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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Per l’Adunanza Plenaria, il concessionario della riscossione deve sempre conservare copia della cartella di pagamento, anche quando abbia notificato a mezzo raccomandata postale.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – ADUNANZA PLENARIA,

SENTENZA 14 marzo 2022, n. 4

 

Per l’Adunanza Plenaria, il concessionario della riscossione deve sempre conservare copia della cartella di pagamento, anche quando abbia notificato a mezzo raccomandata postale

Di ANNA LAURA RUM

 

Il Supremo Consesso, con sentenza n. 4/2022, nel sancire che il concessionario ha sempre obbligo di conservare copia della cartella di pagamento, anche quando notifichi a mezzo raccomandata postale, aggiunge che ove il contribuente richieda copia della cartella di pagamento e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario non si libera dell’obbligo di ostensione col rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare un’attestazione che dia atto dell’inesistenza della cartella, spiegandone le ragioni.

 

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le questioni di diritto oggetto dell’ordinanza di rimessione 3. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria n. 4/2022 4. I principi di diritto affermati dall’Adunanza Plenaria n. 4/2022

 

  1. I fatti di causa

I fatti di causa riguardano l’incompleto riscontro fornito da Equitalia a una richiesta dell’appellante avente a oggetto diciotto cartelle di pagamento. Il concessionario della riscossione avrebbe osteso la sola documentazione relativa alla notificazione, sul dichiarato presupposto che le cartelle fossero “estinte”, salvo che una, per la quale il medesimo ha rilasciato anche l’estratto di ruolo.

La vicenda, dunque, ha origine nell’impugnazione, dinanzi al Tar Lazio – Sezione di Latina - del diniego opposto da Equitalia, rispetto ad un’istanza di accesso agli atti riferita a cartelle di pagamento e finalizzata alla verifica dell’esatta corrispondenza tra le stesse cartelle ed il ruolo formatosi.

Il Tar di Latina ha respinto il ricorso, rilevando che il concessionario ha depositato in giudizio copia delle relate di notifica relative a tutte le cartelle richieste.

Contro la decisione del Tar, è stato proposto appello, contestando l’erroneità della sentenza, avendo la stessa dato valenza solutoria alla documentazione relativa alla mera attività di notificazione delle cartelle, senza considerare che queste ultime non sono mai state ostese.

La IV Sezione del Consiglio di Stato, investita del gravame, ha rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale e ha rimesso all’Adunanza Plenaria alcune questioni di diritto.

 

  1. Le questioni di diritto oggetto dell’ordinanza di rimessione

L’Adunanza Plenaria, con sentenza n. 4/2022, rileva che i dubbi della Sezione IV rimettente riguardino l’accessibilità della cartella di pagamento nelle ipotesi in cui, a causa di circostanze legate alle modalità di sua produzione (stampa in unico esemplare) e di notificazione (utilizzo di raccomandata postale), questa non sia più detenuta dal concessionario né riproducibile dallo stesso.

Il Collegio dà atto che la Sezione rimettente ha rilevato l’esistenza di una serie di precedenti giurisprudenziali che possono sussumersi in tre filoni.

Il primo filone si limita a constatare l’indisponibilità, in concreto, dell’atto, e giunge per questa via a negarne l’accesso, ritenendo comunque possibile quale adempimento surrogatorio e “liberatorio” da parte dell’amministrazione il rilascio di un “estratto di ruolo”. In questo senso, si è espressa la IV Sezione del  Consiglio di Stato con le pronunce: Cons. Stato, Sez IV, 26 maggio 2017, n. 2477 ; 7 agosto 2017, n. 3947¸ 1 luglio 2021, n. 5035.

Si osserva che questo orientamento poggia su due assunti teorici: la possibilità per il concessionario di conservare, in luogo di copia della cartella, la “matrice”, così come previsto dall’art. 26, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e la natura sostanzialmente certificativa della cartella di pagamento rispetto ai dati presenti nel ruolo informatizzato, dalla quale discenderebbe la valenza surrogatoria dell’ “estratto” di ruolo (riportante gli stessi dati del ruolo a suo tempo incorporati dalla cartella).

