Studi

L’illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari: brevi considerazioni in merito alla sentenza n. 84 del 2023 della Corte costituzionale.
Di Giuseppe Berretta
L’illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari: brevi considerazioni in merito alla sentenza n. 84 del 2023 della Corte costituzionale.
Di Giuseppe Berretta
Abstract
Il lavoro si propone di esaminare i riflessi sui rapporti di lavoro instauratisi in applicazione di norme dichiarate illegittime costituzionalmente, affrontando il tema della efficacia ex nunc o ex tunc della sentenza di accoglimento emessa dalla Corte costituzionale.
The paper aims to examine the repercussions on labor relations established in application of rules declared constitutionally illegitimate, addressing the issue of ex nunc or ex tunc effectiveness of the upholding judgment issued by the Constitutional Court.
Contratto di lavoro; ASU; regione Sicilia; nullità contratto.
Sommario: I. La disciplina regionale siciliana in tema di stabilizzazione dei cd. ASU al vaglio della Corte Costituzionale. – II. La sentenza 8 marzo 2023, n. 84, della Corte Costituzionale. - III. L’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento secondo la giurisprudenza costituzionale. - IV. Il limite dei “rapporti esauriti”, con riguardo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme di stabilizzazione di lavoratori precari della PA.
- La disciplina regionale siciliana in tema di stabilizzazione dei cd. ASU al vaglio della Corte Costituzionale.
Con sentenza dell’8 marzo del 2023, n. 84 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima costituzionalmente la normativa regionale siciliana di estensione ai lavoratori impegnati in attività socialmente utili (cd. ASU) della disciplina introdotta per la stabilizzazione dei cd. lavoratori socialmente utili (LSU).
Nello specifico, con i commi 292 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, il legislatore nazionale ha legittimato la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili (LSU) e dei lavoratori impegnati in attività di pubblica utilità (LPU), già titolari di un rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica. Il legislatore regionale, attraverso l’art. 36 della legge regionale n. 9 del 2021, ha esteso l’ambito di applicazione di tale disciplina ricomprendendovi anche quei soggetti il cui impiego da parte della Regione e dei Comuni sia avvenuto in base a convenzioni e protocolli e non in virtù di un contratto di lavoro con l’ente, ovvero sia i cd. ASU.
La legge regionale così recita: “I soggetti di cui al comma 1 possono essere stabilizzati dagli enti utilizzatori a tempo indeterminato anche con contratti di lavoro a tempo parziale, secondo i parametri contrattuali minimi previsti dalla legge e dal CCNL di riferimento. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il dipartimento regionale del lavoro dell'impiego, dell'orientamento, dei servizi e delle attività formative provvede all'assegnazione dei soggetti di cui al comma 1 che svolgono attività socialmente utili in virtu' di protocolli o convenzioni. (…)
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di illegittimità dell’art. 36 della l. reg. siciliana, n. 9 del 2021, ritenendo che esso violi l’art. 3 Cost., per contrasto con il principio di uguaglianza, e l’art. 81, co. 3, Cost. per violazione del principio di copertura delle spese, ed infine, l’art. 117, co. 2, lett. e), Cost. con riguardo alla materia di armonizzazione dei beni pubblici (anche in relazione all’art. 38, co. 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, n. 117, co. 2, lett. l)), e con riguardo all’ordinamento civile, e co. 3, cit. con riguardo alla materia coordinamento della finanza pubblica, e in riferimento all’art. 14, co. 1, lett. q), dello Statuto della Regione siciliana.
- La sentenza 8 marzo 2023 n. 84 della Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 84 del 2023 della Corte Costituzionale ha censurato la normativa siciliana sotto molteplici profili.
Per quanto concerne la censura mossa in ordine alla violazione dell’art. 117 co. 2, lett. l), Cost., la Corte costituzionale l’ha considerata fondata atteso che la materia dell’ordinamento civile, la cui competenza legislativa spetta in via esclusiva allo Stato, afferisce anche l’ambito del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici, ricomprendendo tutte le disposizioni in tema di regolazione del rapporto di lavoro, al fine di garantire l’operatività di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale;
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto sussistere la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., il quale “impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorre sempre indicare i mezzi per farvi fronte”.
Inoltre ha accertato la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con riguardo alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», in relazione all’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, “in quanto gli interventi in esse previsti non sono sostenuti da alcun riscontro in ordine all’onere a regime che va a gravare sul bilancio della Regione e, soprattutto, non contengono alcuna valutazione in ordine agli oneri a regime a carico dei bilanci degli enti locali su cui ricadono prevalentemente tali oneri”[1].
