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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



L’equipollenza tra titoli di studio per la partecipazione a procedure di evidenzia pubblica.

Di Martina Grande.
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUINTA SENTENZA 28 agosto 2019, n. 5924

di MARTINA GRANDE

L’equipollenza tra titoli di studio per la partecipazione a procedure di evidenzia pubblica.

Abstract: il C.d.S., con la sentenza n. 5924/2019, modella il principio della tassatività dei titoli di accesso alle procedure concorsuali, propedeutiche all’assunzione di risorse umane o alla stipula di contratti pubblici ex D. Lgs. n. 50/2016, ribadendo che le equipollenze debbono essere previste da norme di legge, ma prevedendo anche che l’equipollenza può dedursi anche da norme di legge dettate ad altri scopi. Il bando di un Comune calabro, relativo all’affidamento di incarichi professionali a titolo gratuito, veniva impugnato avanti al T.A.R. da un ingegnere meccanico per due distinti motivi:

1) l’asserita inconfigurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito, trattandosi di fattispecie atipica rispetto alla disciplina prevista dal D. Lgs. n.50/2016;

2) l’illegittimità della clausola del bando che sostanzialmente escludeva dalla partecipazione al concorso il ricorrente che non era titolare di laurea in ingegneria civile o equipollente, titolo accademico richiesto nel bando, ma di laurea in ingegneria meccanica.

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Si tralascia di analizzare le opposte conclusioni cui sono pervenuti i magistrati amministrativi nei due gradi di giudizio in ordine alla legittimità della gara d’appalto gratuita bandita da una P.A.; la questione, infatti, è stata meglio approfondita in altra sentenza, la n. 4614/2017, pronunciata dalla medesima Sez. del C.d.S. nel contenzioso relativo al medesimo appalto. In questa sede i si limita ad evidenziare come la materia costituisce vivo terreno di scontro tra:

• i principi di matrice comunitaria per i quali, nella tipica prospettiva sostanzialistica, è sempre applicabile la normativa sugli appalti ogni qual volta più operatori economici operano in un mercato, così che anche gli affidamenti di servizi senza corrispettivo, quelli c.d. ad onerosità debole ove è previsto solo il rimborso delle spese documentate, rientrano nel concetto di appalto;

• i principi dell’ordinamento interno secondo i quali, invece, l’appalto presuppone il versamento, dal committente all’appaltatore, del “corrispettivo in danaro” quale sinallagma contrattuale del compimento, da parte di quest’ultimo, di “un'opera o di un servizio” “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio” (art. 1655 c.c.).

Il C.d.S. ha regolato la materia facendo necessaria applicazione della c.d. primazia del diritto comunitario e concludendo, quindi, per la legittimità delle gare d’appalto ad onerosità debole, connotate da “gratuità finanziaria ma non economica”. Il sottile filo di congiunzione, sul punto, tra l’ordinamento comunitario e quello interno è dato dalla considerazione che la gratuità della prestazione appaltata non esclude il conseguimento, da parte dell’appaltatore, di altri benefici di natura economica, indirettamente conseguenti all’aggiudicazione dell’appalto. Si segnala, tuttavia, che proprio l’inevitabile sussistenza di detti benefici, avulsi dal chiaro bilanciamento sinallagmatico tra le contrapposte prestazioni dell’appalto, macchia di opacità l’ambito di operatività diretto o indiretto della P.A., in contrasto con gli obblighi di massima trasparenza imposti dall’imperativa normativa anticorruzione con finalità di prevenzione degli illeciti. Inoltre, la primazia del diritto comunitario rischia di travolgere la contrastante copiosa legislazione nazionale e regionale, ispirata ai principi costituzionali di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, che, proprio sul presupposto dell’assenza del “corrispettivo in danaro” e quindi della pregressa ritenuta inapplicabilità della disciplina sugli appalti pubblici, prevede corsie presenziali per l’affidamento diretto, senza gara, di servizi a soggetti del terzo settore, operanti in regime non profit che, quindi, non ricevono alcun corrispettivo, ma solo del rimborso delle spese documentate; detti servizi, probabilmente, non potranno più essere sottratti al principio comunitario della concorrenza, contraendosi quindi di fatto gli attuali spazi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale costituzionalmente tutelati.

