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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



L’esautoramento dell’amministrazione inadempiente dalla nomina del commissario ad acta: necessità di una disciplina organica nel giudizio di ottemperanza, giudizio sul silenzio e giudizio cautelare.

Di Alessandra Scafuri
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, ORD. N. 10 NOVEMBRE 2020, N. 6925 - PRES. MARUOTTI, EST. CONFORTI

 

L’esautoramento dell’amministrazione inadempiente dalla nomina del commissario ad acta: necessità di una disciplina organica nel giudizio di ottemperanza, giudizio sul silenzio e giudizio cautelare

 

Di Alessandra Scafuri

 

 

Sommario: 1. La figura del commissario ad acta 2. L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria e le questioni poste 3. Indirizzi giurisprudenziali sulla questione di diritto 4. Riflessioni in attesa dell’Adunanza Plenaria

 

  1. La figura del commissario ad acta

La parte del commissario ad acta si è inserita nella scena processuale grazie alla forza creativa della giurisprudenza amministrativa[1].

Il legislatore delegato nel 2010 ha consacrato il ruolo del commissario nell’art. 21 del Codice del processo amministrativo, nel capo dedicato agli ausiliari del giudice.

Nelle ipotesi di giurisdizione estesa al merito, in cui il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione, la legge gli riconosce la facoltà di nominare un commissario ad acta, quale suo ausiliario, al fine di guidare l’operato della pubblica amministrazione inottemperante alla sua pronuncia.

Tra i casi di giurisdizione estesa al merito annoverati nell’art. 134 c.p.a., spicca il giudizio di ottemperanza, ove il giudice può nominare il commissario ad acta ai sensi dell’ art 114, terzo comma, lett. d) c.p.a.

Il commissario ad acta fronteggia, in tale ipotesi, la perdurante inerzia della pubblica amministrazione che con il suo contegno omissivo non esegue la regola di diritto indicata nella sentenza del giudice dell’ottemperanza. Il commissario si pone come longa manus del giudice amministrativo, affinché si consolidi il peculiare effetto conformativo delle sentenze amministrative, con l’adeguamento della situazione di fatto alla situazione di diritto.

Tale inadempienza rileva, inoltre, nel rito avverso il silenzio non significativo.

L’art. 117, terzo comma, c.p.a. prevede parimenti la possibilità per il giudice di nominare un commissario ad acta con la sentenza in forma semplificata che definisce il giudizio ovvero successivamente su istanza della parte interessata. Nell’ambito del rito speciale, il commissario ad acta agisce quale ausiliario dell’organo istituzionalmente competente, incentivandone l’azione.

Grazie al commissario ad acta, dunque, si assicura l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni, in omaggio ai principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113, Cost[2] e dell’art. 1 c.p.a.

La figura del commissario ad acta è presente anche nell’ambito del giudizio cautelare, ai sensi dell’art. 21, comma 14, della legge n. 1034/1971, introdotto dall’art. 3, legge n. 205/2000, che riconosce il potere del giudice di individuare il soggetto che deve provvedere ai fini dell’esecuzione delle ordinanze cautelari.

Le questioni che coinvolgono il profilo del commissario ad acta e i confini dell’azione amministrativa successiva alla sua nomina sono state oggetto di orientamenti antitetici.

Dottrina e giurisprudenza continuano ad interrogarsi sull’an e sul quando l’amministrazione sia esautorata dall’intervento del commissario ad acta.

E’ fondamentale, quindi, comprendere se il potere amministrativo possa dirsi esaurito con la nomina del commissario da parte del giudice amministrativo, ai fini del corretto inquadramento dei provvedimenti amministrativi successivi ad essa.

Il crescente interesse nei confronti del ruolo del commissario ad acta, in particolare per il suo rapporto con l’amministrazione surrogata, ha condotto negli anni a diverse pronunce dell’Adunanza Plenaria[3], seppur omettendo di valutare l’opportunità di una unitaria disciplina per il giudizio di ottemperanza, sul silenzio e cautelare.

 

  1. L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria e le questioni poste

L’esigenza di elaborare un’organica disciplina sulla figura del commissario ad acta all’interno dei giudizi in cui egli interviene, ossia quelli sul silenzio, cautelare e di ottemperanza, è la ragione intrinseca dell’ordinanza di rimessione.

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato intende quindi esortare l’Adunanza Plenaria a risolvere la questione sulla configurazione dell’esautoramento dell’amministrazione inadempiente, individuata quale “questione di massima di particolare importanza” ai sensi dell’art. 99, secondo comma, c.p.a., nonché a definire regole e principi comuni per il commissario ad acta, in relazione alle diverse tipologie di giudizi nei quali è nominato.

Le vicende che coinvolgono il commissario ad acta rilevano in relazione alla corretta qualificazione del regime degli atti dell’amministrazione che si sia riattivata solo in seguito alla nomina dell’ausiliario del giudice.

La prima questione di diritto deferita all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato riguarda il cd. esautoramento dell’organo istituzionalmente competente a causa della nomina ovvero dell’insediamento del commissario ad acta, disposta ai sensi dell’art. 117, terzo comma, c.p.a.

