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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Sul tempus regit actum per le sanzioni amministrative.

Di Carola Parano.
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE SESTA ORDINANZA di RIMESSIONE alla CORTE COSTITUZIONALE 14 maggio 2019, n. 3134

Sul tempus regit actum per le sanzioni amministrative

 Di CAROLA PARANO

Con l’ordinanza in esame il Consiglio di Stato definisce fondata la richiesta sulla legittimità costituzionale relativa all’art. 11 c.4 della L. 57 del 2001, in violazione degli artt. 3 e 117 c.1 della Costituzione, in riferimento alla introduzione di nuove sanzioni in materia di intese lesive della concorrenza o di abusi di posizione dominante sul mercato e sulla applicabilità retroattiva della disciplina più favorevole.

L’ordinanza si fonda sul divieto della intesa, vietata in quanto lesiva della concorrenza tra imprese ritenuta “molto grave”, tale da irrogare sanzioni amministrative pecuniarie applicando le maggiorazioni in caso di mancanza di pagamento entro il termine assegnato.

A seguito della pronuncia del TAR Lazio n. 12835/05 viene accolto il concetto di sproporzione delle sanzioni ai limitati effetti dell’intesa, annullando - così - la parte di sopravvalutazione delle conseguenze pratiche, pur mantenendo il concetto di gravità del fatto ma non di molta gravità.

Resta il problema della applicabilità della disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 11 c. 4 della legge n. 57/2001, che modifica l’articolo 15 della legge n. 287/1990 - che così recita: in caso di inottemperanza alla diffida l’Agcm applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato, ovvero di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del 10% del fatturato, mentre con l’introduzione dell’art. 11 le parole” in misura non inferiore all’un per cento e non superiore al dieci per cento” e le parole “relativamente ai prodotti oggetto dell’intesa o dell’abuso di posizione dominante“ sono soppresse.

Pur tuttavia, l’Autorità ha applicato le sanzioni ed i pagamenti applicando la normativa precedente alla modifica apportata dal su citato art. 11 della legge 57/01, sollecitando una nuova pronuncia del TAR che ne ha dichiarata la contrarietà al consenso di favor introdotta dalla legge del 2001, applicando il nuovo importo.

Quindi si è ritenuto di applicare un importo ritenuto proporzionato alla gravità ed alla durata dell’intesa senza la sanzione aggiuntiva inapplicabile se non vi sono le esigenze della sanzione principale e senza un ritardo imputabile al pagamento.

Tuttavia, venendo alle censure proposte dall’appello dell’autorità: la prima di tipo procedurale quale violazione del giudicato, proponendo invece la rideterminazione della sanzione.

La seconda sulla inapplicabilità retroattiva della norma più favorevole, la terza ritiene non conforme il ricalcolo sanzionatorio, la quarta e quinta esplicita che la maggiore sanzione non derivi dal ritardo nel pagamento, ma dalla effettività della sanzione - cioè dalla sua oggettività e dal ritardo ultra - semestrale rispetto al termine assegnato.

Il problema della irretroattività della pena più favorevole e la conseguenziale illegittimità costituzionale dell’art. 11 della l. n. 57 del 2001 investe la sezione del Consiglio di Stato sottolineando per un verso la giurisprudenza costante del Consiglio stesso e dall’altro nella mancanza di riferimento alla retroattività all’interno dell’art.11.

Pertanto, nel silenzio della norma, si dovrebbe ritenere non retroattiva ex art. 1 della l. 689/81 cui è seguita la sentenza n. 193 del 2006

Il problema si pone in riferimento al giudicato n. 5864/2009, nel quale si prevede la possibilità di escludere la norma più favorevole applicando, quindi, l’art. 15 della l. 287/1990, che però non deriva dalla legge, ma solo dall’effetto conformativo del giudicato.

Così recita la sentenza citata: l’accertamento della minore durata della condotta passibile di sanzione rende inapplicabile la disciplina sanzionatoria ex art. 15 della l. 287/1990 come modificato dall’art. 11 della l. n. 57/2001, non essendosi l’intesa protratta fino all’entrata in vigore della novella.

A ciò si aggiunge che l’art. 1 della l. 689/81 sancisce che le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati, in virtù del principio di legalità che implica l’assoggettamento della violazione alla legge del tempo ed esclude la retroattività anche più favorevole.

A ciò si aggiunge che con il giudicato si copre il dedotto ed il deducibile e quindi si impone l’effetto conformativo del giudicato stesso.

Un occhio particolare va, però, rivolto alla giurisprudenza penale secondo la quale nelle sentenze più rilevanti ricorda che ai fini di pronuncia di incostituzionalità il rapporto è esaurito quando si forma il giudicato, ma solo dopo aver eseguito l’ultimo frammento di pena.

Pertanto, la incostituzionalità di una norma può esser fatta valere fino a quando permane il rapporto esecutivo della stessa a prescindere che si sia formato un giudicato.

A questo punto non si può non richiamare il rapporto tra la certezza del diritto e la applicabilità della giusta pena dal momento che, in assenza di pronuncia sulla legittimità costituzionale, cade il principio della rieducazione della pena e quindi della responsabilità personale.

Il carattere penalistico della sanzione non può che ricadere sull’aspetto processuale del trattamento e quindi dal richiamo alla giurisprudenza su citata, aggiungendosi - però - che a fondamento della pronuncia della Corte costituzionale va fatto valere il diritto vivente e cioè la Corte di Cassazione che però è costante sulla irretroattività della norma sanzionatoria amministrativa più favorevole.

Di contro il Consiglio di Stato, con le ultime pronunce tipo la n. 63/2019, ha evidenziato il principio di lex mitior che opera per le sanzioni penali in applicazione degli artt. 25, 3 e 117 della Costituzione, per le quali è ragionevole che il medesimo fatto vada sanzionato allo stesso modo rimanendo irrilevante se il fatto venga commesso prima o dopo l’entrata in vigore della norma che lo penalizza in modo meno severo. 

A ciò si aggiungono i criteri Engel, sulla base dei quali le sanzioni qualificate come amministrative assumono il carattere sostanziale di sanzioni penali e quindi va assoggettata al relativo regime giuridico la sanzione qualificata come tale e quella che pur qualificata amministrativa comporti severità e abbia natura pari alla sanzione penale.

Se quindi, da un lato, questa Sezione del Consiglio di Stato dubita della conformità dell’art. 11 in relazione agli artt. 3 e 117 della Cost. e all’art. 7 della CEDU, poiché la norma se da un lato protegge dalla mancanza del rispetto della concorrenza e della correttezza del mercato, dall’altro prevede sanzioni uguali a quelle pecuniarie penali; dall’altro specifica che le sanzioni sono applicabili a imprese costituite in forma di persone giuridiche.

Ragion per cui appare fondato il richiamo alla Corte costituzionale nel dichiarare la illegittimità della nuova disciplina sanzionatoria che non contempli più il minimo edittale dell’un per cento del fatturato dell’impresa, non prevendo la retroattività di tale disciplina più favorevole.

Per tutti i motivi fin qui esposti viene richiesto l’intervento della Corte costituzionale, al fine di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n.57 del 2001.