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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Studi



Autotutela decisoria della P.A. ed annullamento d’ufficio.

Di Roberta Porcelli
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Autotutela decisoria della P.A. ed annullamento d’ufficio

 

Di Roberta Porcelli

 

 

  1. Forme di autotutela

Autotutela significa “farsi giustizia da sé”, senza ricorrere all’intervento del giudice.

L’ordinamento giuridico tende ad escludere la possibilità che i consociati possano sostituirsi al giudice ed anzi, agli artt. 392 e 393 c.p., sanziona chi, per ottenere il riconoscimento di un opinato diritto, anziché rivolgersi all’autorità giudiziaria, si faccia giustizia da sé, usando violenza sulle cose o sulle persone.

Tuttavia, il divieto di autotutela non riguarda la P.A., poiché tale potere si giustifica per la miglior cura

dell’interesse pubblico affidato1.

D’altro canto, il fondamento dell’autotutela amministrativa è tradizionalmente ravvisato nell’art. 97 Cost. ed in particolare nei princìpi di legalità e di buon andamento dell’amministrazione.

Si distinguono, ordinariamente, tre diverse forme di autotutela della P.A.:

  • l’autotutela sanzionatoria, che consiste nel potere di irrogare sanzioni, sia nel caso di violazione di obblighi o divieti generali (come si verifica in materia edilizia od ambientale), sia nel caso di inadempimenti delle regole di un rapporto giuridico (come accade per la decadenza di una concessione);
  • l’autotutela esecutoria, che consiste nel potere di eseguire unilateralmente e coattivamente i provvedimenti ed il cui riconoscimento generale si rinviene nell’art. 21-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, secondo cui “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge”.
  • l’autotutela decisoria, che consiste nel potere di riesaminare discrezionalmente i propri atti, sul piano della legittimità e/o dell’opportunità, al fine di confermarli, modificarli, revocarli od

Dall’autotutela decisoria, va tenuta distinta l’autodichia, ossia il potere di decidere procedimenti contenziosi riguardanti atti amministrativi (ricorso in opposizione e ricorso gerarchico)2.

Infatti, mentre nell’autotutela decisoria la P.A. rivaluta l’interesse pubblico alla luce degli altri interessi coinvolti ed a prescindere dall’insorgere di una controversia, nell’autodichia essa resta vincolata alla verifica dei vizi dell’atto addotti in un ricorso contenzioso ed alle conseguenze che ne derivano secondo la legge, senza particolari margini di valutazione discrezionale dell’assetto di interessi che ne possono derivare.

Per comprendere l’autotutela decisoria, occorre muovere dai concetti di efficacia, esecutività e validità del provvedimento amministrativo.

 

2.              Efficacia, esecutività ed esecutorietà del provvedimento amministrativo.

Ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 241 del 1990, “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile... Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci”.

Inoltre, l’art. 21-quater, comma 2, della legge n. 241 del 1990 prevede che “l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento di cui all’art. 21-nonies”.

Inefficace è, infine, il provvedimento nullo, ossia, quello che, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, “manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”. Ciò in quanto l’atto nullo non è idoneo ad alterare o modificare l’assetto delle situazioni giuridico-soggettive3.

Per quanto sopra, sono privi della caratteristica dell’efficacia i provvedimenti sanzionatori non comunicati e non aventi carattere cautelare ed urgente, gli altri provvedimenti limitativi della sfera giuridica non comunicati e non muniti di clausola di immediata esecutività, i provvedimenti sospesi ed i provvedimenti nulli.

A sua volta, l’art. 21-quater, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che “i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge

o dal provvedimento medesimo”.

E l’art. 21-ter, comma 1, della legge n. 241 del 1990, soggiunge che “nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge”.

Ne consegue che se l’atto è efficace, esso è di regola anche esecutivo ed eseguibile.

Come si vede, la norma lega le caratteristiche e dell’esecutività e dell’esecutorietà a quella dell’efficacia dell’atto e non già a quella della sua validità.

Il provvedimento amministrativo è valido se non è annullabile ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, della legge n. 241 del 1990 e, dunque, se non è “adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.

Tali vizi, ai sensi del comma 2, devono avere una consistenza sostanziale e non meramente formale.

L’invalidità dell’atto può essere statuita dal giudice o dalla stessa P.A., mediante l’adozione di un

provvedimento, giurisdizionale od amministrativo, avente natura costitutiva e non accertativa4.

