei confronti dei contratti c.d. a valle

 

 

  1. Natura giuridica della nullità c.d. “antitrust”: la relazione tra intesa “a monte” e contratti “a valle”

 

I giudici di legittimità hanno rilevato che l’analisi della questione della sorte dei contratti stipulati in conformità di intese anti-concorrenziali, già più volte sottoposta alla Corte, anche a Sezioni Unite, ha condotto a risultati interpretativi tutt’altro che univoci e comunque ormai non più adeguati rispetto alla frequenza con cui il fenomeno tende a riproporsi ed alla multiforme tipologia dallo stesso assunta negli anni più recenti.

La nullità del contratto “a valle” è stata, inoltre, variamente giustificata dalla dottrina.

Vi è infatti chi ritiene che il negozio “a valle” attuativo dell’intesa si ponga in diretto contrasto con la norma imperativa che vieta le intese anticoncorrenziali

Altri ipotizzano un’invalidità derivata di secondo grado trasmessa a valle da un precedente contratto a monte.

Nella pronuncia che si annota, ancora una volta, come anticipato, la Suprema Corte si è basata sul presupposto - ampiamente riconosciuto dalla CASS. CIV. 4/2/2005 n. 2207 - che la legge antitrust abbia come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato. Il legislatore ha, infatti, inteso proibire in via generale la distorsione della concorrenza, che può essere anche frutto di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”, anche successivi al negozio originario, ma che realizzino un ostacolo al gioco della concorrenza[1].

Tale principio si rinviene e matura in ambito comunitario con l’adozione dell’Atto Unico Europeo del 1986, per poi trovare espressa menzione sia nel TUE del 1992 (Trattato di Maastricht) che nell’attuale TFUE (art. 3 e artt. 101 e ss.). Non si può poi non considerare che lo stesso ha trovato riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia ed è stato ribadito di recente dalla direttiva 2014/104/UE che riconosce al consumatore la legittimazione a domandare la tutela risarcitoria per il danno derivante da violazioni della disciplina antitrust europea e nazionale.

Indubbia la necessità di tutela del consumatore o parte debole, non ne risultano tuttavia immediatamente acclarate le conseguenze sulla sorte del contratto che dell’illecito antitrust sia stato veicolo[2].

La Cassazione, in taluni arresti, non esplicita, facendo un generico riferimento all’art. 1418 cod. civ. tout court, quale sia la ragione che porta a considerare nulli i contratti a valle, non chiarendo se la nullità di quest’ultimi sia una nullità derivata o viceversa diretta.

Secondo una diversa ricostruzione ermeneutica, si configurerebbe una cd.  nullità  di  protezione  che  determina  l’inefficacia  del contratto  a  protezione  di  solo  uno  dei  contraenti. La nullità  di  protezione è lo  speciale  rimedio  posto a  tutela  della  parte  contrattuale  debole  - stante la sua asimmetria informativa - contro  l’introduzione  di  clausole  abusive  che  determinano  un  significativo  squilibrio  nell’assetto  generale  del  contratto.  Tale  forma  di  nullità  rappresenta  una  deroga  rispetto  al  disposto  di  cui  all’art.  1421  c.c.,  il  quale  prevede  che  la  nullità  possa  essere  fatta  valere  da  chiunque  abbia  interesse,  introducendo il  concetto  di  relatività  delle  nullità, potendo  la  nullità  di  protezione  essere  fatta  valere  unicamente  dalla  parte  debole  destinataria  di  maggiore  tutela.  Tale  peculiarità  non  elimina  i  caratteri  propri  della  nullità  e,  quindi,  anche  quelle di  protezione  sono  rilevabili  d’ufficio, determinano  l’inefficacia  definitiva  del  contratto  e  le  azioni  sono  imprescrittibili.