Infine ha verificato il contrasto con l’art. 117, co. 2, lett. e), Cost., poiché l’indeterminatezza che connota le norme impugnate inciderebbe negativamente sugli equilibri complessivi della finanza pubblica degli enti territoriali e sulla sostenibilità del debito pubblico, con contestuale compromissione dell’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
Descritti sin qui, in estrema sintesi, i termini della questione e i contenuti della sentenza, appare utile approfondire i riflessi sui rapporti di lavoro instauratisi in applicazione delle norme dichiarate illegittime costituzionalmente, affrontando preliminarmente il tema della efficacia ex nunc o ex tunc delle sentenze di accoglimento emesse dalla Corte costituzionale.
III. L’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento secondo la giurisprudenza costituzionale.
Le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sono definite in dottrina come ius superveniens retroattivo[2] e incardinate tra le fonti del diritto[3], in ragione dell’innovazione dell’ordinamento derivante dalla loro espunzione e della produzione di successione nel tempo di norme[4].
Per quanto concerne l’efficacia nel tempo delle sentenze di accoglimento, in origine, in base all’interpretazione letterale dell’art. 136 Cost., si riteneva la legge dichiarata incostituzionale perdesse efficacia ex nunc[5]. Tale tesi è stata superata in seguito all’approvazione dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, ai sensi del quale “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”[6], facendo divieto ai giudici di applicare la norma dichiarata incostituzionale alle fattispecie sostanziali già esistenti.
La stessa Consulta ha più volte ribadito, peraltro, che “l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte”[7]. Pertanto gli effetti della sentenza non riguardano solo i rapporti che sorgeranno in futuro ma anche quelli già sorti in passato, purché non esauriti[8].
Vanno considerati esauriti i rapporti definiti per effetto di atti amministrativi non più impugnabili, ovvero di atti negoziali rilevanti sul piano sostanziale o processuale, nonostante l’inefficacia della norma dichiarata incostituzionale[9].
La Corte di Cassazione peraltro, ha chiarito che “se la dichiarazione di illegittimità costituzionale ha effetto retroattivo, nel senso che la dichiarazione illegittima non può essere applicata né come norma per la disciplina dei rapporti ancora in corso o da costituire, né come regola di giudizio dei rapporti esauriti, tuttavia, la circostanza che quella disposizione abbia di fatto operato nell’ordinamento giuridico comporta che essa ha prodotto effetti irreversibili, perché essi hanno inciso su rapporti esauriti a causa della mancanza o della inutilizzabilità di strumenti idonei a rimetterli in discussione ovvero a causa della impossibilità giuridica o logica di valutare diversamente, a posteriori, comportamenti che devono essere esaminati alla stregua della situazione normativa esistente al momento in cui si verificano”[10].
- Il limite dei “rapporti esauriti”, con riguardo alla dichiarazione di illegittimità costituzione delle norme legittimanti la stabilizzazione dei lavoratori precari della PA.
Per comprendere in che modo incida la pronuncia della Corte Costituzionale sui rapporti di lavoro instauratisi in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è opportuno verificare quanto avvenuto in casi analoghi e come si sia orientata in tali fattispecie la giurisprudenza.
Di estremo interesse da tale punto di vista è ciò che è avvenuto con riguardo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge della Regione Puglia, finalizzata a stabilizzare il personale dirigenziale delle aziende del servizio sanitario, assunto a tempo determinato.
Più nel dettaglio, con legge regionale n. 40 del 2007, la Regione Puglia ha introdotto delle procedure selettive riservate al personale assunto a termine dalla aziende sanitarie; tale normativa con sentenza n. 42 del 2011 della Corte è stata dichiarata illegittima costituzionalmente, per violazione di vari principi costituzionali, tra cui quello dell’accesso agli impieghi nelle amministrazioni mediante pubblico concorso (art. 97 Cost.).
In applicazione della pronuncia di incostituzionalità, un’azienda sanitaria decideva di risolvere il contratto con uno dei soggetti stabilizzati all’esito delle procedure riservate.