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La sentenza in commento si segnala, invece, perché affronta il principio della tassatività dei titoli di accesso alle procedure concorsuali, proponendo un’evoluzione del consolidato orientamento in tema di equipollenza tra lauree. Il C.d.S., invero, preliminarmente ribadisce l'assunto secondo cui, in materia di definizione del titolo di studio occorrente per la partecipazione ai concorsi pubblici, ferma la definizione del livello del titolo (laurea o altro titolo di studio) affidata alla legge o ad altra fonte normativa, l'amministrazione che indice il concorso, in assenza di specifiche indicazioni di legge, è titolare di un potere discrezionale nella definizione della tipologia del titolo (cioè, ad esempio, della tipologia di laurea), in relazione alla professionalità ed alla preparazione culturale richieste per il posto che, attraverso il concorso e la selezione dei soggetti meritevoli, si intende ricoprire ( salva poi restando ovviamente la possibilità di far valere i titoli dichiarati equipollenti ex lege a quelli prescelti dall'amministrazione) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2007, n. 247).

Viene riconfermato anche il principio secondo il quale, quando un bando richieda il possesso di un determinato titolo di studio per l'ammissione ad un pubblico concorso, senza prevedere il rilievo del titolo equipollente, non è consentita la valutazione di un titolo diverso, salvo che l'equipollenza non sia stabilita da una norma di legge (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2494). Sembra invece prospettarsi un ammorbidimento dell’assunto secondo il quale “il giudizio di equipollenza tra i titoli di studio ai fini dell'ammissione ai pubblici concorsi appartiene esclusivamente al legislatore e, di conseguenza, l'unico parametro cui fare corretto riferimento è quello fissato dalla legge e dall'ordinamento della pubblica istruzione, secondo il quale i titoli di studio sono diversi tra loro e le equipollenze costituiscono eccezioni non suscettibili di interpretazione estensiva ed analogica”, così che, “se … il bando richiede … un determinato titolo di studio o quelli ad esso equipollenti ex lege, siffatta determinazione deve essere intesa in senso tassativo, con riferimento alla valutazione di equipollenza formulata da un atto normativo e non può essere integrata da valutazioni di tipo sostanziale compiute ex post dall'amministrazione” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 2012, n. 6260). Nella sentenza appena rihiamata, applicando i richiamati principi, si chiariva anche che “irrilevante è il richiamo al d.P.R. n.328 del 2001 che, con riferimento all'iscrizione all'Albo degli ingegneri, accomuna nella sezione A, settore a), le lauree in "ingegneria civile ed ambientale"; si tratta all'evidenza di equiparazione operata, da una norma regolamentare, a fini del tutto diversi da quelli propri dell'ordinamento universitario unico abilitato a classificare il valore dei titoli di studio”.

Nella sentenza annotata, invece, il d.P.R. n.328 del 2001, e in particolare il suo art. 49 che nella limitata prospettiva transitoria ha garantito l’equipollenza tra la laurea in ingegneria meccanica e quella in ingegneria civile ai limitati fini dell’iscrizione nella Settore A (civile e ambientale) dell’albo professionale, è stato valorizzato come fonte normativa idonea a prevedere l’equipollenza dei due titoli accademici in questione ai fini della partecipazione a procedure selettive/concorsuali. “È chiaro”, precisa il C.d.S. “che, poiché l’ordinamento consente, nei sensi chiariti, a soggetti titolari di diversi titoli di laurea l’esercizio di una medesima attività professionale (attraverso la garanzia dell’opzione per l’iscrizione nella comune sezione dell’albo professionale di riferimento), quei titoli, pur formalmente diversi, debbano essere acquisiti, ai fini in questione e per espressa volontà normativa, come sostanzialmente equipollenti”. In buona sostanza i Giudici di Palazzo Spada, forse perché il giudizio in questione verteva in materia di contrattualistica pubblica ove vige il principio di matrice comunitaria, peraltro espressamente richiamato in sentenza, che vieta di “restringere, senza idonea e congrua giustificazione, l’accesso paritario alle commesse pubbliche (cfr. artt. 30, 83 e 170 d. lgs. n. 50/2016)”, hanno di ritenuto che il necessario giudizio del legislatore sull’equipollenza tra titoli accademici non è appannaggio esclusivo della normativa universitaria, ma può evincersi anche da fonti normative dettate ad altri fini, come l’iscrizione in albi professionali.