ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Studi



La mancata “fiducia” non legittima la revoca del revisore dei conti.

Di Maurizio Lucca.
   Consulta il PDF   PDF-1   

NOTA A TAR LOMBARDIA – BRESCIA

SEZIONE PRIMA - SENTENZA 30 luglio 2019, n. 716

La mancata “fiducia” non legittima la revoca del revisore dei conti

Di MAURIZIO LUCCA

La sez. I Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza in esame, interviene per chiarire che la fiducia non può legittimare l’affidamento o la revoca del revisore dei conti dell’Amministrazione civica: la fiducia, in ambito amministrativo, deve esprimersi con una visuale diversa quando viene riposta in una funzione tecnica rispetto ad una appartenenza di natura politica, dove la fiducia può identificarsi come coerenza all’indirizzo politico.

In ambito tecnico, la fiducia deve intendersi come capacità di realizzare il fine pubblico, con professionalità e rispetto delle regole in chiave neutra e imparziale (ex art. 97 Cost.) più che adesione alle volontà dell’organo elettivo, senza alcuna valorizzazione all’aspetto di indipendenza e diligenza nell’esecuzione della prestazione.

L’elemento fiduciario nel rapporto intercorrente tra l’organo tecnico (revisore di conti) e il datore di lavoro pubblico che lo nomina (Consiglio comunale, peraltro a seguito di una scelta effettuata per estrazione da un soggetto diverso), non può trasmodare in una relazione eterodiretta ma deve reggersi su aspetti di ampia autonomia e terzietà, potendosi semmai limitarsi a ricevere direttive di carattere generale, per realizzare le quali si vale di ampia autonomia, distinguendosi d’altronde dalle nomine fiduciarie legate al c.d. spoil system (dirigenza a chiamata).

Si deve sottolineare, a tal proposito, che il dirigente pubblico deve essere preparato ad esprimere una capacità di direzione per l’esercizio di attività che debbono improntarsi ai principi canonizzati dalla Legge n. 241/1990, come parametri di legittimità, di economicità, di efficacia, di trasparenza e di pubblicità, dovendo garantire l’imparzialità e il principio di legalità sostanziale.

La nomina di organi tecnici di controllo interno si differenzia, quindi, dalla potestà di nomina dei dirigenti, che troverebbe base e ragione giuridica in un rapporto fiduciario che tende sempre più ad assimilarsi ad un rapporto sorretto dall’intuitu personae, al punto da non essere nemmeno motivata la sua mancata conferma o nomina[1].

Il revisore dei conti è un organo di controllo con il delicato compito di sorvegliare sulla corretta spendita di denaro pubblico e, pertanto, deve essere espressione di un alto livello di professionalità e di moralità tipico dei ruoli assolutamente neutrali, qual è quello del controllo super partes, non solo nell’interesse dell’Amministrazione[2], ma, altresì, nell’interesse pubblico generale, che si traduce, sul piano operativo, nel controllo sulla corretta applicazione della legge: in sostanza, svolge compiti di vigilanza e controllo in posizione di assoluta indipendenza e imparzialità rispetto all’Ente locale controllato[3].

Giova rammentare che è principio immanente in tema di cariche elettive, dei revisori dei conti degli Enti locali, quello che esclude la necessità del collegamento fiduciario tra organo che elegge ed organo eletto una volta perfezionata la nomina[4], nonché la revoca dei revisori dei conti è un tipico provvedimento di secondo grado, espressione di un potere di natura autoritativa, cui si applica la disciplina in materia di comunicazione di avvio del procedimento.

L’affidamento dell’incarico è, infatti, espressione del conferimento di un munus publicum correlato all’esercizio di poteri pubblicistici, appurata la natura pubblicistica dell’atto a monte di conferimento dell’incarico, se ne deve inferire che sullo stesso l’Amministrazione possa intervenire esercitando esclusivamente poteri di autotutela pubblicistica anche per evidenti ragioni di simmetria[5].

Va anche detto, che la revoca dell’incarico non comporta l’espressione di valutazioni discrezionali pure, perché la disciplina applicabile in materia delimita il potere di revoca riconosciuto all’Ente locale nel corso del rapporto, prescrivendo la revocabilità dell’incarico solo nei casi previsti dall’art. 235, comma 2 del D.Lgs. n. 267/2000: più che di discrezionalità amministrativa in senso proprio, la norma riserva all’Amministrazione l’apprezzamento di un profilo, quello relativo agli inadempimenti del revisore, che costituisce il presupposto fondamentale per l’esercizio del potere di revoca.