Occorre rilevare, altresì, che la configurabilità di una nullità parziale - ravvisata nel caso in esame - in ragione della diversità delle parti del contratto “a valle”, rispetto a quelle dell’intesa “a monte” pone rilevanti problematiche pratico-applicative. Esse rendono ancora più difficoltoso – a differenza di quanto avveniva nei contratti assicurativi - stabilire se le prime avrebbero ugualmente prestato il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa[3].

L’Ordinanza in commento ha il pregio di evidenziare come la predetta tipologia di indagine, nel caso di specie, ossia della fideiussione bancaria, potrebbe, invero, risultare non risolutiva e finanche superflua: occorre considerare, secondo l’opinione di chi scrive, che, nonostante l’espunzione delle predette clausole, la Banca possa avere interesse – in concreto - a conservare la garanzia, non essendo certo che il debitore sia in grado di offrirne altre in sostituzione.

La Suprema Corte, nell’ordinanza de qua, pare superare la concezione per cui una fideiussione contenente clausole conformi allo schema predisposto dall’ABI e dichiarate contrarie alla normativa antitrust per violazione dell’art 2, comma 2, lett.a) della L. n. 287/1990 dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005, comportano la nullità dell’intero contratto, ai sensi dell’art. 1419 c.c (c.d.teoria della nullità totale).

L’Ordinanza – prima facie – sembra innestarsi nel filone giurisprudenziale che identifica nella nullità “antitrust” una nullità parziale a fini eminentemente protettivi.

La Corte di Cassazione sembra preservare la dichiarazione fideiussoria espungendo le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidevano sulla struttura e sulla causa del contratto, non ha pregiudicato la posizione dei garanti, che risulta meglio tutelata proprio in ragione della declaratoria di nullità parziale.

Nell’Ordinanza in commento, tuttavia, la Suprema Corte mitiga in parte il menzionato secondo orientamento, prendendo le mosse dall’art. 1419 c.c.[4]

La citata norma dispone in particolare, che la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.

Tanto premesso, la Corte di Cassazione evidenzia immediatamente come – nel caso di specie- non riesca a determinare effettivamente se si ricada o meno nell’alveo della nullità parziale o totale, vista l’eterogeneità degli interessi tra banca (desiderosa di conservare la garanzia) e cliente, parte debole (avente un interesse contrario).

La prima Sezione richiama i principi statuiti dalle Sezioni Unite, con CASS. CIV. del 4/2/2005 n. 2207, in materia di polizze di assicurazione. Le SS.UU. –come ripercorso dall’Ordinanza - furono allora chiamate a pronunciarsi sull’individuazione del giudice competente in ordine all’azione di restituzione del maggior importo versato a titolo di premio per una polizza di assicurazione r.c.a. stipulata in conformità delle condizioni stabilite dal cartello delle compagnie assicuratrici; le SS.UU., in particolare, ritennero che la competenza spettasse alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 33, rubricato “Competenza giurisdizionale”, della legge n. 287 del 1990. Tale indirizzo – che si ritiene di condividere in toto - ha riconosciuto altresì al consumatore la legittimazione a proporre le azioni previste dal comma secondo di tale disposizione ossia l’azione di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle relative disposizioni, nonostante la sua estraneità all’intesa anticoncorrenziale, ed ammettendo il concorso tra la tutela risarcitoria e l’azione di nullità, ritenuta proponibile non solo nei confronti dell’intesa a monte, ma anche nei confronti dei contratti c.d. a valle[5].

La prima Sezione della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021, richiamando quanto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza menzionata lamenta in maniera manifesta che le pronunzie più recenti avrebbero comportato un ingiustificato indebolimento del rapporto tra i contratti a valle (nel caso di specie, le fideiussioni) e l’intesa a monte di cui allo schema Abi.

L’Ordinanza, peraltro, ha il pregio di evidenziare come questa conclusione comporterebbe esiti contraddittori e illogici, avendo la più recente giurisprudenza affermato che dalla declaratoria di nullità di un’intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza - emessa dall’Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 - non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti; per altro verso la Corte non esclude che in concreto la nullità del contratto “a valle” debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 cod. civ. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite”. Stanti le menzionate peculiarità del caso concreto, la Suprema Corte giustifica la rimessione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell'art. 374 cod. proc. civ., affinché valuti – in concreto - la sussistenza dei presupposti per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite.