Il Collegio si interroga sulla permanenza del potere amministrativo in capo all’organo “assopito” nel caso in cui il giudice nomini il suo ausiliario, nonché sul regime giuridico dell’atto del commissario ad acta che contrasti con il provvedimento emesso dall’amministrazione che si sia “ridestata”.  

Qualora l’Adunanza Plenaria dovesse giungere alla conclusione sull’esaurimento del potere amministrativo causato dal verbale di nomina  del commissario ad acta, è necessario stabilire il regime di invalidità dell’atto emanato dall’amministrazione “tardivamente” rispetto al termine fissato dal giudice amministrativo, ossia se l’atto sia nullo ovvero annullabile.

Il Collegio esprime sul punto il proprio scetticismo sulla qualificazione di nullità del provvedimento amministrativo sopravvenuto alla nomina del commissario poiché non sussiste il difetto assoluto di cui all’art. 21 septies della legge n. 241/1990, quale carenza di potere in astratto.

L’amministrazione, invero, sarebbe privata del potere originariamente attribuitole dalla legge, a causa del suo silenzio-inadempimento dell’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo.

Ciò si verifica quando lo stesso legislatore che accorda il potere amministrativo alla pubblica autorità, confidando nella sua azione di cura dell’interesse pubblico, glielo sottrae per via dell’inerzia e lo assegna al commissario ad acta, per mano del giudice.

La Sezione, quindi, ripercorrendo gli orientamenti giurisprudenziali sul tema, deferisce le questioni suddette e manifesta l’opportunità che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato adotti una soluzione quanto più completa e coordinata sugli effetti della nomina del commissario ad acta per il giudizio di ottemperanza, il rito avverso il silenzio e nel giudizio cautelare. 

 

  1. Indirizzi giurisprudenziali sulla questione di diritto

L’ordinanza in esame ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali sul regime di invalidità degli atti amministrativi adottati dall’organo istituzionalmente competente in seguito alla nomina del commissario ad acta.

Secondo un risalente indirizzo[4], il potere-dovere dell’amministrazione di ottemperare la sentenza verrebbe meno dopo la nomina del commissario ad acta da parte del giudice dell’ottemperanza.

Nell’ordinanza di rimessione è evidente la continua ricerca di una coordinata disciplina del commissario ad acta nei tre giudizi in cui viene nominato dal giudice. L’impostazione suddetta, quindi, deve esser verificata non solo nell’ambito del giudizio di ottemperanza cui si riferisce ma anche all’interno del rito avverso il silenzio e nel giudizio cautelare.

Se il potere amministrativo si esaurisce con la nomina del commissario ad acta, ciò deve valere sia per l’amministrazione che non esegua la regola di diritto enunciata nella sentenza da ottemperare sia nei confronti dell’organo rimasto silente.

La giurisprudenza maggioritaria[5] accoglie il più recente orientamento che professa il cd. “esautoramento” dell’amministrazione inottemperante a decorrere dal verbale di nomina dell’ausiliario del giudice, da cui deriva il definitivo trasferimento della funzione di pubblico interesse dall’ente titolare per legge a quello che lo diviene per effetto della sentenza del giudice amministrativo.

Sul punto, rileva l’Adunanza Plenaria n. 7 del 9 maggio 2019, secondo cui l’ “investitura” del commissario ad acta, sia esso ausiliario del giudice che in qualità di organo straordinario dell'amministrazione inadempiente surrogata, priva quest'ultima della potestà di provvedere tardivamente.

Se si predilige tale soluzione, la Sezione IV dubita che l’atto sopravvenuto dell’amministrazione possa qualificarsi nullo poiché non si configura alcun difetto assoluto di attribuzione. L’inadempimento dell’organo istituzionalmente competente sorge proprio in virtù di una norma attributiva del potere-dovere di provvedere, dalla cui violazione nasce l’ordine del giudice amministrativo, tanto in sede di giudizio di ottemperanza che di rito avverso il silenzio non significativo.

Il Collegio richiama la pacifica e risalente giurisprudenza secondo cui il decorso del termine per l’esercizio del potere pubblico non ne comporta la perdita, potendosi ravvisare invece l’annullabilità dell’atto per il caso in cui il termine vada considerato perentorio.

La nomina del commissario ad acta da parte del giudice amministrativo opera, pertanto, come extrema ratio, concepita dal sistema per esortare l’amministrazione restia a provvedere: se essa perduri nell’inerzia, l’ausiliario del giudice soccorre alle istanze del privato che aspira al bene della vita finale.

Ancora, l’Adunanza Plenaria n. 1 del 2002  ha sancito che gli atti del commissario nell’ambito del rito avverso il silenzio inadempimento devono esser coerenti con quelli dell’amministrazione, anche se adottati tardivamente. Le eventuali questioni relative all’esatta emanazione del provvedimento richiesto spettano al giudice del rito speciale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, c.p.a.

Sulla opportunità di una proficua collaborazione tra l’amministrazione e il commissario ad acta, parte della dottrina accoglie una tesi originale, non seguita però dalla giurisprudenza più recente. La competenza commissariale resterebbe concorrente con quella dell’amministrazione, la quale potrebbe permanere nelle sue attribuzioni[6].