Il secondo filone giustifica la prassi del concessionario di non conservare la copia in caso di utilizzo per la notifica del servizio postale, ma impone al medesimo, sul presupposto dell’autonomia e infungibilità della cartella di pagamento, di rilasciare un’attestazione circa la non disponibilità dell’atto, non ritenendo equipollente, ai fini dell’accesso, l’estratto di ruolo. In questo senso, si è pronunciata, ancora, la Sezione IV del Consiglio di Stato, con le pronunce: Cons. Stato, Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; 20 novembre 2020, n. 7226.

Il terzo filone ritiene ingiustificata la mancata conservazione di una copia della cartella, evidenziando che la cartella di pagamento è un atto espressamente disciplinato dall’ordinamento, che assume valenza insostituibile nell’esecuzione esattoriale e che dunque non può non essere materialmente o digitalmente conservato negli archivi del concessionario emittente, altrimenti si determinerebbe una situazione contra legem. Così si è espressa la Sezione IV del Consiglio di Stato, con le pronunce: Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2422 e 26 febbraio 2021, n. 1667.

Si rileva che questo terzo filone pone a base del ragionamento la natura tipica e giuridicamente infungibile della cartella di pagamento, nonchè l’irragionevolezza di un sistema che fa dipendere la disponibilità dell’atto dalla scelta delle modalità di notificazione.

Dunque, si evidenzia che, se la notifica è effettuata a mezzo pec ovvero ufficiale giudiziario o messo comunale, il concessionario disporrebbe della copia conforme, cartacea o digitale (l’agente notificatore restituisce infatti l’esemplare conforme con le annotazioni di legge; così come il server di posta consente di mantenere in memoria il file trasmesso). Diversamente, se il concessionario utilizza la raccomandata postale, esso sarebbe esonerato dall’effettuare e conservare una copia cartacea.

In definitiva, le questioni sollevate all’Adunanza Plenaria dalla Sezione rimettente sono: a) se il concessionario possa essere esonerato dalla conservazione della copia della cartella di pagamento; b) se la cartella, ai fini dell’accesso, possa essere surrogata dall’estratto di ruolo.

 

  1. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria n. 4/2022

L’Adunanza Plenaria, preliminarmente, chiarisce che la cartella di pagamento va considerata come documento amministrativo accessibile ai sensi dell’art. 22 della legge 241/90 ed esclude che la stessa rientri nell’area dei procedimenti tributari per i quali lo stesso art. 24 della medesima fonte “esclude” l’accesso: secondo il Collegio, la cartella di pagamento presuppone la conclusione del procedimento tributario e rappresenta il primo atto dell’esecuzione esattoriale.

Si evidenzia, inoltre, che l’art. 24 non esclude “tout court” l’accesso per gli atti del procedimento tributario, ma dispone che esso debba svolgersi secondo le “particolari norme che li regolano”.

La Plenaria si sofferma, poi, sulla natura giuridica della cartella di pagamento, ritenendo influenzare i passaggi argomentativi necessari a dirimere la quaestio iuris: si ritiene che la cartella abbia funzione composita, che si riflette sulla sua natura giuridica.

Da una parte, è configurata quale strumento che nel procedimento di esecuzione esattoriale serve a portare a conoscenza del contribuente, mediante notifica, l’esistenza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione esattoriale e costituito dal ruolo. Si osserva che ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.

Il contenuto minimo della cartella di pagamento è previsto dall’art. 6 del DM 3 settembre 1999, n. 321 ed è costituito dagli elementi che “devono essere elencati nel ruolo […], ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al concessionario e del codice degli articoli di ruolo e dell'ambito”.

Dall’altra parte, la Plenaria configura la cartella di pagamento come incorporante anche il contenuto del “precetto” (tipico dell’esecuzione civile), nel contesto documentale di un modello conforme a quello previsto in via regolamentare, nonché le ulteriori informazioni necessarie o comunque utili per il contribuente.

In particolare, si cita l’art. 25, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che afferma che “la cartella di pagamento contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”, nonché “l'indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo”. Si riporta, anche la norma di cui all’art. 6 comma 2 del DM 321/99, che prevede le “avvertenze concernenti le modalità e i termini di impugnazione”.

Ancora, secondo la Plenaria, in alcuni peculiari e tassativi casi, la cartella di pagamento può rivestire funzione impositiva in senso sostanziale, assimilabile ad un atto di accertamento (viene riportato, a titolo di esempio, la cartella di pagamento emessa nell’ambito della procedura di controllo automatizzato delle dichiarazioni reddituali, ai sensi dell’art. 36 bis dal dPR 600/1973).