Si ritiene, sulla base del percorso argomentativo e logico-giuridico della Suprema Corte, che le SS.UU. – verosimilmente – opteranno per la qualificazione della nullità “antitrust” come “selettiva” e “protettiva”. A parere di chi scrive, si potrebbe prendere le mosse dall’argomentazione - estendendola in via estensiva – che – seppure in ambiti diversi da quelli in analisi (ossia in tema di contratti di investimento) - ha portato illustre dottrina (cfr. CASS. CIV. SEZ. UN., 4 novembre 2019, n. 28314, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Le Sezioni Unite e le nullità selettive: un nuovo spazio di operatività per la clausola generale di buona fede, cit., pp. 5-8), a definire la nullità de qua come “di protezione” o “selettiva”.

Non può negarsi che le due species di nullità, applicate alle intese anticompetitive (c.d. nullità Antitrust) e ai contratti di investimento, siano espressive di una medesima ratio. Essa consiste nel tutelare il consumatore (investitore-cliente), stante la sua posizione di debolezza strutturale, in considerazione della predetta asimmetria informativa.

Verosimilmente, le Sezioni Unite opteranno, dunque, per una risoluzione del presente caso, utilizzando le categorie generali del sistema del diritto civile, senza tralasciare la rilevanza e la centralità della clausola generale della buona fede oggettiva e della solidarietà sociale (artt. 1375 c.c., 1337 c.c. e 2 Cost.).

 

  1. Definizione del perimetro applicativo dell’art 33 della legge n. 287/1990: legittimazione del consumatore all’azione di nullità e di risarcimento

 

La Suprema Corte sembra porsi – anticipando, in parte, l’intervento delle Sezioni Unite - all’interno di un filone giurisprudenziale volto ad affermare la legittimazione in capo al sia dell’azione risarcitoria, sia di quella di nullità. La legittimazione del consumatore sussiste, dunque, anche nel caso in cui sia stata proposta un’azione restitutoria, ai sensi dell’art. 2033 c.c., poiché il soggetto che chiede la restituzione di ciò che asserisce di aver pagato per effetto di un’intesa nulla allega l’intesa anticoncorrenziale medesima, inidonea a produrre effetti, poiché nulla.

 In particolare, nell’Ordinanza in commento, si ribadisce come  già le Sezioni Unite, in tema di assicurazione RCA, riconobbero anche al consumatore la legittimazione a proporre le azioni previste dal secondo comma dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990, nonostante la sua estraneità all’intesa anticoncorrenziale. In tale ottica, dunque, si ammise il concorso tra la tutela risarcitoria e l’azione di nullità, ritenuta proponibile non solo nei confronti dell’intesa, ma anche nei confronti dei contratti c.d. “a valle”.

Si ritiene di aderire pienamente al predetto orientamento. 

Anche in tal caso, infatti, così come avvenuto per la natura giuridica della nullità “antitrust”, la Corte sembra aderire ad un orientamento di favor rispetto alle pretese del consumatore parte debole.

La Corte ripercorre – seppur brevemente - taluni arresti giurisprudenziali quali manifestazioni di una lettura estensiva e teleologica dell’art. 33 della L.287/1990. Prendendo le mosse da un orientamento giurisprudenziale maggioritario, la Corte, in particolare, definisce la L. Antitrust come “legge dei soggetti del mercato”, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere.

Invero, la Corte evidenzia come tale norma fu al centro di un annoso dibattito in tema di contratti assicurativi. La stessa  sottolinea, peraltro,  come – nel caso dei contratti di R.C.A. - fu rilevato che il contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti, in quanto attuativo della stessa.