L’inadempimento si compone di due aspetti:

  • il primo, è un elemento di natura oggettiva e fattuale;
  • il secondo, è un giudizio di valore condotto in base ad un criterio di gravità, analogamente al criterio civilistico di valutazione della gravità degli inadempimenti contrattuali (ex 1455 c.c.), non essendo conforme ai principi di buona fede (applicabile anche nel diritto pubblico) e di ragionevolezza una interpretazione che consideri come inadempimenti anche quei fatti che siano di lieve entità (rispetto agli interessi dell’Ente locale)[6].

Nell’accertare l’inadempienza del revisore, l’Amministrazione comunale, pertanto, deve valutare anche l’incidenza dei fatti contestati rispetto agli interessi implicati nel rapporto: valutazioni che, se non qualificabili in termini di discrezionalità amministrativa pura, tuttavia, indubbiamente, sono connotate da opinabilità, quantomeno nella valutazione della gravità dei fatti addebitati.

Invero, il rapporto di fiducia dovrebbe saldarsi sul carattere professionale del soggetto individuato, basato sui requisiti di capacità, esperienza ed idoneità alla funzione, in modo che l’incaricato sia vincolato dalle sue responsabilità nella realizzazione degli obiettivi e dei programmi a servizio dell’Amministrazione e non subordinato a singole parti/fazioni politiche (seppure di natura istituzionale), come inevitabilmente si avrebbe nel caso di rapporti fiduciari interpersonali.

Fatte queste brevi premesse introduttive, un revisore dei conti impugna la delibera del Consiglio comunale di revoca anzitempo dello stesso per il venir meno della “fiducia”, che, nel caso specifico, sarebbe fondata sull’esito di un parere negativo (riferito ad una situazione creditoria nei confronti di una partecipata, con invito - non recepito - all’adozione di un piano di rientro), venendo così meno agli “obblighi” di fedeltà verso l’Amministrazione.

A ben vedere, secondo le indicazioni del D.Lgs. n. 267/2000 (art. 235, comma 2, del TUEL) «Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d)», non potendo, pertanto, revocare l’incarico di revisore dei conti ad nutum per ragioni di contrasto in ordine alle scelte dell’Amministrazione (rectius parere contrario), perché ne verrebbe alterato il corretto rapporto tra controllore e controllati, che le funzioni dell’organo di revisione devono assicurare[7], rilevando - nella sua chiarezza normativa – che le cause di revoca sono tipicizzate e indicate dalla norma.

In effetti, il revisore dei conti si era limitato a svolgere il proprio lavoro, rilevando una serie di anomalie e criticità finanziarie di bilancio («ha lamentato la violazione dei principi di veridicità e attendibilità del bilancio a causa della non rigorosa valutazione delle poste relative ai crediti nei confronti» della società lamentando, inoltre, «la violazione dei principi di congruità e coerenza del bilancio, in quanto, da un lato, il gettito previsto dal piano di alienazione degli immobili comunali non trovava corrispondenza nella parte delle spese, e appariva del tutto svalutato, e dall’altro risultava interamente applicato il risultato dell’esercizio precedente, senza ripartizione in fondi vincolati e accantonati. Per queste ragioni, e altre irregolarità minori, il parere sulla proposta di bilancio di previsione… è stato negativo»).

Il Sindaco alle perplessità manifestate dal revisore dei conti, precisava che la situazione era nota anche alla Corte dei Conti, e che erano in atto manovre di riequilibrio finanziario sulla difficile situazione finanziaria, concludendo con un invito rivolto allo stesso revisore di «collaborare con gli uffici comunali», ai sensi dell’art. 239, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 per includere nella proposta di bilancio «tutte le modifiche necessarie, in modo da sottoporre al consiglio comunale uno schema di deliberazione con il parere favorevole, o almeno condizionato».

Seguiva parere negativo e approvazione del bilancio con deliberazione consiliare, a cui seguiva altra deliberazione consiliare con la quale si dichiarava:

  • «la cessazione del rapporto di fiducia tra l’amministrazione» e il revisore dei conti;
  • disponeva la revoca dell’incarico e l’attribuzione ad altro revisore dei conti.

Il Tribunale, tiene a precisare che la finalità del ricorso non è la reintegrazione nell’incarico, con estromissione della parte controinteressata (nuovo revisore), ma la salvaguardia della propria onorabilità professionale, ergo l’oggetto della domanda è sostanzialmente l’accertamento della mancanza dei presupposti della revoca, con risarcimento in forma specifica del danno di immagine, assieme a una compensazione monetaria.

Il T.A.R. analizza la condotta mantenuta dal revisore dei conti nella sua attività istituzionale e non ravvisa alcun inadempimento ai propri doveri, ma solo l’espressione di un parere non in linea con le aspettative dell’Amministrazione: «si trattava di un parere professionalmente corretto, in quanto finalizzato ad anticipare l’avvio della procedura di riequilibrio finanziario».