L’Adunanza Plenaria, quindi, ricorda quanto rilevato dalle Sezioni Unite, che in generale e salvo casi specifici,

“la notifica della cartella assolve uno actu le funzioni che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla notificazione del titolo esecutivo ex art. 479 c.p.c. e dalla notificazione del precetto” (Cass., sez.un., 14 aprile 2020, n. 7822).

Quindi, il Collegio conclude con la considerazione che la cartella di pagamento costituisce l’emersione documentale di uno snodo indefettibile dell’esecuzione esattoriale: laddove il legislatore ne ha ritenuto superflua l’emissione, lo ha espressamente sancito, conferendo all’atto impositivo (nella specie gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, IVA e IRAP) efficacia esecutiva e di contestuale precetto (cfr. art. 29 del decreto legge n. 78/2010).

Successivamente, la Plenaria si sofferma sul tenore testuale dell’art. 26, quinto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, contenente la disposizione speciale che regola l’accesso alla cartella di pagamento, che prevede che “Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione”.

La Plenaria definisce questa norma dal chiaro dato testuale: individua nel concessionario l’amministrazione che deve conservare il documento e lo detiene ai fini dell’accesso, circoscrive temporalmente gli obblighi di conservazione, individua i titolari del diritto d’accesso nelle parti del rapporto tributario (contribuente e amministrazione). Si nota, però, che l’unico elemento di incertezza è costituito dall’alternativa che la stessa pone tra due modalità di conservazione del documento: la copia della cartella, oppure la “matrice”.

Il Collegio evidenzia che il riferimento alla “matrice” è presente sin dalla prima emanazione della disposizione e allude, invero, a una modalità di produzione della cartella invalsa al tempo in cui il ruolo era ancora cartaceo (in sostanza la “matrice” era l’originale dalla cui compilazione scaturiva la “figlia” da notificare al contribuente): una volta “dematerializzati” i ruoli in forza delle previsioni di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e del D.M. 03 settembre 1999, n. 321, ha perso di significato e valenza applicativa, essendo la cartella divenuta un documento estratto a mezzo stampa dal ruolo informatico, secondo un modello predeterminato in sede regolamentare nei suoi contenuti e nel suo standard.

La Plenaria osserva che la modalità alternativa di conservazione dell’atto si concentri, dunque, di fatto, sulla sola modalità dell’effettuazione della copia della cartella e che il sistema informatico, come emergente dagli atti processuali, e riconosciuto anche in sede giurisprudenziale (per tutte, Cass. sez. III, 23 giugno 2015, n. 12888), consente, oggi, la stampa di un unico originale, probabilmente per evitare la duplicazione accidentale o dolosa del titolo: ne discende la necessità di un’azione informatica o umana che consenta di tenere traccia fedele e conforme del detto originale.

Secondo il Collegio, può trattarsi di una copia digitale, ossia il prodotto di una copia generata direttamente dal sistema informatico oppure scannerizzata dall’operatore a valle della stampa, ma dev’essere la riproduzione conforme dell’atto, non essendo possibile, ai fini dell’accesso, adempiere alla richiesta a mezzo del rilascio di un estratto di ruolo, ossia della mera stampa di dati estrapolati dal ruolo informatizzato, ma non “organizzati” in cartella.

Ancora, la Plenaria si conforma a quanto affermato dalla Cassazione (da ultimo Cass. Sez. V, 11 febbraio 2022, n. 22798) circa la constatazione che l’estratto di ruolo “è l'atto del concessionario, relativo al singolo contribuente, che non contiene alcuna pretesa impositiva, e non è specificamente previsto da alcuna disposizione di legge; si tratta di un elaborato informatico formato dal concessionario della riscossione, contenente gli elementi della cartella, e quindi anche gli elementi del ruolo afferenti a quella cartella, privo di pretesa impositiva”. In altri termini, l’estratto di ruolo è un documento caratterizzato da valenza ricognitiva del contenuto del ruolo, in ordine a posizioni individuali.

Il Collegio ricorda che dell’estratto di ruolo si sono occupati dapprima la giurisprudenza al fine di sondarne l’autonoma impugnabilità, sub specie in relazione al profilo dell’interesse a ricorrere ex art. 100 c.p.c. (SS. UU. n.19704/2015) e di recente il legislatore per affermarne l’inoppugnabilità salvo che in ipotesi di specifica lesività, tassativamente elencate. Il riferimento è all’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in legge 17 dicembre 2021, n. 215 (“L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”).