In tal modo si rileva come ab absurdo negare la legittimazione del consumatore per ottenere la nullità dei contratti “a valle” e delle intese sarebbe come svilire la ratio stessa della L. 287/1990, ossia quella di assicurare il libero gioco della concorrenza, in ottica protettiva del consumatore, parte debole.

Si ritiene assolutamente non condivisibile una interpretazione restrittiva e letterale della disposizione citata. 

In tal modo, si otterrebbe un assetto prospettico – non rispondente alla voluntas legis - che vede privilegiata l’impresa operante sul mercato.  In altri termini, non pare condivisibile l’orientamento per cui la tutela prevista dall’art. 33, comma secondo, deve ritenersi preclusa al consumatore finale, il cui ruolo era destinato ad esaurirsi nella sollecitazione dell’esercizio dei poteri riconosciuti agli organi individuati dalla medesima legge, ossia all’Autorità Garante.

Diversamente si “spoglierebbe” il consumatore di una tutela adeguata ai propri interessi, ingenerando un palese squilibrio tra interessi, diritti e obblighi in capo alle imprese e al consumatore, a svantaggio di quest’ultimo.

Si ritiene, dunque, che non possa aderirsi  all’indirizzo risalente della Suprema Corte  per cui la citata norma sarebbe riferita esclusivamente alle intese anticoncorrenziali, e non anche i contratti a valle, i quali mantengono la loro validità, anche a fronte della dichiarazione di nullità dell’intesa, e potevano quindi dar luogo soltanto ad azione di risarcimento del danno da parte degli utenti[6].

Tale conclusione – condivisa dal predetto indirizzo – pare del tutto illogica. Non si vede quale tutela concreta possa ottenere il consumatore facendo dichiarare la nullità dell’intesa anticoncorrenziale, ove siano tenuti “in piedi” i contratti a valle. Essa sarebbe una “tutela fallace” e “fittizia”, dal punto di vista concreto.

Tale assunto sembra non porre la giusta attenzione sulle conseguenze pratico-applicative della nullità de qua. Pare chiaro – a parere di chi scrive - come la nullità dell’intesa debba provocare – in un’ottica di tutela concreta ed attuale del consumatore - la nullità derivata dei contratti “a valle”.

Una siffatta ricostruzione sembra essere in contrasto con   la tesi per cui il contratto quadro, può essere qualificato come contratto normativo con il quale si predetermina il contenuto di eventuali futuri contratti che le parti, però, non si obbligano a stipulare (se però tali contratti verranno effettivamente conclusi, sarà vincolante per le parti il contenuto previsto nel contratto normativo).

Peraltro, si ritiene che l’interpretazione restrittiva dell’art. 33 della L. 287/1990 con il differente indirizzo che  assimila il contratto quadro alla figura del mandato (art. 1703 c.c.); in tale ottica, gli ordini di acquisto costituiscono atti esecutivi di quest’ultimo, restando maggiormente dubbia la loro riconducibilità alla categoria del contratto.

Tale indirizzo letterale sembra, apparentemente e solo prima facie, maggiormente compatibile con l’indirizzo dottrinale che identifica gli stessi come  veri e propri contratti.

Una simile ricostruzione ermeneutica, come accennato, non sembra, tuttavia, minimamente compatibile con la ratio di tutela della libera concorrenza della Legge Antitrust.

Si ritiene condivisibile l’assunto per cui la L.287/1990 non è e non può essere soltanto la legge degli imprenditori e dell’impresa, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse (a fortiori del consumatore o fideiussore), processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere. Peraltro, non è possibile negare che il contratto a valle assurga a sbocco (e risultato vietato) dell’intesa. Esso è essenziale alla realizzazione degli effetti della stessa. Il contratto “a valle” è non solo manifestazione della estrensicazione dell’intesa, ma anche esecutivo e attuativo della stessa. E’ tale contratto attuativo-esecutivo che raggiunge e esplica il risultato vietato dalla Legge Antitrust: esso – in concreto - limita o elude la possibilità di libera scelta da parte del consumatore.