Tale indirizzo si fonda su basi costituzionalmente garantite dagli artt. 28 e 97, Cost. e sul principio generale di certezza dei rapporti giuridici, nella specie di diritto pubblico.

Il principio di legalità, legato all’art. 97, Cost., è l’unico a poter incidere sull’assetto delle competenze attribuite alla pubblica autorità, in particolare laddove il giudice amministrativo abbia ordinato all’amministrazione di eseguire la regola di diritto enunciata nella sentenza.

Il Collegio opera un’attenta riflessione sull’opportunità della nomina del commissario ad acta da parte del giudice amministrativo. Questi potrebbe realizzare un effetto “deresponsabilizzante” dell’amministrazione già inadempiente.

L’incoerenza del sistema emerge anche dal decisivo disincentivo allo svolgimento del proprio dovere in sede amministrativa e a preordinate mancate esecuzioni delle pronunce del giudice amministrativo, con una sostanziale deresponsabilizzazione del funzionario, in contrasto con l’art. 28, Cost.

Interessante notare che, qualora si accogliesse questo terzo orientamento, non si configurerebbe alcuna questione di validità dei provvedimenti e degli atti emanati dall’amministrazione in seguito alla nomina o all’insediamento del commissario ad acta.

 

 

  1. Riflessioni in attesa dell’Adunanza Plenaria

 La significativa funzione svolta dal commissario ad acta nell’ambito dei diversi giudizi in cui può esser nominato dal giudice amministrativo è complementare alla effettività della tutela giurisdizionale riconosciuta al privato. Questi può confidare nella persona dell’ausiliario del giudice per il soddisfacimento del proprio interesse legittimo e ottenere il bene della vita cui aspira.

Le ricostruzioni della Sezione quarta sul critico rapporto che intercorre tra l’amministrazione inadempiente e il commissario ad acta non possono prescindere dal soggetto inciso dal tardivo provvedimento amministrativo quanto dall’atto dell’ausiliario del giudice. Pertanto, il riconoscimento di un perdurante e inesauribile potere in capo all’organo istituzionalmente competente sembra voler affievolire l’obbligo di provvedere in tempi ragionevoli ed effettivi.

Proprio l’effettività del termine di conclusione del procedimento è stato recentemente ribadito dal legislatore all’art. 2, comma 4-bis della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 120/2020.

L’amministrazione deve quindi rispondere prontamente alle istanze del privato, come una madre attenta alle esigenze dei figli. Nella carenza delle sue funzioni, sarebbe opportuno che la pubblica autorità sia surrogata dal commissario ad acta, laddove il privato adisca la giustizia amministrativa.

Il sistema di giustizia amministrativa trova il suo perno nell’effettività della tutela giurisdizionale, vera connessione tra il giudizio di ottemperanza, il giudizio sul silenzio-inadempimento e la dimensione della tutela cautelare.

Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali ripercorsi nell’ordinanza di rimessione, la leale collaborazione tra il commissario ad acta e l’amministrazione inadempiente che voglia poi “riattivarsi” risulta auspicabile proprio per la coerenza del sistema e la tenuta degli interessi coinvolti. Ciò appare opportuno anche laddove si prospetti l’esautoramento dell’amministrazione a causa della nomina dell’ausiliario del giudice, come extrema ratio della perdurante inerzia dell’organo istituzionalmente competente.

 

NOTE:

[1] Cons. St., sez. IV, 9 marzo 1928, n. 181, in Foro italiano, 1928, p. 102 ss. La prima pronuncia in cui venne riconosciuta la possibilità per il giudice amministrativo di avvalersi dello strumento commissariale (prima limitato esclusivamente alla materia dell’esecuzione dei provvedimenti del giudice ordinario nei confronti delle autorità amministrative (art. 27, n. 4, T.U. Cons. St.) nell’ambito del giudizio di ottemperanza.

[2] A. Travi, Esecuzione delle sentenze (diritto amministrativo), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, III, Milano, 2006, p. 2266.

[3] Ad. Plen., 09 febbraio 2016 n. 2, sul suo potere sostitutivo in ordine al provvedimento di acquisizione coattiva ai sensi dell’art. 42 bis T.U. Espropiazioni; Ad. Plen., nn.  1/2002- 7/2019, richiamate dalla stessa ordinanza di rimessione in commento, senza che abbiano affrontato in maniera completa la possibilità di configurare una disciplina unica dei tre ambiti in cui il giudice amministrativo nomina un commissario ad acta: giudizio di ottemperanza, cautelare e sul silenzio inadempimento.

[4] Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1989, n. 165

[5] Cons. Stato, Sez. V, 5 giugno 2018, n. 3378; Sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1300; Sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5081; Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5014; Sez. IV, 1° dicembre 2014, n. 5912; Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2244; Sez. V, 18 dicembre 2009, n. 8409

[6] Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2011, n. 2764; Sez. V, 21 novembre 2003, n. 7617; Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1041; Sez. V, 27 maggio 1991, n. 852; Sez. IV, 4 giugno 1990, n. 448.