Ancora, si evidenzia che il rilievo peculiare e autonomo che sia la giurisprudenza che il legislatore hanno dato all’estratto di ruolo conferma che esso è un atto ontologicamente diverso dalla cartella di pagamento: il primo è un mero strumento di conoscenza, la seconda è un atto fondamentale del procedimento di esecuzione esattoriale che dev’essere notificato al contribuente e conservato in copia a cura del concessionario.

Corollario di tale ricostruzione è che ove il contribuente chieda accesso alla cartella di pagamento e questa rientri nel periodo di obbligatoria conservazione, è solo con il rilascio della copia della cartella di pagamento, e non con l’estratto di ruolo, che il concessionario adempie esattamente ai suoi obblighi di ostensione.

Il Collegio osserva che è anomalo che il concessionario si dichiari in grado di adempiere esattamente solo qualora egli stesso abbia scelto, quali canali di notificazione, l’ufficiale giudiziario, il messo comunale o gli agenti della polizia municipale, ai sensi del primo comma dell’art. 26 del DPR 602/73 cit., ovvero la PEC di cui al secondo comma del medesimo articolo, sul presupposto che esclusivamente in questi casi il procedimento notificatorio richiede o contempla la formazione di una copia.

La Plenaria non ritiene condivisibile la tesi secondo cui la disponibilità di un atto che la legge chiede di assicurare per un certo numero di anni sia obliterata a cagione della scelta della raccomandata postale quale canale di notificazione (modalità consentita dal comma 1 cit.) e ritiene irragionevole l’altra tesi per cui l’introduzione di una facilitazione nel procedimento di notifica farebbe implicitamente venir meno l’obbligo di generazione e conservazione di una copia cartacea o digitale.

In questo senso, la Plenaria si conforma all’orientamento della Corte Costituzionale, che, con sentenza 23 luglio 2018, n. 175 - nell’esaminare proprio i dubbi costituzionali relativi all’utilizzo da parte del concessionario della riscossione della modalità semplificata di notificazione "diretta", con consegna del plico al destinatario senza predisposizione di una “relata” che certifichi l’avvenuta consegna dell’atto – ha posto l’accento sul carattere dirimente della "effettiva possibilità di conoscenza" della cartella di pagamento da parte del contribuente ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.

Conformemente a quanto affermato dalla Consulta, nella sentenza richiamata, la Plenaria, ritiene che l’esigenza della effettiva possibilità di conoscenza comporta anche il dovere in capo al concessionario di esibire, a richiesta del contribuente, la copia della cartella che, proprio a causa delle modalità semplificatorie della notificazione “diretta”, egli assume di non aver conosciuto materialmente.

Il Collegio sostiene che la mancata predisposizione di un assetto organizzativo che consenta il rilascio della copia a suo tempo notificata direttamente a mezzo posta costituisce quindi una prassi contrastante con l’art. 26 sopra citato e dunque i concessionari dovranno porre rimedio con i necessari adattamenti e le opportune misure organizzative, anche in forza dell’art. 22 comma 6 della legge 241/90, che correla all’ “obbligo” di detenere (e non alla concreta detenzione) il diritto d’accesso.

Successivamente, la Plenaria chiarisce le conseguenze derivanti dalla violazione dell’obbligo di conservazione e detenzione, in forza della prassi organizzativa che renda non disponibile una copia della cartella suscettibile di ostensione e ritiene che in tal caso il concessionario dovrà rilasciare specifica attestazione della mancata detenzione della cartella, avendo cura di specificarne le cause, essendo evidente che l’obbligo di concreta ostensione incontra il limite della oggettiva possibilità.

 

  1. I principi di diritto affermati dall’Adunanza Plenaria n. 4/2022

L’Adunanza Plenaria, in definitiva, con sentenza n. 4 del 2022, in risposta ai quesiti sottoposti dalla Sezione rimettente, formula i seguenti principi di diritto:

“1) Il concessionario, ai sensi dell’art. 26 comma 5 del DPR 602/73, ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento, anche quando esso si sia avvalso delle modalità semplificate di diretta notificazione della stessa a mezzo di raccomandata postale;

2) Qualora il contribuente richieda la copia della cartella di pagamento, e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario non si libera dell’obbligo di ostensione attraverso il rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare una attestazione che dia atto dell’inesistenza della cartella, avendo cura di spiegarne le ragioni”.