Laddove l’invalidità sia disposta dalla P.A., essa presuppone una rivalutazione della situazione di fatto e di diritto esistente.

Tale rivalutazione avviene nell’ambito di un procedimento “di secondo grado”, il quale, lungi dal costituire una prosecuzione di quello sfociato nell’adozione dell’atto oggetto di riesame, costituisce un procedimento amministrativo del tutto nuovo, dotato di regole proprie, al cui esito la P.A. deciderà se confermare, sostituire, modificare o ritirare l’atto già emanato (nelle varianti: in tutto o in parte; con efficacia ex tunc o ex nunc).

Nel procedimento di secondo grado, che può essere avviato su iniziativa di parte o d’ufficio, è massimamente salvaguardato il contraddittorio tra i vari portatori d’interessi e la P.A., operando in pieno le guarentigie di cui agli artt. 7, 8, 9, 10 e 10-bis della legge n. 241 del 19905.

 

 

3.              Annullamento d’ufficio.

L’annullamento d’ufficio è disciplinato all’art. 21-nonies ed inerisce alle ipotesi in cui il provvedimento amministrativo sia affetto da vizi di illegittimità, non meramente formali ex art. 21-octies, comma 2.

Esso comporta la definitiva rimozione dell’atto, con efficacia retrodatata al momento della sua adozione.

E poiché gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo all’effettiva volontà dell’amministrazione ed al potere concretamente esercitato, rientra nel paradigma delle tradizionali categorie dell’annullamento d’ufficio qualunque atto di ritiro, con effetto ex tunc, adottato per vizi di legittimità, e ciò a prescindere dal nomen iuris adottato, dovendosi esso distinguere dalla revoca, che invece opera ex nunc ed in presenza di vizi di merito6.

La competenza ad agire è individuata in capo all’organo che ha emanato il provvedimento originario, ovvero ad altro organo previsto dalla legge.

Tuttavia, la sussistenza di un vizio sostanziale di illegittimità rappresenta il presupposto necessario, ma non sufficiente, affinché la P.A. dia avvio al procedimento di annullamento d’ufficio, e ciò anche a seguito di apposta richiesta del privato o di altra P.A., trattandosi di una scelta del tutto facoltativa ed incoercibile, dovuta al fatto che il provvedimento definitivo ha ormai cristallizzato una determinata situazione giuridica.

Non è dunque configurabile alcun obbligo di provvedere in capo alla P.A., la quale è titolare di un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, insindacabili da parte del giudice7.

Donde, l’inammissibilità della tutela giurisdizionale avverso il silenzio-inadempimento, di cui all’art. 31 c.p.a.8

Non solo, ma ove anche la P.A., nella sua libera autodeterminazione, divisi di dare inizio al procedimento di annullamento d’ufficio, la verifica della sussistenza di un vizio sostanziale di illegittimità non la obbliga a concluderlo con l’annullamento dell’atto.

Difatti, il comma 2 dell’art. 21-nonies indica, come possibile alternativa, la “convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.

D’altronde, l’esito del procedimento dipende dalla verifica di taluni presupposti: alcuni rigidi e vincolanti ed altri flessibili e duttili, giacché affidati ad apprezzamento discrezionale.

Quando tutti i presupposti per l’annullamento d’ufficio siano stati rispettati, la caducazione dell’atto con efficacia ex tunc rende inconfigurabile ogni forma di tutela patrimoniale risarcitoria in favore del privato già beneficiario del vantaggio, essendo da escludere che il ritiro di un provvedimento illegittimo possa costituire danno ingiusto9.

I presupposti rigidi e vincolanti fissati dall’art. 21-nonies sono due:

  • l’illegittimità sostanziale dell’atto da riesaminare, che dev’essere affetto da uno o più vizi, non

meramente formali, di incompetenza, violazione di legge od eccesso di potere.

L’illegittimità dell’atto può anche derivare dalla violazione del diritto dell’Unione Europea; in tal caso, secondo la Corte di Giustizia, l’autorità amministrativa nazionale ha l’obbligo di riesaminarlo, anche quando sia divenuto inoppugnabile ai sensi del diritto interno, a condizione che l’ordinamento nazionale conferisca tale potere10;

  • il rispetto del termine massimo di 18 mesi dal momento dell’adozione, se i provvedimenti da riesaminare consistono in atti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, formatisi anche per silenzio-assenso11.