Si ritiene, inoltre, che la previsione del risarcimento del danno sarebbe meramente retorica se si dovesse ignorare, considerandolo circostanza negoziale distinta dalla “cospirazione anticompetitiva” e come tale estranea al carattere illecito di questa: al contrario, come già accennato, esso, nelle sue peculiarità, rappresenta lo strumento attraverso il quale i partecipi all’intesa (anticoncorrenziale e, in quanto tale vietata, rectius nulla) realizzano il vantaggio che la legge intende inibire[7].

La Legge Antitrust è funzionale ed efficace per la tutela del consumatore (cfr. art., 4 L. 287/1990.)[8]; in secondo luogo, l’illiceità dell’intesa tra imprese si ripercuote irrimediabilmente sul consumatore, parte debole, privandolo del suo diritto di scelta vera tra i prodotti che dovrebbero circolare nel rispetto del principio di libera concorrenza; in terzo luogo, la possibilità di scelta del consumatore è un “interesse rilevante” (in quale assume il carattere della concretezza e dell’attualità) per l’ordinamento giuridico. Esso integra quello che si definisce il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., rendendo quindi applicabile l’art. 33, l. 287/1990. La dottrina prevalente è, peraltro. concorde con l’interpretazione della Corte di cassazione, che ha qualificato il diritto alla concorrenza come un diritto soggettivo del consumatore, anche se vi sono orientamenti che si discostano da questa impostazione. Ad esempio una ricostruzione ermeneutica sostiene la nullità delle intese in quanto ritenute “oggetto” di comportamenti illeciti tout court.

Inoltre, vi è chi considera la violazione di legge antitrust come la “causa” di un illecito civile[9].

Occorre valutare se si tratti di “norme di validità” – come ritenuto da una rilevante giurisprudenza di merito- o “norme di condotta”, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità. A parere di chi scrive, la differenza d’impostazione e di ricostruzione non è irrilevante. Essa consiste nel fatto che nel primo caso il contratto non è valido, mentre nel secondo caso l’adempimento dell’intermediario verso il cliente è quella la ragione di risarcimento del danno. La conseguenza logica di ciò è che il contratto a valle attua direttamente l’intesa e quindi genera la fattispecie anticoncorrenziale contro la legge; il mancato rispetto di regole di condotta – al contrario - non genera un contratto contro l’ordinamento giuridico, ma mina . in via irrimediabile - le garanzie che devono tutelare il contraente “debole”, nella fase che precede la stipulazione del contratto stesso. Vi sono altre interpretazioni mediane e alcune che si limitano ad individuare nell’equità lo strumento più idoneo per dirimere le controversie di questo tipo.

 

 

  1. Conclusioni

 

 

Si ritiene tuttavia – analogamente a quanto affermato nella precedente connessa questione – che la tutela concreta consumeristica, non può che consistere nel far dichiarare nullo il contratto ex art. 1343 c.c., secondo una nullità definibile “di protezione”, come principio generale dell’ordinamento contro gli squilibri fra contraenti, riconducendo il diritto di richiesta della nullità contrattuale proprio solo al consumatore, una nullità relativa non totale, cioè idonea a sostituire la clausola che rende possibile l’abuso. Il medesimo ragionamento può essere esteso anche alle intese in ambito del contratto “a valle”. I privati si trovano spesso per vari motivi in uno stato di soggezione di fronte alle imprese

Si rientra nell’alveo dei “contratti c.d. asimmetrici” ovvero quei contratti, quali ad esempio i contratti del consumatore, i contratti tra professionisti o i contratti tra imprese, in cui la parti oggetto dello schema contrattuale sono fisiologicamente asimmetriche per forza negoziale, possibilità informativa, economica o relazionale.