Il lavoratore adiva il giudice del lavoro chiedendo si accertasse l’illegittimità della risoluzione. Il ricorso del lavoratore, respinto in primo grado, veniva invece accolto in appello. La Corte d’Appello di Lecce in particolare, muovendo dal principio che le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno sì efficacia retroattiva, ma con il limite dei “rapporti consolidati, costituiti sulla base di provvedimenti divenuti inoppugnabili”[11], e atteso che il provvedimento di approvazione della graduatoria era ormai definitivo, non essendo mai stato impugnato né annullato in autotutela, concludeva affermando che il contratto non avrebbe dovuto essere risolto.
Avverso la sentenza d’appello è stato proposto ricorso, conclusosi con la sentenza dell’8.7.2016, n. 14032[12]. Con tale pronuncia la S.C. afferma che esiste un “inscindibile legame” tra il pubblico concorso e il contratto di lavoro e l’illegittimità del primo si riverbera sul secondo, per cui sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d. lgs. n. 165 del 2001” (previsione del TUPI secondo cui le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni avvengono con contratto individuale del lavoro, a seguito di procedure selettive conformi ad una serie di regole fissate dalla medesima norma). Peraltro sempre secondo la sentenza in esame, se l’approvazione della graduatoria e la successiva sottoscrizione del contratto individuale “segnano il limite all’esercizio del potere di autotutela, tipico del rapporto di diritto pubblico”, tuttavia “non impediscono al datore di lavoro, che agisce con le capacità proprie del soggetto privato, di far valere, anche a rapporto già instaurato di fatto, la assenza del vincolo contrattuale conseguente alla nullità delle operazioni concorsuali”[13].
Conclusivamente, dunque, secondo la sentenza in esame, poiché la regolarità della procedura di assunzione condiziona la validità del contratto di lavoro, non può essere ravvisata una “situazione giuridica irrevocabile o esaurita” a fronte di un rapporto di lavoro pubblico che sia ancora in atto e che sia sorto per effetto di una procedura concorsuale posta in essere sulla base di una legge dichiarata incostituzionale.
La Cassazione ha inteso dare preminente rilievo alla esigenza sostanziale di evitare la prosecuzione di rapporti di lavoro costituitisi in base a procedure selettive non rispettose della regola costituzionale del pubblico concorso. Di qui una ricostruzione più innovativa, secondo cui il vizio del concorso è al contempo vizio del contratto in forza del quale il pubblico dipendente è stato assunto, e come tale ne comporta la nullità. Il che consente alla pubblica amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri privatistici di gestione del rapporto di lavoro, di farlo valere senza limiti di tempo (art. 1422 c.c.) ed indipendentemente dalla previa rimozione del provvedimento amministrativo di approvazione dei risultati della procedura concorsuale. L’effetto pratico di questa ricostruzione, dunque, è che la dichiarazione di incostituzionalità di una legge per violazione del principio del concorso pubblico, comporta la nullità ab origine dei contratti conclusi sulla base delle procedure poste in essere in esecuzione delle norme costituzionalmente illegittime.
Non si può fare a meno di osservare che in questo modo viene sacrificato l’affidamento del lavoratore, che anche dopo un notevole lasso temporale dalla assunzione, può vedersi dichiarato nullo il contratto per vizi della procedura di reclutamento. Tuttavia, rispetto a tale interesse, la Cassazione ha ritenuto di dare prevalenza a quelli sottesi all’art. 97 Cost., che - è stato detto apertamente dalla sentenza in esame - resterebbero mortificati se si consentisse la prosecuzione di rapporti di lavoro instaurati in violazione della regola costituzionale del pubblico concorso. Del resto, anche nella ricostruzione propria dalla Suprema Corte, l’affidamento del lavoratore illegittimamente assunto trova pur sempre un certo grado di tutela, dovendosi escludere – in base al disposto dell’art. 2126 c.c. - che l’amministrazione possa esigere la restituzione delle somme corrisposte a titolo retributivo, precedentemente alla rilevazione della nullità.
L’applicazione di tali principi alla vicenda siciliana conduce alla conclusione di ritenere affetti da nullità tutti contratti stipulati, in applicazione della norma dichiarata illegittima costituzionalmente.
Il legislatore siciliano pertanto, è stato costretto ad intervenire nuovamente, elaborando un testo normativo volto a sanare la paradossale situazione nella quale si erano trovati all’incirca 4000 lavoratori, assunti in applicazione di una norma dichiarata illegittima costituzionalmente e intrappolati in una sorta di limbo.