La previsione del limite di 18 mesi si giustifica con la necessità di contemperare il bene costituzionale del rispetto della legalità, di cui all’art. 97 Cost. (da cui discende il potere di annullamento d’ufficio), con quello della libertà di iniziativa economica privata, di cui all’art. 41 Cost. (che è a fondamento della tutela dell’affidamento incolpevole del privato sulla validità dell’atto), mediante una configurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti, per le posizioni private originate da atti ampliativi12.

Il limite dei 18 mesi incontra tre deroghe espresse, enunciate:

  • all’art. 2, comma 3, lett. p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, che affranca l’annullamento

governativo per gravi motivi da qualsiasi limite temporale;

  • all’art. 39 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo cui la Regione, entro dieci anni dalla loro adozione, può annullare “le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione”;
  • al comma 2-bis, dell’art. 21-nonies, con riferimento ai “provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”, i quali “possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi di cui al comma 1”.

La giurisprudenza tende a dare una portata piuttosto ampia al requisito delle “false rappresentazioni

dei fatti”, ritenendolo configurabile anche in presenza del mero silenzio su circostanze rilevanti13.

Viceversa, il requisito dell’accertamento della falsità “con sentenza passata in giudicato” è stato oggetto di un evidente ridimensionamento interpretativo, essendosi affermato che esso è richiesto solamente nel caso in cui la falsa attestazione abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante.

Diversamente, l’annullamento può essere disposto anche in assenza di un accertamento penale definitivo, in presenza di attestazioni inesatte, imputabili esclusivamente al dolo della parte, equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente alla mala fede oggettiva14.

Venendo alle condizioni flessibili e duttili, esse sono costituite:

  1. dalla sussistenza di preminenti ragioni di interesse pubblico;
  2. dalla valutazione comparata e bilanciata degli interessi dei destinatari e dei controinteressati;
  3. dal rispetto di un termine ragionevole (ove, ovviamente, non valga il vincolo dei 18 mesi).

Con riferimento a queste, la giurisprudenza si è particolarmente soffermata sull’onere motivatorio che l’annullamento d’ufficio deve soddisfare.

L’atto, invero, dev’essere motivato anzitutto in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, diverso dal mero ripristino della legalità violata15.

Tale interesse pubblico va quindi comparato con le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari del provvedimento sfavorevole, pur nella consapevolezza che l’affidamento ingenerato nel privato, di per sé solo, non è preclusivo in assoluto all’esercizio dell’autotutela, laddove sussistano attuali, oggettive ed adeguate ragioni di interesse pubblico che giustifichino la rimozione16.

Appare, invece, definitivamente superata la tesi (già minoritaria) secondo cui, in sede di motivazione dell’annullamento in autotutela, occorrere riconoscere maggiore rilevanza all’interesse dei privati destinatari dell’atto ampliativo e minore rilevanza all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, i cui effetti si sono ormai prodotti in via definitiva17.

Infine, laddove non operi il limite dei 18 mesi, cosicché l’annullamento d’ufficio può intervenire anche a distanza temporale considerevole dall’adozione del primo atto, il requisito della ragionevolezza del termine impone di motivare adeguatamente circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti18.

 

 

NOTE:

1 F. Benvenuti, Autotutela (Dir. amm.), in Enc. dir., 1959; G. Coraggio, Autotutela (Dir. Amm.), in Enc. Giur. Treccani, 1989.
2 A. Travi, Decisione amministrativa, in Dig. Dir. Pubbl., 1989.
3 A. Bartolini, La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002; M. D’Orsogna, Il problema della nullità in diritto amministrativo, Milano, 2004.
4 G. Corso, Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993.
5 L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela non vizia il provvedimento finale, solo se l’interessato è venuto comunque a conoscenza del procedimento, sì da poter intervenire e presentare le controdeduzioni (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5168).
6 Consiglio di Stato, Sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6316.
7 Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 611.
8 Consiglio di Stato, Sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5199.
9 Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 3975.
10 Corte di Giustizia U.E, 13 gennaio 2004, in C-453/00, Kühne & Heitz.
11 Poiché il termine vincolante di 18 mesi è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della legge n. 124 del 2015, per i provvedimenti illegittimi precedentemente adottati esso non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 2019, n. 7080).
12 Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341.
13 Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374.
14 Consiglio di Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940 e Sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 849.
15 Consiglio di Stato, Sez. II, 16 dicembre 2019, n. 8500 e Sez. VI, 25 novembre 2019, n. 7989.
16 Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 agosto 2019, n. 5631.
17 Consiglio di Stato Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8, in materia di concessione edilizia in sanatoria.
18 Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5277.