In particolare, l’asimmetria si atteggia in maniera differente a seconda della qualifica della parte contrattuale e, infatti, nel caso in cui il contraente debole sia il consumatore, l’asimmetria è di tipo prettamente informativo, all’opposto, nel caso in cui sia l’imprenditore ad essere la parte “debole” del rapporto contrattuale, l’asimmetria sarà di tipo prettamente economico, in quanto si farà riferimento alla posizione dello stesso nelle operazioni commerciali, ovvero alla mancanza di alternative che il mercato offre al soggetto per poter scegliere liberamente con chi e come negoziare.

Il consumatore – come suesposto - rientra nella categoria del contraente debole, ovvero del soggetto che riveste una posizione contrattuale intrinsecamente inferiore rispetto a quella della controparte che, all’opposto, ha di fatto il potere di regolare liberamente ed unilateralmente gli aspetti del contratto.

L’intervento comunitario più significativo, volto alla necessità di tutelare gli interessi di un soggetto considerato “debole” dal nostro ordinamento, in quanto impossibilitato ad influire sul contenuto contrattuale che lo vede coinvolto, è rappresentato dalla Direttiva 93/13/CE in materia di clausole abusive inserite nei contratti tra consumatore e professionista che ha portato all’introduzione, all’interno del nostro codice civile, di un apposito capo intitolato “Dei contratti del consumatore” ex artt. 1469-bis ss. c.c.

Nello specifico, i contratti del consumatore, trattandosi generalmente di contratti istantanei, muovono dalla qualificazione formale delle parti, e cioè dalla debolezza strutturale e presunta del consumatore; diversamente i contratti tra imprenditori, che il più delle volte sono contratti di durata, si imperniano su criteri e modalità volti ad accertare in concreto il carattere “debole” di una delle parti contrattuali.

Tanto premesso, non può che condividersi la ricostruzione – che si ritiene sarà fatta propria delle SS.UU. - per cui il cliente-consumatore è sicuramente legittimato a proporre le azioni previste dal comma secondo dell’art 33 della L. 287/1990, nonostante la sua estraneità all'intesa anticoncorrenziale. Nondimeno, ciò è desumibile sulla scorta di una interpretazione teleologica della menzionata norma. (c.d. ratio di tutela e di protezione), che è immanente in tutto il sistema delle disposizioni della L. Antitrust, assieme alla finalità di assicurare il libero gioco della concorrenza. Tale finalità, invero, devono considerarsi come due volti della stessa medaglia. Non può assicurarsi l’una senza promuovere la seconda. Sulla scorta di quanto suesposto, si ritiene che –verosimilmente – le Sezioni Unite affermeranno – anche sulla base di una lettura sistematica e combinata del codice civile e della L. Antitust - il concorso tra la tutela risarcitoria e l'azione di nullità in capo al consumatore. Essa, pertanto, sarà ritenuta proponibile non soltanto nei confronti dell'intesa, ma anche nei confronti dei contratti c.d. a valle

Solo in tal modo – secondo l’opinione di chi scrive - potrà essere assicurata al fideiussore una tutela concreta e attuale, non già “fallace”.

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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[1] L’Ordinanza in oggetto affronta una problematica già dibattuta in CASS. CIV., Sez. I, 12/12/2017, n. 29810 in Rivista di Diritto Bancario, con commento di P. CARRIERE, Lo spinoso tema della validità delle fideiussioni omnibus nel recente orientamento della Cassazione. Non può non farsi menzione della decisione del TRIB. TREVISO, Sez. II, 26/8/2019, n. 1852, CASS. CIV. SS. UU., 4/2/2005, n. 2207 e CASS. CIV., 26/9/2019, n. 24044 in Banca dati Pluris

 

[2] Cfr CASS. CIV., 26/9/ 2019, n. 24044, cit. In tal senso anche, APP. BRESCIA 29/1/2019, n. 161, in banca dati DeJure; TRIB. MANTOVA, 16/1/2019. Est. Bernardi, in http://www.ilcaso.it/; CASS. CIV. 26/9/2019, n. 24044, cit.; CASS. CIV, 11/6/2003, n. 9384, cit., 275 ss.; in tema CASS. CIV.,. 13/2/ 2009, n. 3640, in Foro it., 2010, I, 1901; CASS. CIV. 20/6/2011, n. 13486, in Foro it., 2011, I, 2674.