Le indicazioni del revisore dei conti tendevano a rimarcare il dovere di cautela e di immediato intervento per garantire la stabilità e integrità finanziaria, incidendo in modo diretto e immediato sugli equilibri di bilancio, pena la potenziale violazione delle regole di sana gestione finanziaria, valori alla cui tutela è preordinata la funzione del revisore dei conti a cui spetta accertare, prevenire e segnalare tutte le irregolarità poste in essere suscettibili di pregiudicare l’ordine giuridico, traducendosi immediatamente nell’alterazione dei criteri dettati dall’ordinamento ai fini della sana gestione della finanza pubblica, rispetto all’esigenza manifestata dall’Amministrazione di rinviare la manovra di rientro.

In termini diversi, il revisore dei conti ha fatto il proprio diligente lavoro, donde manca il presupposto che possa giustificare la revoca dell’incarico per cessazione del rapporto di fiducia.

Da queste basi giuridiche e valoriali, si approda alla massima di diritto secondo la quale «in ambito amministrativo, con l’eccezione di alcuni incarichi pubblici espressamente individuati dalla legge, non rileva la fiducia soggettiva tra le persone. La fiducia è invece intesa in senso oggettivo, come coerenza tra la funzione rivestita e le azioni poste in essere sulla base della funzione».

L’inadempienza, contenuta nell’art. 235, comma 2, del TUEL, deve essere intesa come inadempimento agli obblighi della propria funzione, e solo violando un tale dovere può dichiararsi di non avere più fiducia con l’interessato revisore, divenendo concreta la impossibilità di continuare la collaborazione non interpretata lealmente dallo stesso, poiché non può spingersi la fiducia o la collaborazione con la richiesta «di concorrere, con un parere favorevole o condizionato, a procrastinare una situazione di squilibrio finanziario che richiede le misure straordinarie», ai sensi dell’art. 243 bis del D.Lgs. n. 267/2000.

Si potrebbe affermare l’esatto contrario, ovvero ritenere legittima la revoca quando il revisore dei conti non indica tempestivamente le misure da adottare per l’immediato riequilibrio finanziario.

Alla luce delle considerazioni che precedono, viene annullato il provvedimento di revoca come richiesto dal revisore ricorrente (l’accertamento dell’illegittimità della revoca, accertamento che costituisce anche risarcimento in forma specifica del danno di immagine, in quanto reintegra l’onorabilità professionale) che non travolge, tuttavia, la nomina del nuovo revisore dei conti[8], né interrompe la continuità tra il nuovo revisore e le nomine successive.

Il pregio non apparente della sentenza n. 716 del 30 luglio 2019, della prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, è quello di aver indicato il valore cogente dell’indipendenza del revisore dei conti nella sua attività collaborativa, che non può essere sottomessa alle pretese dell’Amministrazione quando viene in discussione il suo ruolo e la sua professionalità, garante della buona amministrazione.

Asservire la fiducia alla terzietà è svilire la stessa funzione istituzionale a garanzia della stabilità e degli equilibri della finanza pubblica, impoverendo un compito che è positivo (nel senso di attivo) al servizio dell’interesse pubblico e non di una volontà politica (ex art. 98 Cost.), specie quando rinvia decisioni che incidono la stabilità economico finanziaria dell’Ente locale: la fiducia e il servizio non possono confondersi con il “servilismo” (ovvero, quella disposizione a obbedire e ad assoggettarsi alla volontà e ai desideri altrui; ad es., per gli storici, quello del senato romano durante l’Impero), pena la rimozione dall’incarico.

 

Note:

[1] Cfr. Corte Costituzionale n. 23 del 22 febbraio 2019, riferita alla dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 1, del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione. Vedi, LUCCA, La leggerezza dello spoils system del Segretario comunale, segretaricomunalivighenzi.it, 25 febbraio 2019.

[2] L’art. 239 del TUEL prevede, al comma 1, lettera a), tra i compiti del revisore dei conti, l’«attività di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento».

[3] T.A.R. Marche, sez. I, 16 marzo 2018, n. 186.

[4] Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2017, n. 677.

[5] C.G.A.R.S., 22 dicembre 2015, n. 736.

[6] T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 6 maggio 2019, n. 391.

[7] Cons. Stato, sez. V, 9 maggio 2018, n. 2785.

[8] Quest’ultimo deve essere certamente qualificato come parte controinteressata, atteso che tale qualifica dev’essere riconosciuta a quei soggetti che siano portatori di un interesse qualificato alla conservazione degli effetti prodotti dal provvedimento impugnato e che abbia natura uguale e contraria a quella del ricorrente, Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2016, n. 1184; 6 ottobre 2015, n. 4654; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 3 giugno 2019, n. 2983.