Con l’art. 10 della legge regionale n. 1 del 2024[14], è stato introdotto un meccanismo di stabilizzazione dei lavoratori in attività di pubblica utilità e in attività socialmente utili, norma che a differenza della precedente disciplina non è stata impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, evidentemente emendata dai vizi che avevano condotto alla precedente contestazione.Tutto bene quel che finisce bene, sino alla prossima “stabilizzazione”.
[1] Difatti, prosegue la Corte Costituzionale, “le assunzioni a tempo indeterminato in argomento comportano inevitabilmente un effetto incrementale permanente delle corrispondenti spese di personale determinando un onere economico particolarmente elevato per gli enti utilizzatori. A fronte di tale onere non risulta disposta una copertura finanziaria integrale in quanto il contributo previsto, ancorché maggiorato per far fronte al trattamento economico fondamentale e accessorio, è concesso entro il limite dell’autorizzazione di spesa prevista dal comma 7 dell’impugnato art. 36 – più volte modificato con le successive leggi regionali oggetto anch’esse del presente giudizio – inidoneo per la copertura delle spese a regime per quanto già detto”, cfr. Corte cost., 8 marzo 2023, n. 84, in www.cortecostituzionale.it.
[2] Cfr. R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge, in Giur. cost., 1990, pag. 1363 ss
[3] Cosi A. PIZZORUSSO, Delle Fonti del Diritto in SCIALOJA-BRANCA (a cura di) Commentario del Codice Civile, Bologna, 1977, pag. 274 ss.
[4] Così R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge, op. cit., pag. 1363 ss.
[5] Tesi sostenuta inizialmente da P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo
civile, Padova, 1950, poi in Opere giuridiche, vol III, Napoli, 1968, pag. 395 ss.
[6] È da registrare come in dottrina si sia aperto un vivace dibattito in ordine a quale sia la pubblicazione cui collegare il dispiegarsi degli effetti delle pronunce. A un orientamento tradizionale e maggioritario che ritiene che debba farsi riferimento alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (per tutti V. CRISAFULLI, Lezioni, II, cit., pag 383 ss.) si contrappone la posizione di chi ritiene sia sufficiente il deposito in cancelleria a costituire il presupposto del dispiegarsi degli effetti della sentenza (in tal senso A. Pace, Superiorità della Costituzione ed efficacia immediata della sentenza di incostituzionalità, in Giur. cost., 1997, pag. 444 ss). Tale ultimo orientamento è stato condiviso da M. SICLARI, Effetti temporali delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Giurisprudenza Italiana, 1999, pag. 1778 ss.
7 Corte costituzionale, sentenze n. 49 del 1970, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966. Tale principiò è peraltro ribadito nella pronuncia sentenza n. 10 del 2015, con la quale tuttavia la consulta rileva che “esso, tuttavia, non è privo di limiti”, cfr. A. Lanzafame, La limitazione degli effetti retroattivi delle sentenze di illegittimità costituzionale tra tutela sistemica dei principi costituzionali e bilanciamenti impossibili. A margine di Corte Costituzionale n. 10/2015, in Rivista Aic, 2015, n. 2, pag. 1 e ss..
[8] In tal senso Corte di Cassazione, Ufficio Massimario e ruolo, Gli effetti delle sentenze di incostituzionalità n. 348 e n. 349 del 2007 sui giudizi pendenti in materia espropriativa, pag. 4.
[9] Tutte ipotesi di “esaurimento” riconducibili al decorso del tempo, quando ad esso l’ordinamento ricolleghi il definitivo consolidamento di situazioni e rapporti giuridici. Si pensi agli istituti della prescrizione, della preclusione e della decadenza, ciascuna riconducibile ad un diverso ramo del diritto.
[10] Cass. 18 dicembre 1984, n. 6626.
[11] Corte di Appello di Lecce, Sez. lav., sentenza 25.11.2013, n. 336.
[12] Cfr. F. Ghera, La “retroattività” delle sentenze di accoglimento in un’interessante pronuncia della Cassazione (nota a Cassazione, Sez. Lav., sentenza 8.7.2016, n. 14032), in Aic 2017, n. 1, pag. 1 e ss.
[13] In questo senso, Cass. sez. lav., sentenza n. 19626 del 2015.
[14] Per una compiuta disamina del nuovo testo normativo e delle sue modalità applicative si rinvia alla Circolare dell’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro del 24.4.2024, consultabile in https://www.regione.sicilia.it/la-regione-informa/legge-regionale-16-gennaio-2024-n-1-art-10-assunzioni-lavoratori-impegnati-attivita-pubblica-utilita-attivita-socialmente-utili