[3] Si vedano ex multis G. CALABRESE, Fideiussione omnibus “a valle”: illecito antitrust e nullità (parziale?), in Nuova giur. civ. comm., 2019, III, 522; F. RALL, Nullità fideiussioni redatte su schema abi. Cassazione Civile, Sentenza n 13846 del 22 Maggio 2019, in https://www.expartedebitoris.it/nullita-fideiussioni-redatte-su-schema-abicassazione-civile-sentenza-n-13846-del-22-maggio-2019/; V. PISAPIA, Fideiussione omnibus e normativa antitrust. Prime considerazioni su Cassazione, 22 maggio 2019, n. 13846, in http://www.dirittobancario.it.: A. SGANZERLA, La Cassazione ribadisce la nullità delle fideiussioni omnibus redatte su schema Abi, in www.diritto24.ilsole24ore.com

[4] A. GUCCIONE, Intese vietate e contratti individuali a valle: alcune considerazioni sulla invalidità derivata, in Giur. comm., 1999, II, 449. L’autore rileva che le clausole trasfuse nei contratti stipulati a valle “costituiscono una violazione del principio di libertà di concorrenza che, in linea di principio, si configura come una delle caratteristiche della libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost. In tal modo risulta violato il cosiddetto ordine pubblico economico e la clausola contrattuale è nulla per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1343 cod. civ.”. Anche secondo L. DELLI PRISCOLI, La dichiarazione di nullità dell’intesa anticoncorrenziale da parte del giudice ordinario, in Giur. comm., 1999, II, 237, i downstream contracts sono “nulli, ex art. 1418, comma 2, c.c. per illiceità della causa perché conclusi in violazione della norma imperativa rappresentata dal comma 2 dell’art. 2 che vieta la fissazione concordata dei prezzi di vendita”. In tal senso già CASS. CIV., 1/2/1999, n. 827, in Danno resp., 2000, 1, 57 con nota di L. NIVARRA, “Interesse pubblico” e antitrust: qualche osservazione; in Giur. it., 1999, 1223 ss., con nota di B. LIBONATI, Intese orizzontali e aperture in tema di concorrenza e di mercato nella giurisprudenza della Cassazione; ivi, 2000, 939 ss., con nota di G. AFFERNI, Le intese restrittive della concorrenza anteriori alla legge antitrust: legge retroattiva o nullità speciale?

[5] In tal senso v. per tutti E. CAMILLERI, Contratti a valle rimedi civilistici e disciplina della concorrenza, Jovene, 2008. E. SCODITTI, Il consumatore e l’antitrust, in Foro it., 2003, I, 1128 che richiamando la sentenza CASS. CIV.  1/2/1999, n. 827 afferma che “la nozione di intesa eccede la pura dimensione negoziale, e si identifica con un dato comportamentale, «avente al centro l’effettività del contenuto anticoncorrenziale ovvero l’effettività di un atteggiamento comunque realizzato che tende a sostituire la competizione che la concorrenza comporta con una collaborazione pratica», in Foro it., 1999, I, 831, con osservazioni di L. LAMBO.  Nello stesso senso M. NEGRI, Il lento cammino della tutela civile antitrust: luci ed ombre di un atteso grand arret, in Corr. giur., 2005, III, 347. Recentemente, proprio in relazione alla vicenda della nullità del contratto a valle riproduttivo dello schema ABI, tenta una simile ricostruzione S. D’ORSI, Nullità dell’intesa e contratto “a valle” nel diritto antitrust, in Giur. Comm., III, 2019, 584/II il quale prendendo le mosse dalla circostanza che la Cassazione dichiara di condividere l’affermazione secondo cui l’art. 2, l. 10 ottobre 1990, n. 287, “allorché stabilisce la nullità delle «intese», non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.

[6] Il provvedimento in esame è l’ultimo atto di una vicenda iniziata con: CASS. CIV. sez. I, 26/9/2019, n. 24044 in Rivista di Diritto Bancario; TRIB. MILANO, 23/01/2020, n. 610 in Rivista Giuricivile; TRIB. DI BRESCIA, 23/6/2020, n. 1176 in Rivista Diritto del Risparmio; CASS. CIV. sez. I, 12/12/2017, n. 29810 in Rivista Diritto del Risparmio; CASS. CIV., sez. I, civ., 22/5/2019, n. 13846 in Rivista il Quotidiano Giuridico; TRIB. SALERNO, 5/2/2020, n. 480 in Rivista il Quotidiano Giuridico; APP. BARI, 15/1/2020, n. 45 in Rivista di Diritto Bancario.

Si veda anche CASS. CIV, 4/3/1999, n.1811, in Riv. dir. ind., 2000, II, 421, con nota di G. TASSONI, Le norme bancarie uniformi nel diritto della concorrenza; CASS. CIV., 13/4/2000, n. 4801 in Foro it. Rep., 2000, voce “Contratto in genere”, n. 367, 867; CASS. CIV, 11/6/2003, n. 9384, in Giust. civ., 2004, I, 275 ss., ove si legge “dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dall’Autorità antitrust ai sensi dell’art. 2, l. n. 287/1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti”; CASS. CIV,. 9/12/ 2002, n. 17475, in Riv. dir. comm., 2003, II, 325 ss. Nella giurisprudenza di merito, T.A.R. Lazio, 10/3/2003, n. 1790, in Foro amm. T.A.R., 2003, 906 ss.; TRIB. TORINO, 16/10/1997, in Banca borsa, 2001, II, p. 87

[7] Cfr. TRIB. ROMA, 24/02/ 1997, in Banca Borsa Titoli di Credito, 1999, II, 256, con nota di redazione di R. Pennisi; contra TRIB. ALBA, 12/01/1995, in Giur. it., 1996, II, 212 e ss., 225, con nota di G. ROSSI, Effetti della violazione di norme antitrust sui contratti tra imprese e clienti: si  afferma che la tipicità dei contratti bancari escluderebbe l’ipotesi di illiceità della causa

[8] Non può con citarsi come precedente CASS., CIV. Sez. Un.., 4/11/2019, n. 28314, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Le Sezioni Unite e le nullità selettive: un nuovo spazio di operatività per la clausola generale di buona fede, cit., pp. 5-8. Secondo l’Autore, la giurisprudenza, in tale sentenza, in tema di nullità della species selettiva, riduce la questione (della risolubilità e) della nullità selettiva a un giudizio di comparazione sugli investimenti complessivamente eseguiti: se i rendimenti degli investimenti non colpiti dall’azione di nullità superano il pregiudizio accertato per l’investitore, l’effetto paralizzante dell’eccezione è integrale; ove invece si determina un danno per l’investitore, anche all’esito della comparazione con gli altri investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l’effetto impeditivo opera nei limiti del vantaggio conseguito con detti investimenti

[9] Cfr. C. CASTRONOVO, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e Resp., 2004, V, 469 ss., ID., Responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 2018, 136 ss; G. GUIZZI, Struttura concorrenziale del mercato e tutela dei consumatori. Una relazione ancora da esplorare, in Foro it., 2004, I, 484; ID., Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, 109 ss.; F. LONGOBUCCO, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, Esi, 2009, 140 ss. A questa impostazione sembra aderire CASS. CIV.. 18 agosto 2011, n. 17351, in Giur. it., 2012, VII, 1548, con nota di T. FEBBRAJO, Contratti “a valle” dell’intesa antitrust e riconduzione ad equità del corrispettivo. V. MELI, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese concorrenziali, Giuffrè, 2001, 196 ss., per il quale il contratto “a valle” realizzerebbe l’abuso di un contraente sull’altro, da regolare secondo la disciplina stabilita dagli artt. 1425 ss. cod. civ.